E’ cominciata un anno fa.
Una noiosa cena d’ufficio, per un collega che andava in pensione.
Si era fatto parecchio tardi e Lorenzo si è proposto per riaccompagnarmi a casa.
Lorenzo è un collega-amico, anzi, fosse per lui, sarebbe qualcosa di più, ma visto che quando, qualche anno fa, si era fatto avanti, l’avevo respinto con decisione, le nostre frequentazioni si sono un po’ diradate.
In genere non bevo vino, ma quella sera faceva caldo ed ero annoiata, il vino bianco, leggero e frizzante, scendeva che era un piacere.
In macchina mi sono un po’ assopita, visto che Lorenzo sa perfettamente dove abito e quindi non era necessario indicargli la strada.
Mi sono svegliata sono quando lui ha spento il motore dell’auto. Una strana sensazione leggera e piacevole: mi stava baciando il collo.
Dopo quel pomeriggio di tre anni prima in cui lo avevo respinto bruscamente, non aveva mai tentato nulla del genere.
Avrei dovuto alzarmi subito e dirgli di non fare il cretino, ma forse era la stanchezza, oppure il vino, oppure che le sue labbra dolcemente poggiate sulla mia pelle mi procuravano piacere, non so, da quale di queste cose dipendesse, ma non ho fatto nulla e sono rimasta immobile.
Il secondo passo è stato lo schienale del sedile.
Deve aver premuto la leva, perché mi sono sentita scivolare indietro, fino a trovarmi quasi in posizione orizzontale.
Poi ho sentito le sue mani prendere dolcemente il mio piede sinistro e sfilarmi la scarpa.
Quando le sue labbra si sono poggiate sul mio piede mi è passato per la testa un pensiero buffo: ‘no, è da questa mattina che non mi lavo i piedi, sicuramente puzzano.’
Ma lui non sembra di questa opinione e le sue labbra, dopo aver baciato le mie dita, piccole e curate, si dedicano al resto del piede.
Il torpore dovuto alla stanchezza ed all’alcool sta passando, sostituito da una lieve eccitazione, che aumenta quando passa all’altro piede.
La sua bocca e le sue mani si spostano sulle caviglie e poi risalgono lentamente, mentre la mia eccitazione cresce e, quasi senza accorgermene, allargo leggermente le ginocchia.
Mi solleva la gonna, di seta leggera e semitrasparente, scoprendomi completamente le gambe.
Dovrei fermarlo, mi rendo conto di quello che sta per accadere e dovrei impedirlo, ma quando le sue labbra cominciano a riempire di baci l’interno delle mie cosce, riesco a fare solo una cosa: allargo le gambe per farlo avanzare ancora.
Questa sera ho indossato lo slip più nuovo e più sexy, una parte di me sta pensando che sono stata previdente, un’altra parte pensa che non è il caso, che lo devo assolutamente fermare.
Le sue labbra si posano sulla stoffa bagnata delle mutandine e chiudo gli occhi.
Si è staccato da me.
Riapro gli occhi giusto per vedere la sua mano che brandisce un grosso taglierino con il manico giallo.
Un attimo, solo un terribile attimo in cui vengo presa dal terrore: mi ferisce, mi farà del male, forse mi ucciderà.
Le sue dita tirano la stoffa leggera delle mutandine, allontanandola dal mio corpo, poi solo un colpo rapido e leggero e, la lama affilata recide l’ultimo lembo di stoffa che ci separa.
Sono rimasta sorpresa e stupita, mentre lui si sdraiava sopra di me, dopo essersi abbassato i pantaloni.
Ho visto il suo pene sparire nel mio corpo e solo allora ho emesso un piccolo grido.
‘Lorenzo, per favore, non ora, non qui.’
Non sono neanche sicura di aver parlato, forse la frase l’ho soltanto detta dentro di me.
Intanto mi rendo conto di dove ci troviamo.
Lorenzo ha parcheggiato la sua auto proprio di fronte al mio portone.
è tardi e la strada non è certo di quelle trafficate, ma penso con orrore a cosa succederebbe se passasse qualcuno.
Sto scopando in macchina, in un posto assolutamente in vista, con il rischio che qualcuno mi possa vedere.
Non ho mai fatto una cosa del genere quando avevo vent’anni, e vado a correre un simile rischio ora che ho passato la quarantina da un pezzo.
I vicini: se qualcuno che abita nel mio stesso condominio, dovesse entrare o uscire, sarebbe un disastro, perché non potrebbe non notarmi.
Lorenzo mi sta cavalcando furiosamente, sicuramente la sua sagoma che si muove in maniera convulsa, non potrebbe non essere notata da chi si trovasse a passare di lì, e poi, sono sicura che anche l’auto sia scossa da inequivocabili sobbalzi.
Proprio quando sto cercando di trovare la forza ed il coraggio di gridargli di fermarsi, il piacere mi prende all’improvviso.
Non mi importa più che qualcuno possa vedermi, lo stringo forte e mi muovo appresso a lui.
Lorenzo cambia posizione, lo spinge più in profondità e varia il movimento.
Ora va e viene dentro di me in maniera lenta e maestosa, come in certi movimenti di sinfonie: adagio, lento e maestoso.
Ho l’impressione che stia ancora crescendo dentro di me, poi mi stringe più forte e viene.
Sono sicura che la macchina, questa volta, ha sobbalzato vistosamente.
è finito.
Lo schienale torna nella posizione normale, mi aiuta ad infilarmi le scarpe e sono fuori.
Vedo l’auto allontanarsi nel buio ed ancora fatico a realizzare cosa sia accaduto.
Solo i due lembi dello slip reciso dal taglierino, che penzolano in mezzo alla mie cosce e mi fanno il solletico, mi rammentano che si è trattano di una esperienza vera e non di un sogno.
Una folata di vento fresco si infila sotto il vestito di seta colpendo le mie cosce inzuppate dallo sperma che ora sta colando fuori dal mio sesso, proprio mentre traverso la strada per infilarmi nel portone.
‘Buona sera’. è il ragioniere del terzo piano, quello con il barboncino nero.
Mi avrà visto? Entriamo insieme nel portone ed insieme prendiamo l’ascensore.
Il cane muove la coda corta, che termina con una specie di pallina di pelo folto e riccio, poi infila il muso in mezzo alle mie gambe.
‘Dick! Ma che combini?
Mi scusi!’
So benissimo perché l’animale si è messo ad annusarmi e, se mi ha visto poco fa, lo sa anche lui.
Quando scendo dall’ascensore mi sembra di vedere sul suo viso un sorrisetto sardonico, ma forse mi sbaglio, è solo la mia coscienza sporca che mi fa vedere cose che non sono vere. Per un paio di settimane non ho più rivisto Lorenzo, o meglio, ci siamo solo incrociati qualche volta in ufficio, nel corridoio.
Ci ho pensato?
Certo che ho pensato a quello che era successo quella notte, in macchina.
Ero spaventata, sarebbero potuto succedere cose terribili che andavano dal trovarmi un’intera famiglia di miei coinquilini, con il naso appiccicato al vetro dell’auto, ad osservare io e Lorenzo che scopavamo, all’arrivo di una volante con le spiacevoli conseguenze che avrebbe comportato, sul piano penale.
In quei giorni ho pensato diverse volte come avrei potuto giustificare il fatto.
‘Signora, lei ha una bella casa, non poteva proprio resistere, visto che l’abbiamo beccata proprio di fronte al suo portone?’
E poi, veramente non se n’è accorto nessuno? Il vicino, quello con il cane, da quella notte mi guarda strano, mi sembra quasi che mi voglia dire: ‘è inutile che ti atteggi a signora per bene, ti ho visto benissimo in quella macchina, mentre ti facevi trombare da quel tizio e godevi come una troia’.
Ma la cosa che più mi preoccupa è che mi è piaciuto.
Certo, mi è sempre piaciuto fare l’amore, non intendevo questo, ma mi è piaciuto molto farlo in quella situazione difficile e pericolosa, almeno per la mia reputazione.
La paura di esser scoperta ha aumentato la mia eccitazione e poi, devo ammettere che Lorenzo mi piace.
Sì, mi è sempre piaciuto, come ho sempre saputo di piacere a lui.
Una donna capisce al volo queste cose, quando il suo sguardo si posava su di me, avvertivo subito il forte desiderio fisico che lo attraversava, appena mitigato dalla sua buona educazione.
A suo tempo, sarebbe stato sufficiente dirgli di sì, invece che allontanarlo, ma io non avevo voglia di una relazione, in quel momento.
E ora?
Dopo due settimane, Lorenzo si è materializzato nella mia stanza d’ufficio.
‘Ciao, Paola.’
