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Racconti Gay

LA MIA VITA SENZA DI ME

By 27 Maggio 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Scicli, 28 Ottobre 1998.
Tutto &egrave iniziato a scuola media, quando frequentavo la seconda, ed il figlio di mio cugino, frequentava la terza; era l’anno 1998. Il suo nome era Carmelo. Questa mia condizione sessuale non l’avevo mai conosciuta, mi era rimasto latente per circa tutto il tempo che va dalla mia nascita a questa scoperta a dir poco meravigliosa. Ero andato in bagno a scuola perché avevo la necessità di svuotare la vescica, ma fui fermato da dei rumorini che provenivano dal bagno accanto: rimasi ad ascoltare per qualche secondo, ma poi vidi che la porta era appena socchiusa, mi feci tosto e m’affacciai per vedere cosa stesse succedendo. Lo spettacolo che si parò davanti ai miei occhi era dell’incredibile, Carmelo era lì che si segava, ma oltre a questo lo sentivo che mormorava qualcosa, un nome’. Un nome’. Era il mio di nome che aveva appena finito di dire, quando io persi il controllo della situazione ed emisi un piccolo gemito. Il povero ragazzo si irrigidì e pian pianino si voltò con il volto color paonazzo per la vergogna. E mi chiese:
C: ‘Che ci fai te qui?’
I: ‘ Devo fare pipì!’
Mi chiese:
C: ‘E’ da tanto che sei qui?’
Risposi: ‘Da circa due minuti, ma te puoi continuare a segarti e a chiamarmi, non mi offendo!’
E lui: ‘Non ti sei arrabbiato?’
I: ‘Mi hai fatto qualche mancanza? Continua pure!’
Il fatto non mi dispiaceva, c’era qualcuno che gli interessavo. C’era qualcuno che gli piacevo. Andai nel wc accanto e iniziai a fare la pipì, lui da dietro venne ed iniziò a strusciarsi e a baciarmi il collo e a toccarmi i capezzoli. Mi lasciai andare al vortice della passione e provai delle emozioni che fino ad allora non avrei mai pensato di provare, mi lasciai condurre per mano dall’amore per un mio simile. Dopo, iniziammo a baciarci intensamente sulle labbra, prima in modo superficiale, ma pian piano sempre più profondo fino ad arrivare ad esplorarci le bocche. Ad un certo punto mi chiese:
C: ‘Mi fai un pompino? Ne ho voglia!’
Come farlo lo sapevo, ma volevo un po’ giocare in quel momento altamente erotico, infatti gli chiesi:
I: ‘Come si fa? Non l’ho mai fatto.’
C: ‘Mettilo in bocca senza farmi sentire i denti, ed inizia a salire e scendere come se fosse un gelato.’
Iniziai ad eseguire il lavoro come egli mi aveva detto, ingoiai il suo membro fino alle palle, e lui incitandomi educatamente mi diceva:
C: ‘Dai, così. Sei bravissimo. Sei la mia puttanella. Continua così.’
Io a quelle parole, mi eccitai ancora di più, ed iniziai a spompinarlo sempre più velocemente, ad un certo punto, mi prese la testa con entrambe le mani e mi disse
C: ‘Sto per sborrare. Posso sborrarti in bocca?’
Non dissi nulla, perché ero eccitato all’idea di accogliere in bocca il seme di un maschietto, l’avevo visto fare alle puttane nei video porno, e sempre ho pensato che quel nettare, doveva essere la bevanda degli dei.
C: ‘Sborro. Sborroooooooooooooo.’
Ingoiai fino all’ultima goccia di sperma, lui ancora mi tenne il suo cazzo dentro alla bocca, ed io da brava pompinara gli ripulì il glande e gli leccai le palle. Ebbi la risposta che attendevo: quel succo era fantastico, da quel giorno non ho smesso più di andarlo a ricercare in ogni bel ragazzo che mi capita nella mia bocca. Il giorno seguente, aspettai invano nel bagno dell’istituto che Carmelo arrivasse, ma ogni mia speranza fu delusa. Ma all’indomani, alla solita ora era in bagno che mi aspettava, ‘Eccoti qui’ mi sussurrò dolcemente mentre mi prese per mano e mi condusse con lui nella parte più nascosta del bagno, affinché se fosse entrato qualcuno, avremmo avuto il tempo per ricomporci. Iniziammo con il baciarci appassionatamente, e con la lingua lui iniziò a trastullarmi il lobo dell’orecchio. Presi l’iniziativa e gli abbassai i jeans e i boxer ed iniziai con il fargli un pompino alle palle facendogli rizzare il cazzo al massimo della sua erezione. Dolcemente mi posizionò la bocca sul suo membro già scappellato e turgido. Lo succhiai per circa un dieci minuti, poi lui mi chiese:
C: ‘Ti andrebbe di fare qualcos’altro? ‘
I: ‘Cosa vorresti fare?’gli chiesi con aria da puttana
C: ‘Vorrei un po’ esplorare il tuo retto. Ti va?’
