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OrgiaTradimento

Sette Giorni cap 1

By 21 Dicembre 2025No Comments

Ogni mattina, il paese si svegliava con la stessa lentezza di chi non ha più ragioni per correre. Una calma ostinata, vecchia, come il ritmo delle campane che annunciavano l’ora anche se nessuno più le ascoltava davvero. Le persiane si aprivano una alla volta, con quel cigolio secco che sembrava il respiro della casa. Il pane arrivava presto, ancora tiepido, con l’odore acre della farina che si mischiava a quello della notte passata. I vecchi sedevano ai bar già dalle otto, davanti a un caffè corto, guardando il paese come se dovessero riconoscerlo ogni giorno da capo.

Anna si alzava sempre prima. Prima del marito, prima dei bambini, prima del rumore. Non per ansia o dovere, ma per quella fragile esigenza di stare sola, anche solo per mezz’ora, prima che il mondo le si attaccasse addosso. Camminava in silenzio tra le stanze fredde, a piedi nudi, le dita leggere sul pavimento. La casa era ancora buia, ma conosceva ogni angolo. Passava dalla cucina senza accendere la luce, si versava l’acqua da bere, poi accendeva la moka con un gesto così automatico da sembrare meccanico. Il ticchettio del gas, la fiammella, l’attesa breve. Quel suono che precedeva tutto.

Si fermava davanti alla finestra del soggiorno, la tazza tra le mani, il viso ancora gonfio di sonno. Guardava fuori. La piazza vuota, la panchina sotto il platano, il negozio di frutta con la saracinesca ancora abbassata. Il paese non cambiava mai. Una bellezza immobile e frustrante. Un luogo che non lasciava spazio all’errore. Ogni cosa veniva notata, pesata, interpretata.

Anna conosceva quel sistema meglio di chiunque altro. Era parte di quella coreografia non scritta, quella danza collettiva che si chiama “vita normale”.

Era bella, e lo sapeva. Ma non era una bellezza volgare o ostentata. Era una cosa sottile, raffinata, costruita nel tempo. Alta il giusto, un metro e settanta scarso, con una figura armoniosa che sembrava disegnata per un abito cucito su misura. Le gambe lunghe e ben tornite, la vita stretta, i fianchi proporzionati, il seno pieno, alto, naturale, con capezzoli scuri che le facevano sentire il petto ancora vivo sotto la pelle. Il ventre piatto, appena tonico. Una femminilità matura, definita, curata in ogni dettaglio. Non per vanità, ma per esigenza interiore.

La pelle era chiara, con un sottotono caldo e omogeneo. Si depilava ovunque, con costanza ossessiva, quasi rituale. La liscezza della pelle era una promessa che nessuno manteneva più. Ma le serviva. Per sentirsi vera. Per sentirsi possibile.

I capelli le cadevano sulle spalle, sciolti, leggermente ondulati, con una frangia retta che incorniciava il viso in modo deciso. Li curava con una disciplina che nemmeno lei riusciva a spiegare. Erano folti, lucidi, di un castano scuro profondo, che al sole tirava fuori riflessi caldi. Portava spesso grandi occhiali da vista, con la montatura squadrata, neri o tartarugati. Le davano un’aria intellettuale, ma anche distante. Quegli occhiali la difendevano. O la nascondevano.

Il viso era rimasto quello di sempre: zigomi appena accennati, una bocca ben disegnata, di media pienezza, un naso proporzionato. Gli occhi erano la parte più viva: grandi, intensi, mobili. A volte malinconici, a volte affilati. Il suo sguardo non era mai passivo. Non chiedeva approvazione, ma si lasciava leggere. In silenzio.

In paese, Anna era il punto di riferimento invisibile. Tutti la notavano, nessuno la diceva. Era quella “a posto”, come si usa dire. La donna giusta al posto giusto. Madre devota, moglie composta, elegante senza mai sfiorare l’eccesso. I vestiti sempre sobri, cuciti addosso. Mai un bottone di troppo, mai una scollatura sbagliata. Sempre la giusta misura. Come se avesse imparato a diventare inattaccabile.

Le altre donne la guardavano con una certa invidia travestita da ammirazione. La salutavano con sorrisi troppo larghi, frasi gentili che sapevano di veleno leggero. “Sei sempre impeccabile, Anna…” oppure “Certo che tu il tempo non lo senti proprio…”. Lei rispondeva con lo stesso sorriso di sempre. Un sorriso che non diceva né sì né no, solo “lo so”.

Gli uomini, invece, la guardavano di nascosto. Non c’erano approcci diretti. Solo sguardi che le restavano addosso un secondo di troppo. In fila alla posta, al mercato, mentre spingeva il carrello al supermercato. Uno in particolare, il benzinaio, aveva l’abitudine di chiederle se voleva il pieno anche quando la macchina era mezza vuota. Lei annuiva, senza dire altro.

Aveva due figli piccoli, maschi entrambi, vivaci, rumorosi, bellissimi. La guardavano come se fosse invincibile. A loro dedicava tutto il suo tempo, il suo ordine, la sua energia. Ogni merenda preparata con cura, ogni maglietta stirata, ogni scarpa allacciata con la precisione di chi sa che l’amore si misura nei dettagli.

Suo marito si chiamava Marco. Cinque anni più grande. Lavorava come rappresentante per un’azienda del Nord. Sempre in viaggio, sempre con mille pensieri, mille giustificazioni. Era un buon padre, sì. Presente con i figli, generoso. Ma con lei era diventato un’assenza piena. Non litigavano mai. Ma non si toccavano più. Dormivano nello stesso letto, ma da mesi non c’era stata una mano, un bacio, nemmeno uno sguardo carico di desiderio. Quando lui tornava da un viaggio, lei si chiedeva se almeno la notasse. Il corpo di Anna non esisteva più, per lui. E la cosa peggiore era che non sembrava nemmeno rendersene conto.

Non parlavano più di niente che non fosse pratico: spesa, bollette, scuola, pediatra. Il resto era silenzio. Un silenzio comodo, rassegnato.

Eppure Anna, ogni sera, si spogliava con attenzione. Si creava da sola la sua intimità. Entrava in bagno, chiudeva la porta, si guardava a lungo allo specchio. Nuda. Intera. Con quel corpo ancora vivo, ancora desiderabile, ancora affamato. Si toccava a volte, ma senza fretta, senza tecnica. Solo per ricordare di essere una donna. Di esistere. Di poter sentire qualcosa.

Non aveva mai tradito. Non ancora.
Ma ogni tanto, nei sogni, qualcuno la prendeva da dietro, con violenza. A volte non vedeva nemmeno il volto. Sentiva solo le mani. Il peso. Il piacere feroce, senza freni.
Si svegliava bagnata.
Poi si alzava, preparava la colazione, vestiva i bambini, usciva.

Sempre con la giusta camicia. I capelli in ordine. Il profumo leggero. Gli occhiali puliti.

E il desiderio nascosto sotto la pelle, come un’ustione che nessuno sapeva vedere.

IrisFedigrafa

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