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La sfiga…quando arriva, arriva

By 29 Dicembre 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

La sfiga’quando arriva, arriva
– Sei’sei come una bottiglia di vino ‘ fa Patrizia incazzata già di prima mattina.
– Cazzo dici’più invecchio e più divento buono? ‘ dico io, buttando giù le gambe dal letto.
– No! Sei vuoto dal collo in su’
Inizia così la mattina di questa giornata di merda.
Patrizia non ha voluto fare all’amore, il mio capo mi ha cortesemente invitato di cercarmi un altro lavoro, il cane mi ha pisciato su una scarpa e i nostri vicini hanno fatto casino tutta la notte per cui sono instupidito dal sonno.
– Grazie ‘ rispondo alla donna sdraiata nel mio letto ‘ Tu invece, sei l’unica alla quale le scimmie dello zoo danno le noccioline.
– Meriteresti ti facessi becco.
– Un’altra buona notizia e corro a farmi esorcizzare ‘ concludo infilandomi sotto la doccia.
Patrizia si alza e prepara la colazione, &egrave buffa nel suo pigiama felpato con stampati dei gatti ammiccanti. Mentre mi faccio la barba la guardo in cucina, vedo il suo corpo morbido, i suoi seni ondeggianti, il culo bello grosso, i capelli spettinati. Trascina le ciabatte due misure più grandi dei piedi. L’avrei scopata volentieri stanotte, mentre i nostri ‘amati’ limitrofi di stanza ascoltavano musica rock. M’ero sorpreso un’erezione vulcanica e non riuscivo a calmare la bestia’ricevuto il: va a fan culo di Patrizia, riuscii ad addormentarlo pensando a cosa mi sarebbe aspettato oggi.

Il mio capo mi da un’ultima opportunità dicendo:
– Un altro furto e ti caccio senza preavviso.
– Capo ‘ gli dico ‘ non &egrave colpa mia se mi hai dato il settore della città più a rischio.
– Le consegne bisogna farle ‘ fa lui insensibile ‘ qualcuno deve andare anche a Quarto Oggiaro.
– Sì’si ‘ faccio scuotendo il capo come un asinello ‘ ma anche zona Baggio, Viale Jenner (piena di islamici), Via Paolo Sarpi (la ChinaTown milanese)…
– Ricordati le consegne sono sacre’e se lasci il furgone e ti fregano la merce sono cazzi tuoi’non ti pago e ti licenzio.
La prima ora di lavoro era passata in letizia, il mio capo era un pezzo di pane, un filantropo, mi voleva proprio bene. Va’ da via i ciapp!
Però: Padrun cumanda, caval el trota
Esco col furgone e prendo la Varesina iniziando le consegne. Perdo tempo a suonare campanelli senza risposte. Vado e vengo sperando di trovare i destinatari in casa. Affronto qualche cane. Un paio di portieri incazzosi. Un panino da McDonald e poi giù dopo la ferrovia, ritorno a via Eritrea rifacendo tutto il giro di Quarto Oggiaro, sino a sera.
Ho le braccia indolenzite, i piedi freddi, il culo piatto e mi si sono incollate le palle.
&egrave inverno, alle cinque &egrave già buio ma ho ancora due consegne quindi penso di finire presto e prima delle otto essere al calduccio a casa mia.
Una consegna la devo fare qui vicino, alla Bovisasca, cerco il numero civico, non lo trovo, giro per un quarto d’ora, poi mi decido a fermarmi, controllo il GSM: funziona, prendo una cartina, eppure dovrebbe essere qui’ Mi guardo in giro, né un bar, un negozio, un cazzo di locale pubblico, le strade sembrano spopolate, ricche soltanto di macchine parcheggiate ai lati della strada. In questo quartiere non &egrave igienico passeggiare anche di giorno, figuriamoci con il buio. Mi infilo in un passo carrabile, parcheggio, chiudo il furgone e cammino senza sapere se quella &egrave la direzione giusta, sicuramente con il culo che mi ritrovo la direzione giusta &egrave un’altra. Il lastricato del marciapiede &egrave in cattivo stato, pieno di avvallamenti e depressioni, malgrado ciò avanzo imperterrito, nella nebbiolina umida della notte. L’unico rumore che avverto &egrave quello dei miei passi. Un’autovettura arriva alle mie spalle nel momento in cui raggiungo un incrocio. L’auto dall’impressione di rallentare la corsa. Il conducente accende i fari delle luci abbaglianti e li dirige verso di me illuminandomi, per un istante spero si fermi. La luce mi buca da parte a parte. Ho un attimo di smarrimento. Istintivamente giro il capo verso il guidatore, come per chiedergli qualcosa, ma il motore riprende vigore e l’auto si allontana. Proseguo per la mia strada, anche se mi convinco sempre più che girare di notte, in un questo quartiere, &egrave cosa che avrei dovuto evitare. Chissà il furgone’Imbocco una via, distante una cinquantina di metri dal punto in cui mi trovo, scorgo un gruppo di africani dalla pelle scura che confabulano fra loro. Preoccupato dalla loro presenza decido di traghettare sul marciapiede all’altro lato della strada. Mentre attraverso la carreggiata ho addosso i loro sguardi ed ho l’impressione che stiano scrutando ogni centimetro quadrato della mia sagoma. Mi muovo con finta disinvoltura dissimulando la paura che mi fa tremare le chiappe. Smettono di parlare. Gocce di sudore mi scendono dalla fronte rigandomi il viso. Una sguaiata risata scaturisce dal gruppo. Cammino rasente al muro ignorando, per quanto mi &egrave possibile, la loro presenza, fino al momento in cui svolto in un vicolo sparendo dalla loro vista. Posso tirare un grosso respiro di sollievo. Con il pacco tra le mani alzo gli occhi per ringraziare il cielo e’guarda, guarda finalmente il numero 8, l’ho trovato. Suono il campanello e dopo poco il clack della serratura del portone spingo l’uscio in avanti. Sto per entrare quando una mano mi branca per la vita e un’altra mi serra la bocca. Mi agito e cerco di divincolarmi. Vengo spinto all’interno e gettato a terra. L’assalitore si mette cavalcioni sopra di me. Il pacco e rotolato poco distante. Nella mano del nero vedo agitarsi un coltello. &egrave un tipo tozzo, muscoloso, di grossa statura, dietro di lui altre ombre. Mi punta il coltello alla gola minacciandomi.
– Se fai il bravo e mi assecondi non ti succederà nulla, altrimenti ti ammazzo. Capito! L’intonazione della voce ha un’ascendenza nord africano, ma sembra finta. Dolorante alla schiena resto immobile al suolo senza proferir parola. L’uomo afferra il borsello e l’apre. Rovista con la mano sfila l’incasso e senza contarli se li ficca in saccoccia, poi prende a minacciarmi di nuovo con la lama del coltello.
– Mettiti in ginocchio – ordina. Lo assecondo e mi genufletto ai suoi piedi in attesa della sua prossima mossa. Sbottona la patta dei jeans ed estrae l’uccello.
– Succhia! – Intima con la determinazione di chi non &egrave abituato ad ammettere repliche.
Sento ridacchiare alle sue spalle.
D’improvviso mi sento afferrare per i capelli. Vengo spinto con forza verso il rotolo di carne che il mio fantomatico aggressore ha tirato fuori dai pantaloni. – Succhia! – Intima di nuovo. L’uccello sfiora le mie labbra, &egrave avvizzito e puzza di piscio.
– Prendilo in bocca. Dai! Resto indifferente alle sue sollecitazioni, fintanto che la punta della lama punge la mia giugulare.
– Succhia o ti faccio fare una brutta fine. Te lo dico per l’ultima volta.
Prendo nella mano l’uccello e conduco la cappella alla bocca. Esito prima d’introdurla fra le labbra, poi la inglobo per intero spingendola nella cavità. Dopo aver dato due conati con il budello in bocca sento l’uccello indurirsi fra le labbra. &egrave come una sensazione già provata, eppure di cazzi non ne ho mai succhiati prima d’ora! Sentirne la consistenza, la progressiva dilatazione, l’allungamento deciso. Penso: forse in un’altra vita ero una bagascia’chissà! Quello che stringo fra le labbra puzza di piscio in maniera esagerata, ma stranamente, forse la paura del coltello alla gola, forse per la presenza di altri che guardano mi sento agitato in modo strano.
