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Racconti Erotici Etero

Puttana per una sera

By 27 Agosto 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Elena guardò per l’ennesima volta il telefonino, sia per vedere se ci fosse qualche messaggio, sia per controllare l’ora.

Monica era mezz’ora in ritardo, e lei era da dieci minuti che l’aspettava in strada.

Ad  averlo saputo prima, avrebbe potuto cenare con maggiore calma, anziché ridursi a sbocconcellare un panino mentre si stirava capelli e si truccava. 

 La faceva arrabbiare soprattutto il fatto che lei non usciva mai e le poche volte che le capitava l’occasione odiava aspettare.

La bimba – che proprio un mese prima aveva compiuto cinque anni – le aveva a lungo  precluso la possibilità di divertirsi la sera, e anche adesso questa uscita estemporanea era stata resa possibile solo dal fatto che suo marito era andato in pensione tre mesi prima e in quei giorni aveva deciso di andare con la bimba al mare.

Elena cercò di ricordare quando fosse stata la volta precedente che era uscita, e concluse che era stato quasi un anno prima, quando aveva compiuto trentadue anni. 

Provò a chiamare Monica, ma il telefono squillò a vuoto fino a quando non si innescò la segreteria telefonica. Probabilmente era in auto con il telefonino nella borsa e la radio accesa.

Una Panda grigia mise la freccia e puntò verso di lei 

Era l’auto di Monica? Non lo sapeva, ma Elena si augurò di sì.

Scese dal marciapiede e si avviò verso l’auto, la quale nel frattempo stava abbassando il finestrino.

Forse Monica voleva dirle qualcosa.

Si affacciò e vide che alla guida non c’era la sua amica, ma un uomo di circa sessant’anni .

“Quanto?”, le chiese questo.

“Quanto cosa?”, rispose lei.

“Quanto vuoi?”, chiarì lui. 

Ci mise qualche secondo a rendersi conto dell’equivoco. Diventò rossa e si allontanò subito dall’auto, come se scottasse.

“Ma come ti permetti? Per chi mi hai presa?”, sbraitò.

L’uomo non rispose neppure, ingranò la marcia e si allontanò.

Dal finestrino ancora aperto Elena lo sentì bofonchiare: “Si vestono come delle zoccole e poi si lamentano pure….”.

Vestita come una zoccola?

Elena si guardò.

E’ vero, aveva un vestito corto che le lasciava le gambe e la schiena scoperta, ma era estate e faceva caldo.

Poi era un modello di Trussardi, improbabile che una prostituta se lo sarebbe potuto permettere.

Andasse a cagare, lui e le sue zoccole.

Un’altra auto rallentò, ma questa non poteva sicuramente essere quella di Monica, visto che era una Mercedes.

Il mezzo passò lentamente accanto ad Elena e l’uomo alla guida si girò a guardarla.

Era un ragazzo di circa trent’anni, il fisico di chi ama frequentare le palestre e una barba corta molto curata. Forse anche occhi azzurri, per quanto le fosse concesso cogliere con una scarsa illuminazione.

L’auto superò Elena e proseguì oltre.

Ecco, quest’ultimo non era per nulla male, mica quello di prima!

Il pensiero della donna non potè che andare ad Alfredo, suo marito.

Si erano conosciuti una decina di anni prima, quando lui era in servizio per l’esercito come top gun e il suo allenamento non rendeva visibili i vent’anni che passavano tra loro.

Si erano sposati dopo un paio di anni e subito dopo lui aveva chiesto trasferimento per essere più vicino a lei, accettando anche un demansionamento.

Lei aveva incoraggiato entrambe le cose: preferiva vivere con lui e non era dispiaciuta di saperlo dietro ad una scrivania piuttosto che su un aereo che sfrecciava oltre la velocità del suono.

Inevitabilmente il passare degli anni e il calo dell’attività fisica avevano però impietosamente enfatizzato la differenza di età che c’era tra loro, e ora suo marito era un cinquantacinquenne con la pancia  e gli occhiali bifocali.

Elena sentì il telefono vibrare nella mano. Era un messaggio di Monica.

“Scusami, mi è capitato un casino!”.

Rispose digitando rapidamente.

“Cosa significa? non vieni più?”.

Sentì il bisogno di una sigaretta, anche se non fumava più da quando era nata sua figlia.

“Samuele sta vomitando da un’ora, non so cosa fare”.

Era il figlio di Monica, coetaneo di quella di Elena.

Un’auto accostò ancora al marciapiede. Era la Mercedes di poco prima.

Si abbassò il finestrino e l’uomo si rivolse ad Elena.

“Scusa, sei italiana?”.

Non ci aveva visto male, aveva bellissimi occhi azzurri e dalle maniche della polo sporgevano due bicipiti allenati.

“Sì”, rispose rigida Elena, dicendo a se stessa che stava solo rispondendo ad una banale domanda.

“Quanto vuoi per stare con me senza guardare continuamente l’orologio?”, domandò il ragazzo.

Quegli occhi azzurri la stavano possedendo.

La domanda sarebbe stata anche accattivante, non fosse che quell’uomo stava pensando di parlare con una prostituta.

“Io…”, cominciò a dire Elena, ma venne interrotta da un nuovo messaggio di Monica.

“Samuele ha la febbre, mi dispiace. Facciamo domani e pago io scusa ancora”.

“Trecento vanno bene?”, la incalzò il ragazzo.

 

“Mille”, sparò Elena.

 

Il ragazzo le sorrise.

“Va bene. Per tutta la notte, però”.

Elena deglutì. E adesso?

“Dobbiamo andare lontano o posso parcheggiare?”, chiese lui.

La donna non riusciva a pensare.

“No, parcheggia qui”.

Trasse un lungo sospiro mentre l’uomo accostava al marciapiede e metteva la retro.

 

L’uomo scese dall’auto.

“Dove andiamo?”.

Elena accennò al portone dietro di sé.

“Qui dietro. Seguimi”.

Infilò le chiavi nella toppa, sperando di non incontrare nessun vicino.

 

 

Elena premette il tasto numero sei nell’ ascensore e si rammaricò di abitare così in alto.

Se già condividere la cabina con i vicini era talvolta imbarazzante, questa volta era decisamente peggio. 

 La salita per i primi piani fu contraddistinta da un silenzio carico di tensione, poi fu l’uomo a rompere il ghiaccio.

“Come ti chiami?”, chiese.

“Elena – rispose lei porgendogli una mano -Tu?”.

“Chiamami Mark”.

Elena capì che le aveva dato un nome falso e si penti di non aver  fatto lo stesso.

“Di solito non vado con quelle che battono per strada – proseguì lui – ma tu sei veramente bella. Ero passato un minuto prima e non appena ti ho vista ho voluto fare un altro giro. Per fortuna nel frattempo non ti aveva caricato nessun altro. Una come te non dovrebbe stare per strada”.

Elena non sapeva cosa dire, così si limitò a sorridere e a mormorare un “grazie”. 

La cabina arrivò al piano e uscirono sul pianerottolo.

Cercando di fare più silenziosamente possibile – i vicini erano anziani e sicuramente erano in casa – Elena apri la porta blindata ed  entrarono nell’appartamento.

Tutto profumava ancora pulito, la ragazza che faceva le pulizie era stata lì solo quella mattina.

Mark sì guardò attorno. 

“Complimenti, bella casa”.

 Elena lo ringrazio di nuovo, domandandosi quale fosse il protocollo in quel momento.

Cosa dovevano fare, andare subito in camera da letto? Bere qualcosa?

Ci penso l’uomo a risolverle il problema: “Immagino che tu voglia che io faccia una doccia prima”.

Elena apprezzò l’iniziativa, non ci avrebbe pensato se non glielo avesse suggerito lui.

