Questi legacci mi segano i polsi e mi gonfiano le dita, che sono diventate oramai più rosse delle mie unghie perfette, che solo poco fa ostentavano grazia attorno ad un bicchiere di cherry e scartavano con garbo un cioccolatino, nonostante sapessero che a breve sarebbero finite legate con una calza alla spalliera del letto. E solo poco fa mi cingeva i fianchi premendo leggermente la seta come si deve ad una bella signora quando nasce un’intesa che flebile avanza, quando ancora nella commedia si fa finta di essere anonimi. E poi tutto come al solito, la scena svanisce e rimane un odore di casa, di fritto, di sughi, la tavola apparecchiata e i cuscini del divano scomposti. E lui che mi cinge i fianchi guardando l’orologio a pendolo sopra la porta, estasiato e stordito dal fruscio di nylon delle mie gambe accavallate. Ho capito che era giunta l’ora, il minuto durante il quale tutte le sere percorriamo questo stretto corridoio che ci porta dritti in camera da letto. Ed ogni sera mi sbatte contro la credenza che dice sia antica, mi bacia il collo e poi il seno destro, credendo da anni, che mi procuri più piacere dell’altro, che non possa fare a meno di queste sue labbra che stringono il capezzolo e giuro mi fanno solo dolore. Ma questo seno gonfiato da ferretti ed imbottiture serve soltanto alla sua eccitazione, serve soltanto a farmi apparire una bella puttana, alla sua sicurezza di sentirsi protetto e bambino, e premendolo con le mani lo succhia come se da lì a poco sgorgasse latte e si ingozzasse la bocca di liquido caldo che alle volte mi rammarico di non potergli offrire. E come mucca indiana dalle mammelle aride lo lascio ciucciare e chiudere gli occhi finché le sue tanti mani salgono e scendono per sentirmi più bella, per convincersi che anche stasera ho obbedito per filo e per segno alle sue voglie, che gonfiano sfacciate quei boxer che nessun uomo decente porterebbe ancora. E mi tocca sotto la gonna per assicurarsi che le mutande, sbrindellate negli anni, siano sempre le stesse, che il reggicalze che porto non abbia cambiato colore e merletti che tra poco di un niente slaccerà conoscendo a memoria i gancetti. E mi tocca fino dove le mie cosce diventano umide, ma è solo sudore e risentimento d’essere costretta ad indossare calze di nylon in pieno agosto. La camera da letto ha lo stesso profumo di vaniglia di sempre come il tovagliolo ricamato che sopra la lampada accesa soffonde la luce e il suo sguardo, che assente segue un percorso illogico che io non conosco, che negli anni non m’è stato concesso di entrare.
Ed ora sono qui con i polsi legati alla spalliera di ferro battuto rivoltata come un maiale che aspetta il colpo di grazia, con la faccia schiacciata contro la sua ombra che s’allunga sul muro e dà tono e dimensione al suo sesso altrimenti normale, altrimenti sotto la media. Ma io ho conosciuto solo questo sesso! Solo questo strano modo di fare l’amore che per quanto il mio piacere possa capire, non credo che non ci sia di meglio, come non credo che una donna a questo mondo debba arrivare all’orgasmo pensando che tra poco ne arriverà un altro comprensivo e generoso nella testa e in mezzo alle gambe. E poi un altro e un altro ancora ed insieme mi riempiranno quelle sacche di piacere che mio marito ogni sera tralascia e mi svuoteranno questa mente che ora ha già lasciato questa casa per strade di notte che non hanno città e non sono ricordi. Dove l’oscurità è più nera ed affollata d’avanzi e rifiuti che solo all’alba i netturbini spazzeranno via insieme a i miei tacchi che ho lasciato strada facendo impigliati ad un tombino. E c’è un vento sottile che m’alza la gonna di stoffa leggera e s’insinua nelle pieghe nude di sesso che tra poco qualcuno sgualcirà senza sapere il mio nome, che tra poco più di qualcuno ne abuserà senza conoscere il colore. E non chiederanno da dove vengo e perché sono scalza, perché ho deciso di saziarmi della loro compagnia che ad ogni secondo che passa si farà più intraprendente come quei ridicoli sessi di maschio che incontrollabili premono da sotto la lampo e gonfiano la patta cercando d’uscire. Ma non trovo la strada ed un signore galante mi si avvicina offrendomi la sua mano. E’ timido e balbetta parole che vorrebbero essere di monito, come i suoi occhi fissi sulla strada che curva come il mio vestito di seta leggera, che se non fossi nel sogno starebbe meglio indosso a quella bella puttana che mi guarda e m’invidia perché non sono più sola, perché tra poco quest’essere vestito di nero mi gonfierà sesso e borsetta. E m’appella parole come se parlassi il suo stesso linguaggio, come se facessi il suo stesso mestiere, come se le stessi rubando questo mezzo uomo che a fatica si regge in piedi da solo. Vorrei scusarmi dicendole che quest’uomo mi sta solo accompagnando dove il mio sesso non sente ragioni, è solo il mio angelo nero che mi consegnerà a quella fila di uomini che ogni sera m’aspetta.
Ma la voce violenta e tagliente che esce è simile a quella di mio marito che mi convince nel letto che non sono all’altezza, che non merito quel sesso ripieno di sangue che ora m’illude di non poterne ricevere di meglio. E tra meno di un respiro mi chiamerà vacca e nello stesso momento mi slegherà una mano per rivoltarmi di fianco. Non c’è ragione che io possa pensare qualcosa di diverso, che magari mi prenda contro lo specchio o apra la finestra per farmi annusare la nebbia mentre da dietro continua a mordermi il collo. Non c’è ragione che mi trascini nel bagno e mi faccia truccare di nuovo affondando sul viso rossetto e mascara fino ad assomigliare a quella che ora nel sogno s’inginocchia davanti ad una fila ubriaca di uomini, che esce da una bettola poco lontano. Non c’è ragione che io li sogni, mentre mi riempiono ogni posto che il mio corpo può offrire, come non c’è giustizia che ora, sdraiata prona e supina, quest’uomo mi fotta nell’unico posto che m’identifica e mi realizza come femmina e puttana. E mi chiamerà Eva per sentirsi più uomo, per convincersi che non sono cambiata e che il suo piacere può stare tranquillo per chissà quante altre notti. Tra poco slegherà anche l’altro polso e mi rimprovererà di non essere stata cagna abbastanza e, a metà del suo orgasmo, mi obbligherà a provare piacere. Perché non sia mai che io possa godere dopo il suo piacere, perché non sia mai che una donna possa sentirsi insoddisfatta quando l’uomo non può più dominarla. Ed allora rientrerò nel sogno contando quanti uomini insieme m’hanno presa in mezzo alla strada, misurando la mia vergogna negli occhi di quella puttana che rivolta lo sguardo per timidezza. E mi concentrerò cercando di fare più in fretta e pensando a quanti uomini ancora diluiranno rabbia e passione dentro questa cisterna e per quante notti dovrò ancora uscire di casa. E mentre sento le urla di piacere di mio marito mi consolo pensando che, grazie al mio angelo nero, non mi sono mai persa, che quegli uomini pazienti m’hanno sempre aspettata e che quest’uomo che ora mi dorme vicino m’ha sempre ritrovata al suo fianco dopo l’amore.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…