E’ entrato ed ha chiuso la porta alle sue spalle.
Io sono in piedi davanti alla mia scrivania ingombra di fogli e fascicoli (sì, sono molto disordinata, sul lavoro).
Lo sguardo di Lorenzo mi fa passare un brivido per la schiena ed il mio pensiero torna a quella notte in macchina.
‘Hai un culo favoloso, ma questo lo sai già, vero?’
Mi ha colto di sorpresa, non si è mai espresso in questi termini con me.
Ma quello che più mi sorprende sono le sue mani che si sono posate sui miei fianchi ed iniziano a carezzarmi attraverso la stoffa leggera del vestito.
‘Lorenzo ti prego, qualcuno potrebbe vederci.’
‘Ho chiuso la porta, non ci vedrà nessuno.’
‘Potrebbe entrare qualcuno.’
‘Le persone educate, bussano prima di entrare.’
Intanto le sue mani si sono incuneate sotto la gonna e mi stanno carezzando il sedere attraverso le mutandine.
Questo sarebbe veramente troppo pericoloso: se mi beccano a fare una cosa del genere in ufficio, mi licenziano.
Faccio un ultimo tentativo: ‘Lorenzo, per favore, stavo uscendo, magari andiamo da me.’
Mi ha sollevato completamente la gonna e si è abbassato.
Mi bacia proprio lì, sento la sua bocca poggiarsi leggermente sulla stoffa dello slip che comincia a bagnarsi, avverto le sue labbra premere sul mio sesso e capisco che ha vinto lui.
Mi fa piegare sulla scrivania, sento la cucitrice di metallo premere sulla mia pancia e vedo che Lorenzo ha preso in mano le forbici che tengo nel bicchiere porta penne.
Se non ci fosse stata l’esperienza in macchina sarei spaventata, ma so benissimo a cosa serviranno.
Questa volta opera in maniera diversa.
Fa prima un piccolo buco in mezzo, proprio sotto l’elastico che tiene lo slip sui fianchi, poi, dopo averci infilato dentro le forbici, comincia a tagliare.
Sento il metallo freddo incunearsi tra le natiche e scendere, sfiorando le labbra aperte ed umide della mia vagina.
Smette di tagliare solo quando è arrivato alla parte anteriore delle mutandine.
A differenze dell’altra volta, me le ha lasciate, ma sono completamente aperte, lasciando così esposto il mio sesso.
‘Hai una fica bellissima, sembra un’albicocca morbida e matura.’
Quando ci posa sopra le labbra mi scappa un gemito, forte ed incontrollato.
La Pagliarani avrà sentito?
Adalgisa Pagliarani, la mia vicina di stanza, una signora piccola e grassa, vicina alla pensione, potrebbe essere la mia rovina, come il vicino di casa con il barboncino.
Lorenzo inizia ad esplorarmi con la lingua e la Pagliarani passa in secondo piano.
La mia albicocca si apre completamente ed inizia a colare il suo succo, mentre io mugolo e gemo senza ritegno.
Ogni tanto penso a cosa succederebbe se entrasse qualcuno, ma mi accorgo che questi pensieri servono solo ad accrescere la mia eccitazione.
Il massaggio va sempre più in profondità, poi si sposta sul clitoride.
Ho un sussulto quando la punta della lingua lo raggiunge e cerco di rimettermi dritta, ma lui mi tiene giù e comincia a girarci intorno.
Lo sento crescere e farsi duro e capisco che sarà veramente dificile impedire che i miei gemiti non superino le sottili pareti della stanza.
La sua lingua ha smesso di stuzzicarmi, solo pochi secondi di pausa e poi sento qualcosa che si strofina in mezzo alla spaccatura delle mie natiche.
Inizia dalla fine della schiena e quando si sofferma sull’orifizio del mio ano, per un attimo penso che voglia ficcarmelo di dietro, ma poi continua e scendere.
Ormai sono completamente aperta e fradicia.
‘Non vedi l’ora che te lo ficchi dentro, vero?
Pensa se adesso entra quella vecchia cicciona che sta nella stanza a fianco?’
Per un attimo riaffiora la paura, subito allontanata dalla penetrazione rapida ed improvvisa.
Ho gridato forte, poi Lorenzo, dopo averlo spinto fino in fondo, ha cominciato a muoversi.
Mi scuote, mi sbatte e le ossa dei fianchi urtano contro il bordo di legno della scrivania, mentre io riprendo a gemere, senza più pensare al rischio che qualcuno mi senta.
Con sua grande sorpresa, vengo prima di lui. Cerco un po’ di soffocare la mia voce ma non so se ci sono riuscita bene.
In mezzo alle gambe mi sembra di avere un lago rovente poi Lorenzo, dopo essersi fermato un attimo, scarica tutto il suo sperma dentro di me.
Come l’altra volta, appena finito, lui se ne è andato.
Mi ha rimessa in piedi, sostenendomi il busto con le mani che stringevano in miei seni magri, mi ha baciata sul collo, dopo avermi scansato i lunghi capelli scuri ed è uscito dalla stanza.
Sono rimasta dritta, puntellandomi con le mani sul bordo della scrivania, combattuta tra due sensazioni forti e contrastanti: il fresco umido del suo sperma e dei miei umori che mi riempie il ventre e lentamente scende lungo le gambe, attraverso lo squarcio nelle mutandine, ed il calore rovente che sento dentro.
Mi rimetto a posto i capelli scompigliati e spettinati e guardo l’unica traccia rimasta del mio incontro con Lorenzo: una grande macchia di sperma sulla copertina della relazione che avevo appena stampato.
Sono uscita subito dalla stanza e per il corridoio ho incontrato la Pagliarani, il sorriso che aveva sulle labbra mi è sembrato uguale a quello del mio vicino di casa. Metà settembre, l’estate sta finendo.
è venerdì pomeriggio quando Lorenzo si affaccia nella mia stanza.
Temo (o forse spero) che chiuda la porta e invece mi dice solo poche parole, prima di andarsene: ‘domani ti porto in campagna, mettiti delle scarpe comode, passo a prenderti alle undici.’
Ha dato per scontato che io accetti, non ha neanche aspettato la mia risposta.
Per la gita ho scelto una camicia a quadri ed una gonna marrone con dei grandi bottoni sul davanti. Ricordando la sua raccomandazione, ho preso degli stivaletti scamosciati con il tacco non troppo alto, sono le scarpe più pratiche e sportive che possiedo, d’altra parte non sono mai stata il tipo da scarpe da ginnastica.
Sotto ho messo un collant a larghe righe orizzontali con varie tonalità di verde e marrone.
Mi guardo allo specchio e sono molto soddisfatta di come risaltano le mie gambe lunghe e snelle.
Sono eccitata per l’avventura e tutto sommato più tranquilla perché, anche se qualcuno mi vedrà, accadrà lontano dai luoghi che frequento e quindi sarà difficile che possa incontrare qualcuno che conosco.
Impieghiamo più di un’ora per arrivare sul posto e, durante il tragitto, lui sbircia spesso le mie gambe.
Ho aperto gli ultimi due bottoni della gonna e, assumendo la posizione più opportuna, riesco a scoprire le gambe fino ad oltre metà coscia.
Mi è sempre piaciuto farmi guardare dagli uomini ma non sono mai stata così sfacciata come oggi e me ne stupisco.
Il posto è in un bosco a metà di una grossa montagna.
La strada si inerpica ripida e tortuosa, tra faggi e castagni sempre più fitti, finché non arriviamo alla fine.
Di lato allo spiazzo del parcheggio c’è una radura erbosa con alcuni grandi tavoli di legno grezzo, circondati da panche conficcate nel terreno.
Il parcheggio è deserto, tranne alcune moto di grossa cilindrata, parcheggiate in fila e vicine.
Nell’unico tavolo occupato c’è una allegra brigata di giovanotti in tuta di pelle. L’abbigliamento ed i caschi variopinti, poggiati sul tavolo, non lasciano dubbi: si tratta dei proprietari delle moto.
Noi occupiamo il tavolo vicino e Lorenzo ci poggia sopra la tovaglia piegata, la borsa frigo con la birra e la Coca Cola e la cesta con il cibo.
‘Vieni, Paola, mangeremo dopo.’
Naturalmente so già coma sarà il prima.
La radura con i tavoli è delimitata da una bassa staccionata di legno che noi scavalchiamo, facciamo solo pochi metri e Lorenzo mi fa fermare.
Siamo molto vicini ai tavoli e solo un fitto cespuglio spinoso ci separa dalla comitiva dei motociclisti.
