Skip to main content

La bella vita

By 15 Novembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Sette chilometri’di tapis roulant. Velocità impostata: 7,5 all’ora. Pendenza: 0%. Doccia e a casa, mi aspettano i fornelli. Sessanta minuti per un piatto di pizzoccheri. Anche e soprattutto quando sto a casa da solo mi piace trattarmi bene. Piatto unico ovviamente, niente secondo. Carico la lavastoviglie con l’armamentario di pentole e padelle sporcate per un solo piatto.

Chaise longue e iPad. Il telefono vibra, penso sia Monica. Invece &egrave Elena. Ci siamo visti un paio di settimane fa. E’ venuta a cena da noi e si &egrave sbafata due porzioni di parmigiana. Cosa vorrà stavolta? Ci conosciamo da 16 anni, abbiamo fatto insieme il liceo. Poi entrambi a Milano per l’università, atenei e facoltà diverse. Un po’ persi di vista. Sì, ci si vedeva. Spesso era lei a chiamare, sempre per aiuti improbabili. Tipo quella volta che stava all’Ikea di Carugate piena di pacchi. “Mi vieni a prendere?”. Certo, come no, come se non sapesse che malgrado sia patentato a Milano non ho mai guidato. Uno perché non mi piace, due perché non ho neanche la macchina.

“Buonasera – esordisce – disturbo?”. No che non disturba, almeno stavolta. “Monica &egrave ancora giù dai suoi?”. Affermativo, la mia compagna rientrerà tra due giorni, forse tre. Non ha ancora prenotato il ritorno. Le &egrave scaduto il contratto, lo rinnoveranno, ovviamente, e ancora a termine,’ma dopo tre settimane di stacco. Ha pensato bene di tornare al paese per stare un po’ in famiglia. “Ti va di raggiungermi a casa?”. Piove come dio comanda, ma ci sta: &egrave quasi novembre e viviamo a Milano. Non ho ancora messo il pigiama, quindi potrei anche andare. Allettato dalle nostre care abitudini. Due birrozze da 66 fredde al punto giusto, una confezione di patatine e una di arachidi. Con Elena il programma solitamente &egrave questo: birra, schifezze che fanno venir sete e chiacchiere.

Non c’&egrave mai stato qualcosa tra noi, tranne un bacio in seconda liceo. Era tardi, eravamo ubriachi e sentivamo freddo. Ci siamo baciati e poi basta. Finita lì. Una volta a Milano &egrave capitato a fasi alterne di provare interesse. Ma di mezzo c’era sempre una ragazza o un ragazzo. Una convivenza andata a male come il vasetto di yogurt ai frutti di bosco che fa compagnia da troppo tempo al mezzo limone rancido in frigo e ci ostiniamo a non gettare nella pattumiera.

“Dai, arrivo. Mi raccomando: fredde al punto giusto”. Centrale, Gioia, Garibaldi, Moscova, Lanza. Cinque fermate di metro e sono da lei. Lascio l’ombrello bagnato nel pianerottolo ed entro. Mi accoglie con un elastico fucsia che le tiene i capelli raccolti in alto a codino. “Carina, sembri Ciaki, lo yorkshire di quelli del terzo piano”. Sorride: “Non abbaio ma dopo questo complimento potrei anche mordere”.

Ci spostiamo subito in cucina. Sulla tovaglietta le nostre bottiglie e le nostre patatine. Elena &egrave carina, non la stangona che fa girare i maschi arrapati per strada. Mora, capelli non troppo lunghi, occhi castani, montatura alla moda. Il seno c’&egrave, il sedere anche ma quasi mai ostentato dal suo look poco appariscente’che non scade nella sciatteria. Parliamo. Di lavoro, del tempo, di Monica, del professore di filosofia e storia. Pare sia impazzito, ma conveniamo entrambi che già un po’ matto era. Ridiamo. Le prime due bottiglie volano.

“Ho scaricato un po’ di musica nuova”. Siamo già nel suo soggiorno. Canta, anzi parla, Jovanotti.’Il ritmo’&egrave accattivante. “Come si chiama?”, faccio. “La bella vita”. Annoto mentalmente. “E allora? – continuo – come mai mi hai chiamato stasera?”. Noto imbarazzo. “Eh, niente. Insomma, non so…”. Rido. “Cosa non sai?”. “Non so, come dire. Avrei voluto… non so”. “Puoi comprare una vocale”, ride anche stavolta ma &egrave visibilmente nervosa. “Da quanto ci conosciamo?”, chiede conoscendo benissimo la risposta. “Insomma so che di te posso fidarmi. Sei un amico, quasi un fratello, diciamo un cugino”. “Allora dimmi cugina”. “Vorrei proporti, vorrei…ti va di passare una serata di sesso con me?”.

Ora capisco l’imbarazzo. Divento rosso anch’io. Così, di colpo. “Non sto con nessuno adesso – mi dice – so che tu sei impegnato ma non dovresti considerarlo un tradimento. Aiuteresti un’amica. Sai cosa vorrei? Vorrei godere per una sera senza farmi tanti problemi, n&egrave durante n&egrave dopo. Non voglio strascichi e conseguenze. Altrimenti sarei andata a rimorchiarmene uno in un pub”.