I: ‘Non l’ho mai provato, ma se te sei bravo a non farmi sentire dolore possiamo provarci.’
C: ‘Non preoccuparti. Sarò il tuo tenero amante. Mettiti a carponi e allarga le chiappe.’
Allargate le natiche, Carmelo mi sputò sull’ano una grande quantità di saliva che poi con la sua verga mi fece da lubrificante. Entrò senza problemi, io per essere la prima volta non sentii nulla, anzi gli chiesi:
I: ‘Ma &egrave entrato il cazzo? Non sento nulla. Voglio sentirlo.’
A questo monito Carmelo diede un colpo di reni che lo fece entrare tutto, ed io emisi un piccolo gemito, forse di dolore, ma a pensarci bene, ora a distanza di qualche anno, ricordo il piacere che mi diede quel membro nel mio retto. Mi cavalcò per un buon quarto d’ora, poi sussurrandomi mi disse:
C: ‘Sdraiati a terra, e alza la gamba, che ti faccio vedere le stelle.’
Eseguì l’ordine come un soldatino, Carmelo mi impalò e mi scopò per dieci minuti abbondanti con cadenza prima regolare, poi sempre più infoiato, dicendomi che ero la sua troia, che per me avrebbe fatto qualunque cosa gli avrei chiesto. Cambiammo posizione ancora altre due o tre volte, alla fine era quasi pronto per eiaculare quando mi chiese dove avrei voluto ricevere la sborra e io gli dissi:
I: ‘Sborrami in culo e poi per un po’ fai avanti e indietro fino a farmi assorbire il tuo nettare.’
Fece come gli dissi e dopo continuammo a baciarci, con i baci degli angeli, con i baci eterni dell’amore, con i quali solo chi crea può baciare. Ci rivestimmo in fretta, ma data l’ora che era quasi ricreazione rimanemmo in bagno a parlare della nostra vita insieme, fuori dalla Lipparini. Mi dichiarò il suo amore per me, e quanto avrebbe desiderato incontrarmi fuori dalle mura scolastiche, come successe con Francesco, il figlio del mio maestro di musica; ma questa &egrave un’altra storia e te la racconterò in seguito. La nostra storia durò 9 anni.
L’amore eterno dura fino a quando lo si vuole far durare, infatti sbagliamo a dire eterno, dovremmo dire temporale, ma ci confonde l’idea di perdere qualcuno o qualcosa. Siamo fatti così, ci piacciono le cose velate con il velo di Maja, le mezze verità, perché quelle intere ci fanno paura.
Carmelo era il figlio di mio cugino, egli &egrave un bracciante agricolo e non avrebbe potuto capire i nostri sinceri sentimenti, ma a noi ci importava solo la nostra vita, i nostri progetti del futuro, non ci fregava niente di nessuno e all’insaputa di tutti e di tutto ci siamo incontrati nella mia dependance, dove nessuno avrebbe potuto interrompere i nostri incontri basati di sesso e comprensione. Non può capire nessuno ciò che si prova, ma solo chi vive queste esperienze di vita, di sotterfugio, d’intrighi e segreti. Nel bagno di quella cesso di scuola ci siamo visti solo altre tre o quattro volte il tempo che avrei sistemato la storia platonica con Giacomo.

Scicli, 13 Dicembre 2006.
I miei genitori per il mio compleanno, mi avevano regalato l’ultimo modello di cellulare NOKIA, e quasi nessuno sapeva il mio numero, alle 15,45 m’arrivò un SMS che mi avvertiva:
‘CHIAMAMI C’HO UNA BRUTTA NOTIZIA DA DARTI.’ Il numero inviante non l’avevo mai né fatto né mai contattato, ma per paura che fosse capitato qualcosa ai miei, composi subito il numero e chiamai; al terzo squillo mi rispose la madre di Filippo, il mio ex compagno di scuola e mi disse:
mdF: ‘Lo sai che mezz’ora fa ha avuto un incidente quasi mortale tuo cugino Carmelo? E che &egrave in sala di rianimazione al Maggiore di Modica?’