‘Ecco, siamo arrivati. Molta gente viene qui di notte’, mi indica i fazzolettini ed i profilattici sparsi in mezzo all’erba alta, ‘noi, invece lo faremo di giorno.’
‘Aspetta, Lorenzo, ma quei tizi con le moto ci vedranno.’
‘No, se non si alzano dal tavolo, la vegetazione ci nasconderà ai loro occhi.’
‘Ma ci sentiranno.’
‘Oh, di questo ne sono sicuro, specie se farai rumore come l’altra volta in ufficio.’
Lorenzo inizia a sbottonarmi la gonna.
I grandi bottoni rossi sul davanti, non sono una guarnizione anche se io non li apro mai, perché me la infilo sempre da sopra. Volendo, se si slaccia anche l’ultimo, più grande degli altri, la gonna si può aprire completamente.
Si ferma proprio su quello ed apre completamente i due lembi di stoffa.
è rimasto un attimo, ammirato, lo so, ho sempre avuto delle belle gambe, gli uomini si girano già quando sono vestita, figuriamoci così.
Quando tira fuori dalla tasca il coltellino svizzero milleusi, un’ondata di calore mi passa in mezzo alle gambe.
Accidenti, il collant l’ho pagato un mucchio di soldi e mi piace tantissimo. Faccio un tentativo per salvarlo: ‘Aspetta, le calze magari me le levo.’
‘Assolutamente no.’
La sua mano afferra il nylon sottile e tira mentre la lama incide il tessuto leggero.
In un attimo ne porta via un bel pezzo, lasciandomi la pancia e l’inguine scoperti.
Il tempo di vedere il brandello di calze a righe cadere a terra, in mezzo alle mie gambe e già si sta occupando delle mutandine.
Fa un primo taglio in orizzontale davanti, sulla pancia, poi un secondo dietro, infilandomi la mano con la lama in mezzo alle cosce.
Subito dietro di me c’è la base di una grande faggio, tagliato a circa un metro da terra.
Mi ci fa sdraiare sopra e mi allarga bene le gambe.
Le voci dei motociclisti mi giungono forti e chiare, mentre Lorenzo si china su di me.
‘La tua bella fichetta è già sveglia, a quanto vedo.’
La sua mano inizia a carezzarmi la pancia subito sopra ed io, istintivamente, allargo completamente le cosce.
Quando le sue dita iniziamo a carezzarla, emetto un sospiro di soddisfazione.
Sono molto meno preoccupata delle altre volte, forse perché inizio ad abituarmi o magari perché questa volta la situazione mi sembra meno pericolosa.
Le dita sono entrate dentro e stanno accarezzando le labbra che si iniziano ad aprire.
Mi lascio andare e comincio a gemere, ho l’impressione che le voci provenienti dalla radura con i tavoli, siano diminuite di intensità.
Quando le dita di Lorenzo mi strizzano il clitoride, grido forte.
Mi sembra di sentire la mia voce ripetuta dall’eco e mi accorgo che le altre voci sono cessate completamente.
Lorenzo si è aperto i jeans e si abbassa.
Questa volta sono io a prendere l’iniziativa e glie lo prendo tra le mie mani.
‘Oh, cosa vedo mai, la mia principessina si sta facendo intraprendente.’
Neanche gli rispondo e, con un grido di gioia, me lo infilo dentro.
Lorenzo mi è salito sopra, sento le schegge di legno che mi pungono le cosce mentre lui me lo spinge in profondità.
Il suo peso quasi mi schiaccia ma non mi impedisce di gridare mentre sento il suo pene che scorre rapidamente nel mio sesso, avanti ed indietro.
Appoggio meglio la schiena e, in quel momento, li vedo.
Due dei motociclisti, a pochi metri da noi, si stanno godendo lo spettacolo.
‘Oddio, Lorenzo, ci stanno guardando.’
‘Quanti sono?”
‘Due, ti prego, andiamo via.’
Anche se sono due sconosciuti, mi è passata tutta la baldanza.
‘Non ci penso nemmeno, proprio ora.’
I due si sono anche avvicinati, guardano interessati e si scambiano qualche commento a bassa voce.
A me sta quasi passando la voglia, mentre Lorenzo sembra sempre più eccitato.
Quando raggiunge l’orgasmo sbatacchiandomi e facendomi strusciare il sedere sul legno del faggio abbattuto, i due spettatori fanno un piccolo applauso.
‘Magari potremmo dare una mano anche noi alla signora.’
Mi passa un bruttissimo pensiero per la testa, non vorrei che Lorenzo avesse previsto un gran finale con una decina di baldi motociclisti che mi scopano a turno.
La situazione ora mi sembra molto più pericolosa di quelle precedenti, in cui rischiava solo la mia reputazione.
E se questi volessero scoparmi comunque? Potrebbero benissimo riempirlo di botte e poi fare di me quello che vogliono.
‘No grazie, facciamo da noi, ma se volete continuare a guardare, fate pure.’
Lorenzo si toglie ed i due si avvicinano ancora, io, istintivamente, mi metto le mani davanti, per coprirmi.
Mi si avvicina e mi sussurra nell’orecchio: ‘Senti, Paola, ora devi finire, lo capisci, vero. Prima ti hanno sentita gridare così bene, poi ti sei bloccata. Se non fai da te, me ne vado a mangiare e ti lascio con loro.
Preferisci così?’
‘No, no, per favore.’
Ora comincio veramente ad aver paura.
‘Va bene, va bene.’
Prendo a toccarmi davanti a quei due che se ne stanno in silenzio ad un metro da me.
Ritrovo quasi subito il ritmo giusto, la mia mano scorre veloce e sicura, il mio corpo ondeggia leggermente ed inizio a respirare a bocca aperta.
Ora gemo, grido, mentre le dita mi toccano in profondità e ogni tanto raggiungono il clitoride.
Sono combattuta, tra il desiderio di prolungare la masturbazione per godere di più, e la voglia di far finire al più presto questa situazione, con due sconosciuti che mi guardano mentre mi tocco.
Prevale, come da un po’ di tempo a questa parte, quando sono con Lorenzo, la parte peggiore di me, così ci vado piano.
è come se le dita che mi toccano fossero di qualcun altro, chissà forse di quei due che mi stanno guardando, il mio clitoride grida toccami, prendimi, ma loro ci passano vicino, lo sfiorano e si limitano al massimo ad una leggera sfruguliata.
lo vedo, rosso e duro in mezzo alle labbra completamente aperte, farsi più grande.
Ho il clitoride grande, sì, lo so.
Il mio primo ragazzo mi sfotteva chiamandolo pisellino.
Alla fine non resisto più: la mia mano si piazza lì, le dita lo prendono saldamente e non lo mollano più.
Finisco in un crescendo di grida sempre più acute e rimango ferma, spossata dalla tensione.
Lorenzo mi aiuta ad alzarmi, i due sono spariti.
‘Ti è piaciuto?’
Sì, accidenti se mi è piaciuto.
All’improvviso mi apre l’ultimo bottone della gonna e me la toglie di dosso.
‘Lorenzo, ma cosa fai?’
‘Non vedi che è tutta bagnata, la metto ad asciugare sul tavolo.’
Se ne è andato via e mi ha lasciata senza gonna.
Mi affaccio in mezzo al cespuglio.
Il tavolo dei motociclisti è molto animato, i due tizi stanno raccontando ai loro compagni cosa hanno visto, a giudicare dai commenti che mi arrivano portati dal vento.
Ora sono combattuta, perché vorrei raggiungere Lorenzo, visto anche che mi è venuta fame, ma per farlo dovrei passare nuda davanti a tutto il gruppo dei motociclisti.
Se invece resto qui, niente pranzo, altre al rischio che qualcun altro possa passare e vedermi.
Poi mi rendo conto di una cosa, la mia gonna se ne sta bella stesa sul tavolo, vicino a Lorenzo, quindi se la gonna sta lì, a quelli dell’altro tavolo potrebbe venire in mente di far visita a quella signora che prima gridava così bene.
Non posso rischiare.
Mi guardo, il buco nelle calze, grande come la testa di un uomo, mette bene in evidenza quello che c’è in mezzo alle mie gambe.
Il mio sesso, completamente dilatato dopo la scopata e la successiva masturbazione, bello impiastrato di sperma, mi sembra un invito a tutti gli uomini a ficcarlo dentro.
I motociclisti, in circolo, sembra stiano facendo una conta.
A chi mi scopa per primo?
Basta, mi decido e avanzo lentamente verso la staccionata, cercando di ripararmi la fica con le mani.
Mi hanno vista e si sono voltati verso di me.
Arrivata di fronte alla staccionata mi rendo conto con non riuscirò mai a scavalcarla se non mi aiuto con le mani.