Dopo un po’ che succhio sento qualcosa che mi si muove nelle mutande e non &egrave una pantegana. Conduco la cappella in gola fino a sfiorare l’esofago.
Sento afferrarmi la testa con forza, Bingo bongo mi sta attirando verso se. Ho un rigurgito di vomito. Inizio a tossire e caccio fuori l’uccello dalla bocca… L’uomo mi sistema carponi obbligandomi a tenere le mani poggiate sul pavimento e il culo sollevato. Un altro mi tiene la testa tra le gambe e il coltello sotto il naso. Sento armeggiare sulla cinta dei pantaloni, un colpo secco e l’aria fresca bacia le mie natiche nude. Un po’ di saliva allo sfintere e ‘fortunatamente’ mi penetra con un dito. Ho un sussulto provocato dal dolore e mi ritraggo in avanti.
– Stai fermo! Non ti farà male ‘ dice una voce. Sento ruotare il dito nella cavità, poi lo ritrae. Sputa di nuovo saliva sulle dita e prosegue nella sua opera dilatandomi il buco del culo.
– Lasciami fare. Capito! ‘ minaccia l’extracomunitario della minchia.
Ho paura. Attendo con trepidazione il momento in cui sarò inculato a sangue.
L’uomo si mette cavalcioni, semiseduto sul mio culo e accosta l’uccello ai glutei. Aiutandosi con la mano conduce la cappella a contatto dello sfintere. Non oppongo resistenza. Anzi! Faccio di tutto per rilassare la muscolatura dell’orifizio anale e accogliere per intero l’uccello dentro di me, dicono: faccia meno male. Nell’attimo in cui lo sento risalire nella parete intestinale mi scoppia in gola un urlo di dolore, ma riesco a trattenerlo. – Fermo!…Fermo! – sollecita l’uomo. Ormai l’ho tutto dentro.
Percepisco nella sua interezza il corpo estraneo penetrato nel mio corpo. L’uomo si muove con cautela, inanellando lievi movimenti del bacino, sospingendo avanti e indietro il rotolo di carne che tiene ritto fra le gambe. Mordo le labbra fra i denti per mitigare il dolore che avverto nell’ano, ma dopo un po’ il bruciore e la sofferenza fisica si trasformano in una specie di piacere. Il mio assalitore aumenta il ritmo dell’inculata estraendo più volte la cappella dall’ano dilatandomi all’inverosimile il muscolo dello sfintere. Ogni volta che la cappella penetra dentro di me ho l’impressione di crepare dal male’e godo, godo come una troia’nell’attimo in cui il cazzo risale nell’intestino. Semiseduto, con le gambe divaricate e flesse ai lati del mio bacino, tiene il cazzo infilato nel mio culo e continua a pomparmi senza tregua. Ad un tratto mi sento afferrare i capelli e mi trovo di nuovo inginocchiato ai suoi piedi col cazzo vicino alle labbra, puzza di merda, &egrave normale. Vuole sborrarmi in faccia. Se lo mena velocemente. Vista la mia bocca serrata, l’uomo mi tappa il naso costringendomi ad aprirla. Un fiotto di sperma precede gli altri che in breve successione escono dalla cappella riempiendomi la bocca.
– Ingoiala, puttana ‘ mi urla l’amico con il coltello in mano.
Deglutisco il fluido lattiginoso, quando l’uomo si ritrae e si allontana da me.
Senza dire una parola, tutti corrono via lasciandomi inginocchiato con le ossa a pezzi. Mi rialzo e tiro su le braghe. Avverto un forte dolore alle ginocchia, ma non ci faccio troppo caso, pensando: potevo lasciarci la pelle. Si sono portati via i soldi e anche il pacco, spero di trovare ancora il furgone là dove l’ho lasciato. M’incammino zoppicando verso la meta. Disperazione, in tasca non ho più le chiavi e la sagoma del Ducato non c’&egrave più davanti al cancello.
All’una e mezza di notte rientro a casa, accendo la luce nell’ingresso e sento subito la voce di Patrizia.
– Giornata lunga oggi’eh! Ti sarai fatto un culo come una casa!!!
– Sì, sì’rispondo buttando le mie povere membra sotto la doccia.

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