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Simona – parte 3

By 28 Luglio 2024No Comments

Simona ha acconsentito alla pubblicazione della sua e-mail nel caso qualcuno volesse porle domande: orchideadelnord@gmail.com

La mia mail è: wikyzu@gmail.com

Di Simona, fin dall’inizio, mi è piaciuta l’obbedienza, o meglio, l’impegno che ci mette nell’obbedire. Obbedienza che non deriva da una ricerca del piacere ma da una consapevolezza tanto intima quanto irrazionale che lei è nata per obbedire.
Fin dalle prime mail si sforzava di spiegarmi quanto lei si sentisse nel suo mondo quando è “una proprietà”, parole sue. Ed era, ed è, esattamente quello che io cerco in una sottomessa, schiava o come si preferisce identificarla.
Un’altra cosa che mi piace di lei e il contrasto tra l’essere una proprietà e una donna con le sue difficoltà e la sua vita quotidiana. Non è lo stereotipo porno della ragazza della porta accanto che si divide tra studio e seduzione. No, è una donna reale con i mille problemi di chi deve gestire una figlia da sola, andare a lavorare, essere comunque una figlia e molte altre figure, ma che non vuole rinunciare dall’essere una proprietà.
E io, voglio fin dai primi incontri testare questa sua determinazione, cercandone i confini. Così una mattina girellando per la città, perso in queste riflessioni decido di mandarle un messaggio dicendole di raggiungermi e aggiungendo che doveva indossare un abitino molto colorato e fiorito oltreché truccarsi per bene. Le concedevo una ventina di minuti per raggiungermi.
Senza deludere le mie aspettative poco prima dello scadere del tempo stabilito la vedo, un po’ trafelata, arrivare. Indossa un variopinto abito fiorito con una gonna che si ferma sopra le ginocchia e spalline molto sottili. Il trucco invece mi faceva sorridere. Aveva le labbra di un rosso acceso, sicuramente contrastanti con la sua pelle e più in generale sembrava una bambina avesse provato il trucco della mamma. Ma comunque non mi dispiacque questa ingenuità.
Appena arrivata mi salutò con un “buongiorno padrone”, detto sotto voce e guardandosi attorno. Fantastica dire. Dal canto mio la feci sedere vicino a me. Sapevo da precedenti scambi di mail, prima ancora di esserci incontrati, che non era mai stata sodomizzata, perché sostanzialmente non le piaceva l’idea, se non addirittura la ripugnasse il solo pensiero. Quindi era lì che andare colpire e cominciai a chiederle cosa l’aveva sempre allontanata da quella pratica. Lei mi disse che aveva sempre avuto un vero e proprio tabù nei confronti di quella parte del corpo e che reputasse umiliante e poco dignitosa quel tipo di penetrazione. Aggiunse inoltre che fin da ragazze le sue amiche dicevano che era da sfigate accettare che qualcuno te lo mettesse nel sedere. Io le risposi che una schiava non ha dignità e quindi il problema non si poneva. Aggiungendo di seguito che quel giorno l’avrei sodomizzata. Simona s’irrigidì deglutendo pesantemente, ma comunque facendo di sì con la testa. Volli soprassedere alla mancanza di un più formale “Si, padrone”. Non di meno non rinunciai ad un ulteriore carico dicendole che non aveva né voglia né intenzione di essere delicato con lei. Segui questa volta uno stentato ma dovuto “Si, padrone”.
Da lì a breve fummo a casa sua. Avremmo potuto anche andare da me ma mi piaceva l’idea che a lungo associasse casa sua al luogo dove è stata sodomizzata. Forse un pensiero sadico e crudele il mio, ma non ho mai detto di essere diverso.
Arrivati a destinazione non rinuncia a farmi servire un caffè, che bevvi molto lentamente. Alzandomi in piedi le chiesi “dimmi, secondo te cosa succede adesso”. Lei, dopo una breve pausa, non dettata dalla riflessione ma dall’imbarazzo mi disse “Mi sodomizzerei?”. Io la corressi “No, cara la mia schiavetta. Le altre donne vengono sodomizzate, tu vieni semplicemente inculata. Quindi ora dimmi per bene cosa ti succederà. Simona, paonazza in volto e con un filo di voce mi rispose “M’inculerai, padrone”. La ragazza impara presto, pensai.
Le imposi di togliersi gli slip e piegarsi sui gomiti sul piano del tavolo, gonna sollevata e gambe ben divaricate. Ancora una volta la cucina di casa sua sarebbe stata teatro della sua sottomissione. Alle sue spalle potevo notare quanto fosse singolare e piacevolmente contraddittorio vederla indossare delle ballerine e dei calzini bianchi corti bordati da un piccolo pizzo e allo stesso tempo le sue natiche piccole e magre, separate tra loro da quella posizione impostagli. Non mi dispiacque vedere, da quella posizione, la vulva depilata e appena socchiusa, nonché l’ano che si scorgeva tra le natiche. Un ano serrato, quasi una parte della sua testa o il suo corpo si volesse opporre all’altra parte, cosciente, che si voleva arrendere. Avrei potuto dirle di rilassarsi, che così sarebbe stato peggio. Ma sapevo che sarebbe stato inutile poiché non era la parte cosciente che faceva serrare quello sfintere.
L’afferrai per i fianchi cominciando a spingere e accorgendomi che si era irrigidita come una corda di violino, pur rimanendo immobile e in silenzio.
Il primo verso lo emise quando comincia, a fatica, a penetrarla. Un era certo un verso di piacere, più un lamento, seppur trattenuto.
Dal canto mio, appena dentro aspettai un po’ che lo sfintere si rilassasse, si rassegnasse a quella sorta di vuolazione. Quindi, comincia a muovermi. Lei sicuramente si stava sentendo umiliata, violata seppur con la sua stessa collaborazione. Ma tutte queste sensazioni sicuramente sarebbero state amplificate se avesse potuto vedere quello che io, dalla mia posizione, vedevo. Infatti vedere il pene dentro il suo sedere, esposto, indifeso, mi restituiva un’immagine di oscenità. Un’oscenità che mi gratificava e mi gratificava perché vedevo sporcata una certa quotidianità. Non saprei,in verità dare una motivazione a questa mia gratificazione, ma certamente avevo rotto un’altro sigillo della sua libertà.
Fin’ora l’avevo sculacciata, umiliata, sodomizzata e lei era comunque rimasta li, docile, quasi facendosi portare per mano verso la sua totale sottomissione.
Adorabile.

DomLorenzo

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