Le grida ed i fischi che accolgono il piccolo spettacolo che sono costretta a dare, mi distraggono e per poco non cado, ma alla fine riesco a raggiungere il tavolo dove mi aspetta Lorenzo.
‘Potevi aspettare un po’, non vedi che è ancora umida?’
Prendo la gonna e mi ci avvolgo.
Anche questa volta è andata.
L’insalata di pollo che ha preparato Lorenzo è buona, e mi è venuta una fame da lupi. Sono tornata parecchio scossa dalla gita con Lorenzo.
Intendiamoci, non è che non mi sia piaciuto, anzi, ma comincio ad aver paura di quello che può capitarmi ed un po’ anche di me e di quello che potrei essere capace di fare.
Ne ho parlato con un amica, accennandole solo che ho una relazione con un uomo che mi ha fatto delle richieste un po’ strane, tipo fare sesso in posti inusuali, in cui potremmo essere scoperti.
Lei si è messa a ridere, voleva saperne di più, ma io mi sono vergognata e la cosa è finita lì.
Ho pensato che forse è meglio troncare con Lorenzo, sto cercando di evitarlo, in ufficio, e mi vesto in maniera meno appariscente, indossando sempre i pantaloni, pensando che così sarebbe meno facile.
Oggi, dopo tre settimane che non lo vedevo, è entrato di nuovo nella mia stanza ed ha chiuso la porta.
Io indosso un paio di jeans ed un maglione, un abbigliamento assolutamente innocuo, anche se, devo ammettere, i pantaloni sono parecchio aderenti.
‘E’ un po’ che non lo facciamo, non dirmi che non ti va più?’
Io me ne sto davanti a lui impacciata, incapace di rispondergli.
‘Anche così non stai male, ti fanno proprio un bel culetto questi jeans.’
Lo sguardo che lancia al mio corpo dice tutto, poi accompagna le parole con una carezza.
Mi ha poggiato le mani sulle chiappe e sento le sue dita che toccano delicatamente le mie rotondità.
‘Sarà un po’ più complicato, ma si può fare anche così.’
Sicuramente allude alla maggiore difficoltà a spogliarmi.
Mi immagino che dovrà abbassarmi i pantaloni, invece mi fa piegare in avanti sulla scrivania, come l’altra volta.
‘Stai ferma, perché dovrò spingere un po’ e non vorrei farti male.’
Tiene in mano il taglierino che ha usato la prima volta in macchina.
Infila la lama nella cucitura posteriore, subito sotto la cintura e taglia il filo.
Tira leggermente, poi taglia anche il secondo filo, perché i jeans hanno una cucitura doppia.
è un lavoro lungo e complicato: tagliare un pezzetto, tirare, aprire, e poi tagliare ancora.
Io rimango ferma, un po’ perché ho paura che la punta della lama mi possa ferire, un po’ perché mi sta piacendo.
Sì, lo devo ammettere, lo trovo eccitante, anzi, visto che è parecchio che non lo facciamo, mi chiedo come ho fatto a stare tutto questo tempo senza certi giochini.
Ne ha aperto un bel pezzo ed ora può infilare dentro le dita.
A questo punto tira forte e sento un rumore come di stoffa che si strappa.
Continua a tirare, dando degli strattoni violenti, finché i pantaloni non sono completamente aperti.
Accidenti, dopo, come farò a tornare a casa?
I pantaloni, una volta scuciti o strappati, non riesco a vedere dietro, quindi non so bene, sarà impossibile richiuderli, e non posso certo uscire dall’ufficio con il sedere di fuori.
Lorenzo a questo punto tira ancora verso l’esterno scoprendomi quasi completamente il sedere.
‘La prossima volta sarà meglio che ti metti la gonna, mi hai fatto fare una bella faticata con questi jeans.’
Appoggia pollice ed indice sul mio sedere, tenendo le dita ben divaricate, spinge per tenere ferma la stoffa leggera delle mutandine e poi tira verso l’esterno per tenderla.
‘Ferma, non muoverti, mi dispiacerebbe affettare il tuo bel culetto.’
La lama inizia a tagliare lo slip proprio in mezzo, le mani lentamente si spostano verso il basso, mantenendo la tensione e lui continua a tagliare.
Si ferma solo quando le ha aperte completamente.
Mi preparo, ora inizierà a toccarmi, sono già bella bagnata e non vedo l’ora che cominci, invece, con mia grande sorpresa, sento le sue labbra poggiarsi un po’ più in alto.
La sua lingua tocca leggermente l’orifizio del mio ano, completamente serrato e capisco cosa ha intenzione di fare oggi.
Mi irrigidisco, non ero affatto pronta ad una cosa del genere.
‘No, Lorenzo, per favore, lì no.’
‘Sei stata cattiva, lo sai, sono tre settimane che mi eviti e ti sei messa i jeans apposta, pensando di scampare la scopata, ed invece ora ti becchi una bella inculata.’
La frase, forte, volgare, mi da un bel brivido che mi percorre tutta la schiena.
Le sue dita, che prima avevano tenuta tesa la stoffa delle mutandine, tirando dai lati, mi allargano l’ano.
La sua lingua mi entra dentro un pezzetto, cerco di divincolarmi, ma lui mi tiene stretta, quel tanto che basta per vincere la mia flebile resistenza.
Grido solo quando ci infila dentro un dito e lo fa girare.
‘Dai che adesso la cicciona si piazza con la sedia vicino alla parete per ascoltare meglio.’
Non mi piace, non mi è mai piaciuto farmelo infilare di dietro, eppure tutti gli uomini che ho avuto, sempre lì puntavano.
‘Hai un culo favoloso, ho sempre pensato di ficcartelo lì dentro, ho preferito aspettare, finora, ma oggi non te la scampi.’
Eccola la risposta, anche ora che non sono più giovanissima, il mio culo attira gli uomini come le mosche su un piatto appena cucinato.
Per fortuna ci va abbastanza piano, lo spinge dentro lentamente, con un minimo di cautela e di attenzione, ma io sono tesa e mi fa parecchio male.
Il dolore sparisce quando la sua mano inizia a toccarmi.
Mollo completamente, mi lascio andare e sento il suo pene entrarmi fino in fondo.
A quest’ora deve essere rimasta poca gente in ufficio, speriamo che la mia vicina di stanza sia già andata a casa, perché stiamo facendo parecchio rumore.
Lorenzo mi sta addosso, con la testa vicino al mio orecchio, lo sento ansimare e mi dice che oggi mi sfonderà per bene il culo, così mi ricorderò di lasciare a casa quei maledetti jeans.
Mi tiene stretto il clitoride tra pollice ed indice e lo maneggia come se stesse appallottolando un pezzo di mollica di pane.
Io comincio a gemere disperatamente mentre riaffiora il dolore, sono stanca, vorrei che finisse presto.
Qualcuno bussa sul muro.
‘La vecchia cicciona si deve essere spazientita.’
Le sue dita aumentano la presa sul mio pisellino ed io vengo, con un grido di gioia e di liberazione, mentre Lorenzo si lascia andare e mi riempie.
Mi aiuta a ripulirmi con un fazzolettino di carta e, come le altre volte, se ne va, lasciandomi con i pantaloni aperti e ‘ il culo sfondato, direi se fossi abituata ad un linguaggio diverso dal mio abituale.
Mi chiudo nel bagno delle donne, che è proprio di fronte alla mia stanza, per vedere cosa posso fare, ma non c’è verso di sistemare i pantaloni e lo spacco è così grande che chiunque lo noterebbe.
E poi, visto che mi ha squarciato anche le mutandine non so come andare in giro.
L’unica cosa che posso tentare è tenere la camicia fuori dei pantaloni, perché le giacca è troppo corta per coprirmi.
Se sto attenta a come mi muovo e rimango assolutamente dritta, forse posso riuscire ad arrivare fino alla macchina.
Esco dal bagno e me la trovo davanti in mezzo al corridoio.
Io me ne sto tesa e rigida, con la camicia fuori dai pantaloni tenuta il più aderente possibile al corpo dalle mani che ne stringono il bordo inferiore.
Sono rossa in viso e spettinata e la Pagliarani mi squadra mentre scuote la testa.
‘Che vergogna, che schifo.’
Sono le sole parole che sento uscire dalla sua bocca mentre scappo per le scale.
Accidenti avrei fatto meglio a prendere l’ascensore, perché scendendo le scale la camicia si solleva scoprendo i jeans aperti.
Per fortuna non incontro nessuno, passo davanti al tizio della vigilanza all’ingresso, chiuso nel suo gabbiotto di vetro, dritta, impettita, come se avessi mangiato un palo di legno, camminando a piccoli passi e sono finalmente fuori. Finalmente in macchina, finché non scendo dall’auto non avrò problemi.
I sobbalzi dell’auto sulle numerose buche che incontro nel tragitto, mi fanno ricordare il trattamento che mi ha inflitto Lorenzo, ma tengo duro, voglio solo arrivare a casa, spogliarmi, farmi una doccia e mettermi a letto.
Oggi è le giornata degli incontri.
Davanti all’ascensore ritrovo il vicino della prima sera, con tanto di barboncino al guinzaglio.
Proprio mentre arriva l’ascensore il cane decide di farmi le feste e mi poggia addosso le zampe anteriori.
è un attimo, solo un attimo, ma la camicia si apre sul davanti.
Io cerco di ricoprirmi, lui tira il cane per farlo tornare a quattro zampe, ma ha visto.
Ne sono sicura, questa volta ha visto. Me lo dice l’espressione prima sorpresa, poi divertita ed un po’ eccitata.
è il viaggio in ascensore più lungo della mia vita, non succede nulla ma sono sicura che un pensierino a bloccare la cabina lo ha fatto.
Arrivata a casa sollevo i lembi della camicia e guardo. I jeans sono completamente scuciti a partire dalla fine della lampo, le mutande, o meglio quello che ne restava, me le ero già tolte in bagno in ufficio, quindi in quel breve attimo gli ho mostrato tutto, ma proprio tutto.
Suona il citofono.
‘Ho visto che la sua passerotta si sente un po’ sola, se vuole posso passare da lei a tenerle un po’ di compagnia.’
Perfetto, sputtanata su due fronti in una botta.
Metto il paletto alla porta e mi spoglio.
Oggi è stata dura, e mi sta facendo male di nuovo.
Per un po’ niente pantaloni. Il trattamento che Lorenzo ha riservato la notte scorsa al mio didietro ha lasciato su di me parecchie conseguenze.
Questa mattina mi sono svegliata scossa ed indolenzita ed ho cominciato a riflettere.
Cercavo una spiegazione: perché una donna indipendente e sicura di sé accetta di subire certe cose?
Mi piace Lorenzo. Sì, certo come uomo mi piace, ma in passato non ho permesso a nessuno di farmi trattare così.
Ora invece mi sembra di provare piacere a farmi sottomettere da qualcuno, come se fosse riaffiorata, dai meandri della mia mente, una Paola completamente diversa da quella solita.
Mi devo opporre.
Quando lui si rifarà vivo e mi darà un ordine, gli dirò semplicemente no.
In fin dei conti ho finora accettato da lui qualsiasi cosa, spontaneamente, non mi ha certo costretto con la violenza, ha fatto solo quello che io gli ho permesso di fare.
Quando tra qualche giorno si rifarà vivo, gli dirò guardandolo dritto negli occhi, che mi sono stancata di questo gioco (perché solo di un gioco si è trattato) e troncherò con lui ogni rapporto.
Non può farmi nulla.
Quando sono arrivata in ufficio ero rinfrancata ed avevo ritrovato la mia normale sicurezza che mi ha sempre permesso di cavarmela nella vita, così mi sono immersa nel lavoro e non ci ho pensato più.
Accidenti, si è fatto tardi, fuori è quasi buio, ora spengo il computer e me ne torno a casa.
Proprio in quel momento si è aperta la porta della mia stanza.
‘Ciao Paola.’
Mi ha preso di sorpresa, non aspettavo una sua visita già il giorno dopo.
Mi ha guardato ed ho sentito tutte le mie sicurezze vacillare.
‘Dai che ti porto fuori, spogliati ‘ché ti devi cambiare.’
Ha una grande busta di carta con i manici da cui tira fuori dei vestiti piegati, che poggia sulla mia scrivania.
Dove sono finiti tutti i miei buoni propositi?
Lascio scivolare a terra, sotto il suo sguardo attento, la gonna a pieghe che avevo indossato stamattina e poi continuo.
Lorenzo mi guarda, si vede che è eccitato ed io seguito a spogliarmi fino a rimanere scalza, in mutandine e reggiseno.
‘Tutto, anche il resto.’
Ed io ubbidisco ancora.
‘Ci vediamo fuori, ti aspetto in macchina.’
Accidenti a me, ci sono cascata di nuovo.
No, no. Questa volta lo pianto lì ad aspettarmi. Ora mi rivesto, esco dall’ufficio e me ne torno a casa con l’autobus, non può costringermi a salire in macchina con lui.
In quel momento mi rendo conto che è uscito portandosi con sé tutti i miei vestiti, già, ha messo nella busta gli indumenti che mi sono tolta. Ci ha infilato tutto, anche le calze e le scarpe, quindi, se non voglio uscire nuda, dovrò per forza mettermi gli abiti che mi ha portato lui.
Ed a questo punto che mi rendo conto di essere in un mare di guai.
Osservo esterrefatta i vestiti che mi ha portato Lorenzo e penso che quasi quasi sarebbe meglio se uscissi da qui nuda.
Mi ricordo che avevo memorizzato il cellulare di Lorenzo, sono anni che non lo chiamo, magari ha cambiato numero, ma devo tentare, forse lo convinco a ridarmi i miei vestiti.
Risponde subito.
‘Dimmi Paola.’
‘Per favore, ti prego, riportami i miei vestiti, non posso uscire vestita come una prostituta, e non ho alcuna intenzione di andare con altri uomini, ma cosa ti sei messo in testa?’
‘Ma no, che hai capito. Ma davvero pensi che ti farei scopare da altri uomini?
è solo che oggi lo faremo in un posto in cui, vestita normalmente, daresti nell’occhio, mentre abbigliata così, passerai inosservata.’
‘Senti Lorenzo, ora basta, mi sono stancata, non andrò con te da nessuna parte, ho solo intenzione di tornarmene in pace a casa e lo farò.’
‘Come preferisci. Io comunque, se decidi di evitare l’autobus vestita così, ti aspetto dieci minuti qua fuori, poi me ne vado, vedi un po’ tu cosa vuoi fare.’
Inizio a vestirmi, visto che, comunque, quella roba dovrò indossare.
Mi capita spesso di indossare minigonne, ma una cosa così, neanche pensavo esistesse: praticamente è giusto un brandello di stoffa rossa, è talmente corta che dietro si vede l’attaccatura delle natiche e poi, come se non bastasse, ha due spacchi uno davanti ed uno dietro, che, se poco poco allargo le gambe, fanno vedere quello che c’è sotto.
Già, sotto non c’è niente, sotto, sarò completamente nuda, perché non c’è traccia di biancheria intima.
L’altro pezzo è una canottiera nera, scollata, aderente e completamente trasparente.
Per fortuna io ho il seno piccolo, ma in trasparenza si vede tutto ed i capezzoli sembrano quasi voler saltar fuori.
A questo punto mi siedo sulla poltroncina per infilarmi le calze, delle autoreggenti vistosissime, scure e con dei grandi disegni di arabeschi.
Anche le scarpe sono in stile con il resto: rosse, con un tacco spropositato ed una zeppa di quattro dita sotto la pianta.
Mi alzo in piedi, mi guardo e mi prende lo sconforto.
Esco dalla mia stanza e mi affaccio sul corridoio, per fortuna non c’è nessuno.
I problemi iniziano quando provo a camminare, visto che non porto abitualmente tacchi così alti, e poi le zeppe, mi sembra di stare su dei trampoli.
Poggiandomi al muro, barcollando, rollando come una barca in mezzo alla tempesta, riesco ad arrivare all’atrio con gli ascensori.
Dilemma: scale o ascensore?
Le scale non le prende mai nessuno e dovrei fare solo tre piani. Già, tre piani con quelle scarpe, sicuro che cado già sulla prima rampa.
L’ascensore è sicuro per le mie caviglie ma corro il rischio di incontrare qualcuno.
Spingo il pulsante ed aspetto.
L’ascensore arriva dopo pochi secondi e dentro, naturalmente, ci sono tre persone.
Tre colleghi che conosco solo di vista e che sgranano tanto d’occhi quando io entro barcollando.
Arrivati al piano terra mi hanno lasciato il passo e sono uscita per prima dall’ascensore.
Mentre mi incamminavo verso l’uscita sentivo il loro sguardi che mi seguivano, poi, arrivata davanti al gabbiotto della vigilanza si sono aggiunti anche gli occhi del tizio, che è addirittura uscito fuori dalla guardiola, per vedere meglio.
‘Vieni qui, troia, che ti sfondiamo per bene.’
Naturalmente nessuno ha parlato ma era come se lo avessero fatto.
Lavoro in un edificio alto e con un ampio piazzale sul davanti, per cui c’è sempre parecchia circolazione d’aria.
