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Il seminterrato

By 30 Dicembre 2013Ottobre 6th, 2021No Comments

Se quel giovedì sera la signora Pina non avesse comprato una scatola di latte a lunga conservazione difettosa, la mia vita sarebbe stata completamente diversa da quella che è ora.

Invece la comprò.

Così, mentre stava tentando di aprire la porta del suo appartamento al terzo piano con la borsa della spesa in precario equilibrio, la scatola cadde sul pavimento del pianerottolo ed il latte si sparse dappertutto.

In quel momento Giorgio, il suo vicino, uscì di corsa da casa sua e ci scivolò sopra, rovinando giù per le scale e distorcendosi una caviglia.

Giorgio stava correndo alla consueta partita di calcetto con gli amici e dovette telefonare per avvertire gli altri che non avrebbe potuto giocare. Quindi Ugo si ritrovò con un uomo in meno all’ultimo momento e chiamò me.

Mi chiamano solo in casi di emergenza perché devo ammettere che sono scarso. Non ho un fisico d’atleta: corro poco e mi stanco presto, ma amo giocare e colgo tutte le possibili occasioni per mettermi in scarpette e pantaloncini, quindi quando ricevetti la sua chiamata mi entusiasmai, velocemente preparai il mio borsone, salutai Enrica, mia moglie, e mi precipitai al campetto.

Nella fretta, scordai di spegnere il mio notebook.

Quando ritornai, stanco ma felice per la risicata vittoria che la mia squadra aveva conseguito pur con uno scarso come me, Enrica mi accolse con una espressione interrogativa.

– Piero, ho dato un’occhiata al tuo pc. Ma davvero hai tutte quelle fantasie perverse?

Diavolo, dovevo spegnerlo!

Da spento ci vuole una password per accedere ai contenuti e mia moglie non la conosce.

Ma, curiosa com’è, quando ha visto che lo schermo era acceso non ha perso un attimo ed è andata a sbirciare.

– Pensavo di trovare filmati porno, ma invece vedo che leggi racconti cuckold? Ho dovuto cercare con Google il significato di quella parola! E poi sono andata a vedere la tua cronologia: non fai altro che leggere tutte quelle storie! Anche in inglese! Da mesi!

– Ma no, Enrica, sono solo fantasie, non è che voglia veramente che qualcun altro venga a letto con te, ci mancherebbe… Non ti avrei mai chiesto niente, figuriamoci!

– E allora queste mail a proposito della festa dei cornuti a fine mese? Hai chiesto informazioni!

– Ma no, volevo solo esplorare un po’, nient’altro. Solo un pizzico di curiosità…

– Tu sei impazzito! Sei un maiale! Fuori di testa! Ma che razza di fantasie sono queste? Pensi che io potrei mai scopare con qualcun altro? Tu sei fuori!

Quella notte, però, il sesso fu fantastico. Enrica, che di solito stava zitta durante il rapporto, cominciò a dar fuori di matto.

– Mettimelo, Alberto, fottimi, sbattimi, uccidimi!

Alberto? Io mi chiamo Piero.

Nella sua testa però lei mi aveva già sostituito con un nuovo amante immaginario. In ogni caso quella notte ebbi la migliore esperienza sessuale con mia moglie fino a quel momento.

Ero in paradiso.

Nei giorni seguenti la cose non accennarono a perdere d’intensità. Anzi.

Finì che alla fine a quella festa ci andammo. Avevamo però fissato delle regole: solo guardare e informarci, niente sesso, per nessun motivo avremmo dovuto toglierci i vestiti e quando uno di noi avesse voluto andar via l’altro avrebbe dovuto assolutamente acconsentire.

Ci inerpicammo con la macchina su per una stradina dell’Oltrepò Pavese, fino a una costruzione anonima anni ’70, mattoni rossi e tapparelle bianco sporco, dimessa e trascurata in una posizione isolata sul fianco di una collina.

– Sei pronto?

– Sono pronto. Ma non dimentichiamoci le regole che abbiamo fissato.

Bussammo a una porta di legno scrostata e un uomo vestito come la parodia di un paggio medievale ci aprì. Aveva una calzamaglia rossa e gialla e un cappello da joker con i campanellini. Era ridicolo.

– Lei deve essere Enrica! Benvenuta!

L’aiutò a togliersi la pelliccia, che sistemò su un appendiabiti dietro la reception.

Il posto era bellissimo.

Tanto era squallido fuori, tanto era lussuoso dentro. Tappeti, lampadari, mobili di pregio. C’era anche una grande terrazza con una meravigliosa vista sulle colline. Fantastico.

Io mi tolsi il cappotto e cercai un posto dove metterlo, ma l’uomo mi gelò con uno sguardo.

– Non è previsto il servizio guardaroba per i mariti. Butta il tuo cappotto nello sgabuzzino dei cornuti insieme agli altri.

Trovai lo sgabuzzino, uno stanzino buio con un divano sporco su cui erano appoggiati diversi cappotti e misi il mio sopra gli altri. Poi presi mia moglie sottobraccio e mi avviai verso quello che sembrava un salone principale con un bar e diverse coppie sedute a chiacchierare amabilmente.

– Possiamo entrare, no?

– Certo. Almeno fino a quando la signora non venga scelta da uno dei nostri stalloni e accetti di accompagnarsi con lui. A quel punto, temo che per il marito ci sia solo la possibilità di essere rinchiuso nel seminterrato dei cornuti. È una regola della casa. Inderogabile.

– Rinchiuso? Io non voglio essere rinchiuso!

– Rinchiuso, temo. No, vedrai, è divertente. In fondo siamo qui per questo, no? Ma scusate, non mi sono presentato. Io sono Gino e sono un cornuto come gli altri. Fa parte dei nostri doveri, a rotazione, occuparci di accogliere gli ospiti. Anche tu lo dovrai fare, una volta che tua moglie verrà montata, ti avrà cornificato e che sarai passato attraverso la cerimonia di iniziazione. è uno spasso per voi e per tutto il gruppo. Se volete vi posso chiarire alcune cose, darvi qualche spiegazione preliminare. Poi verrà qualcun altro a informarvi meglio.

Il pagliaccio continuò:

– Tutti gli stalloni della casa sono garantiti sia dal punto di vista medico, etico e delle dimensioni. Nessuno di loro è un professionista, sono tutti molto esperti e sono qui per divertirsi. Frequentano la casa da molti anni e non c’è mai stato nessun problema di scambi di denaro o ricatti. Inoltre sono controllati contro le malattie veneree ogni due settimane. E per quanto riguarda le dimensioni e la loro abilità amatoria non ci sono mai state lamentele. Le mogli li adorano!

– Hai parlato di un seminterrato dove i mariti vengono rinchiusi?

– È così. Nel seminterrato, che in gergo noi chiamiamo “cornolandia”, ci sono delle gabbie dove i mariti vengono imprigionati intanto che le loro mogli si intrattengono con gli stalloni. Ci sono gabbie individuali o doppie. In quelle doppie generalmente i cornuti possono masturbarsi a vicenda o anche avere rapporti tra di loro, in modo attivo o passivo a seconda del volere della moglie.

– Cosa?

– Sì, dobbiamo indossare un collare di cuoio con un fiocchetto azzurro o rosa a seconda del ruolo che le nostre mogli ci assegnano. Alle volte le mogli e i loro amanti, dopo il sesso, si divertono a vederci grugnire e sbuffare mentre, tutti sudati, cerchiamo pateticamente di imitare con i nostri pistolini la possanza degli stalloni inchiappettandoci a vicenda. Così possono deriderci e umiliarci ulteriormente. Un gran divertimento per tutti.

In quel momento una signora elegante si affacciò alla porta del salone.

– Scusate, sono Desirée, la proprietaria. Prego accomodatevi. Enrica, che piacere conoscerti! Sei così bella! Non avrai certo problemi a trovare il tuo bull qui da noi! Sono sicura che tutt’e due sarete pienamente soddisfatti.

Poi continuò:

– Qui da noi la regola è che il cornuto venga rinchiuso nelle gabbie del seminterrato mentre la moglie viene soddisfatta. è una specie di simbolo di sottomissione alle mogli. In fondo i cornuti non sono altro che loro schiavi. Le mogli hanno il controllo e comandano.

Desirée ci spiegò che l’immobile era di proprietà di suo marito, quasi sempre in viaggio per lavoro, che amava lo stile di vita cuckold e aveva pensato di creare un posto dove poterlo praticare senza problemi o interferenze. Il posto tra gli iniziati era conosciuto come “Il toro, la vacca e il bue”.

Ci fece passare nel salone, un luogo elegante, superbamente arredato, con divani e poltrone di pregio, tappeti e lampadari di lusso e un banco bar dietro al quale una ragazzina si dava da fare a preparare cocktail e a mescere vini pregiati in calici di cristallo. Sulla parete di fronte uno striscione recitava:

IL TORO, LA VACCA E IL BUE

Open Day

Nei divani trovavano posto una decina di eleganti signore in abiti da pomeriggio in compagnia dei loro mariti.

Notai subito che mia moglie, nello splendore dei suoi trentacinque anni, era la più bella e la più giovane tra tutte le presenti.

Cinque o sei stalloni di colore ronzavano intorno alle coppie, squadrando le signore da capo a piedi ignorando ostentatamente i mariti.

Desirée ci mostrò un corridoio sul quale si affacciavano diverse porte per accedere alle camere dove le mogli venivano soddisfatte dai loro amanti e riaffermò che durante quella fase, i mariti obbligatoriamente dovevano essere rinchiusi nel seminterrato.

Disse inoltre che la ragazzina al bar era Chantal, sua figlia di diciannove anni, che aveva anche l’incarico di occuparsi dei cornuti: li rinchiudeva nelle gabbie e somministrava loro le punizioni.

Poi disse:

– Ho paura che quello che devo spiegare adesso posso dirlo solo a tua moglie, quindi ti prego di scusarmi se ti lasciamo qui da solo per un momento. Prendi pure qualcosa al bar, se vuoi. Poi sarà lei a decidere se riferirti quanto le sto per dire.

Si allontanarono da me e io dal mio divanetto potevo solo vedere mia moglie dapprima un po’ rigida ma man mano sempre più coinvolta nel racconto di Desirée fino alle volte a spalancare la bocca per l’incredulità o a portarsi le mani sul viso per la sorpresa.

La discussione fluì per più di venti minuti e alla fine Enrica ritornò a sedersi da me con una espressione pensierosa e eccitata sul volto.

Cercai di chiederle spiegazioni, ma sembrava assente.

A quel punto uno degli stalloni si avvicinò.

Era un uomo di circa un metro e novanta, con larghe spalle e la testa rasata. Era nero, ma di una tonalità chiara, caffelatte. I suoi lineamenti non erano tipicamente africani: il naso era sottile e gli occhi non nerissimi. Vestiva sportivo, con una giacca scura su una camicia bianca aperta sul petto e dei jeans attillati che evidenziavano un rigonfiamento fuori misura all’inguine. Il ventre era piatto.

Irradiava sicurezza di sé e una certa arroganza. Pareva di qualche anno maggiore di noi, quindi sulla quarantina, anche se è difficile indovinare l’età degli africani.

– Posso sedermi un attimo? Sono Lawall. – Disse a mia moglie.

– Certo, piacere. Io sono Enrica e questo è mio marito Piero.

Lawall mi diede un’occhiata non certo amichevole e, ignorando la mano che gli stendevo, disse:

– Già.

Poi prese uno sgabello, lo piazzò tra me e mia moglie e si sedette di fronte a lei volgendomi le spalle.

Io feci per dire qualcosa, ma Enrica alzò un sopracciglio e mi fulminò con la sguardo.