Gli mostro il bagno e dal mobile laccato bianco prese un accappatoio pulito di suo marito. 

“Puoi usare questo, fai pure con comodo”, gli disse porgendoglielo, notando un impercettibile tremore alle mani.

Uscì dal bagno e chiuse gli occhi. Doveva calmarsi.

Si spostò in camera da letto e raccolse velocemente tutte le foto incorniciate che esponeva sulla cassettiera.

Non era il caso che quell’uomo vedesse le foto del suo matrimonio o di sua figlia all’asilo.

Le chiuse in un cassetto, poi le venne in mente un’altra cosa: aveva dei preservativi in casa? 

Lei prendeva la pillola, ma circa un anno prima un’ infezione l’aveva costretta a sospenderne l’assunzione e suo marito si era comprato dei preservativi.

Li ritrovò nel cassetto del comodino di lui sotto ai calzini, alla scatola ne mancavano solo due.

La data di scadenza  indicava che erano ancora utilizzabili; si augurò che lui non avesse contati. 

 Appoggiò la scatola sul comodino. 

Senti l’acqua chiudersi in bagno e dopo pochi secondi l’uomo, in accappatoio, varcò la soglia della stanza da letto.

Elena gli sorrise, sperando di nascondere così il suo imbarazzo. 

“Gradisci un caffè, qualcosa oppure preferisci che… rimaniamo qui?”.

L’uomo si tolse l’accappatoio e lo appese alla maniglia della porta. 

Elena non poté non guardarlo ed ebbe conferma della prima impressione: quell’uomo passava molto tempo in palestra.

Addominali e pettorali sembravano scolpiti, un grosso tatuaggio tribale gli copriva il braccio destro e risaliva fin sulla scapola. 

“No, ti ringrazio, preferisco iniziare subito. Spogliati”, le rispose.

Si sedette sulla poltrona che Elena utilizzava per truccarsi e le indicò il letto con una mano.

La donna si sedette sul letto, mentre il tremore aumentava.

Cosa doveva fare, uno strip? Non ne era sicuramente capace.

Si tolse le scarpe.

Prese a ripetere mentalmente una specie di mantra: lei non era una puttana e quello non era un cliente; stava per fare sesso con un uomo che le piaceva, tutto qui.

Abbassò la zip sul retro del vestito e lo lasciò scorrere lungo le gambe.

Quella sera non aveva indossato il reggiseno perché il vestito era scollato sulla schiena e così si ritrovò subito in perizoma. 

Istintivamente portò le mani sui seni.

Portava una terza e aveva un bel seno sodo  che ancora rimaneva su senza problemi.

Realizzò dopo un paio di secondi che quel pudore era fuori luogo, soprattutto vista la parte in cui si stava calando, e abbassò le mani.

Si sentì avvampare in volto e si voltò, sperando che l’uomo non la notasse.

Prese a muovere il sedere, ballando al ritmo di una musica che sentiva solo lei.

Abbassò il perizoma, lasciandolo scorrere fino alle caviglie e allontanandolo poi con un calcio.

Si voltò nuovamente.

“Sei bella, Elena – disse l’uomo dalla poltrona – Ci avevo visto bene. Ora sdraiati sul letto e toccati fino a venire. Non simulare, che me ne accorgo. Abbiamo tutto il tempo del mondo”.

Elena si coricò e accostò la mano destra al suo inguine, lieta di aver provveduto alla depilazione integrale solo pochi giorni prima.

Toccarsi non era una pratica inconsueta per lei, tutt’altro

I rapporti sessuali con suo marito erano venuti diradandosi sempre di più negli anni, e ultimamente  la media non superava le due, forse tre volte al mese.

Non di rado, per questo motivo, si trovava costretta a darsi piacere da sola; era anche giunta alla conclusione che molte volte fosse meglio del sesso a due.

Suo marito non sapeva ovviamente nulla di queste pratiche e lei ben si era guardata dal renderlo partecipe.

Senti il suo sesso inumidirsi.

Stava realizzando che non le dispiaceva essere trattata da puttana.

Meglio così che essere ignorata, come spesso faceva Alfredo.

Doveva stare allerta perché non conosceva l’uomo che si era portata in casa, ma  questo non le doveva per forza impedire di passare una bella serata.

La dinamica in cui si trovava coinvolta suggeriva che sarebbe stato lui ad avere il controllo della situazione, ma quello era l’ultimo dei problemi.

Si augurava, piuttosto, che prima o poi l’uomo avrebbe avuto anche una parte attiva e non si sarebbe limitato a guardarla mentre toccava.

Sarebbe stato veramente ironico correre tutto questo rischio per poi toccarsi da sola!

Con la mano libera si raggiunse i seni e si strizzò i capezzoli. Erano duri, lei stessa era eccitata.

Quell’uomo mentre transitava in auto aveva scelto lei, per di più acconsentendo a darle un sacco di  soldi.

Probabilmente era benestante, questo traspariva, ma era altrettanto lampante come un ragazzo come quello avrebbe potuto rimorchiare qualunque ragazza in una discoteca, e farlo per di più gratis.

Il fatto che il suo corpo avesse  una sorta di cartellino del prezzo la lusingava terribilmente. 

 Introdusse dentro due dita e prese a farle entrare e uscire. La sua mano destra era intrisa dei suoi umori, eccitata come raramente le era capitato di essere. 

Aprì per un attimo gli occhi e vide che il ragazzo si era alzato e stava proprio di fronte a lei.

La luce era alle sue spalle, così non poteva vedere la sua espressione, ma saperlo così vicino, poterne sentire quasi l’odore, le diede un’ulteriore sferzata. 

 Spalancò la bocca e venne, gemendo come mai aveva fatto negli ultimi dieci anni.

Estrasse la mano dalla sua vulva e la appoggiò sul materasso, ansimando per riprendere fiato. 

 L’uomo si sporse sopra di lei e incastrò il suo busto tra le gambe di Elena, ancora aperte.

Sì coricò su di lei, sostenendosi sui gomiti per non schiacciarla  

Elena venne travolta dal profumo del deodorante del tuo misto all’odore proprio del suo corpo, accentuato dall’eccitazione.

Senza pensarci allargo le gambe, pronta per essere penetrata .

L’uomo appoggio una mano sul suo seguito e prese a palparla. La ragazza sentiva forte la presenza di lui, della sua muscolatura, della sua voglia.

Voleva che lui la prendesse.

 Facendo appello a quel poco di lucidità che le rimaneva, sporse la mano destra verso il comodino del marito e prese da scatola dei preservativi.

“Forse è meglio con questi”, disse porgendo la mano.

L’uomo sorrise, ne scartò uno e lo indossò..

“Avresti dovuto essere tu ad infilarmelo, ma va a bene lo stesso”, commentò con un sorriso. 

Elena non fece in tempo a rammaricarsi per questa sua imprecisione che Mark fu di nuovo su di lei.

Lei aprì nuovamente le gambe e gli pose le mani sulle natiche per spingerlo dentro di sé. 

Era molto eccitata, l’uomo non ebbe difficoltà a penetrarla.

Si sentì subito piena di lui.

Le loro pance aderirono subito e lei gli circondò la schiena con le braccia.

I loro volti si sfiorarono.

“Tu sei una che permette i baci?”, domandò Mark.

 Elena non rispose, ma posò le labbra su quelle di lui e lasciò che la sua lingua le accarezzasse il palato.

 

 Venti minuti dopo stavano entrambi fumando una sigaretta, un grosso posacenere di cristallo era posto tra di loro.

“Posso chiederti una cosa?”, domandò Elena.

 L’uomo annuì e tirò dalla sigaretta.

“Perché un bell’uomo come te deve pagare per fare sesso?”.

Mark  aspettò qualche secondo prima di rispondere, forse meditando se fosse il caso di essere sincero.