Arrivata alla strada una improvvisa folata di vento mi ha aperto la gonna sul davanti.
è stata questione di un attimo, ho sentito l’aria fresca sulla pancia ed ho abbassato lo sguardo.
I due lembi della gonna, ai lati dello spacco anteriore, erano saliti abbastanza da scoprirmi completamente l’inguine.
Io mi sono ricoperta subito, rimettendola a posto con le mani, ma non così rapidamente da impedire che i passanti più vicini vedessero.
Mi sono arrivati alle orecchie un paio di commenti volgari e la strombazzata di un furgone che passava, poi mi sono girata per togliermi dal vento e ‘
La gonna si è alzata dietro.
I tre tizi che erano in ascensore con me, mi hanno superata proprio in quel momento.
‘Però, veramente un gran bel culo, complimenti.’ Mi ha detto a mezza voce il più giovane dei tre, mentre io me ne stavo immobile, cercando di coprirmi con una mano il davanti e con l’altra il didietro.
In quel momento ho sentito un colpetto di clacson e la macchina di Lorenzo mi ha affiancato.
La prima possibilità era camminare lungo un viale affollato, in quelle condizioni, per almeno trecento metri, fino alla fermata dell’autobus.
Io ho scelto la seconda e sono salita in macchina.
Quando siamo arrivati era già buio.
Un viale isolato che costeggia la pineta.
Dopo qualche centinaio di metri le ho viste. Sono decine, di tutte le razze e vestite più un meno come me.
C’è un gran movimento, un viavai di macchine che si fermano e ripartono.
Lorenzo ha parcheggiato un po’ prima e siamo scesi.
Mi sono dovuta appoggiare a lui per non cadere, a causa delle scarpe, e mi ha fatto passare in un stretto sentiero che si inoltrava nella pineta.
Nell’interno, nascosto dalla strada da una fitta macchia, c’è un viale sterrato che scorre parallelo alla strada asfaltata.
‘Qui ci vengono quelli che non lo fanno in macchina.’
Mi indica i cespugli dove, semi nascoste si vedono diverse persone.
In mezzo al viale sterrato c’è la carcassa di una lavatrice.
‘Ecco, qui andrà benissimo.’
‘Lorenzo, no, ti prego, andiamo dietro un cespuglio, come gli altri, qui mi vedranno tutti.’
‘E pensi che qualcuno si scandalizzi?’
Sono in ginocchio, con la pancia poggiata sulla lavatrice e le gambe allargate.
Questa volta lui va per le spicce. Mi alza la gonna e mi infila subito un dito dietro.
Io grido e lui ne infila pure un secondo.
Vedo passare davanti a me una negra magra e con gli occhi grandi e scintillanti, insieme ad un tizio grasso e calvo.
Si sistemano dietro ad un cespuglio, a pochi metri da noi, mentre Lorenzo toglie le dita e ci infila il suo pene.
Io grido, mentre lui cerca di spingerlo dentro, qualcosa mi dice che se cedo questa sera, non ne verrò più fuori, allora mi muovo, mi dibatto e lo costringo a desistere.
Grido aiuto.
‘Ma che cazzo fai? Davvero pensi che qualcuno venga in tuo soccorso? Pensi che in un posto pieno di puttane, una puttana vestita da puttana che grida aiuto, aiuto, mi vogliono inculare, sia credibile? E poi qui la gente è abituata a farsi i cazzi suoi.’
Mi allarga le chiappe con le mani e riprende a spingermelo dentro.
Io resisto disperatamente, cerco di tenere chiuso, anche se ho già capito che non ce la farò.
Poi inizia a toccarmi, le sue dita mi massaggiano dolcemente, è un contrasto pazzesco tra il suo pene che cerca di entrarmi brutalmente dietro, e le sue dita che mi carezzano dolcemente la vagina che inizia ad aprirsi.
è questione di un attimo: il mio sfintere ha ceduto di colpo, di schianto e lui mi è entrato dentro.
Ora è libero di entrare ed uscire tra le mie chiappe nude, ogni mia difesa è stata abbattuta.
Lì per lì non sento neanche dolore, il fastidio arriva dopo un po’.
Ogni tanto lo tira fuori completamente e lo infila di nuovo dopo qualche secondo. Ora fa un male cane e mi rendo conto che quando esce, il mio buco resta aperto, mentre all’inizio si era prontamente richiuso.
Mi fa questo trattamento una decina di volte prima di infilarlo definitivamente.
La negra magra dagli occhi grandi ha preso in bocca il pene del suo cliente.
Vedo le labbra enormi e scure serrarlo forte mentre le sue guance si deformano nello sforzo.
Lorenzo riprende a toccarmi mentre aumenta il ritmo e lo spinge sempre più in profondità.
La negra ha finito, la sua bocca si allontana del pene ancora eretto del suo cliente ed un lungo filamento di sperma per qualche secondo li unisce, poi lei sputa in terra due volte ed infine si pulisce la bocca con il dorso della mano.
Anche Lorenzo ha finito con me, il suo pene abbandona il mio ano dolorante per l’ultima volta, seguito da un fiotto di sperma ed io rimango sdraiata sul rottame di lavatrice, combattuta tra dolore e piacere, perché lui sta continuando a toccarmi.
La negra mi passa davanti proprio mentre vengo, ha la faccia sporca ed impiastrata ed uno sguardo animalesco.
‘Brava la negretta, vero?’
Mi fa alzare e si mette lui a cavalcioni della lavatrice. Ha i pantaloni abbassati ed il suo pene, sporco del suo sperma e del mio sangue, sta tornando in erezione.
‘Sono sicuro che sai fare meglio di lei.’
Ormai sono come un automa. Lorenzo mi fa abbassare ed io mi abbasso. Mi dice di aprire la bocca ed io la apro.
Faccio un ultimo accenno di resistenza quando lo sento entrarmi in bocca, ma lui mi prendo dietro la nuca, tenendo in pugno i miei capelli, ed inizia a farmi muovere su e giù.
Lo sento strusciarmi sulla labbra aperte, sbattermi sul palato, alla fine lo stringo leggermente e comincio a succhiarlo.
Chissà se ho anch’io, ora, lo sguardo animalesco?
Sento la bocca che mi si riempie di sperma ma lui non mi fa spostare, mi tiene ferma, ha aumentato la presa sui miei capelli e quando finalmente mi lascia libera e provo a sputare, come ho visto fare all’altra, è troppo tardi: ho inghiottito quasi tutto.
Torniamo verso la macchina. Sono così stanca che Lorenzo deve sostenermi.
Aveva ragione lui, vestita così sono assolutamente normale, in quel posto.
Lungo la strada una ventata mi solleva completamente la gonna e nessuno accenna a stupirsi, io stessa non faccio nulla per risistemarla.
Quando mi ha fatto scendere dall’auto, davanti al portone di casa, mi ha ridato i miei vestiti, che aveva messo nella busta di carta.
Io mi sono incamminata verso il portone con la consapevolezza di aver passato un spartiacque da cui non sarebbe stato possibile tornare indietro. il giorno successivo alla notte in pineta non sono andata al lavoro.
Stavo troppo male.
Il bruciore dietro era molto forte ed avevo anche delle perdite di sangue, ma più che il fastidio fisico, mi preoccupava la mia condizione psichica.
Avevo ceduto completamente, Lorenzo aveva schiantato ogni mia difesa.
All’inizio era partito con cautela, sfruttando l’attrazione che provavo per lui e qualche piccola perversione inconfessabile, nascosta dentro di me, poi aveva calato sul tavolo il carico da undici che aveva completato la sua opera.
Ero stata umiliata, costretta a mostrare il mio corpo a degli sconosciuti, vestita e trattata come una prostituta, fino alla violenza della sodomizzazione brutale davanti agli occhi di tutti, a cui aveva fatto seguito il ‘, mi mancava quasi il coraggio di pronunciare la parola, il pompino finale.
Era ancora vivissimo in me il ricordo di quei momenti: lui tranquillamente seduto, con le gambe aperte ed i pantaloni abbassati, io in ginocchio, in mezzo alla terra, costretta a succhiare il suo pene.
All’inizio mi aveva guidato nei movimenti, perché ero come paralizzata. Mi tirava forte per i capelli costringendomi ad alzarmi ed abbassarmi su di lui, poi, mi ero arresa del tutto, avevo stretto le labbra sul suo membro, cercando di imitare la prostituta vera che l’aveva fatto poco prima di me.
L’atto finale era stato bere il suo sperma, mi ero illusa di poterlo evitare, invece lui mi aveva impedito di allontanarmi, ero rimasta bloccata, con il suo pene conficcato nella mia bocca, avevo soltanto potuto contare le sue contrazioni, ogni contrazione un bello zampillo di sperma che mi sbatteva sul palato e mi riempiva la bocca. Dopo le prime, più forti, l’intensità era calata ed alla fine la tempesta si era placata, ma lui aveva continuato a tenermi ferma.
Un po’ era uscito dalla mie labbra semi aperte, ma gran parte mi era finito in gola ed avevo iniziato a tossire.
Quando alla fine mi aveva tolto la mano da dietro la nuca ed io avevo provato a sputare, ero riuscita ad espellerne solo poche gocce, miste a saliva.
Un’esperienza terribile e, la cosa più preoccupante era che mi era piaciuto. Sì mi ero eccitata ad essere sottomessa ancora più brutalmente delle altre volte.
Dove sarei potuta arrivare se solo lui me lo avesse chiesto?
Dopo quella sera non si è fatto vedere per diversi giorni, ma sapevo che sarebbe tornato.
Come le altre volte si è presentato di pomeriggio nella mia stanza.
Si è avvicinato e mi ha fatta alzare in piedi.
Da quella volta che me li ha aperti con il taglierino, non avevo più indossato i pantaloni, per evitare di contrariarlo.
Mi prende la gonna su entrambi i lati e me la solleva completamente.
‘No, non va proprio. Ti ho portato un regalo.’
Mette un grande pacco sulla mia scrivania.
‘D’ora in poi niente più collant e niente mutande, qui dentro troverai tutto il necessario.
Se ancora non l’hai capito, dovrai essere a mia disposizione, la tua delicata fichetta ed il tuo bel culetto d’oro, dovranno sempre essere pronti per me, in qualsiasi momento ed in qualsiasi posto tu ti trovi.
Ora va a casa a provare il mio regalo.’
Sono andata con il pacco sotto braccio e l’ho aperto sul letto.
Più o meno avevo intuito di cosa si trattasse, ma sono comunque rimasta un po’ stupita: tre paia di reggicalze, come quelli che portava mia madre prima che io nascessi, due neri ed uno rosso, ed una decina di paia di calze, non autoreggenti con l’elastico, ma le calze di una volta, che arrivano a metà coscia e vanno tenute tese agganciando la giarrettiera del reggicalze.
Le metto tutte in fila sul letto, ci passo la mano dentro, è roba di qualità, deve averla pagata, e comincio subito a provarle.
Perdo un po’ di tempo ad indossare il reggicalze, perché non ne ho mai posseduto uno, poi scelgo un paio di calze scure e velate, con la riga dietro e perdo altro tempo per metterle dritte e per agganciare le giarrettiere.
Mi guardo allo specchio, il risultato non è affatto male, ne provo un altro paio un po’ a rete, ma con una trama sottile, poi un altro ancora.
Ho passato tutto il pomeriggio ad infilare e sfilare calze, provando anche gli altri due reggicalze e alla fine ero molto eccitata, pensando a quando Lorenzo mi avrebbe sollevato la gonna e ‘
Il giorno dopo sono andata in ufficio con il primo paio di calze che avevo provato, quello con la riga. Ho messo una gonna non troppo corta, per evitare che accavallando le gambe si potessero vedere le giarrettiere, ma Lorenzo non si è visto.
Prima di tornare a casa, sono andata in bagno.
Noi donne, rispetto ai maschietti siamo un po’ sfortunate, quando andiamo in bagno: a loro basta aprirsi i pantaloni e tirarlo fuori, noi invece dobbiamo sederci e spogliarci.
Il collant è stato una grande invenzione, però ti costringe ad abbassarlo, insieme alle mutandine, prima di sederti. Beh, prima era anche peggio, perché bisognava sganciare le giarrettiere, altrimenti era impossibile abbassare le mutandine e poi, dopo dovevi riagganciarle, ma nel frattempo le calze erano scese e dovevi risistemarle, insomma un bel traffico, almeno almeno così raccontava mia madre.
Io ho risolto tutti i problemi, per fare pipì mi basta sedermi, visto che sotto la gonna sono completamente nuda, ora.
Dopo aver fatto questo bel ragionamento mi sono data una leggera asciugata con un pezzetto di carta igienica, ho spinto il pulsante dello scarico e sono uscita.
Lorenzo era lì ad aspettarmi, nell’antibagno.
Il bagno dell’ufficio è composto da un piccolo antibagno con un lavandino e da due bagni.
Mi ha subito spinto nel bagno da cui ero appena uscita ed ha chiuso a chiave la porta dietro di lui.
Non ha perso tempo, ha infilato le mani sotto la mia gonna per controllare.
Le sue dita mi hanno carezzato le cosce, risalendo lentamente, fino ad incontrare la pelle nuda, dopo la fine delle calze, poi sono salite ancora.
Questa mattina ero stata tentata di mettere comunque le mutandine, perché sono un po’ freddolosa e l’aria fresca delle prime ore del giorno che si infila da sotto la gonna, mi da un po’ fastidio.
Mi ero detta, magari oggi non viene a cercarmi, rischiamo.
Per fortuna non l’ho fatto, ora le sue dita mi stanno carezzando da fuori il mio sesso completamente scoperto, e lui sorride soddisfatto.
‘Brava, stai diventando ubbidiente.’
Mi spinge contro il muro mentre si apre i pantaloni.
è già in piena erezione e me lo ficca dentro subito, di colpo.
è questione di pochi minuti, questa volta il mio piacere non conta per lui, io sono a sua disposizione, in questo momento rappresento solo un buco in cui ficcarlo.
Faccio appena in tempo ad iniziare ad eccitarmi che lui mi viene dentro.
Mi ricorda la sera in pineta, quando l’ho dovuto prendere in bocca: sento le sue contrazioni e lo sperma che mi entra dentro, poi lui si stacca da me, se lo ripulisce con la carta igienica ed esce dal bagno.
Io ho richiuso la porta e mi sono seduta sulla tazza.
Ho continuato da me, visto che Lorenzo se n’è andato, fino a raggiungere l’orgasmo.
Ho gridato, con la testa rovesciata all’indietro e la nuca che premeva contro le piastrelle della parete, mentre sentivo il piacere esplodermi dentro.
Mi guardo in mezzo alle gambe, un rivoletto vischioso di sperma misto ai miei umori sta scendendo nella tazza.
Aspetto finché non si riduce ad un leggero sgocciolamento e mi ripulisco con la carta igienica, poi mi alzo soddisfatta.
Sto cominciando ad apprezzare la comodità di quella che all’inizio mi era sembrata una scomoda costrizione.
Quando sono uscita dall’ufficio, il solito vento si è infilato in mezzo alle mie cosce semi nude, risalendo fino alla pancia.
Sono tutta bagnata, perché mi sono asciugata solo in maniera sommaria ed ho continuato
a sgocciolare, l’aria fresca della sera mi fa rabbrividire per un attimo, poi mi incammino decisa verso la fermata dell’autobus.
Va bene, Lorenzo, sono a tua disposizione. Mi sto abituando alla mia nuova condizione, un po’ meno al freddo che mi si infila in mezzo alle gambe.
Ho comprato delle gonne invernali, di lana, perché prima nella stagione fredda usavo quasi sempre i pantaloni, ma basta un po’ di vento a vanificare il piacevole tepore del tessuto pesante che mi copre.
Certo, ho preso anche delle calze pesanti molto calde, ma da metà coscia fino alla pancia, la mia pelle resta comunque scoperta.
Avevo anche provato con delle magliette di lana un po’ lunghe, che tiravo il più possibile verso il basso, nel tentativo di ripararmi, ma lui si è arrabbiato.
‘Che è ‘sta roba da vecchia, quando ti alzo la gonna voglio vederti nuda sotto.’
Così ho dovuto rinunciare e, quando esco la mattina presto, o quando torno a casa dopo che ha fatto buio, batto i denti per il freddo.
Dopo ci pensa Lorenzo a scaldarmi, o almeno io speravo questo.
Lo fa quasi tutti i giorni, dove capita, o meglio dove lui decide che debba capitare.
Non posso dire che faccio sesso con lui, piuttosto è lui che scopa la sua schiava, come gli pare, in fretta e poi se ne va.
A me resta l’onere di ripulirmi dallo sperma che mi ha ficcato nella vagina, nell’ano o in bocca, poi se voglio e se il luogo me lo permette, posso pure continuare da sola.
Mi tocco disperatamente, pensando a lui che ormai non si cura più di me, finché non sento arrivare l’orgasmo.