Lawall spiegò a Enrica di essere ghanese, della tribù Ashanti, di essere figlio di un colonnello dell’esercito e della sua amante, una donna bellissima che l’aveva lasciato per seguire un piccolo ma ricco imprenditore del parmense, con cui si era messa a vivere.

Lawall era il cognome, ma visto che il nome era un complicato e impronunciabile sciroppo di O, J, GB, in Europa tutti lo chiamavano solo Lawall.

Aveva frequentato le scuole in Italia e l’Università di ingegneria a Manchester e aveva un ottimo impiego nella filiale italiana di una società inglese di consulenza nel campo della sicurezza informatica.

Io però cominciai a sentirmi nervoso e presi Enrica per un braccio e le dissi che era ora di andarcene, che non mi sentivo a mio agio e che non ne potevo più.

Il viaggio di ritorno a Milano, nelle buie e nebbiose strade del pavese, fu silenzioso e carico di foschi pensieri.

Dopo mezz’ora di viaggio pieno di tensione nella nebbia Enrica sbottò:

– Piero, lo voglio fare!

– Di cosa stai parlando?

– Ti voglio mettere un paio di corna, Piero!

– Non se ne parla! è troppo per me!

– Piero, sai bene che sei tu che lo vuoi. Questa è la tua fantasia, non la mia. Ma ora comincio a vederne i vantaggi. Lo voglio fare, Piero! Se non te la senti verrò qui da sola, ma spero proprio che tu voglia dividere questa esperienza con me, sarei persa senza di te! Vedrai, sarà fantastico!

Oddio, in che casino mi ero ficcato!

Le spiegai che era una cosa spaventosa per me e che per quanto fosse stuzzicante, l’idea di essere rinchiuso, di essere messo al guinzaglio e soprattutto, dopo aver visto quant’era grosso Lawall, quella di mia moglie nelle sue braccia erano pensieri intollerabili per me. Enrica cercò di minimizzare.

– Il “Toro, la Vacca e il Bue” è solo un posto come un altro, dove giocare, rilassarsi e divertirsi un po’. Non c’è niente di preoccupante. Desirée mi ha messo sull’avviso e mi ha fatto chiaramente capire che tutti i novellini sono spaventati all’inizio, ma persino il fatto di essere rinchiusi non è niente di pauroso: si tratta di un metodo per esaltare l’esperienza e renderla quanto più piacevole possibile. Ammetto che è molto umiliante e persino paurosa, ma non è proprio questo lo scopo? Dopo tutti i racconti cuckold che hai letto dovresti sapere che i mariti che hanno bisogno di essere cornificati provano la massima eccitazione attraverso l’umiliazione e il diniego, non è vero?

– Sì, lo ammetto. Ma la mia paura è che dopo aver provato Lawall o un altro tu non ne voglia più sapere di me. Non sono disposto a rischiare il nostro matrimonio per una stupida fantasia, né ora, né mai. Non mi vergogno a dire che credo che questo potrebbe mettere fine al nostro matrimonio. Voglio tirarmi indietro finché sono in tempo.

Enrica mi guardò con preoccupazione. Per la prima volta vidi che non cercava di minimizzare ma che era molto seria.

– Piero, al mondo non c’è forza che possa separarmi da te. Che possa anche solo incrinare l’amore, il rispetto e la stima che ho per te. Che possa farmi pensare che ci sia qualcosa di più importante nell’universo del nostro matrimonio.

Non ero convinto.

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Passarono alcuni giorni senza che si toccasse l’argomento, ma sapevo che prima o poi Enrica sarebbe ritornata alla carica.

E infatti, il martedì successivo, attaccò:

– Come ti ho detto l’altra sera in macchina, ci voglio provare. Se non vuoi venire con me per le tue paure sono disposta ad andarci da sola.

– Stai dicendo che non t’importa di quello che provo e penso e che farai questa cosa in ogni modo, senza tener conto della mia opinione?

Con terrore notavo che quella che al principio era la mia fantasia a questo punto era diventata la sua.

– Certo che no Piero! Ma capisci che anch’io ho dei desideri. Vorrei tanto che tu fossi con me per farmi sentire protetta e al sicuro, ma se preferisci le prime volte ci posso andare da sola in modo che tu capisca che non c’è niente di spaventoso.

– Enrica, sono contrario!

– Desirée me l’aveva detto che tu saresti stato fragile, insicuro e spaventato in questa fase e finora tutto ciò che mi ha detto si è puntualmente verificato. Invece la cosa può funzionare solo se riusciamo a costruire un rapporto di fiducia tra me e te, molto più solido di quello che abbiamo ora, in modo che tu capisca che ciò che stiamo progettando non è solo per la mia soddisfazione e per la libidine di farmi degli altri uomini, ma per il piacere di entrambi. Devi imparare ad aver la più totale fiducia in me, che ti amo a che non farei mai una cosa che non sia per il tuo bene. Desirée sapeva fin dal principio che per te questa fase sarebbe stata un calvario. Mi ha spiegato come fare a stabilire un rapporto di comprensione e fiducia tra noi due. Di come ti devo trattare gentilmente, dolce marito mio! Molte delle cose che mi ha detto, francamente, mettono paura anche a me e penso che tu non sia ancora pronto. Ma altre si potrebbero cominciare a ipotizzare fin da subito, se soltanto me ne dessi la possibilità.

Non riuscivo più a controbattere e una lacrima mi spuntò all’angolo dell’occhio. Enrica me la asciugò con l’orlo del fazzoletto.

– Piero, se sei contrario allora non lo facciamo. Ma capisci che ne sarò mortalmente indispettita.

Questa fu la stoccata finale. Già sapevo quello che avrei risposto.

– D’accordo allora. Proviamo una volta. Ma se non mi va esigo il diritto di interrompere il gioco e di tirarmi fuori!

– Come vuoi tu, tesoro! E per ringraziarti della tua comprensione ho un regalo per te. Ma prima che ne dici se facciamo una tappa in camera da letto?

Enrica mi saltò letteralmente addosso. Mi spogliò quasi strappandomi i panni di dosso, mi montò sopra ancora quasi completamente vestita, si spostò gli slip di lato e si infilò con la mano il mio cazzo dentro di lei. Era così eccitata e bagnata che venne quasi subito. Poi si alzò, si spogliò completamente e notai che si era completamente rasata. Mi chiesi se fossi io il beneficiario principale di quell’attenzione. Comunque mi dedicai con impegno a leccargliela a grandi lappate. Poi la girai e mi concentrai sul suo culo. Baciai anche quello, cercando di entrare con la lingua quanto più possibile. La sentii mugolare:

– Succhia, bambino mio, lecca cornutello, mio piccolo cucky boy. Fai contenta la mamma!

Si scatenò con me per quasi tutta la notte. Non l’avevo mai vista così disinibita. Porca. Si sedette sulla mia faccia, mi fece due pompini… Alla fine fui io a chiedere pietà:

– Portami a letto, Enrica, tienimi stretto e fammi le coccole, che presto sarò il tuo piccolo cornuto!

Quando alla fine mi addormentai, alle cinque del mattino, ero un uomo sull’orlo del collasso.

La mattina successiva ci svegliammo tardi ed Enrica mi accolse in cucina con un grande sorriso e una tazza di caffè fumante.

– Dormito bene, tesoro?

– Come un sasso!

– Non sei un po’ stanco per ieri sera? – disse con un sorriso mellifluo che mi ricordava quello dello Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie.

– Sono distrutto!, ma stai tranquilla: stasera sarò pronto per il secondo round!

– Piero…

– Cosa?

– Temo che per un po’ di ripetere l’exploit di ieri sera non se ne parlerà.

– Come? Perché?

– La prossima festa al “Toro, la Vacca e il Bue” è a fine mese e devi arrivarci al massimo dell’eccitazione sessuale. Quindi dovrai stare in completa astinenza da oggi e per le tre settimane che mancano. Desirée mi ha spiegato bene che in questo modo l’esperienza per te diventerà davvero indimenticabile. A questo serve il tuo regalo.

E estrasse da una scatolina uno strano oggetto di plastica e metallo con un piccolo lucchetto.

– Carina, no? è la tua gabbia di castità: si indossa sul tuo pisello, si chiude con una chiave che terrò io e impedisce l’erezione, così non solo non potrai avere rapporti con me, ma nemmeno ti potrai masturbare fino a quando non aprirò il lucchetto. Così sarai bello caldo per la tua prima cornificazione!

– Enrica, ti ha dato di volta il cervello! Astinenza? Gabbia di castità? Non accetterò mai una cosa simile! Guarda, mi pento di essermi messo in questo pasticcio. Rivoglio il mio matrimonio com’era prima!

– Piero, non essere irragionevole. è per il tuo bene!

– Enrica, il nostro rapporto sta andando a rotoli. Ora vado al lavoro, ma non so davvero se stasera tornerò a casa. Non vedo nessun futuro per noi.

E me ne andai furioso sbattendo la porta.

In ufficio cominciai rabbiosamente a lavorare, trattando male i clienti. Alle undici ricevetti una telefonata inaspettata.

– Desirée? Come mai mi chiami? Enrica ti ha mandato in avanscoperta?

– Piero, Enrica non sa che ti sto chiamando. è che devo scusarmi con te.

– Scusarti?

– Sì, questa storia dell’astinenza e della gabbia di castità è una mia idea e sono stata io a suggerirla a Enrica. Ho sbagliato. Tu non sei il tipo. Per esperienza so che la negazione sessuale aumenta moltissimo la libido e rende la serata della cornificazione indimenticabile, ma stupidamente mi sono basata sulla storia di altre persone e non ho considerato la tua situazione e sensibilità. Enrica è disperata e vuole fare pace con te.

– Ma figurati! Se torno a casa quello che mi aspetta è una gabbia di castità!

– No Piero. Enrica mi ha chiamato e mi ha detto che vuole che tu torni alle tue condizioni! La cosa più importante per lei e di non perderti. Niente astinenza, stai tranquillo!

– Alle mie condizioni? Sei sicura?

– Certo, Piero. Tu sei la cosa più importante per lei. Piangeva disperata, poveretta!

– Ma com’è possibile che abbia cambiato idea così rapidamente? Sembrava così determinata!

– Piero, forse questa fantasia delle corna non fa per voi. Infatti è una sciocchezza. Pensaci bene. Perché un uomo, qualsiasi uomo vorrebbe vedere la propria moglie nelle braccia di un altro? Pensa un momento: scegliertelo bello, grosso, forte, ben dotato. Assicurarti che sia un grande amante, molto meglio di te, controllare che il suo uccello sia almeno il doppio del tuo, quindi volere che tua moglie gli faccia un pompino e che lui venga nella sua bocca. Poi che lui la lavori con la lingua fino a farla urlare di piacere, molto meglio di quanto sai fare tu. E quindi che comincino a scopare. Che le faccia avere tutta la quantità di orgasmi che è in grado di sopportare quando tu molto spesso non sei in grado di provocarne neanche uno. E quando ha finito, che lei gli offra il suo culo, quello che ti ha sempre negato, e intanto che baci il suo amante, lo abbracci con amore e passione totalmente rapita dalla lussuria come non ha mai fatto con te, che si lasci massaggiare il seno in un modo in cui tu non sei capace. E che tu non veda l’ora che finisca e se ne vada per leccare via il suo sperma dei suoi orifizi, mentre lei quasi non si accorge della tua presenza. Perché mai un uomo normale vorrebbe una cosa tanto stupida?

Ci furono almeno venti secondi di silenzio.

– D’accordo.

– Come d’accordo?

– Mi metto la gabbia sul cazzo. Ma prima voglio scoparla ancora una volta.

– Affare fatto. Tua moglie non desidera altro!

Tornai a casa. Scopammo come conigli. Ci abbracciammo e ci coccolammo come sposini in luna di miele.

