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Luca, ti devo parlare

By 3 Luglio 2016Ottobre 2nd, 2021No Comments

– Tesoro, ti devo parlare.

“Lo credo anch’io” pensai tra me e me, alzando lo sguardo verso la donna che era stata mia moglie per gli ultimi venti e rotti anni, anche se solo pro-forma negli ultimi tre o quattro. La partita del Milan in Tv era ormai agli sgoccioli e neanche questa volta avevamo fatto una bella figura.

– è finita con Giorgio. – continuò quasi singhiozzando. – Non stiamo più insieme. Basta.

– Mi spiace, Luciana. – dissi cercando di consolarla. – Chissà come sarai dispiaciuta dopo tutto questo tempo.

– Tre anni, Luca! Ci pensi? Tre anni buttati via! – Sul viso un’espressione di profonda tristezza e nella voce una nota di disperazione. – Ricordi che te l’avevo detto? Che la storia avrebbe fatto il suo corso e che alla fine sarebbe inesorabilmente finita e tutto sarebbe tornato normale come prima? Però come si soffre quando poi finisce sul serio!

– Perché vi siete lasciati? Cos’è successo? – chiesi gentilmente – T’ho vista diventare sempre più impaziente e insoddisfatta nelle ultime settimane. Non è stata una cosa improvvisa, vero?

– Era diventata routine! – mi rivolse un’occhiata bellicosa. – Sembravamo una coppia sposata da trent’anni! Quella scintilla di eccitazione che m’aveva fatta invaghire di lui non c’era più!

– Sì, conosco bene il problema. Ci sono passato anch’io. – puntualizzai, ma il doppio senso parve passare inosservato.

Ricordavo fin troppo bene quella sera di quasi tre anni prima quando, seduti al tavolo della cucina, Luciana mi aveva rovinato l’esistenza annunciandomi che secondo lei la nostra vita sessuale era diventata insopportabilmente noiosa e perciò si era fatta un amante, molto più giovane e baldanzoso di me. Di come lei avesse ancora dei forti sentimenti per me e che per questo non voleva mentirmi o ingannarmi, ma che comunque aveva tutte le intenzioni di continuare la storia col suo nuovo partner e che io avrei dovuto accettarlo se non avessi voluto perdere lei, i nostri due figli, la casa, una parte sostanziosa dei risparmi e probabilmente anche il lavoro, visto che a quel tempo l’azienda che mi impiegava era di proprietà di mio suocero.

– È successo proprio come ti avevo detto. Grazie caro per essere stato così paziente con me. Portare avanti questa relazione sarebbe stato tremendamente difficile se non fosse stato per il tuo atteggiamento comprensivo. Capisco che non dev’essere stato facile.

Mi strinsi nelle spalle. Avevo anch’io molti punti da chiarire, ma lei pareva aver fretta di concludere il suo discorso:

– Ma ora possiamo tornare ad essere quelli di prima, giusto? Ti ricordi quanto ci siamo divertiti, insieme? Eh? Quei tempi possono ritornare, anche più gloriosi di prima, Luca. Anzi, puoi tornare a occupare il tuo vecchio posto nel nostro letto matrimoniale già da stasera, che ne dici? Ho bisogno di qualcuno che mi consoli dopo la lite con Giorgio. Non sai che maleducato è stato! Da non credere!

– In che senso, scusa? Come ti ha trattata?

– Ha avuto il coraggio di dirmi che avrei dovuto farmene una ragione: che ero ingrassata troppo e che si vergognava a farsi vedere in giro con me. Che bastardo!

– Non è certo una cosa carina da dire. – azzardai con prudenza evitando però di contraddire le affermazioni del “bastardo”. – Però non sono certo pronto a fare ritorno nel tuo letto, dopo che tu e Giorgio ve la siete spassata sotto quelle lenzuola.

– Ma Luca, no, non devi prendertela così! Non sono mai andata a letto con lui mentre tu eri in casa! Lo sai benissimo!

– Ah! buono a sapersi! E che mi dici invece di quei pomeriggi quando dovevo lavorare oppure di quelle notti quando dovevo viaggiare in Francia?

– Ok. Meglio che compriamo un altro letto. Domani andrò dal mobiliere.

– Certo che un letto nuovo sarebbe un primo passo. – dissi in un sussurro.

Rimanemmo a guardarci in silenzio per qualche minuto.

– Vedrai. Mi farò perdonare. Ti farò felice. – riprese con un sorriso entusiasta. – So che non abbiamo fatto del sesso da più di due anni, ma, sai? Io ci ho pensato spesso e sono sicura che tutto tornerà come prima, anzi, meglio!

– Ne sei sicura, Luciana? Proprio proprio esattamente come prima?

– