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ARCOBALENO (CON DEDICA)

By 23 Gennaio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

DEDICA

‘Per i vostri begli occhi, che scintillano come smeraldi, mia cara ***. Per i vostri appassionati baci, rossi come il fuoco, per i vostri sogni tuffati nella passione più ardente. So che mi ascoltate, che i vostri occhi sono socchiusi, mentre vi parlo d’immenso’ E’ come se le vostre mani stringessero le mie, se i vostri palpiti si confondessero con i miei, e il vostro corpo eburneo si unisse al mio, come accadde l’ultima volta, nel giardino del mistero. So che amate proferire il mio nome, mentre la vostra mano erra impetuosa sui vostri seni nudi, sul vostro ventre piano, dall’ombelico decorato di perla, per poi farvi bruciare dove siete più femmina. Pronunciatelo ancora ai venti, e bruciate per me”

Mi ricordo di un giardino non particolarmente ameno, dove crescevano tanti alberi senza foglie, e i fiori non avevano petali, no, non ne avevano.

Oh, e perché?

Io non lo so bene, ma non c’era neppure l’erba, soltanto i sassi, grigi grigi, ricoperti di polvere’ Il vento spazzava quel piccolo deserto, senza sosta, senza sosta, e non smetteva mai, mai, mai.

Chi poteva abitare in un posto simile?

Il sole si vedeva assai di rado dietro le nubi, avreste detto che non esisteva.

Malinconie!

Lì abitava un gigante, con i suoi amici. Gli uomini lo costringevano a vivere lì, lontano dal mondo, affinché lo vedessero solo poche persone, dal momento che aveva un viso molto brutto.

Oh, sì, era tutto ricoperto di cicatrici e brutti segni, ahim&egrave!

Alcuni ragazzi gli stavano accanto, a volte giocavano con lui.

Ma quel vecchio volto faceva sempre assai paura, faceva molto spesso venire i brividi ai pochi che lo guardavano.

Ma una volta’

Oh, una volta accadde una cosa strana, tanto strana che neppure io la credo vera.

Possibile?

Il gigante, giocando con i suoi amici, confidò loro il suo sogno segreto.

Aveva preso una buffa margherita in mano e si grattava la zucca goffamente, tanto goffamente, che’ oh!

Però quasi piangeva, parlando.

Diceva:

– Costruiamo un grande arco multicolore, facciamo una cosa bella, che brilli nel cielo molto a lungo, così gli uomini la vedranno da lontano e sorrideranno.

Aveva una voce tale, che’

Oh, sembrava che si scatenasse la bufera mentre parlava, tanto era forte e tonante!

Non ci credereste mai.

– Sì ‘ ripeteva ‘ facciamo una cosa bella, così, anche se un giorno io morirò, qualcuno si ricorderà che sono stato buono.

Già, tutti lo accusavano di essere un crudele, per questo l’avevano imprigionato nel giardino malinconico in cui gli alberi crescevano senza le foglie e i fiori non sbocciavano.

Ma come avrebbero fatto?

Io non lo so, ma il gigante continuava a raccontare il suo sogno, perché aveva visto tanti uccelli che volavano nel cielo, pieni di contentezza, e il sole che brillava sopra i suoi alberi. Aveva visto tutto questo, sì’

E tutti lo ascoltarono a bocca aperta, anche se quelle sue grosse mani facevano sempre assai paura, insieme al pensiero di ciò che potevano fare.

Ma lui giocava con i suoi amici, sì’

Aveva uno strano modo di sorridere, molto, molto strano, sembrava un animale, mentre ripeteva i suoi versi feroci e incomprensibili.

E quando rideva, gli vedevate i denti enormi, che sembravano fatti per sbranare.

Eppure, non era cattivo, no’

Oh, quanto gli piacevano i ragazzi che gli stavano intorno!

Ricordo che una volta aveva preso una giovane per mano, e non voleva lasciarla, la voleva stringere con tanto affetto, sì.

– Come ti chiami? Lo sai che sono innamorato di te?

Così le parlava.

L’aveva presa nella sua mano, la teneva dolcemente nel pugno, e se l’era portata all’altezza del volto, per guardarla negli occhi, in viso’

– Oh, ma sei una stella! Lo sai?

– Non mi stringere così forte, mi fai male’ Non mi stringere forte, no!

– Che bel nome il tuo! Quanto sei graziosa e simpatica!

Mi ricordo di quel momento triste come di un sogno, ve lo giuro, lo rivedo avvolto in una nebbia molle e malinconica, sì.

Lui conosceva per nome tutti i suoi amici e le sue amiche’ Poteva essere mostruoso, oppure tenero!

Io non lo so chi l’aveva creato. Era stata lei, la natura matrigna, a farlo tanto brutto e infelice! L’aveva plasmato con le sue mani tozze, dalle unghie lunghe lunghe, gli aveva dato un nome che suonava come quello di una bestia, sì, di una bestia.

E aveva riso forte, nel darglielo, aveva sghignazzato, nel dirgli:

– Vai, e prendi vita, ah ah!