La mattina dopo, a colazione, davanti a un succo d’arancia e un caffè. Enrica affrontò il discorso.

– M’è arrivato il kit di benvenuto che ci spettava dopo aver pagato i 250 euro dell’iscrizione alla casa di Desirée.

– Come?

– Sì, il kit del cornuto. Il regalo per coloro che stanno per diventare cornuti. È una bella borsa. Ti faccio vedere cosa contiene?

– Certo, vediamo!

– è un tantino inquietante. Non vorrei che te la prendessi a male.

– Che cosa ci può essere di peggio della gabbia di castità?

Aprì la borsa. La gabbia di castità la conoscevo già. Poi mi mostrò una specie di canna di bamboo con un manico.

– E questo sarebbe?

– Questa è una canna. Serve per le punizioni.

– Punizioni?

– Sì, caro! Desirée mi racconta che di tanto in tanto le mogli amano punire i loro cornuti con una bella razione di scudisciate. Il cornuto, nudo, deve piegarsi a novanta gradi e ricevere i colpi sul sedere. Si fa in pubblico, davanti a tutti e rappresenta un bel divertimento per le altre mogli e i loro bull. Qualche volta la punizione viene somministrata da Chantal, sua figlia diciannovenne. Sembra che ci sia qualcosa di deliziosamente umiliante per i cornuti nel farsi sculacciare da una ragazzina.

– E perché, di grazia, vengono puniti i mariti?

– Forse una disobbedienza, o una mancanza di rispetto… non so. O forse solo per divertimento. Vedremo, lo imparerai presto.

Nella borsa c’erano anche una dozzina di mutandine da donna. Più che da donna da ragazzina: rosa, fucsia, lavanda, bianche con i pesciolini, verdi con le margherite…

– Ma queste sono per te, no?

– Ma no, Piero, sono per te! Per quando ti rinchiuderanno giù a cornolandia! È un passo verso la femminilizzazione dei cornuti, una specie di divisa. Vedrai, è un’ulteriore umiliazione. Molto sexy. E ridicola!

La mattina dopo la installazione della gabbia di castità fu uno spasso. Nessuno di noi aveva idea di come metterla e armeggiamo impacciati per venti minuti ridendo insieme e scambiandoci battute. Fu bellissimo.

Venti giorni dopo avevo la bava alla bocca e ero davvero eccitato come un mandrillo. Desirée aveva ragione. Guidando verso l’Oltrepò non pensavo ad altro che a togliermi la gabbia e ad avere un minimo di sollievo. Comunque con Enrica l’accordo era che avremmo provato questa volta, ma se uno di noi due si fosse trovato in imbarazzo non avremmo più ripetuto l’esperienza.

Quando arrivammo la situazione prese una piega inaspettata e non fui in grado di opporre la minima resistenza. Desirée ci aspettava sulla porta. Appena entrammo mi mostrò il collare di cuoio chiaro con impresso a fuoco il nome di mia moglie a indicare la mia appartenenza a lei e chiese a Enrica di che colore avrebbe voluto il nastro. Enrica rispose senza esitare:

– Rosa!

Desirée fissò il nastro rosa con una pinza apposita e me lo mise al collo. Quindi ci agganciò un guinzaglio e mi trascinò lontano da Enrica, giù per le scale verso cornolandia, dicendo:

– Enrica, scendi tra qualche minuto a preparare tuo marito per la grande serata!

Intanto mia moglie si avvicinò al bar e ordinò un martini. Nel giro di qualche minuto Lawall si fece avanti.

– Enrica? Ti ricordi di me? Sono Lawall, ci siamo conosciuti un mese fa all’Open Day. – Disse facendo cenno a Chantal di preparare un altro martini. – Vi siete decisi finalmente?

– Lawall! Certo che mi ricordo! Sì, vogliamo provare, almeno una volta per vedere come va.

– Enrica, non vorrei essere precipitoso, ma cosa ne pensi di inaugurare la tua nuova vita da cornificatrice con me? Ti va che io sia il primo a mettere qualche corno a tuo marito?

– Perché no?, siamo qui per questo!

Lawall le porse il braccio e Enrica lo prese. Chantal prese un campanaccio sul banco lo agitò sonoramente richiamando l’attenzione dei presenti e annunciò con voce stentorea:

– Attenzione! Lawall ha arruolato Enrica tra le sue amanti! Felicitazioni alla nuova coppia! Un bell’applauso!

Le mogli e i bull presenti alzarono i bicchieri e si cimentarono in un breve applauso di simpatia.

– Adesso scendi a preparare Piero. Ci vediamo dopo. Non vedo l’ora!

Intanto io venivo trascinato nel seminterrato dall’imperioso guinzaglio di Desirée con tutti gli altri cornuti. Ci tenevamo per mano per farci coraggio vicendevolmente. Mi ritrovai in uno spazio molto grande male illuminato e diviso in gabbie. Delle reti metalliche erano fissate al soffitto e al pavimento a formare delle piccole celle individuali, di due metri per due, o doppie, di due metri per tre. In alcune delle celle vedevo degli uomini. Qualcuno con delle mutandine da donna, altri nudi. Uno era in piedi in un angolo del muro, guardando lo spigolo a dieci centimetri di distanza, come in castigo. Aveva delle mutandine da donna calate alle ginocchia e segni rossi di severe frustate sulla schiena, sul culo e sulla parte alta delle cosce.

Desirée agganciò il mio guinzaglio al muro e se ne andò dicendo:

– Aspetta qui.

Dopo qualche minuto tornò con Enrica.

– Piero, sei pronto?

– Enrica, che cosa sta succedendo?

– Nulla caro. Mi sono messa d’accordo con questo Lawall. Te lo ricordi? Sarà lui a cornificarti.

– Enrica, aspetta, parliamo…

– Dài Piero, proviamo una volta! Adesso stai fermo che ti tolgo i vestiti.

Mi sbottonò i pantaloni e me li abbassò rivelando le mie mutandine da donna verdi con le margherite.

– Piero, alza i piedi.

E mi tolse i pantaloni. Poi mi sbottonò la camicia fino a lasciarmi nudo, a parte le mutandine.

– Entra nella gabbia, forza.

Enrica tornò di sopra. La guardai ancora una volta. Era vestita bene, sexy. Si capiva che voleva fare una buona impressione, con la sua gonna corta, i tacchi alti e la scollatura provocante. Mi ritrovai a pensare che tutto quello sforzo non era a mio beneficio e mi sentii ancora una volta solo e abbandonato.

Desirée mi guidò verso una gabbia doppia. Mi abbassò le mutandine e mi tolse la gabbietta di castità, usando la chiave che mia moglie le passò. Poi mi indicò la porta della gabbia dove c’era già un altro cornuto che mi guardava sorridendo: un’apertura di meno di un metro che richiedeva che per entrare ci si mettesse a quattro zampe. Desirée mi porse un cappellino bianco.

Lo guardai. Era come quello dei bagnini. Col pennarello nero erano disegnate due corna rudimentali e sul davanti c’era una scritta: “Corna Fresche”.

– Piero, dovrai indossarlo, solo per oggi.

Presi il cappellino quasi piangendo e entrai. Mi trovai faccia a faccia con l’uomo nella gabbia. Un piccoletto di mezz’età, quasi calvo con la pancetta e delle mutandine fucsia.

– Ciao, io sono Paolo.

– Scusa, ma non ho voglia di fare conversazione.

– Sei nuovo?

– Non si vede?

– È abbastanza evidente. Io invece sono un cornuto da molti anni. Sei fortunato: ho visto che tua moglie ti segue con affetto. La mia mi disprezza e quasi non mi parla, ma in fondo non mi dispiace di essere un cornuto. Niente responsabilità, niente stress.

Notai che il suo collare aveva il nastro azzurro. Oddio, mi sentivo male…

Intanto, di sopra, Enrica era seduta a un tavolino con Lawall, sorseggiando il suo martini.

– Enrica, ascoltami un minuto prima di andare in camera. Tutti ora si preoccupano di Piero e di come affronterà il trauma delle corna. Sicuramente per lui sarà molto difficile e avrà bisogno del supporto che tutti noi, e tu in particolare, gli potremo dare. Ma non sottovalutare i tuoi problemi. Tu adesso avrai la più grande soddisfazione sessuale della tua vita, te lo posso garantire. Ma quando avremo terminato è probabile che verrai assalita da rimorsi e sensi di colpa. Magari non subito. Almeno non fino a quando rimarrà fresco il ricordo dei tuoi orgasmi. Ma poi il pensiero del male che avrai fatto a tuo marito, visto che lo ami così tanto, potrebbe tormentarti e non farti pensare chiaramente. Ora, non devi lasciarti trascinare da questi pensieri. Dammi retta. Tu devi sentirti la coscienza pulita, devi avere la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta per te, ma anche per lui. Altrimenti comincerete col rinfacciarvi atteggiamenti e prese di posizione, vi darete degli ultimatum, vi sentirete amareggiati e molto probabilmente il vostro matrimonio non sopravvivrà. Enrica, non fraintendermi: tu sei una gran gnocca e io non vedo l’ora di darti due colpi, ma sinceramente non vali lo stress e la tensione di essere messo in mezzo nel crollo del vostro matrimonio. Io sono qui per divertirmi e per passare il tempo in modo spensierato. Guarda, Enrica, credimi. Faccio questo da quasi vent’anni. Ho cornificato molte decine di mariti, più di un centinaio. Tutti i casi sono diversi, qualcuno anche estremo (ho visto un marito che ha accettato di farsi rimuovere chirurgicamente i testicoli per permettere alla moglie di farmene dono in un vaso di vetro con la formaldeide), ma hanno sempre qualcosa in comune. Tuo marito ha cominciato un cammino che lo porterà a diventare un poveraccio, condannato a una astinenza sessuale completa e definitiva, come una specie di eunuco per il resto della sua vita. Non avrà nemmeno il diritto di masturbarsi. Eppure sarà preda di una costante e parossistica eccitazione sessuale che non avrà mai un sollievo. Sarà condannato a essere divorato dalla gelosia, della vergogna, dall’umiliazione e dal dolore fisico. Diventerà schiavo di te e dei tuoi amanti. Ma questa sarà la sua sola maniera di essere felice. Lui è un cornuto nato, gli ho fatto il test.

– Quale test? Non sapevo esistesse un test per i cornuti.

– Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? Abbiamo chiacchierato per qualche minuto. Io gli voltavo le spalle, ma a un certo punto ti ho carezzato un braccio, poi ti ho preso la mano. E infine ti ho sussurrato qualcosa in un orecchio. Ogni volta che c’è stato solo il sospetto di una possibile intimità tra noi due ho visto un sobbalzo nei suoi pantaloni, all’altezza del cazzo. Tutt’e tre le volte ha avuto un principio di erezione. È un cornuto, anche se ancora non lo sa per certo. La unica maniera per lui di essere felice è di abbandonarsi alla sottomissione e all’umiliazione. Se gli vuoi davvero bene devi sgretolare il suo amor proprio, il suo orgoglio maschile. Devi trasformarlo in un cucciolo scodinzolante e ubbidiente. Felice di servirti e di essere comandato. è un lavoro delicato, ma necessario. Devi esercitare una pressione leggera, ma costante, devi stare attenta a non spaventarlo. Deve essere sicuro del tuo amore per lui, dev’essere continuamente rassicurato, ma contemporaneamente deve imparare qual è il suo posto nel tuo ménage matrimoniale, in fondo in fondo, sul gradino più basso, dopo di te, dopo i tuoi amanti, dopo le tue amiche, dopo il cane e il gatto.