Come si risponde a queste domande? Ci si può alzare e dire: “No, non &egrave il caso, &egrave meglio che vada”. Oppure ci si può alzare, andare incontra ad Elena e dire: “Spogliami”.
La scena che si presenta ai nostri occhi &egrave comica. Lei tenta di sciogliere i lacci delle mie scarpe annodate a doppio nodo. Io provo a sfilarle la felpa ma la testa si incastra. Non vede più niente, figuriamoci i nodi.’

Ridiamo e tanto. Questo mi piace di me ed Elena: ci divertiamo quando siamo insieme, sempre. Penso io a togliermi le scarpe, pensa lei a liberarsi della felpa. E, sorpresa, niente reggiseno mi si presentano le sue tettine, una seconda piena, chiare, l’areola larga e i capezzoli ritti, rosa acceso. Tolgo il maglione ma della camicia si occupa lei.
Bottone dopo bottone mi spoglia. Il mio sguardo vaga tra i suoi occhi e il suo seno. “Mai visto prima?”. “No, ma meglio tardi che mai”. Le sue mani sulla mia cintura, le mie sui fianchi. Ci sfiliamo a vicenda i pantaloni, sempre un po’ impacciati. Entrambi in mutande. Le mie blu, come al solito, lei ha una coulotte prugna.

“Regole di ingaggio?”, chiedo per stemperare l’emozione. “Possiamo fare tutto, ma diciamoci quali sono le nostre voglie. Insomma avvertiamoci”.
“Ti abbasso gli slip” e ride, ride ancora, stavolta meno nervosa. “Anche io”. E ci ritroviamo nudi a guardarci i sessi. “Vorrei toccarmi per te, vorrei che ti toccassi per me”.
Ci sediamo agli estremi del suo divano ad elle. Ci separano due metri. Ci unisce lo sguardo e i movimenti. Apriamo entrambi le gambe per non dare ostacolo alla vista, lisciamo i nostri sessi. La mia mano scivola sul cazzo in semi erezione. La sua indugia sulla fessura, sale per esporre il bottoncino.

Passano i secondi, diventano minuti carichi di desiderio. Mi piace toccarmi per lei, mi piace che si tocchi per me. Mi piace anche il non poterla toccare adesso. Limitarmi a guardare e godere solo della vista. Non &egrave completamente rasata. Tiene un rettangolino di peli ben curati. Anche io del resto non amo depilarmi, mi curo sì, ma un po’ di pelo c’&egrave altrimenti mi sentirei davvero nudo, come un beb&egrave.

Luccica come neve che cede al sole. Voglio sentire il suo sapore e la avverto. Mi avvicino a lei, in ginocchio mani sulle sue ginocchia per aprirla ancora di più. A compasso. Le bacio le labbra, le tendo per passarci piano la lingua. Con la lingua giro intorno al clito, ora ben visibile e gonfio. Provo a succhiarlo ma dice che ora &egrave troppo. Non così, non ora. Vuole assaporarmi anche lei. Mi alzo in piedi e glielo offro alla bocca. “Leccalo, leccalo bene, leccalo piano. Lecca dalle palle alla punta. Piano”. Lo fa e bene, il cazzo prende ancora vigore prima di sparire nella sua bocca. Lo fa entrare tutto e poi lo sfila tutto. Ripete, una, due, tre, quattro volte. Poi lo bacia sulla punta, lo bacia sull’asta.

Torniamo in cucina. Su mi invito le chiedo di piegarsi sul tavolo. Posso, voglio, godere del panorama migliore che la natura possa offrire. Nessun tramonto sul canyon, nemmeno le mille sfumature del blu del mare della Sardegna: i due buchini completamente esposti. Cosa c’&egrave di più bello? Nulla. “Piegati bene, tieni le gambe larghe e tendi le chiappe con le mani: voglio vedere figa e culo aperti”.

Magnifica. Magnifico passare con la lingua dal clito al buchino, passando per quei centimentri così sensibili tra la figa e l’ano. La lecco e infilzo entrambi i buchi con la lingua. Faccio colare tanta saliva che mista ai suoi succhi rendono tutto bagnato, scivoloso, penetrabile. Uso le dita. Due e della stessa mano. Il medio per la figa e l’indice per il culo.
Adoro vederla piena delle mie dita. Il medio nella figa scivola facile, l’indice trova qualche resistenza, sempre minore al nuovo passaggio. Geme e mi dice: “Adesso scopiamoci le lingue”.

Mai espressione &egrave stata più azzeccata. Occhi negli occhi tiriamo fuori le lingue che si incontrano a mezza strada. Fanno conoscenza le punte. Poi si avvolgono, si cercano, si prendono, si succhiano. Sì, ci stiamo scopando le lingue. Porta la mano sul cazzo e mi sega. Il bacio continua e lei continua a segarmi. Poi mi tira per il cazzo e mi porta a letto. Non oppongo resistenza.

