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Racconti Erotici EteroTravel

L’Ultimo Treno per il Desiderio

By 6 Ottobre 2025No Comments

Il treno fischiava, l’ultimo per Milano, e l’aria era già carica di quell’elettricità che precede un temporale. Avevo ventiquattro anni, e la stazione di Vicenza era un luogo di passaggio che amavo, un preludio a storie mai raccontate. Quel giorno, però, la storia si materializzò davanti a me. Lei era lì, una visione bionda con capelli corti che le incorniciavano il viso in riccioli ribelli, occhi chiari e limpidi come il cielo prima dell’alba. Lottava con due valigie mostruose, una lotta persa in partenza. Un’energia primordiale mi spinse avanti.
«Ti serve una mano?» chiesi
Alzò lo sguardo, un misto di frustrazione e sollievo che si sciolse in un sorriso stanco. «Sì, grazie mille.»
Sollevai i due valigioni come se non pesassero nulla, sistemandoli nella cuccetta dell’IC. Il destino, o forse solo la fortuna, volle che in quel vagone di prima classe non salisse più nessuno. Eravamo soli. Un’isola in movimento attraverso la pianura veneta.
Ci presentammo. Lei studiava Psicologia a Padova, tornava a casa. Le parole erano solo un pretesto, un brusio di sottofondo mentre i nostri corpi cominciavano il loro dialogo muto. Braccia che si sfioravano seduti di fronte, gambe che, ad ogni curva del treno, si toccavano in un punto, si ritiravano, per poi tornare a cercarsi. Il ritardo accumulato dal convoglio non era un inconveniente, era un dono.
Passò il carrello. Ordinammo dello stesso vino bianco, freddo e pungente. Il bicchiere era solo un oggetto per umettare le labbra, per guardarsi mentre si beveva. Presi la sua mano. Era morbida, una piccola cosa vivente tra le mie dita. La portal alle mie labbra e depositarvi un bacio così leggero da essere quasi un sospiro. Lei non ritrasse la mano. Mi guardò, e in quello sguardo non c’era più traccia della ragazza stanca di prima, ma solo una curiosità feroce, animalesca.
«Posso sedermi accanto a te?»
Un ghigno le contrasse le labra, un’espressione indefinibile e provocatoria. Annuì.
Il mio posto era ora al suo fianco. Il contatto divenne più ampio, più caldo. Il profumo della sua pelle, un mix di fiori selvatici e sudore, mi avvolse. Mi chinai e baciai la sua guancia, un punto appena sotto l’occhio. La sentii arrossire, un’onda di calore che mi investì.
«Questo secondo te è un bacio?»
La sua voce era un filo di seta rotta dal desiderio. Non ebbi il tempo di rispondere. Mi afferrò il viso tra le mani e le sue labbra presero le mie con una furia improvvisa, un’urgenza che spazzò via ogni esitazione. Il mondo fuori scomparve. Esistevano solo i nostri corpi, i nostri respiri che diventavano uno.
Le mie mani viaggiarono lungo le sue gambe, sentendo il tessuto dei jeans sotto le dita, il calore che emanava da sotto quel tessuto. Lei gemette nel bacio, le sue dita che si aggrappavano alle mie braccia, scavando nella carne. Risalii lungo le cosce, sentendo i muscoli tesi sotto il mio palmo, fino all’inguine.
Lei si divincolò appena, quel sorriso complice di nuovo stampato in volto, e si sbottonò i pantaloni. Il suo giaccone scese a coprirci le gambe, un tendaggio misero per la nostra recita privata.Le mie dita incontrarono la sua pelle, bianchissima e setosa. Un brivido le percorse. Scostai l’elastico delle sue mutandine e trovai il caldo, il bagnato, il pulsare del suo corpo che mi accoglieva. Era già così bagnata che le mie dita scivolarono senza sforzo, trovando il clitoride gonfio e teso. Lei gettò la testa all’indietro, un gemito soffocato le uscì dalle labbra mentre le mie dita iniziavano un ritmo lento e insistente.
La sua mano rispose alla provocazione, premendo contro il mio inguine, palpeggiando la durezza che premeva contro i jeans. Mi sbottonò con dita febbrili, liberandomi. La sua mano mi afferrò, un contatto così elettrico che quasi sussultai. Mi stava masturbando con una sicurezza che mi lasciò senza fiato, il suo pollice che premeva sull’apice, le dita che stringevano la lunghezza.