“Io ho due passioni – cominciò – il lavoro e le donne. Grazie alla prima, e all’azienda avviata da mio padre, sono diventato benestante. Non ricco, quello no, ma benestante sì.

Grazie alla seconda, invece, a trentatré anni ho già due divorzi alle spalle, ognuno dei quali mi ha sottratto un mucchio di soldi che avevo faticosamente guadagnato, e soprattutto il biasimo della mia famiglia. Purtroppo, non ho potuto non pensare come, a tirare le somme, di fatto abbia pagato molto cari alcuni anni di sesso, per altro neppure così gratificanti”.

Mark spense la sigaretta.

“Così ho deciso di separare le due cose. Ho molti amici e amiche con i quali passare del tempo e con cui divertirmi e bere in compagnia. Quando voglio scopare, invece, so dove andare a cercare”,

“Ma perché pagare? – obiettò Elena – Stasera avresti potuto andare in un bar e avresti lo stesso trovare una donna da portarti a letto. Lo dico contro il mio interesse, ma è così”.

“Non è così – ribadì Mark – Io e te magari stanotte passeremo una bella esperienza, ci piacerà stare assieme; ma se tu fossi libera magari mi chiederesti di vederci ancora, o forse lo farei io, e sarei da capo. Così, invece, è stato un rapporto professionale: io ti pago per passare la notte con me, quando me ne andrò le nostre strade si divideranno. Tutto molto pulito e professionale”.

Elena spense a sua volta la sigaretta.

Il ragazzo non aveva torto, tuttavia trovava il ragionamento molto cinico e un po’ triste.

“Però quando mi ha parlato, prima, hai detto che di solito non raccatti le ragazze per strada”, domandò.

“Certo. Intendevo dire che usualmente vado con escort che ricevono in casa. Prendo appuntamento, mi metto comodo. Di solito con quelle come te non capita, anche se stasera hai fatto un’eccezione”.

si ripetè in testa Elena.  .

Stranamente, la cosa la eccitò, e istintivamente con una mano si sfiorò l’inguine.

“Hai di nuovo voglia?”, le chiese Mark stupito.

“Un po'”, ammise lei.

L’uomo sorrise.

“Anche io. Mettiti a quattro zampe, allora, e passami un altro preservativo”.

 

Si salutarono alle quattro del mattino.

Mark estrasse il portafoglio, ne prelevò cinque banconote da duecento euro e le porse a Elena.

“Non sei economica – commentò – Ma sono stato molto bene”.

Elena ringraziò, prese i soldi e li chiuse in un cassetto. Doveva ricordarsi di farli sparire prima che rientrasse suo marito.

Anche lei era stata bene, anche se alcune pratiche si erano rivelate un po’ estreme per lei.

Il sesso anale non era la sua passione, ad esempio, e anche l’ingoio che il ragazzo aveva preteso pochi minuti prima non rientrava tra le sue abitudini.

In entrambi i casi aveva trovato lo stimolo proprio pensando a quanto ne avrebbe guadagnato.

Mille euro per qualche minuto di fastidio – perché di quello si trattava, non di più – le era sembrato un prezzo più che congruo.

“Mi piacerebbe ripetere questa serata tra un po’ di tempo – disse Mark riponendo il portafoglio in tasca – Tu batti sempre qui sotto?”.

Elena capiva la buona fede della domanda, ma non poté ignorare un certo disagio.

Era evidente che Mark non intendeva offenderla dandole della prostituta – era convinto lo fosse e lei non aveva mai smentito – e, anzi, il suo approccio a lei dimostrava come considerasse del tutto normale e lecito relazionarsi con ragazze che “facevano la vita”. 

Ma cosa poteva dirgli?

Giunta a quel punto non poteva più rivelargli di non essere una professionista, ma come avrebbe potuto organizzarsi senza che questo le rovinasse la vita?

Non sarebbe stato credibile dire che non avrebbe voluto replicare, e se avesse inventato una zona di “lavoro” diversa, lui sarebbe semplicemente andato a cercarla lì, con il rischio che le piombasse in casa non trovandola.

Prese un biglietto e vi scrisse sopra il numero del suo telefonino aziendale.

Avrebbe potuto sembrare un azzardo, ma l’abitudine di spegnerlo quando entrava in casa l’avrebbe protetta da chiamate indesiderate.

“Chiamami al mattino o nel primo pomeriggio”, spiegò porgendoglielo.

L’uomo lo studiò per qualche secondo, poi lo piegò e lo mise in tasca.

Elena lo accompagnò alla porta, ancora nuda.

“E’ stato un piacere, mi farò sentire”, le disse porgendole la mano.

“Anche per me”, rispose lei ricambiando la stretta.

“Fai piano per piacere, che i miei vicini sono anziani e non sanno cosa faccio nella vita”, aggiunse sperando di suonare credibile.

Aprì la porta con cautela, l’uomo sgusciò fuori furtivamente e silenziosamente lei richiuse la porta.

Quando sentì lo scatto della serratura emise un sospiro e appoggiò la schiena alla parete, sentendo la tensione scemare.

Cosa aveva fatto?

Aveva venduto il suo corpo; il fatto che l’avesse fatto per una cifra esagerata non la rendeva meno colpevole.

Però non si sentiva colpevole, anzi.

Era ancora giovane e desiderabile; ne aveva appena avuto conferma, se fosse stato necessario.

Aveva un marito anziano e una vita sessuale pressoché inesistente, quante al posto suo si sarebbero trovate un amante o una distrazione?

Non sarebbe stato addirittura peggio?

Aveva ragione Mark: un rapporto freddo e professionale lasciava libero il cuore e appagava il corpo.

Si era prestata a qualunque capriccio sessuale di quell’uomo, consapevole di non poter dire di no e comunque eccitata dalla stranezza della situazione.

Essere un oggetto nelle sue mani, essere obbligata a sottostare al suo volere aveva reso l’incontro molto più interessante e eccitante.

Si alzò e tornò in camera da letto.

Si sedette sul letto e si avvolse nel lenzuolo.

Sentiva ancora il suo profumo, avrebbe fatto meglio a cambiare la biancheria domani.

Si domandò se avrebbe potuto prenderlo in considerazione come mestiere si fosse mai trovata senza lavoro.

La qualità media degli uomini che andavano a zoccole era molto più bassa di Mark, ne era certa, e quello sarebbe stato sicuramente un fastidioso rovescio della medaglia.

Però a botte di mille euro a notte sarebbero bastati tre clienti al mese.

Uno decente e tre brutti….avrebbe potuto far buon viso a cattivo gioco.

Vuoi mettere stare tranquilla tutto il giorno e non correre continuamente da una parte all’altra?

Avrebbe dovuto turarsi il naso un paio di volte….

Si rigirò nel letto.

Ma cosa stava pensando?

Va bene essere insoddisfatta del proprio lavoro, ma proprio andare a battere….

Avrebbe fatto meglio a dormire.

 

 

Quattro giorni dopo, Elena si alzava dalla sedia e usciva dalla sala riunioni.

Accese il blackberry e un segnale acustico la informò dell’arrivo di un messaggio.

“Sono Antonello, vorrei vederti”, diceva.

“Antonello chi?”, rispose. Non le sembrva di conoscere nessuno con quel nome.

Percorse il corridoio e entrò nel suo ufficio.

Il telefono si rianimò nuovamente.

“Non ci conosciamo. Ti ho trovata su Bitch Advisor“.

Elena sgranò gli occhi.

Accese il computer e digitò quel nome su google, ricevendo in risposta l’indirizzo di un sito.

La guida più completa alla prostituzione in Italia, recitava la frase di benvenuto sulla home page.

La grafica richiamava in maniera esplicita il più famoso Trip Advisor, menù a tendina permettevano di restingere la ricerca a specifiche città, ma anche ad ordinare il prodotto per fasce di prezzo o di età.