Perfida natura, perfida matrigna’

Aveva fatto apposta a dargli un naso enorme, una bocca da leone, delle mani gigantesche e le unghie lunghe.

Ahim&egrave!

E poi, accadde quella cosa terribile.

Un cattivo fece del male al gigante, lo ferì. Miserabile mortale, non sapeva quello che aveva fatto, non sapeva quello che aveva fatto!

Il gigante si toccava la ferita sanguinante. Il sangue scarlatto macchiava la sua camicia bianca, lo sapete? Lo sfortunato piangeva. Oh, sì, piangeva, perché pensava fossero stati i suoi amici a fargli questo!

E così’

E così prese una scure tutta arrugginita, che faceva paura. Si mise a tagliare tutti gli alberi, distrusse ogni cosa, perché lo avevano tradito e il suo ultimo desiderio era di morire.

Sì, di morire!

Povero sconsolato!

Cielo’

Tutti piangevano, dicendogli:

– Che cosa fai? Ripensaci, amico nostro, ripensaci! Così, noi non potremo più giocare insieme, no, noi non potremo più giocare insieme’

Chi poteva scappava, a gambe levate.

Alla fine, capitò una cosa abbastanza triste, ve lo giuro. Il gigante era ferito piuttosto gravemente, io non ricordo bene chi fosse stato, so solo che la sua ferita sanguinava e non smetteva più. Si accasciò sui sassi, poverino!

A poco a poco, chiuse i suoi occhi, nel modo più sconsolato in cui &egrave possibile chiuderli.

Sì, perché aveva giurato di addormentarsi per sempre. E voleva che nessuno riuscisse a risvegliarlo! Oh, no, nessuno avrebbe potuto strapparlo a quel sonno fatale.

Tutti gli alberi erano stati abbattuti.

Non c’era nessuno intorno a lui, perché gli amici erano fuggiti, pieni di paura. Dov’erano andati, oh, dove, dove? Io non lo so. Forse, non sarebbero ritornati proprio più. Gli occhi dell’addormentato non li avrebbero rivisti mai.

Non restava che una cosa.

Rimaneva il loro ultimo gioco, quello che avevano preparato tutti insieme. Sì, proprio quello.

Cos’era mai?

Io lo so.

Il vecchio gigante aveva lavorato con la cazzuola, i suoi amici avevano preso pennello e colori, avevano dipinto tutto, allegramente, di giallo, di rosso, di blu, di indaco, di arancione, oh, sì, di tutte le sfumature dell’arcobaleno.

Perché quella volta, nessuno pensava che la loro amicizia sarebbe dovuta finire così!

Mi ricordo che il povero omone si era anche messo il suo cappello di carta, si era vestito gaiamente per l’occasione, come un imbianchino. Alé: pennello, pittura, diluente, olio di gomito, allegria!

Era successo tutto questo, come in un sogno.

Ed era nato così l’arcobaleno.

Non so se l’avessero fatto di cartone, o di fantasia. Però l’avevano preparato tutti insieme, ci avevano lavorato tutti, tutti! Oh, peccato che dovesse far ricordare una sorte un po’ malinconica!

Gli uomini lo potevano guardare da lontano, da tanto lontano.

Che meraviglia!

Era quello il sogno del povero gigante.

Il destino aveva voluto permettergli di realizzarlo, prima di dargli il dispiacere di addormentarsi per sempre privo dell’abbraccio dei suoi amici. Sì, perché lui aveva chiuso gli occhi senza poter stringere chi gli voleva bene’ Però il suo sogno si era avverato.

Oh, a che cosa giovava, questo? A che cosa, visto che le pupille del vecchio non potevano più guardare la bella luce?
Ma la storia non poteva finire così. Io vidi il gigante addormentato per sempre, ma non lo vidi morto, no’ Giaceva sull’erba appena spuntata, all’improvviso parve come sfasciarsi e andare in mille pezzi’ Era fatto di cartone, e anche quel brutto volto era soltanto una maschera. Ne uscì fuori un bel giovane, era lui che muoveva il gigante, oh, aveva fatto tutto questo sempre e soltanto per gioco!

Una delle sue più care amiche, la più affezionata, assistette alla scena. Gli corse incontro, e gli disse di voler fare l’amore con lui. Era il suo gigante, il suo gigante.

Entrarono nella capanna e accesero il fuoco.

La bella lo baciò.

La mano del redivivo toccava quelle dolci forme di donna, si soffermava sui suoi capezzoli rosa, li stringeva forte, facendola gridare. Lo fecero sul letto del gigante, quel letto enorme, che avrebbe potuto custodire un esercito. E lei era ardente e passionale, come la donna per cui scrivo in questo istante, stava sopra di lui a gambe divaricate, si toccava la femminilità con la mano bianca, e languiva felice col suo uomo!

Rimasero lì due giorni e due notti, poi, confidarono il loro segreto alle allodole di primavera, che chiamarono a raccolta gli altri amici di un tempo. Era rinato il loro vecchio patto di amicizia.

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