Li per li rimasi turbato e non seppi quel che dovevo rispondere, ma solo riuscì a versare delle lacrime dolorose.
mdF: ‘Non preoccuparti, ne troverai un altro di frocio che saprà soddisfarti. Ti abbraccio e un saluto da Filippo.’ In quel momento mi crollò il mondo sentendo quelle orrende parole, ma compresi che quelle non erano parole dettate del suo cuore, bensì erano sintomi di sincera ipocrisia e bigottismo che nulla al mondo avrebbe dichiarato il suo figlio omosessuale come noi. Chiamai al numero di Carmelo, mi rispose Letizia sua madre, che mi confermò l’infausto evento, le chiesi per prima cosa le condizioni di salute di Carmelo, e lei mi disse che non avrebbe neanche superato la notte, le feci coraggio e la rassicurai di un mio arrivo repentino lì all’ospedale.

Ad attendermi all’ascensore trovai Giacomo con Gaetano, che in quel momento si rivelarono i migliori amici che avessi mai avuto. Mi fecero coraggio, ma non capivano che io volevo rimanere solo con il mio dolore, invano cercai di dire basta, ma mi accompagnarono fino alla porta d’ingresso del reparto, poi io riposi i miei sentimenti di dolore per soccorrere mia cugina madre del mio ragazzo. Entrai in punta di piedi senza fare alcun rumore, con gli occhi gonfi e pieni di lacrime andai verso i miei parenti avvolti nel dolore, in estasi per quel tragico fatto. Letizia mi abbracciò e mi disse che di noi sapeva tutto perché la madre di Filippo le aveva telefonato per informare della nostra storia e perché si trovasse in quella zona suo figlio. Volli entrare per congedarmi dal mio angelo guerriero, che per me avrebbe dato la vita, quella vita che avremmo dovuto vivere insieme, quella vita da favola che avremmo realizzato da lì a qualche nanosecondo se un pirata non mi avesse portato via il mio tesoro. ‘Amore’ gli sussurrai stringendogli la mano, quella mano che fino al giorno prima avevo baciato. ‘Non lasciarmi. Non saprei come fare senza di te. Tu sei il mio tutto, il mio bene prezioso. Non farmi del male amore mio adorato. Voglio averti ancora per me. E’ presto per lasciare la terra e andare a cantare fra gli angeli le melodie divine. Ti prego, ascolta il mio fervente invito. Amami ancora, fallo come solo tu sai fare, solo per un’ora, perdutamente. Amami con eterno amore, come solo Dio sa fare.’ A quelle parole si aprì gli occhi e da essi gli scesero delle lacrime, mi strinse la mano ed emise l’ultimo respiro. Iniziai ad urlare, ma i medici mi diedero un tranquillante. Quando mi svegliai, mi trovai a casa mia, vestito e con accanto mia sorella che di me sapeva tutto sin dal principio. Per me fu un brutto colpo, vedere mia sorella soffrire in silenzio per il mio dolore, lei sapeva, solo lei sapeva cosa si provava a perdere il proprio compagno. Mi chiese se avrei voluto andare da Carmelo, ed io dissi di si; prese l’auto, nel frattempo io mi vestii con cura ed eleganza mi ricordo che indossai degli abiti luttuosi, e mi coprì il volto con gli occhiali da sole della DIESEL. Arrivati a casa di Carmelo, entrai con una certa fatica poiché il dolore mi attanagliava il cuore; trovai il feretro al centro della stanza con Letizia ed Angelo, Peppe suo fratello e un paio di amici. Abbracciai quella bara come se fosse stato il corpo del mio amato, dopo circa un quarto d’ora Letizia si avvicinò e mi invitò a sedere accanto a lei; non avrei creduto tanta comprensione da parte di mia cugina, ma poi capii che quello era solo l’inizio di un attaccamento morboso nei miei confronti. Non ricordo nulla di quei due giorni trascorsi a vegliare il mio amore, ma invece ricordo nei minimi dettagli il giorno della cerimonia, in cui erano presenti tutti i nostri parenti e gli amici più cari, quelli che mi diedero una mano a superare il momento più drammatico della vita di ciascun essere vivente dotato di ragione. Dopo le belle parole del prete e le letture di lettere da parte degli amici, uscimmo dalla chiesa e trovammo la banda che eseguì ‘Can’t help following in love’, dove io e Letizia scoppiammo in un pianto inconsolabile, pregammo il buon Dio se ci esaudisse la nostra preghiera di consolazione, ma tutto fu vano. Nel pomeriggio riunitici nella mia dependance sfogliammo gli album fotografici che ritraevano me e Carmelo, scrivemmo i ringraziamenti da spedire alle famiglie che avevano preso parte alla cerimonia funebre.

Verso le 17,15 suonarono al campanello, era Giacomo che non aveva perso tempo nel riprendere i corteggiamenti nei miei confronti, ma io addolorato come ero mi resi conto subito che Giacomo era un’arrivista. Lo feci accomodare nel salotto dove organizzai fino alla settimana precedente delle mega orge omosex, gli chiesi se avesse accettato qualche cosa da bere, lui dissentì e mi avviso che stava per salire Gaetano. Egli era un ragazzo di 20 anni e fu fidanzato prima con Carmelo ed ora con Giacomo; era al secondo anno di Storia dell’arte ed era figlio di un possidente di terreni nella zona dell’agrigentino, ma che con la moglie si era lasciato un anno dopo la sua nascita. Si avvicinò e mi abbracciò teneramente. Dopo di ciò misi tutto in chiaro e perché parlare con anticipo &egrave segno di gentile amicizia. Mi raccontò i suoi problemi con la famiglia e con Gaetano, mi fece un po’ di tenerezza come si aprì a delle confidenze intime. Nel tardo pomeriggio, mi telefonò Filippo:
F: ‘Ciao. Ho saputo del fatto dalla bocca di mia madre, mi ha raccontato con dovizie di particolari che cosa ti aveva detto. L’ho rimproverata, ed ha ammesso il suo errore. Ti chiedo scusa per me e per lei. Stamattina sono stato al funerale, e ti ho visto, non sono voluto avvicinare per non metterti in imbarazzo.’
I: ‘Figurati. Non mi avrei curato di nulla. Mi avrebbe fatto piacere.’
Avendo visto la mia fragilità mi chiese:
F: ‘Posso venire a trovarti? Sai, &egrave da tanto che non ci vediamo, avrei il piacere di ricordarci insieme del nostro Carmelo.’ Risposi: ‘Ti aspetto fra mezz’ora? Così poi ceniamo insieme.’
F: ‘Ok. Fra mezz’ora sarò da te.’ I: ‘A più tardi. Ciao.’
Accesi dell’incenso nel turibolo e le luci soffuse poiché la sera si faceva notare vistosamente. Quello che stava per recarsi da me, era il mio compagno di scuola e il mio primo compagno dei giochi sessuali, che però aveva un vincolo. Ma sicuramente non sarebbe potuto succedere nulla, perché il mio stato d’animo non me lo permetteva. Filippo era un ragazzo dai capelli neri e dagli occhi cerulei, con un fisico statuario, con il nasino alla francese e una bocca da prenderla a baci.
Ore 18,45. Suonano al campanello, vado ad aprire e mi trovo davanti il mio carissimo amico Filippo. La sola cosa che fece, mi baciò sulla bocca come era solito fare e mi abbracciò. Io gli dissi: ‘Hai visto? Non ho avuto fortuna nemmeno questa volta.’ Scoppiai in un pianto quasi puerile. Ci accomodammo nel famoso salottino. Mi consolò a lungo. Ci baciammo con intera passione. Quasi come se non fosse accaduto nulla. L’unica frase che mi disse fu:
F: ‘Ti ho amato, da sempre. Voglio averti ancora per me. Se tu lo vuoi.’
Cadde un silenzio in quella stanza quasi religioso, alla fine ci assopimmo per quasi un quarto d’ora. Al risveglio, ci venne fame e optammo per la cena cinese. Prenotammo per due persone con servizio a domicilio, mettemmo ‘Nel mio amore.’ il film tratto dal racconto di Susanna Tamaro. Ore 20,30. Suonarono al campanello, ad aprire c’andò Filippo e portò il cibo per il nostro sostentamento. Mangiammo, in frigo c’era del braghetto e lo aprì per dissetarci, poiché l’acqua a casa mia mancava sempre e quella dell’acquedotto era non potabile. Al termine della cenetta, mi fece sedere sulle sue gambe ed iniziò ad accarezzarmi e a sussurrarmi parole di coraggio, io accettai il suo plagio, se così possiamo definirlo e, caddi sotto la sue braccia da ragazzo muscoloso. Non accadde nulla di peccaminoso, perché come vi avevo già detto non mi sentivo di farlo con un altro lo stesso giorno della sepoltura del mio ragazzo. Si erano fatte le 23 quando Filippo chiamò la madre per avvertirla che avrebbe trascorso la notte con me, poi gli diedi un mio pigiama e preparai del t&egrave al limone, lo bevemmo dopo ci resimo conto che era l’ora di andarci a metterci a letto. Nel letto l’impressione che al posto di Filippo c’era Carmelo mi rese più triste che mai, non potei dormire tutta la notte, ad un tratto Filippo mi sfiorò con le mani e saltai dal letto per circa mezzo metro, si svegliò di colpo e mi chiese cosa avessi, ed io non seppi rispondere. Mi abbracciò e mi tenne a canto a se per il resto della notte cantandomi una specie di ninna nanna che mi tranquillizzò non poco. Lo chiamai per circa sette volte rimanendo in silenzio dopo averlo chiamato, alla fine gli dissi: I: ‘Mi vuoi ancora? Amami e non farmi sentire la mancanza di Carmelo, poiché a questo pensiero impazzisco. Non mi lasciare anche tu, ti prego.’ a queste parole rimase turbato, ma dopo mi rispose: ‘Ti amerò in eterno. Con l’amore degli angeli. Ti porterò in paradisi sconfinati, dove né la vita né la morte potranno separarci. Ti amo. ‘ Mi addormentai per la stanchezza, ma al mattino quando mi svegliai. Lo trovai seduto con la poltrona ai miei piedi che mi contemplava. Mi domandai che senso avesse un tale atteggiamento, ma non gli chiesi nulla. Mi portò il caff&egrave a letto, mi baciò profondamente e ci promisimo davanti al quadro della Madonna delle rocce reciproca fedeltà e mutuo soccorso. Trascorremmo l’intera giornata insieme, andammo al cimitero per portare dei fiori al mio grande amore, che da un giorno abitava quel posto anche lui insieme ai grandi del passato. Mi portò al wine-pub dove consumammo un fulmineo pranzo a base di insalata e tonno. Andammo da Letizia, dove mi consegnò una busta con degli effetti personali di Carmelo c’erano un anello, un collier maschile, circa 750 ‘. ‘Ricordiamolo così il nostro tesoro’ mi disse la madre. Usciti da quella casa, Filippo mi portò da sua madre, che mi offrì le sue scuse e mi invitò a cena, accettai l’invito e parlammo del nostro futuro. Intanto erano prossime le feste natalizie e Filippo mi chiese dove avrei voluto trascorrere le vacanze, io gli chiesi se avremmo potuto andare sulle Dolomiti, lui annuì e mi chiese se mi serviva qualcosa da mettere per la montagna. Il giorno seguente mi portò a rifarmi il guardaroba nuovo, mia suocera ci cedette la sua camera da letto e mi fece delle raccomandazioni: a Filippo non piace dormire sul lato destro del letto e non vuole che si indossino i calzini. Io dissi che già sapevo i suoi gusti. Lei mi precisò che era solo un memorandum.

Scicli – Pordoi 21 Dicembre 2006.

Ore 7,05 suonò la sveglia. Quella mattina saremmo partiti per la settimana bianca promessami da Filippo e che io avevo espresso. Erano passati otto giorni dall’incidente, in me il ricordo di Carmelo andava affievolendosi giorno dopo giorno. La sera prima io e Filippo avevamo preparato le valigie, con tutto ciò che ci sarebbe servito per la neve e per la festa. Caricammo le cose in macchina e partimmo per Catania, ad attenderci c’era l’aereo che mi portava alle mie montagne. All’aeroporto incontrammo Giacomo e Gaetano anch’essi in partenza, per dove, mi chiesi io ma come se io avessi fatto la domanda loro risposero nelle Dolomiti. A quel punto della discussione io avrei voluto fuggire, perché significava una sola cosa e cio&egrave trascorrere le vacanze in compagnia del mio ex e del suo ragazzo che tiene gli occhi sempre su di me. Partimmo e lungo il viaggio dissi a Filippo: ‘Non vorrai trascorrere tutti giorni con loro?’ F: ‘non erano anche tuoi amici?’ I: ‘si, ma Gaetano ha sempre gli occhi su di me. Non vorrei che ti rendessi geloso.’ F: ‘Figurati, di quello lì, ingelosirmi io. Ma dai, smettila.’ Arrivati a Mestre presimo le valigie e chiamammo un taxi, per andare a Pordoi c’era all’incirca due ore e mezza di viaggio, arrivati nel rifugio infreddoliti dalle temperature estremamente basse, sistemammo le nostre cose in camera, ed uscimmo per vedere il paesino, entrammo in un bar e ordinammo due cioccolate calde, consumatele uscimmo da quel meraviglioso posticino venuto fuori dai disegni della Walt Disney, ci recammo nel negozio di souvenir che era lì a distanza di pochi metri e acquistammo una cartina dell’intera zona e un libretto su cosa visitare a Pordoi e dintorni. Rientrammo al rifugio presimo parte ad un tradizionale matrimonio veneto, stanchi della baldoria ci andammo a chiudere nella nostra camera, dove ci attendeva il talamo di passione che da li a poche ore io mi sarei dovuto concedere. Amavo Filippo, ma il ricordo ancora di Carmelo non mi lasciava del tutto libero d’amarlo; il suo amore per me era infinito, non erano le cose che mi regalava a farmelo capire ma i gesti, le emozioni, e soprattutto ciò che mi diceva me lo facevano capire. Se me lo avessero detto mesi prima, avrei negato tutto, perché Filippo mi aveva visto crescere e mai avrei creduto di essere il suo pensiero quotidiano. Non potevo dar nulla a Filippo che non già egli aveva, ma la sincerità del mio cuore e dei miei sentimenti lo rendevano la persona più felice a questo mondo. Avevamo avuto qualche storia di sesso, ma come sapete se il sesso &egrave fatto senza amore, soddisfa le membra ma l’anima la rende infelice. E quello di Filippo era uno stato d’animo felice, si vedeva neanche i ciechi avrebbero potuto essere indifferenti di quella felicità espressa così a modo. Entrai in bagno per farmi la doccia, mi rasi il viso da quel po’ di barba che avevo, uscito dal bagno lo trovai accoccolato sul letto con il mio fasciacollo, dormiva, non l’avrei voluto disturbare ma l’itinerario di viaggio dei giorni a venire dovevamo farlo prima che i nostri amici avrebbero invaso le nostre giornate di riposo. Decidemmo, anzi fui io a decidere, poiché lui assecondava ogni mia proposta; finimmo con il fare l’amore. Filippo fu di una dolcezza infinita nel penetrarmi, come se quella fosse stata la mia prima volta assoluta. Non avrei chiesto niente di più di ciò che avevo. Temevo però di quella felicità così piombata all’improvviso, ma non sapevo resistere a tanta dolcezza. Scendemmo per la cena, mi rese il ragazzo più felice del mondo, ma quella attenzione non la meritavo perché io l’avevo sempre trattato male, l’avevo sempre respinto, ma come sapete in amore queste cose non si vedono. A cena, incontrammo nuovamente i nostri amici, che invadentemente si vollero sedere con noi. Giacomo durante la cena non fece altro che dire cose successe tra me e lui tempo addietro; ritornati in camera premessi che ciò che raccontava non era del tutto vero, io dovevo salvarmi la faccia, non potevo mostrare a Filippo la mia fragilità carnale, anche se lui la conosceva bene. Andammo a letto poiché la stanchezza del viaggio si faceva sentire, ci assopimmo entrambi avvinghiati l’uno all’altro.

Pordoi 22 Dicembre 2006.
Quella mattina, Filippo mi portò la colazione a letto cantando:
‘La prima cosa bella, che ho avuto dalla vita, &egrave il tuo sorriso giovane sei tu.’
‘Cucciolo’ mi chiamò per svegliarmi dalle braccia di Morfeo, quello fu uno dei più dolci momenti, ve lo ripeto mi viziava come un bambino capriccioso. Uscimmo dalla camera e davanti la porta del rifugio c’era un ragazzone sui trentacinque anni con una gabbietta, bussò ed entrò, cercò il signor Crisostomo, risposi ‘Sono io. Mi dica.’
r: ‘Ho da consegnarle questa.’
I: ‘Cos’&egrave questa una burla? Come fa lei ad avere un oggetto per me?’
r: ‘Lo chieda al suo amico, se &egrave un oggetto che ho. E’ un regalo per lei.’
I: ‘Grazie mille. Arrivederci.’
All’interno della gabbietta c’era un cucciolo di chiwuawua, Filippo sapeva che a me sarebbe piaciuto, infatti si era messo d’accordo con il proprietario del rifugio affinché potesse avere per questa mattina il cucciolo di chiwuawua bianco, tutto bianco.
F: ‘Ti piace?’
I: ‘Si. E’ bellissimo. Grazie Filippo, sei un tesoro.’
Filippo era felice, quando mi vedeva sorridere. Altrettanto io quando sapevo che lui era felice. La nostra felicità era eterna, quasi paradisiaca; andammo in giro per il paese e ci fermammo a vedere il paesaggio da quell’altura si vedeva in lontananza Pieve di Cadore, una bella cittadina delle Dolomiti, e Filippo mi ci portò il giorno seguente.
I: ‘Filì andiamo in albergo?’
F: ‘E’ successo qualcosa? Non ti senti bene?’
I: ‘No. Voglio andare in albergo, poi ti spiego.’
F: ‘Andiamo.’
Arrivati in albergo, andammo in camera e portai Filippo a letto, lo buttai sopra il letto ed io sopra di lui. Iniziai a baciarlo e a spogliarlo, sbottonai la patta dei pantaloni ed estrassi dai boxer il suo membro, lo scappellai e iniziai a fargli un pompino, a leccargli le palle lui era al massimo dell’eccitazione e mi diceva:
F: ‘Dai, sei fantastico tesoro. Mi fai impazzire.’
Vedevo che godeva, ed ero felice. Mi feci impalare prima a novanta gradi, poi sul letto, ancora glielo succhiai, leccai il suo inguine, a quel punto mi fece scostare e venne copiosamente sulle lenzuola celestine.
F: ‘Non volevo sporcarti, amore. Per me sei importante.’
I: ‘Già. E allora perché mi vizzi così? Non sempre potremo navigare sull’oro.’
F: ‘Al momento prendiamola così. Al futuro c’&egrave già chi ci pensa.’
Non capii la frase lì come l’aveva buttata, ma riflettendoci si riferiva a quel vincolo al quale era legato fino alla morte. Non &egrave facile da spiegare. Non capita tutti i giorni vivere quello status. A pensare al nostro futuro c’avrebbe pensato qualcuno che con delle offerte molto ragionevoli bastavano ed avanzavano per i surplus. Non mi faceva mancare nulla, amore affetto comprensione soldi e stima. Altrettanto io ricambiavo le sue attenzioni e non erano da meno delle sue. Per il mio diciottesimo compleanno mi regalò un PC, e dopo qualche settimana mi portò con lui a Roma ad un seminario di formazione.
Chiusimo lì la disamina e non ripresi più quell’argomento, perché io alla fine di tutto ero appagato di come venivo reso partecipe nella sua vita. Entrai in sacrestia e recitai ‘Prosit’ e mi rispose: ‘Deo gratias’. Dopodiché salutammo ed andammo via, poiché già erano le 19,30 e meno di un quarto d’ora più tardi si avrebbe cenato. Arrivati alla baita, cosa molto strana, dissero a Filippo se poteva benedire la cena della sera, poiché quella sera si consumava un pre-cenone di Natale. Il mio tesoro iniziò a sudare come nelle giornate d’estate in Sicilia, capivo il suo imbarazzo, ma mi chiedevo come avessero fatto a scoprire il suo stato civile. Durante la cena discutemmo che dovevamo cambiare i nostri programmi per i giorni di Natale. Ci accordammo con il proprietario affinché il giorno seguente avremmo potuto raggiungere Pieve con un mezzo sufficientemente funzionante. Salimmo nel nostro alloggio e continuammo ciò che avevamo interrotto la mattina, questa volta fu lui a prendere l’iniziativa ed iniziò a spogliarmi, furono ore di intensa passione che si conclusero con l’addormentarsi di entrambi con le luci accese.

Pordoi – Pieve di Cadore 23 dicembre 2006.

La mattinata si prevedeva burrascosa a causa del maltempo iniziato la notte scorsa, ma optammo lo stesso per recarci a Pieve. Lì ci lavora la cognata di mia sorella, ma io non avvertì nessuno della nostra visita e quindi non sospettai di un incontro sgradevole. Visitammo il paesino con tranquillità, dando spazio alle nostre emozioni in quei luoghi.
A quel punto, la mia vita sarebbe stata divisa in due: l’amore eternato in Carmelo, e l’amore reale con Filippo. ‘Accetto come una croce’, queste erano state le sue parole, ma mica aveva accettato di diventare sommo pontefice, aveva accettato il titolo di parroco. La cosa che mi faceva stare male era non tanto la decisione, ma il non avermi consultato. Avrei vissuto l’amore con Filippo fuori dalla Sicilia.
F: ‘Scendiamo giù, ogni qual volta vorrai. Ti renderò la persona più felice del mondo anche qui.’
I: ‘Non &egrave questo il problema, e tu lo sai Filì. Ma rimarrò con te, nel bene e nel male.’
Ritornammo nel salone, e comunicai la nostra decisione:
I: ‘Mio fratello ed io, rimarremo a Pordoi’. Andarono via tutti, rimasimo soli io, Filippo e don Lorenzini, anche lui si ritirò nella sua camera e fu allora che Filippo mi fece sedere su di lui ed iniziò a chiamarmi monsignorino, ci baciammo intensamente e fu allora che apponemmo dei sigilli al nostro amore. Andammo nella nostra camera, ci addormentammo.

Pordoi 24 dicembre 2006.

Ci alzammo presto quella mattina, perché una telefonata inquietante alle 06,15 era arrivata per don Lorenzini ed io l’avevo ricevuta poiché ero andato in bagno, dato che siciliano sono, e nessuno meglio dei siciliani può capire le telefonate minacciose da scherzi come ci fece intendere il prelato. Io nel pomeriggio suonai l’organo con delle musiche di Natale. Don Lorenzini si complimentò con me per la bella esecuzione dei brani. Salì sul campanile della chiesa, c’erano più di sette campane, le allacciai con dello spago e le suonai prima ad una ad una, poi feci un piccolo concerto e la gente si affacciò dalla proprie case e dai negozi per vedere ciò che era successo. Alle 20,30 Filippo non era rientrato ed io gli chiamai per sapere quando avrebbe rincasato
F: ‘Torno fra dieci minuti. Fammi trovare solo del semplice brodino, non ho molta fame.’, anch’io non avevo tanta voglia di cenare, bensì di trovare un po’ di intimità con Filippo. Suonarono al campanello, era Filippo, appena entrato mi baciò e mi chiese:
F: ‘Siamo da soli? E’ già andato via don Lorenzini?’
I: ‘Si. Siamo soli soletti. Ha detto che verrà alle 23,30.
F: ‘Capirai presto il peso che abbiamo sulle spalle. Vorrei amarti.’
I: ‘Fallo, non te lo impedisce nessuno.’
A letto io e Filippo finimmo con il fare l’amore, mi baciava con i baci della passione e della tenerezza, io invece lo baciavo con i baci assatanati di sesso, lo desideravo come si desidera l’acqua con la calura estiva, infatti subito scesi nelle zone basse dove gli praticai una fellatio, il sesso gli si irrigidì in un batter d’occhio, glielo succhiai con la passione carnale quella solo chi &egrave da tanto tempo che non fa sesso può avere. Mi feci impalare in tutte le posizioni, gli tirai svariate migliaia di pompini e mi feci venire in bocca, il suo seme mi riempì la cavità orale, inghiottì il tutto senza lasciare nemmeno una goccia, assetato del suo liquido seminale mi abbandonai al ritmo della sensualità e mi addormentai con il suo sesso in bocca come un bambino con il ciuccio. Ogni volta che vedevo Filippo sudavo e tanto, sentivo quel caldo che solo in Sicilia in estate si sente, sentivo i miei abbigliamenti che si appiccicavano al mio medio corpo, come un corpetto di fustagno aderivano perfettamente alle mie membra. Lo desideravo come un bambino capriccioso fa con il suo giochino, ma non era solo desiderio il mio, era qualcosa di più, era tenerezza mista a passione, ma la tenerezza fa paura a tutti, sia a quelli che la subiscono sia a quelli che la provano.

Amare vuol dire annientare la propria personalità, il proprio io e formarne uno nuovo con la persona amata, sorvolare su ogni problema che può essere causa di divisione.

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