“Distenditi, ti prego, vorrei impalarmi su di te”. Lo faccio e sale subito su di me, dandomi le spalle. Vuole vedersi nell’armadio a specchio che sta davanti al letto. Vuole vedere il mio cazzo che le invade la figa. Io per vedere devo tendere la testa di lato, ma uno sforzo si può fare in queste occasioni. Si muove piano, vuole goderselo tutto. Si mette le mani sul seno e dondola sul cazzo. Dolce e porca. Io sono indeciso se continuare a seguire ogni sua espressione allo specchio o se gettare un occhio sul sedere.

Perché non le ho detto mai che ha un culo da favola? Sarà perché i pantaloni che indossa volutamente non lo mettono in risalto? Tolgo il cuscino da sotto la testa e mi distendo completamente. Così ho una visuale migliore: le allargo il culo e mi concentro sul suo buchino, dietro vedo la base del cazzo e i suoi umori che colano. Tendo la mano per raccoglierne un po’ e le infilo un dito nel sedere.

Si gira, sempre col cazzo dentro, si tocca la figa e mi da un dito da succhiare. Buona. Ripeto il gesto e lo assaggia anche lei. “So di litchis”. E’ vero, sa di litchis, di figa e di cazzo.
Ci baciamo, lei completamente distesa sul mio corpo. Ci diamo baci umidi, vogliosi, ci sbaviamo, ci bagnamo le guance e il collo. Mi stacco per tornare con la lingua sulla figa. Stavolta faccio scempio del bottoncino. Lo succhio, col suo permesso. Si irrigidisce, alza il pube schiacciandolo contro il mio viso. Mi sta offrendo prepotente il suo piacere. Viene gemendo, osannando la mia lingua e la mia bocca. Ora &egrave piena di lei, del suo succo. Glielo passo invitandola ad aprire la bocca. Poi ci baciamo, ancora, ora più dolci.

“Voglio berti anche io”. Mi distendo di nuovo per farglielo leccare comoda. Lo imbocca avida, lo succhia come un calippo. Sto per venire nella sua bocca, sento, sente gli schizzi. Lo pulisce tutto bene con la lingua e mi bacia. “Sai di ananas”. Se lo dice lei… Sigaretta? Due Benson rosse sui nostri sorrisi. Nudi. I sorrisi e anche noi. Beviamo ancora un bicchiere di birra, mentre sorseggio lo riprende in mano. Lo liscia come piace a me. E’ di nuovo teso.

A novanta, sul tavolo. Sono già nella sua figa. “Elena toccati mentre ti scopo”. La sua mano ora &egrave lì, le mie sono sul seno a tormentare capezzoli che sembrano chiodini.
“Scopiamo bene noi due”, e non capisco se &egrave una domanda o un’affermazione. E’ un continuo gemito, i miei e i suoi si alternano a volte si sovrappongono scanditi dai miei affondi dai suoi tocchi. “Mettimi un dito nel culo, ora”. “Dimmi che vorresti scoparmi il culo”.

Non &egrave una mia fissazione il culo. Dipende, dipende dal culo. Dipende dalla voglia, da quanto mi sento porco. Un dito lo metto, prima lo bagno di lei, e poi lo metto. Lo metto e lo muovo. “Leccami ancora il cazzo, sì voglio scoparti il culo”. Elena me lo prende inginocchiandosi. Lo fa sparire e riapparire in un’epifania di piacere.
Prendo una sedia della cucina e mi siedo a gambe larghe. “Guardalo, vedi come &egrave ritto? Inculati”, la invito alterato dalla passione crescente.

Si accovaccia piano. La punta aderisce alla sua rosellina, vuole farne tana. Scende ancora un po’, i muscoli stanno cedendo all’intrusione dei primi centimetri. Ora &egrave dentro a metà. “Tutto” le dico. E finisce per sedersi su di me, o meglio, sul mio cazzo. “Come stai?” le chiedo. “Bene, mi sto abituando”. Le chiedo di voltarsi. Ci guardiamo e ci baciamo con il mio cazzo dentro il suo sedere. Non siamo mai stati così belli. La abbraccio e abbracciando lei abbraccio anche il nostro piacere, a prolungarlo, a fissarlo nel tempo. Nella memoria almeno. Perch&egrave non voglio che vada.

Si alza e si abbassa sul pene. Posso vedere ogni nuovo ingresso. E maledico non avere con me un macchina fotografica. Elena si alza e si rimette coi gomiti sul tavolo. Il suo buco adesso &egrave più largo. Lo faccio ancora mio montandola con le mani strette sui fianchi. Movimenti decisi che le aprono in due il sedere, ora la figa. Voglio prenderla ovunque. Vuole darmi tutto. Geme e gemo anche io. Lo sfilo si gira e ci baciamo. Torniamo nel soggiorno, ci buttiamo per te. sul tappetto nascosto per un terzo dal divano.

Stavolta non ci avvertiamo. Non servono parole, finiamo in un naturale 69. Io sotto, lei sopra. Ci tormentiamo i sessi, Li mangiamo in preda a convulsioni. Veniamo urlando il piacere io sulla sua figa, lei sul mio cazzo, con bocche piene dei nostri umori. Ci addormentiamo così. Risvegliandoci amici. E sublimi amanti.

Leave a Reply