Quale fosse il prodotto era molto chiaro.

Elena digitò il suo nome nel box di ricerca e consultò i risultati.

Ve ne erano circa venti, ma solo una nella sua città, e vi cliccò sopra.

La pagina si aprì con una sua foto in bikini, scatto che lei stessa ricordava di aver pubblicato su facebook qualche tempo prima.

Le venivano attribuite quattro stelle e mezza, frutto della valutazione di un solo utente.

“Mark”, disse Elena a bassa voce.

Scorse con la rotellina fino a leggere la “recensione”.

“Non giovanissima (circa 30) e non economica, vale comunque tutti i soldi spesi. In primo luogo è bellissima, ti fa passare una serata senza mai farti ricordare di essere con una professionista, simulando un’ingenuità che ti fa pensare piuttosto ad una serata con un’amica. Si comporta con falsa pudicizia ma non si tira indietro di fronte a nulla. Riceve in casa, molto pulita e arredata con gusto”.

Elena si sentì svenire.

Non sapeva dell’esistenza di un sito del genere, perchè Mark non glielo aveva detto?

“Perchè uno non avvisa un ristorante se vuole recensirlo su Trip Advisor – si rispose – Lo fa e basta”.

Sapeva il suo nome, e gli era stato sufficiente sbirciare il campanello per conoscere il suo cognome; di lì la foto presa da Facebook.

Come avrebbe potuto farsi cancellare?

Non vide nessun tasto nel sito, forse sarebbe stato necessario registrarsi.

Il telefono le vibrò nuovamente.

“Allora?”, diceva il messaggio.

Elena si passò una mano tra i capelli.

Bastava dire di no, giusto?

E invece scrisse: “Mandami una foto. Figura intera”.

Fosse stato un figo, perchè non pensarci?

Ormai la frittata era fatta, si sarebbe fatta cancellare in seguito.

Il solo rischio era che qualcuno che lei conoseva finisse su Bitch Advisor e la riconoscesse dalla foto.

Ma uno che andava cercando mignotte on line avrebbe potuto crearle dei problemi?

Magari l’avrebbe contattata e lei avrebbe gestito la situazione, ma sicuramente non sarebbe andato a sputtanarla (termine quanto mai appropriato) in giro.

Il telefono vibrò ancora.

La foto di Antonello ritraeva un uomo di circa cinquantanni, ripreso in piedi sul bagnasciuga.

Non era bello, ma aveva un fisico asciutto e sembrava alto.

“Sono mille, lo sai?”, rispose al messaggio.

Sentiva il cuore battere.

Ora le avrebbe risposto di no e il problema si sarebbe risolto da solo.

“Lo so. Quello non è un problema. Non ho capito se sei libera”.

Elena sospirò.

Suo marito era ancora al mare, mille euro non le sarebbero dispiaciuti.

Tre ore di lavoro per mille euro?

La riunione appena terminata aveva fatto capire come il lavoro sarebbe stato sempre più duro e stressante, e lei ora sputava sopra mille euro?

L’avrebbe fatto solo una volta, poi sarebbe tornato suo marito e sarebbe finito tutto.

“Va bene”, rispose, sentendo la gola diventare secca

 

 

“Sarebbe un gran colpo”, disse Paolo alla guida.

Era l’ennesima volta che pronunciava quella frase e Elena – seduta sul sedile posteriore – dovette trattenersi per non farglielo notare.

“E’ un cliente così importante?”, domandò invece Sabrina, seduta accanto a Paolo.

“Ti dico solo che se riuscissimo a prenderlo – rispose lui – potrei da subito trasformare il tuo tempo determinato in un tempo indeterminato”.

Sabrina era l’ultima assunta nella loro piccola società di consulenza: fresca di laurea, aveva ancora l’entusiasmo tipico della sua giovane età, pur mitigato da un carattere molto introverso e taciturno.

Elena ben sapeva come l’azienda non stesse navigando nell’oro e lei stessa si era soffermata qualche sera a consultare annunci di lavoro, pur non trovando nulla.

Non aveva tuttavia più ceduto alla tentazione di vendersi per denaro: dopo le prime due esperienze aveva messo una pietra sopra quel mondo e aveva fatto cancellare il suo profilo da Bitch Advisor.

Non si era pentita di quello che aveva fatto, ma era un’attività totalmente incompatibile con l’essere moglie e mamma, e si riteneva decisamente fortunata ad aver incontrato due clienti per bene e disponibili a darle certe cifre.

Ogni volta che in macchina passava da certe zone della città e vedeva ragazze giovanissime e bellissime passeggiare vestite in maniera provocante non poteva fare a meno di pensare come – pur brevemente – anche lei avesse tecnicamente fatto parte di quel mondo.

Cosa sarebbe successo se avesse perso il lavoro? Sarebbe finita anche lei sulla strada?

Probabilmente no, però certamente non sarebbe stato facile ricollocarsi alla sua età.

Paolo posteggiò l’auto e scesero nel cortile dell’azienda.

Elena aveva sfoggiato un abito corto che metteva in risalto le sue gambe, Sabrina – molto più restia a quel tipo di abbigliamento – era semplicemente in jeans e camicetta.

Preceduti da un’impiegata si accomodarono in sala riunioni.

“I signori De Vincenti saranno qui a breve”, li rassicurò la donna prima di lasciarli soli.

“Fate parlare me, ragazze – si raccomandò Paolo, sempre più nervoso – quando poi ci faranno delle domande vedremo di volta in volta chi risponderà”.

Elena si sentì quasi offesa da quella richiesta che sottintendeva poca fiducia, ma preferì soprassedere. Paolo evidentemente voleva essere unico artefice dell’esito di quell’incontro.

La porta si aprì nuovamente, entrò la segretaria appena conosciuta e i due fratelli De Vincenti, che affabilmente si presentarono.

Il più anziano, privo di capelli e grassottello, si chiamava Andrea; il secondo, decisamente più in forma, era Guido.

La donna gli porse la mano automaticamente, ma solo quando i loro occhi si incrociarono capì di conoscerlo già.

Era quello che pochi mesi prima aveva conosciuto con il nome di Mark.

L’uomo ricambiò la sua stretta senza manifestare alcun segno di averla riconosciuta, quindi si sedettero tutti e Paolo cominciò a parlare.

Elena gli fu tacitamente grata per aver preteso di parlare per primo, perché in quel momento si sentiva estremamente nel pallone.

Continuava a lanciargli occhiate fugaci per capire se l’avesse riconosciuta o meno, ma l’attenzione dell’uomo sembrava essere convogliata su Paolo.

Possibile che non l’avesse riconosciuta?

Lui era uno che per sua stessa ammissione si accompagnava con professioniste, il che significava che Elena era per lui una tra le tante.

Lei lo aveva riconosciuto subito perché per lei era stata un’esperienza unica, ma per lui era stato decisamente diverso; non si sarebbe stupita se avesse dimenticato il suo volto non appena tornato a casa.

Intanto non la stava guardando, prendeva appunti e sembrava molto assorbito dal suo telefonino.

Il capo di Elena prelevò dalla ventiquattrore due brochure e le passò ai fratelli De Vincenti, i quali si tuffarono subito nella lettura.

Elena, approfittando della pausa, recuperò il cellulare dalla borsa per verificare eventuali chiamate e vide un messaggio in entrata da un numero non in rubrica.

Quando lo aprì le si gelò il sangue.

“Credo che tu mi debba delle spiegazioni. Mark”.

Guardò verso l’uomo, che rispose al suo sguardo con una strizzata d’occhio.

“Facciamo una pausa per un caffè?”, propose a tutti.

Fu il fratello a stopparlo.

“Abbiamo appena iniziato, Guido. Tra una mezz’ora”.