Schiava, sono la sua schiava, quando ne ha voglia, non deve neanche chiedere, semplicemente mi alza la gonna e mi penetra, davanti o dietro, a seconda di come gli gira, oppure mi fa inginocchiare ed io glie lo devo prendere in bocca.
Sono diventata brava, faccio degli ottimi pompini, chissà, forse me la cavo meglio della negra dagli occhi scintillanti, e non mi fa più male dietro.
è diventato duro e volgare con me, mi dice che sono ‘rotta in culo’, che ho una fogna in mezzo alle chiappe e che se si allargherà ancora si troverà una nuova schiava.
Allora, quando mi dice queste cose, mi si riempiono gli occhi di lacrime, penso che sto diventando vecchia e alla fine se ne troverà per davvero una più giovane, ed io sarò messa da parte.
Per lui ho perso tutto, anche la mia reputazione perché tutti, in ufficio e nel palazzo dove abito, mi guardano con disprezzo, anzi, alcuni uomini, se siamo soli, mi insultano o mi mettono le mani addosso.
L’altro giorno il tizio della vigilanza ha cercato di trascinarmi in uno stanzino, si è sbottonato i pantaloni e mi ha offerto dei soldi.
Ha avuto solo un attimo di esitazione quando mi ha infilato la mano in mezzo alle cosce, perché non pensava che sotto la gonna fossi nuda, e così sono scappata via, mentre lui mi gridava dietro ‘torna qui, lurida troia.’
Ho perso le amicizie perché non ho più il coraggio di guardare in faccia i miei amici, penso che anche loro sappiano e mi disprezzino, ho smesso anche di frequentare Roberto, un avvocato single con cui stavo iniziando una relazione quando è partita la storia con Lorenzo.
è una situazione assurda, praticamente Lorenzo non mi da nulla, prende soltanto, ed io sto lì, pronta ad ogni suo desiderio, eppure basterebbe un semplice no, sarebbe sufficiente che io tornassi a vestirmi come prima e, la prima volta che si presenta, lo cacciassi via,
invece ogni mattina scelgo con cura il reggicalze e le calze (ne ho comprati diversi in questi mesi), ci metto sopra una gonna ed esco di casa, con il freddo che mi schiaffeggia le cosce ed il ventre nudi, aspettando e sperando che lui abbia voglia di farlo.
La sera invece rientro sporca ed appiccicosa e la prima cosa che faccio, arrivata a casa, è un bel bidè, per togliermi tutta la sporcizia di dosso.
Quando mi scopa in ufficio, riesco a ripulirmi abbastanza bene, ho imparato come si fa.
Siccome il lavandino è nell’antibagno, non posso certo lavarmi lì, allora prendo un po’ di salviette di carta, le bagno e rientro nel bagno.
Quando ho finito poi butto la carta bagnata nel contenitore, perché il water si potrebbe otturare e me ne vado a casa.
Passano i giorni, passano i mesi e la situazione non migliora, anzi.
Lorenzo si cura sempre meno di me ed i nostri incontri si sono diradati.
Ha un’altra? Mi sta rimpiazzando con una donna più giovane di me, che gli può dare più soddisfazioni?
L’altro giorno l’ho visto andare via con una nuova impiegata che sta al quinto piano.
è brutta, io sono molto meglio. Ha le gambe storte e le tette rifatte, ma avrà quindici anni meno di me. Probabilmente il suo culo è in migliori condizioni del mio.
Sono giorni che non si accosta a me, io resto a sua disposizione, il mio sesso, sotto la gonna, aspetta che lui si decida, ma non succede nulla e allora, stanca di aspettare comincio a toccarmi.
Ieri sono andata a cercarlo nella sua stanza. Mi ha accolto freddamente ed ho capito che non c’è più nulla da fare.
Poco fa ho incontrato l’altra, procedeva a testa alta ancheggiando vistosamente con quelle sue gambe storte. Chissà se sotto la gonna corta ha le mutande o già lui la sta costringendo ad andare in giro senza.
Li ho visti andare via insieme ed allora ho preso la decisione.
Da quella volta che aveva tentato di trascinarmi nello stanzino, ho sempre girato alla larga dal gabbiotto della vigilanza, così, quando il tizio mi ha visto lì, è rimasto basito.
In ascensore avevo aperto i bottoni in basso della gonna e quando dopo essermi piazzata di fronte a lui, ho allargato le gambe, gli ho mostrato bene la fine delle calze con le giarrettiere.
Questa volta non ha avuto problemi a trascinarmi nello stanzino, ma prima mi ha fatto aspettare un attimo, perché ha chiamato un collega per farsi sostituire.
Lo stanzino è un piccolo ambiente senza finestre, dove il personale della vigilanza si cambia d’abito.
Io mi sono piegata a novanta gradi sul tavolo che c’è al centro della stanza e lui non se l’è fatto ripetere due volte.
Mio ha detto che era un mucchio di tempo che voleva mettermelo in culo, mi vedeva passare tutti i giorni e gli diventava grosso e duro.
è vero, l’affare che mi ha ficcato in mezzo alle chiappe è veramente grosso e duro, parecchio più di quello di Lorenzo, ma non è un problema, perché il lungo esercizio ha cui sono stata sottoposta in questi mesi, ha reso docile il mio buco.
Ho sentito che mi dilatavo, mi aprivo sempre di più, mentre lui lo spingeva in profondità, all’inizio ho avuto anche un po’ di paura, poi però quando ho capito che non mi faceva male mi sono messa tranquilla.
Se l’è presa comoda, ogni tanto rallentava perché non voleva venire subito, e mi ha dato tutto il tempo di provare piacere, cosa che con Lorenzo non capitava più da tempo.
Mentre raggiungeva l’orgasmo e mi sparava dentro una gran quantità di sperma, mi ha detto che sono una troia favolosa e che si mi sta bene è disposto ad incularmi tutti i giorni.
Dopo avermi rimessa in piedi mi ha premuto con le mani sulle spalle ed io mi sono dovuta abbassare. Voleva che glie lo ripulissi.
Se usi la lingua e le labbra per fare una cosa simile, e lo sai fare bene, non ci mette molto a tornare dritto.
Il pompino che gli ho fatto è stata una mia iniziativa, per ringraziarlo di quello che aveva appena fatto e, soprattutto, perché non volevo andasse via subito.
Forse non si è neanche accorto che mentre me ne stavo inginocchiata di fronte a lui, con una mano continuavo a masturbarmi.
Sono venuta cercando di non fare troppo casino, tante volte lui non gradisse, ma non deve essersi accorto di niente.
è venuto subito dopo di me, ma ormai sono molto pratica di queste cose e sono riuscita ad ingoiare quasi tutto senza correre il rischio di soffocarmi.
Sembrava non finire più e, quando si è scostato, ho fatto appena in tempo a ripulirmi da quello che, colando ai lati della bocca, stava per finirmi sulla camicetta.
Ho usato il dorso della mano, come la puttana negra, perché non avevo niente a disposizione.
Se ne è andato dicendo di aspettare, anzi, per essere precisi, mi ha chiuso dentro lo stanzino.
Dopo un minuto la porta si è aperta ed è entrato il suo collega.
Mi ha preso sotto le ascelle, mi ha messo a sedere sul tavolo e mi ha calzato in testa il suo berretto con la visiera, poi mi ha fatto allargare completamente le gambe.
Me lo ha poggiato sulla pancia, proprio sul reggicalze, poi piano piano lo ha fatto scivolare in basso.
L’ho sentito strusciare sulla mia pelle nuda, sui peli del pube che d’inverno tengo corti (d’estate mi rado completamente, per via del costume), infine si è poggiato sulle labbra gonfie e bagnate, e lo ha strofinato un paio di volte prima di spingere.
Il suo cazzo è entrato in un baleno nella mia fica umida, ha fatto una specie di plouff, ed è sparito, come inghiottito.
Anche il secondo ha fatto un buon lavoro, ogni tanto mi allargava le ginocchia e cercava di spingerlo ancora più dentro, poi, quando non ha resistito più, ha inarcato la schiena e mi sono preparata. Mi ha letteralmente inondata e alla fine, nella concitazione, gli è pure uscito fuori, impiastrandomi la pancia ed il reggicalze.
Voleva andarsene ma mi sono letteralmente aggrappata ai suoi fianchi, così ho fatto un pompino anche a lui.
Quando sono uscita dallo stanzino mi sentivo piena tanto era lo sperma che mi avevano ficcato dentro quei due.
Mentre camminavo per raggiungere la fermata dell’autobus sentivo un bello sciacquettio dentro ed il bagnato che iniziava a colarmi lungo le cosce, ma una volta tanto non ho avuto freddo.
Beh, a casa mi darò una bella ripulita e poi domani si ricomincia.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…