– Come mi devo comportare allora? è tutto così nuovo per me…

– Assolutamente non devi dimostrare il minimo rimorso. Non deve trapelare che sei pentita o dispiaciuta. Anzi, deve capire che le sue corna sono ormai nell’ordine naturale delle cose, come mangiare e dormire, ma che ciò non influirà minimamente sul tuo amore per lui (anche se tu avrai dei dubbi). Lo dovrai consolare, guidare, trattare con affetto. Dovrai essere la mamma, la compagna, la maestra. Dovrà arrivare al punto di sentirsi orgoglioso di essere cornuto.

Intanto i martini erano terminati e Lawall chiese a Enrica se fosse pronta. Mia moglie annuì e i due i avviarono verso la camera numero cinque e chiusero la porta dietro di loro. Lawall prese Enrica per le spalle e l’attirò a sé. La baciò con dolcezza, ma con maschia decisione. Il corpo di Enrica aderì al bacino di Lawall e lei avvertì la pressione del suo membro accomodato di traverso nei Levis 501 contro tutto il suo ventre. Mentre la baciava sentì un fremito, un sussulto nei pantaloni dell’uomo. Un principio di erezione, un presagio di cataclisma.

Cominciarono a spogliarsi.

+++++++++++++++++++++++++++++++++

Intanto io facevo amicizia con Paolo. Mi disse:

– Vedo che hai il nastro rosa. Vuol dire che questa sera sarai la mia ragazza?

– Non ho ancora capito.

– Non ti preoccupare, ho fatto questa cosa già diverse volte. Ho il lubrificante con me. Il mio pisello è così piccolo che non ti farò male. L’hai mai fatto con un uomo?

– No, è una cosa che mi fa schifo.

– Non è così male, in fondo. Mia moglie mi dice che vedermi con un uomo la eccita moltissimo.

– Ma quanto ci metteranno?…

– Generalmente dopo un’ora scendono a vederci. Poi risalgono per il secondo round e spesso c’è un terzo round.

– E allora quanto tempo dobbiamo restare chiusi qui?

– Aspettiamo almeno un’ora, poi ci diamo da fare in modo che quando le nostre mogli ci vengano a vedere ci trovino all’opera. Quindi passiamo quelle due o tre ore chiacchierando fino a che ci vengano a prendere per portarci a casa.

– Tu sembri sapere tutto di questo posto.

– Sono molti anni che vengo cornificato. Qui e altrove. Vedi, se la moglie ti vuole bene è divertente, ma la mia mi detesta e alle volte è proprio dura. Il suo bull mi tratta male e alle volte mi scaccia. Ma qui nella gabbia, con un altro cornuto, ritrovo il mio buonumore. Guarda, l’dea di mettertelo nel culo mi provoca un’erezione. Eppure non sono gay, ma i rapporti con le femmine mi sono ormai proibiti, quindi devo farmene una ragione.

Passò del tempo. Chiacchierai con Paolo come possono chiacchierare due uomini seminudi in una gabbia.

Alla fine Paolo disse:

– È quasi ora. Qui si aspettano da noi po’ di movimento. Ti spiace metterti a quattro zampe e abbassarti le mutandine?

Mi misi in posizione. Mi veniva da vomitare. Paolo prese il lubrificante e mi unse il culo tenendomi le chiappe aperte con due dita. Poi si piazzò dietro di me e cominciò a pomparmi con entusiasmo.

Io volevo morire.

A un certo punto alzai gli occhi e vidi mia moglie con Lawall che mi stavano guardando. Erano entrambi in accappatoio, ma Lawall lo teneva aperto e il suo cazzo era ben in vista, penzolando fino quasi alle ginocchia. Mi fece la linguaccia e poi fece un movimento col bacino e il suo enorme membro sventagliò davanti ai miei occhi. Appena lo vidi mi ricordò una bottiglia di coca cola da un litro e mezzo. Notai che era almeno lungo quanto l’avambraccio di mia moglie dal gomito al polso e altrettanto grosso. Quell’affare non avrebbe dovuto essere attaccato a un essere umano: avrebbe dovuto far bella mostra di sé in un museo di anatomia in un vaso sotto alcol, o in un circo insieme alla donna barbuta e agli altri fenomeni da baraccone.

L’umiliazione suprema. Io a quattro zampe davanti a mia moglie, un ridicolo cappellino in testa, le mutandine verdi con le margherite calate alle caviglie, uno sconosciuto che mi stava pompando ansimando nel culo e la mostruosità di Lawall davanti agli occhi. Non potevo che mettermi a piangere per la vergogna, il senso di inadeguatezza e l’umiliazione.

Lawall non aveva pietà.

– Forza finocchietti, datevi da fare! Signorine, aprite le vostre chiappe!

Mia moglie era abbandonata contro il suo corpo, la testa appoggiata nell’incavo del suo collo. Lo sguardo assente, gli occhi semichiusi. Mi mandò un bacio con un languido movimento della mano. Più che un bacio mi sembrò un saluto, un addio alla nostra storia, al nostro matrimonio, alla nostra intesa sessuale. Paolo venne nel mio culo. Io quasi non me ne accorsi. Lawall chiese a mia moglie se fosse pronta per il secondo round. Lei acconsentì, quasi senza volontà. Li vidi allontanarsi verso la scala, lentamente, senza mai voltarsi. Mia moglie aggrappata al braccio di Lawall, camminando in un modo strano, come se non riuscisse a chiudere le gambe. Sempre più lontano, sempre più distante da me.

– Sembra spaventato a morte. – disse mia moglie.

– È quello che ti dicevo. All’inizio i nuovi cornuti passano una fase di estrema fragilità. Vedrai che domattina, sulla via del ritorno, ti dirà che non desidera continuare. È il momento peggiore per lui. È per questo che qui alla casa ci andiamo piano. Dovrai dare il meglio di te stessa. Non sarà facile.

Enrica annuì. Intanto erano arrivati davanti alla camera numero cinque, dove un cornuto con i baffi e un costume-minigonna da cameriera francese aveva appena cambiato le lenzuola e stava uscendo camminando rasente ai muri con gli occhi bassi e le lenzuola usate in mano. I due entrarono. Lawall aiutò mia moglie a togliersi l’accappatoio. Lei, nuda, si sdraiò sul letto rifatto di fresco mentre Lawall le si avvicinava con la sua enormità in mezzo alle gambe che, pulsando, si rizzava. Lei allargò le cosce e chiuse gli occhi. Passiva, abbandonata. Completamente sua.

+++++++++++++++++++++

Erano ormai quasi le quattro del mattino quando Enrica scese a liberarmi dalla gabbia nel seminterrato. Con lei c’era un’altra donna, che seppi poi trattarsi di Cristina, la moglie di Paolo. I loro bull non si vedevano da nessuna parte. Enrica era impacciata e non sapeva cosa fare, mentre Cristina si capiva che conosceva bene il posto. Trovò subito le chiavi della gabbia, aprì una cassapanca e recuperò i nostri vestiti, accese una luce supplementare trovando subito l’interruttore. Ci tolsero i collari e ci vestimmo in fretta, ansiosi di tornare a casa e di terminare l’incubo di quella serata. Notai che Paolo si sistemava le sue mutandine fucsia, mentre io le mie le lasciai per terra, pensando “Mai più! Mai più!”. Intanto che ci rimettevamo i vestiti, le due mogli non facevano altro che chiacchierare sottovoce, in modo che non sentissimo. Guardai Enrica. Capii subito che da quel momento avremmo avuto dei problemi seri: lei sembrava soddisfatta e appagata, rilassata e contenta. Io invece schiumavo dalla rabbia. Anelavo al sesso che mi aveva promesso dopo le tre settimane di astinenza, ma non ero disposto a pagarne quel prezzo, quello che avevo pagato durante la notte di vergogna, gelosia, umiliazione, preoccupazione, senso di inferiorità e di inadeguatezza, stress e apprensione.

Uscendo tutti e quattro assieme con le mogli che chiacchieravamo amabilmente tra loro, Paolo disse:

– Sembra che le nostre signore abbiano fatto amicizia! La prossima volta che venite possiamo trascorrere un po’ di tempo insieme per conoscerci meglio.

– Mi spiace, Paolo, ma noi non verremo più, neanche morti. – dissi acido. – Non per colpa tua, non ho niente contro di te, ma questo posto mi mette troppa paura.

– Pazienza. Ma se vuoi parlare questo è il mio biglietto da visita. Chiamami quando vuoi. – disse allungandomi un cartoncino bianco.

Pensai all’assurdità di quello che era successo. Io stavo cominciando incredibilmente a fare amicizia con uno che me l’aveva appena messo nel culo. E che io avevo lasciato fare, devo dire nemmeno troppo controvoglia, un po’ perché volevo compiacere mia moglie che mi stava guardando e un po’ perché ero eccitato come un animale dopo tre settimane di astinenza forzata e Paolo era l’unico partner a portata di mano. Cominciavo a capire i carcerati che si facevano fra di loro…

Il viaggio di ritorno nella notte invernale verso Milano, nelle strade deserte, fu silenzioso. Nessuno dei due aveva voglia di parlare e immaginavo che Enrica, come me, stesse rivivendo gli avvenimenti della notte. Alla fine fu lei a rompere il ghiaccio:

– Allora, Piero, cosa ne pensi?

– Una notte orribile, Enrica. Mai più, mai più. Ti ricordo che eravamo d’accordo che se uno di noi due si fosse trovato male avremmo messo fine a questa esperienza. Ecco: io dichiaro ufficialmente di essermi spaventato a morte e pretendo che non se ne parli più.

– Mi sembrava di aver capito che ti sentissi abbastanza negativo al riguardo. Ti direi di lasciar decantare la cosa e di parlarne con più calma domani o dopo per prendere una decisione definitiva.

– Enrica, possiamo parlarne fin che vuoi, ma non cambierò opinione. Ci ho provato, no? Devi ammettere che ci ho messo tutto l’impegno possibile per farmi piacere questa storia delle corna, ma proprio non ce la faccio. è una cosa insopportabile per me. Non lo voglio più rifare. Punto.

– Ok. Ti capisco. Dev’essere stato traumatico per te, te lo si legge in faccia. Ma ti voglio porre una domanda. Puoi giurare che in nessun momento durante la serata, nemmeno per un istante, tu ti sia sentito… come dire… stimolato, eccitato per quanto stava accadendo?

– Non ti so dire, Enrica. Ero talmente terrorizzato, sono stato preso tutta la notte da una agghiacciante sensazione di abbandono che non sono riuscito a pensare ad altro.

– È quello che mi diceva Lawall. Lui sostiene che questo è quello che capita ai mariti appena cornificati. Dice che voi nuovi cornuti siete così spaventati dall’idea di perdere le vostre mogli in favore degli stalloni come lui, che spesso volete prendere decisioni drastiche e definitive. E guarda che ti capisco: certe cose hanno spaventato a morte anche me. Ma ti chiedo solo di non decidere ora, a caldo. Aspettiamo che ci passino i nervi. Vuoi?

– Spaventata? Tu? Quali cose dici che ti avrebbero spaventata?

– Ti ho visto stanotte mentre lo prendevi nel culo da un altro uomo, Piero. Da un lato non posso negare di essermi sentita eccitata, ma dall’altro, non so nemmeno perché, ho provato una grande paura. Per me, per te, per noi. Mi hai preoccupato moltissimo. Lo so che non c’è nessuna coerenza nei miei sentimenti, ma riesci a capirmi, Piero? Poi ho visto come hai buttato via con rabbia le tue mutandine verdi con le margherite. Ho pensato che volessi buttare via anche me, insieme a loro!

Non dissi nulla. Pensavo che non se ne fosse accorta.

– Parliamone ancora domani, Piero. Con calma. Poi se proprio deciderai di smettere io sarò d’accordo con la tua scelta. Perché devi sapere che qualsiasi cosa accada domani io amo e amerò sempre solo te. Devi credermi e non avere il minimo dubbio.

– Va bene, Enrica. Ma stai certa che non cambierò idea. Voglio farla finita con questa storia. Davvero.

Intanto eravamo arrivati a casa. Parcheggiai nel box e andammo subito a letto. Erano ormai le cinque del mattino ed eravamo distrutti.

++++++++++++++++++++++

La mattina successiva, domenica, per colazione mi trovai succo d’arancia fresco e brioches calde della panetteria sotto casa. Enrica si era data da fare. Lo sospettavo. Sicuro che volesse mettermi di buon umore per affrontare al meglio la discussione-scontro che ci aspettava. Io ero preoccupato e sapevo che lo era anche lei.

Finita la nostra seconda tazza di caffelatte, sospirammo quasi nello stesso momento. Ci venne da sorridere.

– Eccoci qua, quindi. Io sono un cornuto e tu una traditrice. Non sono contento per nessuna delle due cose e voglio che il nostro esperimento termini qui. Senza recriminazioni, senza drammi e senza nemmeno parlarne troppo. A te la palla.

– Non sai come ti capisco. Ma prova a vedere tutto l’insieme dal mio punto di vista: credo che si debba prendere questa cosa come un divertimento, un passatempo per rilassarsi. Non vedo una minaccia in un gioco che potremmo fare una volta al mese o anche meno spesso e che, anche se capisco che per i mariti possa essere vissuta al principio con un pizzico di paura, alla fine dovrebbe essere eccitante e divertente.

– Enrica, quella che si è divertita sei stata tu. Io sono rimasto seminudo chiuso in una gabbia con uno che me lo metteva nel culo, mentre Lawall mi sventolava il suo uccello davanti agli occhi dopo averti scopata a morte! Non ho mai provato un’umiliazione simile! Quello è stato il momento che mi ha fatto decidere di chiudere con questa fantasia cuckold!

La vidi aggrottare la fronte quando menzionai quanto Lawall aveva fatto col suo cazzo. Capii che non se ne era neanche accorta.

– Ne parlerò con Lawall. Certamente lui l’avrà fatto solo per aumentare la tua libido, non per offenderti, ma posso capire che tu l’abbia presa a male. Non succederà più. Dico, anche se decidessimo di continuare.

E poi continuò:

– Guarda, Piero, penso che sia troppo presto per decidere di smettere. Dovresti dare a questa tua fantasia un’altra possibilità. Capisco che all’inizio sia difficile per te, ma credo che una sola serata non sia sufficiente per avere le idee chiare e non vorrei che tra qualche mese sia ancora tormentato dalle tue fantasie e ti pentissi di avervi rinunciato. E poi ci sono anch’io, con le mie necessità, che invece vorrei provare almeno un altro paio di volte. Conterò pur qualcosa in questo matrimonio, no? Sono sicura che alla fine ne scaturirà qualcosa di positivo per te e per noi.

– Enrica, chiariamo bene una cosa. Un dubbio che m’è venuto parlando con Paolo. Stai pensando alla fine di questo percorso di negarmi il sesso? Per sempre?

– Beh. No, naturalmente. So che questo è la normalità per i cornuti, ma certamente non lo sarà per noi. Te lo garantisco.

– Quindi se nel futuro io ti chiedessi di fare l’amore tu accetteresti sempre, senza condizioni, anche se il tuo bull non fosse d’accordo?

– Beh, No. Anzi, sì. Certo. Tu sei mio marito e vieni prima di tutti gli altri.

– Enrica. Tu hai esitato! Non sei sicura nemmeno tu. Significa che ci saranno regole nel nostro matrimonio che nemmeno noi siamo in grado di cambiare. E qui finisce la nostra discussione. Il nostro esperimento è terminato. Punto. Chiuso. Basta.

Vidi l’espressione di frustrazione sul suo viso, ma disse:

– Accetto il tuo volere, Piero. Avrei voluto provare qualche altra volta, perché penso che una sola serata non sia sufficiente per capire tutti i vantaggi e le implicazioni di uno stile di vita cuckold, ma pazienza.

– Hai detto che accetti, giusto? Argomento chiuso. Per sempre. – Mi alzai in piedi e aprii le braccia per stringerla a me. Lei si avvicinò sospirando senza troppo entusiasmo. Le cose sarebbero state abbastanza tese e fredde per qualche tempo, ma ero sicuro che in breve saremmo tornati una coppia felice come prima.

+++++++++++++++++++++++++++++++

– Quindi gli hai parlato. – disse Lawall.

– Sì. Come ti ho detto al telefono non c’è stato verso, proprio come avevi previsto tu. Ogni cosa che gli dicevo gli entrava da un orecchio e gli usciva dall’altro. Non c’è stato nessun argomento capace di fargli accettare un modo di pensare più “libero”. Non so più come fare.

– È abbastanza comune con i cornuti novelli. Ma di solito alla fine si rassegnano. Una cosa che li spaventa è il fatto che io sia nero, grosso e minaccioso. Sai, l’Uomo Nero dei loro incubi infantili. Ma quando capiscono che l’Uomo Nero non li mangerà, ma che anzi gli si può diventare amico, poi alla fine finiscono per accettare la situazione con tranquillità. Questo passo, però, è un lavoro delicato che ti tocca. Anzi, tocca anche a me. Cosa ne diresti se cercassi di parlargli? A me il compito di fargli capire di non essere una minaccia e a te quello di farlo sentire assolutamente certo del tuo amore e del tuo rispetto per lui. Voler essere cornuto è un suo desiderio irrefrenabile, ma non lo vuole essere a spese della perdita del tuo amore per lui.

– D’accordo. Facciamo così. Ma basta parlare per oggi. Mi vuoi trombare ancora o no? – disse Enrica afferrandogli il membro stupendosi di nuovo del fatto che, impugnandolo, la sua mano sembrasse così piccola e non riuscisse a congiungere il pollice con l’indice.

Erano entrambi nudi seduti in cucina a casa di Lawall, a Parma, davanti ad una tazza di caffè. Lei si alzò e tenendolo per il cazzo lo guidò verso la camera da letto. Si sdraiò con le gambe larghe, pensando a come le pareti della sua passera fossero ancora indolenzite dal sabato precedente.

– Quella cosa che hai in mezzo alle gambe è davvero spaventosa.

– Dev’essere così come dici. Non sei la prima che me lo fa notare.

Quel giorno in ufficio il lavoro era stato pesante e impegnativo. Ero stanco e non vedevo l’ora di tornare a casa, mettermi in pantofole, cenare leggero, mettermi davanti alla tv per un po’ e magari, poi, a letto, fare sesso con Enrica.

Quando aprii la porta, però, vidi un cappotto maschile sconosciuto appeso all’attaccapanni in anticamera. Aggrottai la fronte, un tantino preoccupato. In sala, seduto sul divano accanto a mia moglie, c’era Lawall. Mi sentii gelare.

– Piero, sei arrivato. Guarda chi è passato a salutarci! Ti ricordi di Lawall, vero?

L’omone si alzò, facendo sembrare la mia sala più piccola, e mi tese la mano. Che io ignorai.

– Enrica, eravamo d’accordo che non ne avremmo parlato più. Cos’è adesso questa storia?

– Piero, è passato solo per fare quattro chiacchiere, in fondo è un amico, no?

– Lasciami indovinare: è venuto a casa mia a cercare di convincermi a tornare alla casa di Desirée, giusto?

Lawall rise forte.

– Già. Qualcosa del genere, ma Enrica mi stava dicendo che non te la senti. Nessun ripensamento? Neanche se te lo chiedo io?

– Assolutamente nessuno.

– Beh, è un peccato, ma pazienza. Questa mia visita ha anche un altro motivo. Ti voglio invitare a casa mia, a Parma. Darò una festa domenica e mi piacerebbe che venissi. Con tua moglie, naturalmente.

– Già, mi immagino che razza di festa sarà: un’orgia di stalloni e mogli con i cornuti a servire ai tavoli. Magari io sarò l’unico cornuto! No, guarda, mi spiace, ma niente da fare.

– No Piero. Nessuna orgia e nessun cornuto. è un piccolo ricevimento con una ventina di persone. Colleghi, amici, vicini di casa… Una normale festa per inaugurare il mio nuovo appartamento. Sarà carino, vedrai. Nessun trucco. Solo un’opportunità per conoscerci meglio.

La verità è che mi fece pensare. Fino a quel momento avevo visto Lawall solo come uno stallone nero e selvaggio, ma certamente doveva avere una vita, una casa, un lavoro normale, magari una famiglia. Non ci avevo mai pensato e dovetti dire che la cosa mi incuriosiva.

– Mi potete promettere che non riceverò nessuna pressione per fare cose che non voglio fare? Nessuna umiliazione, nessuna cornificazione?

Non sono un cretino: sapevo benissimo che alla fine ci sarebbe stato un tentativo di farmi riconsiderare la decisione che avevo preso, ma in fondo mi piace rischiare e ero convinto di poter gestire l’eventuale pressione.

– Tranquillo. Al massimo ti chiederò di guardare le salsicce sulla griglia di tanto in tanto.

– Allora.. quasi quasi, se Enrica è d’accordo, mi piacerebbe fare un viaggio fino a Parma.

– Certo che sono d’accordo. – disse Enrica.

– Perfetto. Vi aspetto domenica a mezzogiorno: Carne alla griglia, vino, insalate… ci divertiremo.

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La festa a casa di Lawall era davvero simpatica. C’era molta gente, almeno il doppio delle venti persone previste, molta allegria, l’atmosfera era contagiosa. Enrica ed io non conoscevamo quasi nessuno, a parte Lawall e un paio di facce che avevamo visto alla casa. C’era anche Paolo, che ci salutò con calore. Disse di essere arrivato con Cristina. Mi fermai a parlare con lui, mentre Enrica ci lasciò per dirigersi verso il bar. Ero curioso di sapere se era riuscito a capire di che cosa stessero discutendo le nostre mogli uscendo dalla casa quella famosa notte.

– Niente, i soliti discorsi da donne. Cristina stava spiegando a tua moglie che per punirmi preferisce usare la canna invece del paddle.

– Come? Di cosa stai parlando?

– Sì, il paddle, sai, quella specie di mazza da cricket, quel legno piatto con il manico. Serve per sculacciare. Mia moglie pensa che sia meglio la canna e lo spiegava a Enrica.

– Sono esterrefatto! Che cosa mi stai dicendo!?

– Cristina è convinta che il paddle sia poco pratico. La canna la tieni nel portaombrelli e se viene qualche ospite in visita sembra del tutto normale. Il paddle invece si fa notare e tutti ti chiedono a cosa serva. Anche tua madre o tuo fratello, i bambini… Poi, quando ci sono invitati e lei decide di punirmi, mi chiama un momento in camera, mi fa abbassare i pantaloni e mi dà qualche sferzata ben assestata sul culo. Fa un male cane, ma nessuno se ne accorge. Col paddle, invece, il rumore lo sentono tutti e la cosa diventa davvero imbarazzante. Oddio, non che il paddle non sia efficace, ma..

Intanto vidi Cristina arrivare. Mi salutò senza troppo entusiasmo e mandò Paolo a prenderle un panino con la salsiccia e un bicchiere di vino, Poi mi chiese di Enrica. A quel punto mi accorsi di essermela persa e andai a cercarla tra la folla. Non c’era. Nemmeno tra quelli che, messisi la sciarpa, erano usciti sul terrazzo a fumare.

Pensai che fosse andata in bagno e cominciai a gironzolare nella zona notte. Vorrei non averlo fatto. Aprii la porta di una camera da letto degli ospiti vicino al bagno. Lawall, nudo, enorme, stava montando mia moglie con grande vigore. Lei lo teneva stretto con le gambe sopra di sé.

Decisi di interrompere il loro idillio d’amore.

– Non ce l’avete fatta a mantenere la vostra parola, vero? Dovevate cornificarmi anche oggi, mentre avevate promesso di non farlo, giusto?

Lawall si voltò, leggermente preoccupato. Mia moglie alzò appena la testa per guardarmi al di sopra della sua spalla, cercando invano senza troppo ardore di togliersi da sotto la sua mole.

– Hei, giovanotto. Non è niente, un momento di debolezza, non c’è da preoccuparsi e non è quello che ti sembra. – sbottò Lawall.

– Mah! A me pare che voi due stiate cornificandomi con tutto il vostro impegno. Una cosa che avevate detto che non avreste fatto, Ma credo che ormai raccontare balle sia diventata la vostra seconda natura.

– Piero, aspetta. Ragioniamo. Andiamo a casa e parliamone.

– No, basta. Non c’è più niente da dire. Non cercare di fermarmi. Tra noi è finita.

Scesi in strada, presi la macchina e me ne andai. Via, lontano.

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L’appartamento ammobiliato che trovai era una topaia. Freddo, sporco, rumoroso, pieno di scarafaggi. A Quarto Oggiaro, poi. Ma non avevo troppi soldi da spendere e non avevo la testa per cercare qualcosa di meglio.

Quale non fu la mia sorpresa quando dopo qualche settimana sentii suonare il campanello.

– Beh, non sei messo troppo male. Carino il tuo appartamento. Piccolo, ma funzionale.

– Certo, se non ti dispiace condividerlo con topi e scarafaggi. Ma, scusa, cosa ci fai qui, Paolo?

– Ho saputo che te ne sei andato da casa. Lawall lo ha detto a Demetrius, il bull di mia moglie, e così l’ho saputo. Stai bene?

– Insomma… A parte tutte la tensioni, i pianti e gli strepiti… Sì, non sto male. E tu?

– Io sono nella merda. Cristina mi ha buttato fuori di casa. Lei non voleva, ma Demetrius si è imposto. Non mi vuole tra i piedi e lei non ha la forza di contraddirlo. Credo che si sia infatuata di brutto questa volta.

– Sembra che i nostri destini siano simili, no?

– Cosa vuoi che facciamo al riguardo?

– Non ne ho idea. Io prendo le cose giorno per giorno, ma non sono per niente contento.

– Neanch’io. Per la verità, però, a quanto mi risulta, tua moglie è estremamente preoccupata per te.

– Non mi pare proprio. Non è che abbia fatto chissà quali sforzi per trovarmi.

– Invece ti ha trovato. Sa benissimo dove sei, solo che si vergogna a incontrarti.

– E tu come lo sai?

– Me l’ha detto proprio lei, una volta che è venuta a trovarci prima che Demetrius mi scacciasse. Era in lacrime. Il fatto è vuole che tu torni, ma non vuole rinunciare a Lawall. Mi ha chiesto di fare qualcosa per i suoi due ragazzi. Tu e Lawall.

– Ah, mi vuole cornuto e contento.

– Già. Proprio così. Molto cornuto e molto contento.

– Se lo può sognare, mio caro.

– Piero, ascoltami. Noi siamo solo dei cornuti. Voglio dire, il nostro destino è questo, non ci possiamo fare niente. Possiamo gridare, lamentarci, piangere, ma alla fine quello che vogliamo è che le nostre mogli ci mettano le corna. E loro? Loro sono delle fedifraghe. Non possiamo aspettarci che siano soddisfatte dalle nostre ridicole prestazioni sessuali. Guarda, ti racconto un fatto. Quando Cristina mi ha comunicato che non avrebbe più fatto sesso con me, io mi sono opposto, ho protestato, ho fatto casino. Allora lei mi ha invitato a vedere una volta Demetrius all’opera. Quella sera mi sono seduto accanto al letto, con la luce accesa mentre Demetrius le saliva sopra. A parte le dimensioni (ci vogliono almeno sei cazzi come il mio par fare il suo) quello che sbalordisce è la potenza. Quell’uomo è una trivella. è capace di pompare a tutta per delle mezz’ore, senza mai venire. Conosce tutti i segreti, tutte le posizioni, tutti i trucchi. è in grado di metterle il suo enorme tarello nel culo senza farle male. Cristina, appena Demetrius si abbassa le mutande, comincia letteralmente a sbrodolare, come una giumenta alla monta. Lui fa di lei ciò che vuole: si siede sul letto, la prende e si porta le parti del suo corpo che vuole baciare alla bocca, come se fosse a tavola. La solleva, la gira, la rigira senza nessuno sforzo. Per baciarle la patata l’ha presa per i fianchi e l’ha messa a testa in giù, portandosi la sua fica grondante alla bocca, mentre Cristina sgambettava in aria. Lei godeva in maniera incredibile. Per la prima ora l’ha cavalcata freneticamente senza un attimo di pausa. Poi s’è alzato, ha bevuto un bicchiere di limonata, e ha ripreso a trombarla per un’altra ora. Questa volta è venuto tre volte e le ha depositato nei suoi orifizi mezzo litro di sperma. Quando se n’è andato mia moglie non riusciva neanche ad aprire gli occhi, era in uno stato comatoso, dopo almeno quindici orgasmi. S’è addormentata di schianto con le gambe aperte e lo sperma che colava a formare un lago sul lenzuolo. Dopo un paio d’ore si è svegliata e mi ha detto: “Hai visto? Quando sarai capace di fare ciò che fa Demetrius mi potrai scopare anche tutti i giorni. Altrimenti lascia perdere, il sesso non è roba per te”. Come darle torto? Io non sono all’altezza. Non voglio neanche provare a competere. Sono felice con la mia gabbietta di castità che mi protegge dallo stress e da paragoni imbarazzanti.

– Caspita!

– Perciò ti dico che io sono invidioso di te, che vorrei essere al tuo posto, avere una moglie che mi rivoglia indietro, corna o non corna. Ci vogliono bene, non c’è dubbio, ma certo hanno bisogno di qualcosa in più di quello che possiamo dar loro, noi, povere mezzeseghe.

– E allora cosa intendi fare?

– Non ne ho idea, come non ce l’hai tu. Piero, te lo dico sinceramente: io non ho problemi con le corna. Mi sta benissimo che Cristina abbia il suo bull e sono contento di essere il suo cornuto. Ma andare a letto la sera da solo, senza coccole, senza calore umano, senza confessioni a voce bassa a luce spenta, senza carezze né bacio della buonanotte è proprio dura, è troppo dura e non so se ce la posso fare.

– Paolo, siamo sulla stessa barca. Io ho bisogno della mia donna, ma ormai lei non sembra aver più bisogno di me. Non capisco come abbia fatto a permettere che le cose prendessero questa piega e che nel giro di poche settimane sia passato da un matrimonio normale e felice a questo buco puzzolente e solitario. E non so cos’è stato. La gelosia, forse? Chissà.

– Non so cosa dirti. Nel mio caso è stato Demetrius a cacciarmi, anche se me l’ha fatto dire da Cristina, Che stronzo! Lascia fare il lavoro sporco alle donne! E ora sono disperato e passo le mie serate nei bar a bere.

Chiacchierammo ancora per qualche minuto prima che se ne andasse, ma era chiaro che nessuno dei due avesse la minima idea di come uscire da questa nostra condizione di infelicità.

Passarono altre settimane di cupa malinconia e solitudine. L’avvicinarsi della primavera non mi portava nessun sollievo. Persino Paolo non si faceva più vedere. Cristina l’aveva ripreso con sé, convincendo Demetrius, il quale però aveva insistito per somministrargli in cambio una dura punizione con lo spanker. Quella domenica stavo passando un’altra serata davanti alla tv, quando suonarono alla porta.

Dallo spioncino vidi la inconfondibile sagoma di Lawall.

– Ciao, Piero. Che fai? Guardi il Milan? Quanto stiamo?

– Due a due.

– Quanto manca?

– Neanche un quarto d’ora.

– Possiamo ancora perdere, allora. Ce l’hai una birra?

Lo feci accomodare e gli presi una lattina dal frigo.

– Non sarai venuto a trovarmi per guardare il Milan in tv, no?

– Certo che no. Ti devo parlare di Enrica, ma prima voglio sgombrare il campo rispondendo a due domande che ancora non mi hai posto, ma che vedo hai sulla punta della lingua. La prima: sì, voglio continuare a trombarmi tua moglie. La seconda: sì, anche lei vuole che continui a trombarla. È tutto chiaro fin qui?

– Chissà perché, ma l’avevo intuito.

– Ma c’è un problema.

– E allora?

– Ed è un problema anche tuo.

– E allora?

– Il fatto è che Enrica è furiosa. Con me, con te, credo anche con sé stessa.

– E allora?

– Non sei molto collaborativo, mi pare.

– Non molto, vista la mia situazione. Senti, Lawall, dì quello che devi dire e poi lasciami ritornare alla partita.

– Devi provare un’altra volta, Piero.

– A fare che cosa?

– A tornare a casa, a lasciare che lei sia la tua cornificatrice e tu il suo cornuto. È nel vostro interesse, sia tuo che suo. E nel mio, anche, perché no?

– E sei venuto fin qui, conoscendo benissimo tutta la nostra storia, per farmi questa ridicola proposta? Hai voglia di scherzare!

– Piero, la vostra storia dimostra solo che vi amate alla follia e che tu stai rovinando tutto per questo mito del “grosso cazzo nero”, che pensi ti voglia portar via la moglie. Non c’è niente di più lontano dalla verità. Ti dirò di più: lei non è qui con te solo per colpa delle tue paure.

– Davvero?

– Guarda, te lo dico sinceramente: Anch’io voglio che sia tu quello che alla sera vada a letto con lei, che la ami, che la coccoli, la protegga e provveda ai suoi bisogni. E certo, anche che le permetta di avere i suoi piccoli passatempi di tanto in tanto con me.

– Cosa ti fa pensare che questa proposta possa minimamente interessarmi?

– Stai scherzando, no? Si vede benissimo che lei ti manca quanto tu manchi a lei. E l’unica cosa che si frappone a questa vostra felice vita in comune è il tuo smisurato ego, il tuo orgoglio maschile. Piero, tornare a essere felice per te è facile. Basta volerlo.

– Sarà, ma l’orgoglio è l’unica cosa che m’è rimasta e non ci posso rinunciare. Ed è proprio lui che mi fa essere così contrario a tutto questo stile di vita cuckold che voi apprezzate tanto.

– Ok. Ma credimi: l’ho visto tante volte in passato. Questo problema tra voi si può risolvere, lo potete superare con un po’ di buona volontà. Ne sono assolutamente sicuro e te lo posso garantire. La vostra felicità è dietro l’angolo.

Lo guardai negli occhi. Lessi genuina preoccupazione e sincerità. E anche dell’altro, un’ombra indefinibile, come un invito a leggere tra le righe cose che non mi poteva dire esplicitamente.

– Vabbe’ ci penserò. I tuoi argomenti non sono banali. Ma dille che io non mi posso accontentare di vaghe speranze. Esigo certezze. Se lei è disposta a garantirmele allora ne possiamo parlare.

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– Questo è quello che ha detto. – Disse Lawall

– Scusa, ma come t’è venuto in mente di andare da lui?

– Enrica, sono stufo di vederti affondare nelle tue preoccupazioni e nei tuoi rimorsi! Ti ripeto: sei una gran gnocca, ma io non sono disposto a lasciar perdere il mio stile di vita per te. Io mi faccio mogli con consenso dei mariti. Questo è il mio divertimento. Se i mariti non sono consenzienti non mi diverto un gran ché.

– Avresti potuto almeno parlarmi prima di andare da lui.