“Io non ce la faccio più, ho bisogno di caffeina. Signora, mi fa compagnia?”, propose ad Elena.

Lei guardò verso Paolo che sottovoce le disse: “Vai!”.

“Volentieri!”, rispose con un entusiasmo troppo accentuato per non essere falso.

Guido/ Mark le aprì la porta galantemente e uscirono assieme nel corridoio.

Non appena furono soli il sorriso si spense sul volto dell’uomo.

“Allora? Cos’è sta storia?”.

“E’ stato un grosso malinteso, credimi. Io stavo aspettando una mia amica, poi sei arrivato tu e non sono riuscita a dirti di no”.

L’uomo ridacchiò sarcastico.

“Tu sei la prima donna che quando le chiedono se fa la puttana si fa problemi a negarlo. Di solito capita il contrario”.

“Guido, mi hai presa alla sprovvista: hai dedotto tu che fossi una prostituta e sei andato avanti per quella strada. E poi mi sei piaciuto, è per quello che non ho voluto contraddirti. Avrei voluto farlo, ma non si è mai presentata l’occasione”.

“L’occasione la si trovava, siamo stati assieme delle ore. Ti ha fatto comodo prendere i miei soldi, tutto qui”.

Elena non rispose. C’era del vero in quella affermazione.

Svoltarono l’angolo ed arrivarono alla macchinetta del caffè.

Guido inserì una chiavetta in una feritoia.

“Non male la tua collega – disse – Tu sei più carina, ma lei ha le tette più grosse. Caffè normale?”.

Elena annuì mentre la macchina faceva cadere un bicchiere di plastica nell’apposito alloggiamento.

Guido selezionò una consumazione con la pulsantiera.

“Possiamo fare così – disse porgendo la bevanda calda ad Elena – Il pacchetto completo di te, la tua collega e la firma sul contratto per altri mille euro. Gestiscili come preferisci, a me non cambia nulla”.

Elena quasi sputò il caffè appena ingerito.

“Stai scherzando, spero”.

Guido prese il caffè anche per sé e ci rimestò con una paletta di plastica.

“No, per nulla. Tu il ghiaccio l’hai già rotto, resta da convincere la tua amica. Ma i soldi sono spesso un valido argomento”.

“Credimi, non nel mio mondo e neppure nel suo. Mettici pure una pietra sopra”.

“Nel tuo lo è e smettila di prendere in giro te stessa. Non c’è nulla di male, per altro. E comunque non vorrei essermi espresso male, questo è un aut auto. Se avrò voi due firmerò il contratto, diversamente arrivederci”.

Bevve il caffè con un lungo sorso.

“Mark, stai mischiando cose che non c’entrano nulla. Questo è lavoro, non piacere”.

“Tu hai creato le basi per questo casino e tu lo risolvi, Elena. Avevi solo da essere sincera con me”.

La donna bevve un sorso di caffè, anche per prendere tempo.

“Se vuoi avere me non c’è problema – concesse –  e verrò con te gratis. Ma lascia stare la mia collega e il lavoro”,

Guido gettò il bicchiere di plastica nel cestino.

“Le condizioni le detto io, già una volta ho fatto male a lasciare il controllo a te. Ora torniamo in sala riunioni e facciamo finta di nulla, poi andiamo a pranzo tutti assieme. Tu parlerai alla tua collega e dopo pranzo mi farai sapere cosa avrete deciso”.

Si avviarono verso la sala riunioni.

“Nel caso ti venisse in mente di prendermi per il culo – aggiunse – dirmi di sì, farmi firmare il contratto e poi sparire nel nulla, io manderò subito una raccomandata di disdetta e fine di tutto. Inoltre sarà mia cura informare il tuo capo che la trattativa sarà saltata per colpa tua e per quale motivo io e te ci conoscevamo già”.

“Questo è ingiusto”, protestò Elena.

“Anche prendermi per il culo e farmi buttare mille euro è ingiusto”, ribattè Guido.

Rientrarono nella sala, dove gli altri stavano parlando.

Si sedette nuovamente accanto a Paolo che le rivolse un sorriso incoraggiante, ignaro di tutto.

Cosa poteva fare?

Una parte di lei era tentata di lasciare cadere la cosa nel nulla e vedere se veramente Guido avrebbe mantenuto la minaccia di non firmare, ma gli era sembrato molto risoluto.

Lui e il fratello erano soci alla pari e la decisione di uno valeva quanto quella dell’altro.

Ma come presentare la cosa a Sabrina?

Non le sembrava una facile, per altro era anche da poco andata a convivere con il suo ragazzo.

Avrebbe potuto tornare alla carica e proporre prestazioni extra (ma cosa?), ma l’uomo non sembrava volerci sentire da quell’orecchio.

L’unica opzione era far cadere tutto e vaffanculo a Guido e alle sue perversioni, ma le dispiaceva dare quel dispiacere a Paolo, soprattutto in quel momento in cui tutto sembrava andare per il verso giusto.

Tra chiacchiere e promesse trascorsero le due ore che li separavano dalla pausa pranzo, quindi si spostarono in un ristorante poco lontano.

Non appena ebbero ordinato Sabrina le toccò un braccio e le chiese se l’accompagnava in bagno.

Si spostarono nei servizi, quindi Sabrina chiuse la porta.

“Senti, hai notato anche tu che il fratello più giovane mi guarda continuamente?”, le domandò.

Elena non sapeva come gestire la conversazione, si limitò ad annuire.

“Guarda anche te, ma in maniera diversa. Sembra che abbia qualche risentimento con te, avete litigato quando avete preso il caffè?”.

Perché Sabrina era così dannatamente intuitiva?

Elena scelse di prendere tempo.

“No, per nulla. E’ un bel ragazzo, no?”.

“Sì, certo. Non è il mio tipo ma certamente uno così non fatica a trovare compagnia”.

Elena scelse di cogliere la palla al balzo.

“Ecco, a proposito di questo, devo dirti una cosa. Prima, quando abbiamo preso il caffè, mi ha detto che gli piaci”.

Sabrina strabuzzò gli occhi azzurri.

“Ma veramente? Come te l’ha detto? Come siete entrati in argomento?”.

“Parlavamo della nostra azienda, quanti eravamo, cose così….”, temporeggiò Elena.

“E ti ha detto che gli piaccio, così dal nulla?”, domandò Sabrina.

“Non è solo quello. E’ un po’ strano da dire, ma vorrebbe che noi tre ci trovassimo dopo il lavoro”.

Sabrina si passò una mano tra i capelli.

“Noi tre? – ridacchiò nervosa – Per fare cosa? Una cena?”.

“No, non è per cena. Parliamo di sesso”.

Sabrina arrossì violentemente.

“Sesso noi tre? Cosa vuole fare, un’orgia?”.

Elena si era subito pentita di avergliene parlato.

“Senti, io gliel’ho detto che non aveva senso e che doveva subito togliersi quel pensiero dalla testa, ma è uno che non demorde. Gli ho già detto di non contarci, ma per onestà ti devo dire che ci ha anche offerto dei soldi”.

Sabrina continuava a ridacchiare nervosamente.

“Io non ci posso credere, ma che faccia tosta! E quanto avrebbe offerto?”.

Elena decise di rinunciare alla sua parte di compenso.

“Mille euro a testa. E non solo: se ci stiamo firma il contratto, diversamente no. Mi spiace dirtelo ma le sue condizioni sono queste”.

Sabrina incrociò le braccia sul petto, pensierosa.

Elena era terribilmente imbarazzata per aver riportato quella proposta.

“E’ ingiusto Sabry, lascia stare. Troveremo altri clienti”.

Sbloccò la serratura e fece per uscire.

“Aspetta, mica ti ho detto di no”, la fermò la collega.

Elena la guardò sorpresa.