Poi, con uno sguardo che promise l’inferno e il paradiso, scivolò in ginocchio sul pavimento del treno. Il rombo delle rotaie divenne la colonna sonora dei suoi baci lungo il mio ventre, fino a quando la sua bocca, calda e incredibilmente soffice, mi ingoiò tutto il cazzo. Guardai giù, verso i suoi occhi che non mi abbandonavano un secondo, mentre la sua testa si muoveva su e giù con un ritmo ipnotico. La sua altra mano era sparita tra le sue gambe, e il suono umido delle sue dita che si muovevano su se stessa si mescolava ai miei gemiti.
«Siediti. Ora tocca a me.» le dissi
La mia voce era roca, quasi irriconoscibile. La feci alzare, stesi la mia felpa sul sedile, un misero tentativo di igiene che a nessuno dei due importava. Lei obbedì, sdraiandosi, con un sorriso che era una promessa di complicità. Si mordeva il labbro inferiore, gli occhi già velati dal piacere che sapeva sarebbe arrivato.
Mi inginocchiai tra le sue gambe, spalancandole. Il suo sesso era un’opera d’arte: completamente glabro, bagnato e lucido, le labbra gonfie e rosse che pulsavano, il clitoride in piena vista, un bottone pronto a esplodere. Mi chinai e la mia lingua tracciò il primo, lentissimo solco dal basso verso l’alto. Lei gridò, le sue mani si piantarono sulla mia nuca, spingendo, pretendendo di più.
La lingua divenne più insistente, più veloce. Mi concentrai su quel piccolo punto, succhiando, leccando, facendola vibrare come una corda di violino. Lei si irrigidì, i suoi fianchi si sollevarono dal sedile, ondeggiarono incontro alla mia bocca. I suoi gemiti divennero più alti, più disperati, fino a quando non fu un unico, lungo grido strozzato che si perse nel rumore del treno. Il suo corpo fu scosso da orgasmi violenti, uno dopo l’altro, mentre la mia lingua non le dava tregua.
Mi alzai, il mio cazzo era una verga di dolore e piacere. La baciai, assaggiando il suo sapore sulla mia bocca. Appoggiai la punta alla sua figa, bagnatissima.
«Io… non ho preservativi.»
Le parole mi uscirono a fatica. Lei aprì gli occhi, erano due pozze di desiderio puro.
«Nemmeno io. Ora che si fa?» disse, ma io sapevo che quelle parole non erano una domanda. Era un’implorazione.
«Per me possiamo fare senza. Dimmi tu.»
Non finii la frase. Mi afferrò la nuca e mi attirò in un bacio feroce, mentre con l’altra mano mi guidò dentro di lei. Un caldo abbraccio, bagnato e stretto, che mi fece gemere nel bacio. Mi ci infilai tutto con un unico, potente colpo d’anca. Lei urlò di piacere.
La presi con un ritmo brutale, il sedile che scricchiolava sotto il nostro peso. Poi la sollevai, lei era così piccola, e la appoggiai contro il finestrino freddo, continuando a penetrarla, guardando i suoi occhi che si rovesciavano all’indietro. La girai bruscamente, mettendola a novanta gradi, il suo magnifico culo in bella vista, imbrattato dei suoi stessi fluidi. Non resistetti. Mi chinai e le passai la lingua lungo quella fessura, leccando via tutto il suo sapore dolce e salato. Lei gemette, premendo il sedere contro la mia faccia.
«Fai piano,» sussurrò con voce rotta, quando la punta del mio cazzo trovò l’ingresso più stretto.
Spinsi, lentamente, vincendo quella resistenza incredibile, fino a essere completamente dentro. Era una morsa di velluto bollente. Cominciai a muovermi, e lei ansimava, i suoi sussurri divennero preghiere.
«Sì… Scopami il culo, dai, che vengo ancora… Riempimi il culo, dai!»
Quelle parole furono la mia fine. Esplosi dentro di lei con un ruggito, un fiume caldo che sembrava non finire mai, mentre le mie dita le massaggiavano il clitoride, facendola contorcere in un altro, violentissimo orgasmo.
Rimanemmo così, avvinghiati, ansimanti, ridendo per l’assurdità e la bellezza di quanto era appena successo. Mentre il treno entrava a Milano Centrale.
La aiutai con i bagagli, la realtà che bussava alla porta. Il momento dei saluti era lì.
«È stato bello conoscerti,» disse, aggiustandosi i capelli. «Ma io sono fidanzata. Facciamo che questo viaggio sia un regalo per noi due, e che rimanga un segreto solo per noi?»
Sorrisi. «Magari potessi trovare un regalo così ogni volta che prendo un treno.»
Ci salutammo con un ultimo, lungo bacio, dolce e amaro insieme.
«A proposito, mi chiamo Rita,» mi disse, prima di sparire nella folla.
Rita. Un nome per un ricordo indelebile. Un segreto che ancora oggi, quando sento il fischio di un treno, mi fa sorridere e mi riaccende un fuoco dentro.

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