– Ok. Mi picchi dopo. Prima ti do due colpi. – disse sbottonandosi i pantaloni.

Bussai.

– Entra, Piero.

– Non c’è Paolo?

– No, è fuori città.

– Ma, Cristina, m’avevi detto al telefono…

– Lo so. Ma è con me che devi parlare, non con gli inetti come lui. E come te, se non l’hai ancora capito.

– No, Cristina, era con Paolo che…

– Balle Piero. Tu vuoi un consiglio su come uscire da questa situazione insopportabile in cui ti sei cacciato con le tue mani e come fare a tornare con tua moglie senza perdere la faccia. Te lo do io, il consiglio. Enrica ti vuole, stupido. E vuole anche lo stile di vita a cui tu stesso l’hai iniziata. Allora è inutile che perdi tempo a parlare con questo o con quello. Con lei devi parlare, smidollato! E trovare un accordo.

– Non sono uno smidollato!

– Vabbè, sarà. Smidollato, inetto, inutile, mezza calzetta… chiamati come vuoi. Adesso vattene. Chiamala. Oggi, però, non a Natale. E finiamola una buona volta con questo tormentone di Piero ed Enrica che ormai va avanti da quest’autunno. Non ne possiamo più!

E mi accompagnò alla porta.

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Enrica aveva venti minuti di ritardo. Erano quasi le due quando entrò, affannata e scarmigliata, da “Rosy e Gabriele” dove la stavo aspettando per pranzo.

– Scusa, Piero, ma ho finito la benzina e sono rimasta a piedi sui bastioni.

Infatti quando vivevo con lei ero io ad occuparmi di queste cose e controllavo sempre i livelli di benzina, olio e altri fluidi delle nostre auto. Senza di me, Enrica era persa. Forse anche il fatto che il mio reddito avesse cessato di entrare in casa aveva reso le sue finanze abbastanza critiche e la vita più difficile, sebbene avessi sentito che Lawall qualche volta si facesse carico delle bollette,.

– Senti, Piero, non ho avuto modo di scusarmi con te per quanto è successo alla festa di Lawall. Ti giuro, non so cosa mi abbia preso, non ho scuse, Ho sbagliato. Non sarebbe dovuto accadere.

Arrivarono i risotti e il vino. Attaccando i primi mi schiarii la voce.

– Enrica, secondo te, quale dovrebbe essere la conclusione ideale per la nostra storia? Se potessi scegliere la soluzione ottimale per te, quale sarebbe?

– Piero, io voglio che torni a casa! A qualsiasi costo! Ho parlato a lungo con Lawall e lui dice che forse dobbiamo smetterla con questa storia delle corna e tornare ad essere una coppia normale, Piero! Davvero! Non ce la faccio più. Torna da me, Piero, posso fare a meno del suo mostruoso uccello, ma non posso fare a meno di te.

– Enrica…

– Dimmi.

– Ho parlato con Cristina. Mi ha aperto gli occhi. Io sono un cornuto, me l’ha fatto capire lei. Enrica, ho bisogno, un bisogno spasmodico, che tu mi metta le corna col tuo bull. Ho bisogno di consegnare nelle tue mani la mia vita sessuale, affinché tu ne faccia il miglior uso.

– Come?

– Sì, Enrica. Cristina me l’ha fatto capire con chiarezza. Sono un inetto. Il mio desiderio è di vederti soddisfatta e felice, anche al di fuori di ciò che posso fare io per te. Ho pensato molto, ho guardato dentro di me. Non lo accettavo all’inizio, ma adesso tutto mi è chiaro. Se mi riprendessi con te io non ti porrò più nessuna condizione, nessun limite. Coltiverò solo la speranza che di quando in quando tu mi gratificherai con qualche pietosa sessione di sesso di consolazione, se non ti sarà di troppo disturbo.

– Piero, sei sicuro? – Mi guardò dubbiosa.

Parlammo ancora per tutto il pranzo. Lei non poteva credere a questo mio subitaneo cambiamento di posizione, ma alla fine lo accettò.

Pochi giorni dopo ero di nuovo a casa mia. Lei mi assicurò che di tanto in tanto avrei ancora potuto fare l’amore con lei e che mi amava troppo per negarmi il sesso in maniera definitiva.

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I giorni successivi servirono alla preparazione della cerimonia della mia iniziazione al “Toro, la vacca e il bue”, che era prevista per la settimana seguente. La cerimonia avrebbe sancito il mio ruolo di cornuto permanente e definitivo, sottomesso ai capricci di mia moglie.

Quando il giorno arrivò io ero pronto. Impaurito, ma deciso.

Lei era bellissima, elegante, sexy, conturbante per Lawall. Io però volevo credere che lei mi amasse ancora. Avevo fiducia che la mia cornificatrice avrebbe avuto pietà di me.

Mi venne vicino con il suo corto tubino nero e il suo profumo travolgente.

– Sei pronto, tesoro?

– Sì. E… ancora una cosa, Enrica.

– Sì?

– Non ti deluderò. Credimi.

– Certo Piero, tu sei mio ed è mio compito fare in modo che al mio cornuto non succeda nulla di male. Non devi aver paura.

– Enrica, ci siamo. è arrivato il momento.

– Stai tranquillo. Non sarà così brutto. Magari all’inizio, ma poi tutto si accomoderà nel migliore dei modi.

Non trovammo traffico per strada e arrivammo in anticipo. Il cornuto alla porta ci accolse con un sorriso.

– Benvenuti! Piero, ti sei deciso? Ti unisci a noi per davvero? – e mi mostrò la mano chiusa con l’indice e il mignolo sollevati nel gesto delle corna, facendomi l’occhiolino. – Bene, siamo contenti! Siete una mezz’oretta in anticipo. Magari volete prendere una cosa al bar, nell’attesa?

Ci dirigemmo al bar dove ordinammo del vino bianco. Chantal ce lo porse e mi fece un cenno ruotando un dito e formando con la bocca senza emettere alcun suono la frase “ci vediamo dopo”.

– Nervoso? – mi chiese Enrica.

– Un po’. Ma sono sicuro che le cose andranno meglio una volta che cominceremo.

– Mi fa piacere sentirti così fiducioso. Sono così orgogliosa di te! Sei il migliore, il più grande!

Intanto arrivò anche Lawall.

– Piero! Ciao! Sei pronto?

Annuii.

– Piero, io e Enrica abbiamo parlato. Sembra che non ci siano più problemi tra di noi, Giusto? Confermi?

– Tranquillo. Tutto a posto.

– Quindi stanotte è la grande notte. Hai paura?

– Sì, ma sto bene. Grazie.

Intanto uno dei cornuti alla porta ci informò che gli ospiti erano arrivati e che la cerimonia sarebbe cominciata entro cinque minuti, quindi di affrettarci a terminare le nostre bevande. Vidi Lawall che faceva di tutto per trattenere un sogghigno, ma che comunque disse:

– Buona fortuna! A te e a tutti noi!

Fummo condotti attraverso un corridoio in una ampia sala piena di mogli e bull.

Chantal, in un completo pantaloncini e top di cuoio nero, si avvicinò con il collare in mano.

– Rosa o azzurro? – chiese a Enrica.

– Rosa, per la mia puttanella! – rispose mia moglie ridacchiando, nell’attesa che Chantal fissasse il nastro rosa al mio collare prima di legarmelo al collo.

– Ecco qua. Ora tutti sapranno che sei la mia cornutella questa notte.

– Devo spogliarti nudo. – disse Chantal. E cominciò a togliermi i panni di dosso. Quando arrivò ai boxer ebbi un momento di vergogna, ma la giovane Chantal parve non degnare neanche di uno sguardo il mio reparto scopereccio.

Entrò il cornuto della porta.

– Ragazzi, è ora di andare al patibolo. La gente aspetta.

Lawall sghignazzò e mi diede una sonora pacca sul sedere nudo.

– Muoviti, svelto. Che poi ci vediamo, io e te.

Enrica mi prese la mano.

– Piero, tesoro, ormai…

– Lo so.

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Il “patibolo”, come lo chiamavano, era praticamente una ghigliottina senza la lama. C’era quindi una corta panca sulla quale l’iniziando si doveva sdraiare piegandosi a novanta gradi, e la sua testa veniva tenuta ferma da due semilunette in legno che si chiudevano intorno al suo collo. Il tutto era posizionato in modo che il culo fossa rivolto dalla parte del pubblico. C’erano altri due mariti cornuti in attesa della cerimonia di iniziazione, nudi, con le loro mogli accanto che stavano preparando le corde per legarli saldamente al patibolo.

Enrica mi si avvicinò.

– Sdraiati bocconi sulla panca, Piero. Ecco così. Sporgi bene il culo in fuori. – c’era una nota di commozione nella sua voce.

Mi legò saldamente le mani a due anelli al lato della panca. Poi mi assicurò le caviglie strettamente. Mi chiuse la semilunetta di legno intorno al collo. Ora ero totalmente indifeso. Qualsiasi cosa mi avessero fatto io non avrei potuto far altro che sopportare e farmene una ragione. Stavo per subire la più efferata e dolorosa sculacciata possibile e non riuscivo a pensare ad altro. Tranne forse a quanto sarebbe successo dopo, nella seconda fase dell’iniziazione.

– Starò qui dietro di te. Ti starò accanto tutto il tempo. – Mi rassicurò mia moglie

Chantal si posizionò dietro di me tenendo in mano la canna di bamboo, quella stessa che faceva parte del kit del cornuto che avevamo ricevuto con l’iscrizione.

Un’altra giovanissima ragazza si sistemò dietro il secondo iniziando mentre al terzo avrebbe pensato la sua stessa moglie. Enrica aveva valutato l’idea di somministrarmi lei stessa la punizione, ma poi non se l’era sentita e aveva lasciato che se ne occupasse Chantal. Non conoscevo gli altri condannati. Non escludo che in qualche momento me li avessero presentati, ma non ne ero sicuro.

Improvvisamente calò il silenzio nella sala. Sentivo solo i passi e l’armeggiare di Chantal dietro di me. Malgrado fossi nudo la fronte mi si imperlò di sudore. Poi…

Poi vidi le stelle.

Il dolore della prima frustata fu assolutamente insopportabile e capii subito che resistere a cento di quelle botte sarebbe stato praticamente impossibile. Comunque strinsi i denti e mi dissi che ce l’avrei dovuta fare a tutti i costi. Ma le frustate successive furono ancora più dolorose. Chantal non aveva pietà e colpiva con un ritmo lento ma costante e i suoi colpi non perdevano affatto d’intensità per la stanchezza, come disperatamente volevo credere. Cercavo di contare i colpi alla rovescia per cercare di distrarmi dal dolore.

Poi, verso la trentesima scudisciata, mi parve di non sentire più nulla, come se tutta la parte delle natiche, delle cosce e della schiena fosse ormai anestetizzata.

Allora Chantal si fermò un istante ad asciugarsi il sudore e quando riprese il dolore ritornò, più forte di prima, più profondo, più intollerabile. Con metodo, Chantal cercava di colpire le parti ancora non completamente arrossate, ma ogni tanto si faceva prendere dalla malignità e insisteva sullo stesso punto per quattro o cinque volte, fino a far scoppiare la pelle e a farmi sanguinare.

Alla sessantesima frustata il cornuto al mio fianco cominciò a gridare e a piangere, a chiedere pietà. Invano.

Poi, qualche colpo dopo, anche l’altro cornuto ruppe in singhiozzi, ma invece di chiedere pietà incominciò a urlare maledizioni e minacce con la voce rotta dal pianto.

Io raggiunsi il punto di rottura alla settantanovesima sferzata. A ventuno dalla fine.