“Non ti ho neppure detto di sì – precisò Sabrina – ma voglio pensarci”.

Da una parte Elena si sentì sollevata, ma dall’altra era timorosa per la piega che stava prendendo quella giornata.

“Hai capito di cosa parliamo, vero?”, si assicurò.

“Certo, Elena, ma per me ci sono tante cose in ballo – rispose seria la collega – Hai sentito Paolo stamattina, se chiudiamo il contratto mi assume a tempo indeterminato. Se non me lo rinnova cosa faccio? Capace che per farmi prendere da qualche altra parte mi trovi di fronte uno che me la chiede comunque, ma più brutto di Guido, che per di più mi troverei come capo. Io con voi sto bene”.

Elena annuì.

“Tu cosa pensi di fare? Gli hai già detto di no?”, la incalzò la collega.

Elena era sorprendentemente nella situazione di poter indirizzare la questione.

“Io gli ho detto che ti avrei parlato”, inventò.

Sabrina incrociò le braccia sul petto.

“Quindi io e te dovremmo fare qualcosa? A letto intendo”, chiese.

“Non lo so, ma se accettiamo dovremmo metterlo in conto”.

“Tu l’hai mai fatto?”.

“Con una donna? No, mai. Tu?”.

Sabrina scosse la testa.

“Neppure io”.

Fece una risata nervosa.

“Eh vabbè, pensiamoci mentre mangiamo. Sarà un pasto da ricordare”.

Sbloccò la serratura e tornarono nella sala, dove nel frattempo erano già stati serviti gli antipasti.

Il pranzo scorse via molto piacevolmente. Per fortuna i due fratelli De Vincenti non erano quegli imprenditori capaci a parlare solo di lavoro, e trascorsero circa un’ora e mezza molto piacevole.

Soprattutto Guido era molto spiritoso e spesso scherzò con Sabrina, facendola ridere.

Elena non potè non registrare una punta di disappunto in lei, seccata dal gradimento che l’uomo sembrava dimostrare per la collega più giovane.

Presi i caffè si alzarono per tornare in azienda e Sabrina, infilandosi il cappotto, accostò la bocca all’orecchio di Elena.

“Per me va bene”, le disse sottovoce.

Elena si limitò ad annuire, quindi prese il telefonino e mandò un messaggio a Guido.

“Si fa stasera. Dicci dove e quando”.

 

“Certo che dovete tenerci proprio a questo cliente per trovarvi anche la sera – commentò il marito di Elena mentre lei si metteva il cappotto – Non sarebbe stato meglio continuare domani?”.

La donna non aveva trovato migliore scusa che dirgli che le trattative della giornata si erano protratte ad oltranza e che avrebbero richiesto un supplemento in serata.

“E’ molto importante – confermò lei – Uno dei soci domani parte per gli Stati Uniti e non tornerà presto. A noi conviene farlo firmare prima di partire in modo che non cambi idea”.

Il marito annuì e tornò a guardare il televisore.

Il telefonino di Elena si illuminò mostrando la foto di Sabrina.

La donna fece in modo che anche il marito vedesse chi la stava chiamando e rispose.

“Sei sotto casa? Arrivo subito”.

Il marito non era particolarmente geloso né sospettoso, ma la donna aveva preferito mettersi al riparo da ogni dubbio.

Diede un bacio al marito e imboccò l’uscita.

“Non ho scelta – si ripetè nella testa per la millesima volta di quel giorno mentre l’ascensore la conduceva verso terra – Se non avessimo accettato sarebbe saltato tutto e per me sarebbe stata una mazzata tremenda. Devo andare avanti”.

Le porte si spalancarono e raggiunse Sabrina in auto.

Nessuna delle due si era vestita sexy per non destare sospetti nei rispettivi partner, soprattutto quello di Sabrina che risultava essere particolarmente geloso.

Non parlarono molto durante il tragitto. Sabrina sembrava essere di umore migliore, ma Elena sospettò fosse la tensione a farla canticchiare in maniera stonata ogni canzone trasmessa dalla radio.

Posteggiarono di fronte ad un hotel in zona centrale e Sabrina spense il motore.

“Allora, ce la sentiamo?”, chiese ad Elena e a se stessa.

Elena si limitò ad annuire.

“Anche io”, disse Sabrina con una risolutezza forse un po’ forzata.

Uscirono dall’auto e entrarono nella hall dell’albergo.

Ignorarono volutamente la receptionist che le guardava con fare interrogativo e puntarono agli ascensori.

Per fortuna uno era già fermo al piano; lo presero e si fecero lasciare al terzo piano.

Elena già sapeva dove andare, alla stanza 320.

Si fermarono di fronte alla porta e si guardarono.

Si sorrisero, due sorrisi molto tirati.

“Non sono una puttana”, si ripetè per l’ennesima volta Elena, ma ogni volta ci credeva sempre meno.

Busso alla porta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Guido sorrideva quando aprì la porta, si fece da parte e le fece entrare nella stanza.
La camera era molto luminosa, certamente una suite, e un secchiello con una bottiglia di champagne era ben visibile sulla scrivania.
L’uomo prese i loro cappotti e le fece accomodare sul letto, quindi si sedette di fronte a loro.
“Intanto voglio ringraziarvi di essere venute qui – disse – So benissimo che tutto questo non era scontato e mi rendo conto di quanto possa essere impegnativo per voi.
Non lo dimenticherò e sarò generoso, ve lo dimostrerò nel perseguimento del nostro rapporto di lavoro”.
Prese la bottiglia di champagne e tolse la protezione di alluminio.
“Vorrei parlare un po’ con te, Sabrina. Cosa mi racconti di te?”.
La ragazza era imbarazzata e si passò una mano tra i capelli.
“Il mio nome lo conosci già. Ho ventiquattro anni, mi sono appena laureata in economia e della tre mesi di lavoro con Elena e Paolo”.
“Brava, una ragazza studiosa. Sei fidanzata? Sposata?”.
“Sono fidanzata da tre anni, conviviamo da sei mesi”.
“Brava, mi sembri veramente una ragazza deliziosa – commentò Guido facendo saltare il tappo dello champagne – Quanti uomini ha mai avuto prima del tuo fidanzato?”.
“Prima di lui sono stata a letto solo con un altro”.
Guido versò lo champagne in tre flutes e ne porse uno a ciascuna ragazza.
“Sabrina, per piacere alzati in piedi, voglio veder ti meglio”.
La ragazza ubbidì.
“Quindi – proseguì Guido – presumo che per te sia la prima volta che il sesso occasionale”.
“Sì,”.
“Sabrina, per piacere togliti i vestiti, rimani in biancheria intima”.
La ragazza arrossì visibilmente, ma obbedì all’ordine.
Per prima cosa si tolse le scarpe, quindi si slacciò la. Elena non aveva mai notato quanto fosse grande il seno di Sabrina, doveva essere almeno una quarta.
La collega si privò quindi anche dei jeans, rivelando un perizoma in pizzo nero coordinato con il reggiseno.
“Sei molto carina, Sabrina, complimenti. Hai mai avuto esperienze con altre ragazze?”.
Sabrina sono scosse il capo con decisione.
“Sei consapevole che questa sera potrebbe capitare?”.
Sabrina annuì: “lo so, ne abbiamo parlato. Per me va bene, a me piace Elena”.
“Mi piace proprio come chi stai approcciando a questa serata, Sabrina. Ora togliti il reggiseno per piacere”.
La ragazza si voltò, quindi si sganciò il gancetto del reggiseno e lo lasciò cadere sul letto. Si voltò nuovamente su se stessa, rivelando il suo seno abbondante.
“Tu hai un bel viso e dei bellissimi occhi, Sabrina, ma lasciati dire che il tuo corpo fa venire soltanto voglia di scoparti. Spero che manterrai le promesse che il tuo corpo mi stai facendo. Via il perizoma, subito!”.
Sabrina era visibilmente imbarazzata, ma eseguì l’ordine. Si chinò, si liberò dell’ultimo indumento rimasto e si mostrò nuovamente. La sua vagina era perfettamente depilata.
“Tu sei molto bella, Sabrina, non vedo l’ora di scoparti. Un’ultima domanda: tu ti masturbi spesso?”.
La ragazza arrossì ulteriormente.
“Non spesso. Più o meno una volta alla settimana”.
“Va benissimo. Cosa usi? Dita, oggetti?”.
“Di solito dita, ma una volta ho provato con un cetriolo”.
Guido sorrideva, evidentemente soddisfatto di come stava andando la serata.
“Bene, Sabrina, ora voglio che tu ti metta a carponi sul letto, guardando verso di noi”.
La ragazza non rispose nulla, ma salì sul materasso e eseguì l’ordine.
Ora era in ginocchio, con il seno che pendeva.
Guido si alzò, si avvicinò a lei e le toccò le tette.
“Hai nelle tette fantastiche, ragazza mia. Dovresti darti al porno, guadagneresti molto di più. Ruota di centoottanta gradi, mostrami il culo”.
Sabrina eseguì l’ordine, spostando il sedere dove poco prima aveva la testa.
“Allarga un po’ le gambe, per piacere”.
Sabrina ubbidì, esponendo in maniera chiara sia la sua vulva che il suo ano.
Guido allungò una mano verso di lei e le accarezzò la fessura tra le natiche, indugiando sul suo buco.
Elena notò come Sabrina avesse ora gli occhi chiusi, forse godendosi quel momento.
Guido si infilò un dito in bocca e lo accostò all’ano di Sabrina.
“Mai preso in culo?”.
Sabrina si limitò a scuotere la testa.
“Sarà una serata ricca di novità per te allora, questa”.
Fece penetrare il dito a fondo nell’ano della ragazza, strappandole un piccolo grido.
Lo girò più volte, lo torse, poi lo sfilò, provocando un sospiro in Sabrina.
“Ora veniamo a te, Elena”.

“Hai visto, Elena, che bel corpo ha la tua collega?”.
Elena, non sapendo cosa dire, si limitò ad annuire.
“Intanto che parliamo spogliati, per piacere”.
Elena si alzò in piedi e cominciò a slacciarsi i bottoni della camicetta.
“Hai mai pensato di fare sesso con lei?”, le domandò Guido.
Elena scelse di essere sincera.
“Sì”, ammise.
Un sorriso si dipinse sul volto di Guido.
“Veramente? E come?”.
Elena si sfilò i pantaloni.
“L’ho pensato oggi, dopo che abbiamo accettato di venire con te. Era una delle possibilità e mi sono chiesta se fossi disponibile”.
“Che cosa hai deciso?”.
“Che mi piace. È bella, meglio con lei che con un’altra”.
Guido si rivolse a Sabrina, ancora inginocchiata sopra il materasso.
“Hai sentito? La tua amica ha pensato di fare sesso con te. E tu?”.
Sabrina annuì. “Anche io l’ho pensato oggi, per lo stesso motivo”.
“E anche a te piace l’idea vero?”.
La ragazza annuì.
“Veramente due porche. Se lo sapesse il vostro capo Paolo sicuramente vi manderebbe a battere anziché lavorare con lui”.
Nel frattempo Elena si era tolta anche le mutandine ed era nuda.
“Sabrina, sdraiati sulla schiena e masturbati. Pensa a Elena”.
Sabrina si sdraiò supina, allargò le gambe e con la punta di un polpastrello cominciò a stimolarsi il clitoride.
Guido si alzò in piedi e fece una carezza sul volto di Elena.
Accostò le labbra alle sue orecchie e le sussurrò: “Sono contento di rivederti. Ci avevano cercata sotto casa tua, senza trovarti. Avevo pensato che tu avessi cambiato zona”.
Elena si limitò a sorridere. Era imbarazzata dalla presenza della collega, non voleva che capisse che per lei non era una novità.
“Inginocchiati accanto a Sabrina”, le ordinò.
Elena fece quello che le era stato chiesto, portandosi accanto Sabrina, che sempre più intensamente si stava toccando.
“Abbracciatevi, baciatevi!”, ordinò loro Guido.
Elena si sdraiò accanto all’amica e le circondò il corpo con le braccia.
Subito la loro pelle entrò in contatto. Sabrina era calda, forse per l’eccitazione.
Le loro labbra si sfiorarono.
Elena aprì la bocca e la lingua di Sabrina la riempì, le mani della ragazza le accarezzavano la schiena e le facevano venire i brividi.
Si rotolarono sul letto, terminando il movimento con Elena sulla schiena.
Sabrina si sporse verso l’amica e appoggiò le labbra al capezzolo destro di Elena.
Subito Elena sentì il suo corpo reagire, eccitandosi. Sabrina sembrava vivere quel momento meglio di lei, sembrava intenzionata a divertirsi nonostante l’insolita situazione.
Elena pose le sue mani su seni dell’amica, sentendoli grossi e sodi.
Le strizzò i capezzoli tra le dita, provocando un gemito.
“Elena, appoggiati alla spalliera”, le ordinò Guido.
La donna eseguì l’ordine.
“Allarga le gambe”.
Elena ubbidì.
“Sabrina, lecca la figa della tua amica!”.
Sabrina le sorrise, le diede un bacio e poi si chinò sulle sue intimità.
Elena sentì subito la lingua della ragazza carezzarle le grandi labbra, poi entrare più in profondità.
Aveva detto di non averlo mai fatto, ma sembrava padrona della situazione..
Elena sospirò, sentendo il desiderio attraversarla. Fece una carezza alla schiena di Sabrina, che di rimando le prese la mano.
Guido, nel frattempo, si stava spogliando.
Si liberò di tutti gli indumenti, quindi salì sul letto dietro a Sabrina e le diede uno schiaffo sul sedere.
La ragazza sobbalzò, ma non smise di leccare Elena.
“Ora ti onculerò e tu me lo lascerai fare, ok? Ma non devi smettere di leccare Elena”.
Sabrina interruppe il lavoro di lingua e rispose solo: “Ok”.
L’uomo la prese per i fianchi e si protese su di lei, allargandole le natiche con le dita, quindi le appoggò il pene sul buchino.
“Inculati, troia!”, disse, poi le entrò dentro con un movimento secco.
Sabrina si lasciò scappare un lamento, ma smise di leccare Elena solo per un istante, poi riprese.
Guido non pers un istante e cominciò subito a stantuffare dentro l’ano di Sabrina, che si strinse ai fianchi di Elena per rimanere stabile.
Elena, dal suo inedito punto di vista, poteva vederli entrambi in volto. Vedeva quello di Guido, contratto per lo sforzo di quello che stava facendo, e quello di Sabrina, rosso il dolore.
Elena si stimolò i capezzoli, cercando di accentuare le sensazioni che l’amica le stava procurando.
Erano lì per soldi, ma certamente non ci sarebbe stato nulla di male se nel contempo si fossero anche divertite.
Guido prese ad ansimare, segno che forse era prossimo a venire.
Un attimo dopo furono le sue parole a confermarlo: “Sto venendo! Puttane di merda sto venendo!”.
Aumentò la frequenza con la quale stava martoriando il sedere di Sabrina, strappandole qualche urlo di dolore.
Durò solo qualche secondo, quindi si produsse in un prolungato ansimo e venne.
Non appena ebbe scaricato tutto il suo orgasmo dentro di lei, si sfilò e la rovesciò sul letto con una manata.
“Sei venuta, puttana?”, le domandò.
Sabrina stava ansimando distesa sulla schiena e fece cenno di no con il capo.
Guido si rivolse ad Elena: “Elena, falla venire con la lingua. E fai un bel lavoro, se lo merita”.
Elena si mosse dalla posizione seduta e si inginocchiò tra le gambe dell’ amica.
Si guardarono in volto, l’esplosione di Sabrina sembrava tradire la voglia che aveva.
Elena si chinò sull’inguine di Sabrina e la cercò con la lingua.
Sapeva di molte sue amiche che avevano avuto esperienze con ragazze e si era sempre domandata come avrebbe reagito di fronte a se stessa con un’altra donna.
Cercò di immaginare che quel pube fosse il suo, che con qualche contorsione sovrumana si stesse stimolando la sola.
Cercò di fare alla ragazza quello che a lei piaceva.
Per prima cosa le scoprì il clitoride, quindi lo umettò con una lunga leccata.
Sabrina reagii con un mugolio, segno che probabilmente piaceva anche a lei.
Ripetè l’operazione, più a fondo il più lentamente.
Ancora un mugolio da parte della ragazza.
Per un attimo si domandò se forse non avrebbero avuto altre occasioni di darsi vicendevolmente piacere, anche senza essere pagate per farlo.
Le avrebbe fatto piacere?
Allargò con le dita le grandi labbra dell’amica e mi passò la lingua in mezzo.
Ancora un gemito da Sabrina.
“Bravissima, tesoro”, le disse Sabrina sospirando.
Tesoro?
Un’altra passata di lingua, più lenta e più intensa.
Sabrina inarcò la schiena e si afferrò i seni.
Sembrava prossima a venire.
Elena accelerò il movimento di lingua, cercando di toccare all’amica quei punti che su di lei provocavano piacere.
Con la punta del dito lei si insinuò nell’ano, senza trovare alcuna resistenza.
Forse Guido non le aveva fatto così male.
Dalla gola della ragazza proveniva un lungo sospiro, inframezzato da un leggero lamento.
Elena non avrebbe mai immaginato che Sabrina, così discreta e silenziosa nella vita privata, fosse così rumorosa durante il sesso.
Le infilò un dito dentro e questo fu il definitivo detonatore: Sabrina venne quasi urlando, inarcando la schiena e sfregando il pube sulla faccia di Elena, che si trovò imbrattata dagli umori della collega.
Elena si sollevò in ginocchio, mentre Sabrina si raccoglieva in posizione fetale, godendosi il momento.
“Direi che sei molto brava con la bocca – disse Guido – vediamo di non sprecare questo talento”.
Elena vide che il pene di lui era già quasi nuovamente eretto e lo stava puntando nella sua direzione.
Rimanendo in ginocchio si spostò verso di lui, aprì la bocca e lo accolse al suo interno.
Elena non era amante dei pompini, soprattutto non lo era suo marito, visto che erano anni che non gliene praticava uno.
Cercò con la lingua di carezzare l’asta di Guido, consapevole che sarebbe stato un lungo lavoro visto che lui era appena venuto.
Questa volta non aveva neppure da consolarsi con i soldi, il suo unico premio sarebbe stato non perdere il lavoro.
Con la mano destra gli stimolò la sacca scrotale, mentre lui le accarezzava la testa.
Per migliorare la stimolazione di lui, gli passò le labbra lungo tutta la lunghezza, cercando di toccare tutti i centri sensibili.
Guido era relativamente giovane, forse non ci avrebbe messo molto.
Una vibrazione provenne dal comodino.
Guido si allungò e recuperò il telefonino. Elena non interruppe il suo movimento, visto che l’uomo non glielo aveva detto.
“Che succede?”.
Una pausa.
“Ma proprio adesso?”.
Ancora una pausa.
“Va bene, mezz’ora e arrivo”.
Gettò il telefonino sul materasso, con violenza.
“Tu continua, puttana!”, disse ad Elena, appoggiando le una mano sulla testa per guidare il suo movimento.
Elena cercò di stimolarlo il più possibile, afferrando con la mano destra la base del suo pene e frizionandolo.
La telefonata che Guido aveva ricevuto significava certamente che il loro incontro si sarebbe concluso a breve e non poteva che esserne lieta.
Una parte di lei si stava divertendo, ma non poteva dimenticare di avere un marito e una figlia a casa.
Il membro di Guido era ormai perfettamente rigido nella sua bocca.
Sabrina si alzò in piedi e si portò alle spalle di Guido, quindi lo circondò con le braccia.
Lo strinse, appoggiò i suoi seni alla schiena e gli stimolò con le unghie il petto.
Guido ora era decisamente più coinvolto e con il bacino assecondava il movimento di Elena, come se stesse facendo l’amore con la sua testa
Sabrina prese a baciarlo sul collo, Elena aumentò la velocità, finché sentì Guido e cominciare ad ansimare.
Ormai conosceva quel verso e sapeva che mancava ormai poco, così lo strinse ancora di più con la mano libera.
Fu questione di un attimo, e lo sperma di Guido si infranse contro il palato di Elena.
La donna non si fermò, ma aspettò che tutto il getto terminasse.
Guido le fece una carezza, le scostò la testa e invitò Sabrina a sedersi sul letto.
“Ragazze, purtroppo devo andare. Io sono uno che rispetta gli accordi e per me questa serata termina qui, tuttavia non vi nego di essere stato molto bene e che mi piacerebbe rivedervi”.
Si rivestì velocemente, quindi prelevò una busta dalla tasca interna della giacca.
“Qui c’è il vostro compenso – disse appoggiandola sul materasso – entrambe avete il mio numero di telefono, se vi va di passare un’altra serata come questa non avete che da chiamarmi”.
Prese il soprabito dalla sedia.
“La stanza è pagata per tutta la notte. Se volete fare una doccia, riposarvi o semplicemente stare qui non c’è nessun problema, siete mie ospiti”.
Si chinò, diede un bacio sulle labbra a ciascuna ragazza e lasciò la stanza.