Gridai, piansi, implorai pietà. Giurai che sarei stato rispettoso e ubbidiente, che non avrei più creato nessun fastidio, che avrei eseguito con gioia tutti gli ordini che mi sarebbero stati impartiti. Che sarei stato servizievole verso tutti, che avrei accettato volentieri tutte le umiliazioni a cui mi avrebbero sottoposto.

Intanto mi agitavo convulsamente contraendo i muscoli e cercando disperatamente di sottrarmi ai colpi ormai insopportabili. Ma senza risultato.

Poi, finalmente, il supplizio terminò.

Chantal si avvicinò e cominciò a slegarmi laboriosamente, mentre singhiozzavo senza controllo. Il mio culo era blu e rosso, la pelle spaccata in più punti e sentivo il dolore pulsare impietosamente.

Poi finalmente riuscii a riprendermi un poco e ad alzarmi, aiutato da Lawall, che non perse occasione di affondare il coltello nella piaga:

– Sei stato un vero boy scout, Piero.

Cercai di rivestirmi, ma non c’era verso di rimettermi boxer e pantaloni, per cui decisi di rimanere nudo. Ormai ero abituato alla vergogna.

Anche il pubblico si stava alzando, deliziato dallo spettacolo. Mi guardai intorno e incrociai lo sguardo di mia moglie che mi fissava ammirata con le lacrime agli occhi. Conoscevo quello sguardo, era orgogliosa di me!

Intanto vidi uno degli altri cornuti appena scesi dal patibolo che si avvicinava all’uscita dopo essersi faticosamente rivestito, decisamente rabbuiato. Sua moglie lo chiamò e lui si girò e ritornò sui suoi passi. Ci fu un rapido scambio di battute che non riuscii ad afferrare tra i due e improvvisamente lui le mollò un tremendo sganassone in piena faccia, alzandola da terra e facendola volare per tre metri. Ricadde sul pavimento e lì rimase senza più muoversi. Due bull lo afferrarono subito, prima che potesse infierire sulla donna, e lo buttarono fuori nella notte.

Lawall mi guardò.

– Tranquillo, non ti faccio niente. – dissi con un mezzo sorriso.

– Non tutti ce la fanno. Tu pare di sì, invece, no?

– Almeno credo…

– Stai bene?

– Stai scherzando, no?

– Voglio dire…

– Ma sì, in fondo era quello che mi aspettavo. Ce la faccio.

Malgrado l’aria arrogante, sentii una certa solidarietà. E qualcos’altro. Avrei capito presto di cosa si sarebbe trattato.

Enrica si avvicinò.

– Tesoro… – incominciò, con un sorriso nervoso.

– Tutto bene, cara, posso sopportare tutto.

– Ho visto, Piero. Sei stato proprio un vero… come dire? Eroe? – mi guardava ammirata!

Lawall fece un passo indietro, lasciandoci vivere questo momento tutto nostro. Poi propose:

– Aspettiamo un momento prima di andare in camera. Perché non prendiamo qualcosa al bar prima?

– Credo proprio di aver bisogno di un goccio. O due. Magari anche cinque|

Non c’era verso che mi sedessi, col mio culo dolorante. Quindi rimanemmo in piedi davanti al banco con i nostri drink. Io presi un doppio cognac per tenermi su. Dovevo essere un bello spettacolo: nudo con il culo viola e un collare da cane al collo, appoggiato tranquillamente al banco.

Poi Enrica guardò l’orologio.

– Che ne direste se ora andassimo in camera?

+++++++++++++++++++++++++

Finalmente potevo vedere la camera dove Lawall e Enrica mi avevano cornificato la prima volta. Non mi fece una grande impressione. C’era un letto matrimoniale con due comodini dell’Ikea, un armadio talmente piccolo da risultare del tutto inutile, un bagno che sembrava pensato per i puffi. Il tutto risultava abbastanza squallido.

Enrica prese il comando delle operazioni, mentre Lawall si spogliava.

Lei invece rimase vestita, sorprendentemente. Ero comunque convinto che non lo sarebbe rimasta a lungo. Si sdraiarono a letto, l’uno accanto all’altra. Io rimasi in piedi davanti a loro.

– Sali sul letto e inginocchiati tra le gambe di Lawall, caro.

Avevo capito ciò che si aspettavano da me ed ero leggermente riluttante, ma obbedii. Quella notte avrebbe visto la mia resa totale, sarei diventato volontariamente il cuckold più completo e convinto.

Lawall mi mise il suo arnese sotto il naso.

– Tesoro, tocca a te adesso. – mi incoraggiò Enrica.

Presi in mano il suo membro e lo masturbai per qualche secondo per fargli raggiungere la piena erezione, quindi presi in bocca il suo glande – più di quello non ci entrava – con coraggio. Era nero e salato e la sensazione in bocca mi lasciò dubbioso. Però sentii che invece a lui piaceva, perché ebbe un sussulto. Dopo qualche tempo lo sentii irrigidirsi e di colpo mi ritrovai con la bocca e la gola piene del suo seme. Cercai di inghiottire il più possibile, prima di togliermi. Lawall mi scompigliò i capelli per farmi capire che aveva gradito e poi con un gesto mi fece cenno di alzarmi e mi scacciò dal letto.

Enrica mi sorrise, facendomi capire che mi ero comportato bene e che era orgogliosa di me. Qualsiasi cosa sarebbe successa nei mesi e negli anni a venire quel momento sarebbe stato nostro, mio e di Enrica, non di Lawall e Enrica.

Lawall mi rivolse un’occhiata severa e mi indicò col dito un angolo della stanza. Intuii che intendesse che dovessi posizionarmi proprio in quel punto. E rimasi nell’angolo, nudo e dolorante, in piedi. Zitto e fermo. In attesa. Pieno di soggezione e rispetto.

Lawall le tolse gli slip e me li lanciò. Me li portai alla faccia, dio, com’erano bagnati! E profumati! Guardai Enrica nuda e rimasi ancora una volta colpito dalla sua bellezza, dalle sue gambe lunghe, dai suo seni morbidi. Sentii il desiderio fortissimo di lei crescere dentro di me. Come suo cornuto, avrei mai più avuto il permesso di averla? Pregai il cielo per un suo atto di benevolenza.

Intanto lui le si mise sopra nella posizione del missionario e dimostrò di essere quella martellante macchina da sesso che si diceva fosse. Appena la penetrò, mia moglie spalancò gli occhi e cominciò a mugolare. Fui testimone del suo primo orgasmo, ma lui non si fermava. Enrica inarcò la schiena incontrollabilmente nel tentativo di andargli incontro il più possibile fino ad alzare il sedere di almeno trenta centimetri dal materasso, mentre emetteva suoni striduli dalla bocca. Alla fine raggiunsero insieme il climax e crollarono sul letto. Lawall rotolò via e finirono sdraiati uno accanto all’altra, ansimando forte, persi nei loro pensieri.

Enrica poco a poco si riprese e mi disse:

– Lawall ha ancora bisogno di te, Piero.

Non esitai. Mi posizionai tra le sue poderose cosce e ricominciai a leccarlo e a succhiarlo per riportarlo di nuovo in vita. Questa volta mi ci volle un po’ di più, ma alla fine ce la feci.

Enrica mi sorrise ed io cercai di alzarmi per rimettermi al mio posto ai piedi del letto, ma questa volta Lawall mi prese per un braccio e mi fermò. Non diceva una parola, ma aveva l’occhio torbido.

– Girati sulla pancia e alza bene il culo per aria che Lawall adesso te lo mette, Piero.

Avevo sospettato che qualcosa del genere potesse accadere, ma per me fu comunque una sorpresa. Ubbidii, ma lentamente, con riluttanza.

Avevo il culo in aria, proprio di fronte a Lawall. Indifeso e esposto.

– Tieni, Lawall. – Disse Enrica passandogli il lubrificante.

– Piero, rilassati e lascia che Lawall ti faccia. Sarà fastidioso all’inizio, ma poi vedrai che ti troverai bene. Potrebbe persino piacerti. Credimi. – Nel dire così mi carezzò la guancia. – Ti tengo la mano, se vuoi.

Sentii le dita di Lawall massaggiare il mio ano col freddo lubrificante. Mi infilò prima un dito, poi due e infine tre, cercando di far arrivare il gel il più possibile in profondità. Non potevo più scappare. La mia sola via d’uscita era cercare di rilassare i muscoli il più possibile.

Umiliato com’ero, mi ritrovai a desiderare che lo facesse e nello stesso momento ad averne paura. Mi sentivo strano.

Sentii la punta dell’enorme cazzo spingere contro il mio buco. Perdio, com’era grosso! Mi prese l’ansia. Cominciai a grugnire e a respirare affannosamente. Mi salvò Enrica.

– è quasi tutto dentro, Piero, non lottare, arrenditi, lascia che Lawall te lo metta. Vedrai, alla fine andrà tutto bene.

Non proprio. Bene non direi, ma almeno sopportabile. Mi ritrovai anch’io a stringere i denti e strizzare gli occhi, mentre Lawall collassava su di me nell’orgasmo, schiacciandomi sotto il suo peso ansimando rumorosamente.

Eccomi qua. Ero ormai diventato un cornuto, un cornuto convinto e totalmente umiliato. Cercai di ripetermi che questo ero, questo era quello che volevo, questo era quello che avevo sempre voluto, ma in fondo al mio animo c’era sempre la paura che Enrica mi potesse lasciare e il dubbio che non ce l’avremmo fatta come coppia. Senza di lei io non avrei potuto sopravvivere.

Mentre mi stavo riprendendo con gli occhi chiusi, perso nei miei pensieri, sentii le labbra di Enrica baciarmi sulla bocca. Aprii gli occhi. Erano le due del mattino.

– Sei stato magnifico, Piero!

Guardai la reazione di Lawall, sdraiato nudo accanto a noi.

– Sei sicura che non vuoi che resti? Possiamo rimanere qui, Desirée non ci scaccia.

– No, Lawall, io e mio marito abbiamo bisogno di andare a casa e di rimanere soli per i prossimi giorni. Ho imparato questa notte quanto mi ama e quanti sacrifici è disposto a fare per me. Per farmi felice. Quindi, no, grazie. Puoi andare. Ci vedremo ancora tra qualche tempo.

Si alzò e cominciò a vestirsi. Io guardai Enrica interrogativamente.

– Sì, se ne va a casa sua, cornuto mio, adesso anche noi andiamo a casa nostra e tu mi scoperai a morte tutto il giorno. Siamo soli, io e te. Come una volta.

Non potevo credere alle mie orecchie. Non potevo essere più felice.

– Sììì, Sììì!!!

++++++++++++++++++++++++++++

Vestirmi e poi sedermi in macchina fu una tortura, con il culo rosso che mi ritrovavo e il bruciore all’ano. Ma alla fine ce la feci, pur stringendo i denti, e guidai nella notte verso casa. Enrica mi stava addosso, la testa appoggiata alla mia spalla e la mano che mi carezzava una gamba.

– Stai bene?

– Sono molto spaventato, stanotte ho bisogno di te, ho un bisogno assoluto di fare l’amore con te. E fino a quando potrò continuare ad averti, sarò assolutamente felice!

– Lo so, Piero. L’ho capito. Stai tranquillo: tu sarai sempre il mio uomo principale. Tutte le volte che Lawall o qualcun altro userà il tuo culo, io ci sarò per te. Ho visto il tuo commovente sforzo per farti piacere una cosa che non ti aggrada solo per farmi contenta. Io non posso che esserti riconoscente e ti gratificherò sempre.

Mi venne un singulto. Quanto tempo sarebbe passato prima che Lawall o qualche altro suo amante avrebbero avuto voglia di prendermi? Quanto avrei dovuto ancora soffrire?

Non mi restava che aspettare e vedere. La speranza è l’ultima a morire.

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