Una volta sole, Elena guardò Sabrina.
“Che facciamo ora?”.
L’amicale sorrise: “Direi che qui c’è una persona che non è ancora venuta”.
Elena la guardò stupita. “È vero, ma non pensavo che a te interessasse”.
Sabrina si avvicinò a lei: “Se dobbiamo passare una serata trasgressiva, almeno che sia bella per entrambe. Io fino ad ora mi sono divertita, ora faccio divertire anche te”.
Abbassò la testa e passò la lingua tra le gambe di Elena.

Dieci minuti dopo erano entrambe sotto la doccia.
Elena era venuta e ora stava insaponando la schiena di Sabrina.
La serata era andata indubbiamente bene, sia perché non c’era stato nessun problema, sia perché alla fine si era divertita.
“Mi ha stupito la tua ultima iniziativa”, le disse.
“Quale?”, le chiese Sabrina voltandosi.
Si insaponò le mani e le passò sul corpo di Elena, che reagì ridacchiando.
“Quello che mi hai fatto alla fine con la lingua”.
Sabrina alzò le spalle.
“Era parecchio che volevo andare con una donna, ho colto l’occasione”.
Elena, non sapendo cosa fare, prese un po’ di sapone e passò le mani sui seni di Sabrina.
La collega ridacchiò e l’abbracciò.
“Pensa se Paolo sapesse cosa stiamo facendo”, disse.
Stampò un bacio sulle labbra di Elena.
“Potremmo metterlo nel pacchetto: consulenza aziendale e sesso a pagamento”.
Elena chiuse l’acqua.
“Meglio se ce ne andiamo, prima di metterci nei pasticci con i nostri compagni”, disse.
Presero un asciugamano a testa e si asciugarono, mettendo a tacere anche i bollenti spiriti.
Dieci minuti dopo stavano attraversando la hall dell’hotel, contente di come era andata la serata.
Nessuna delle due notò l’auto parcheggiata di fronte all’albergo.

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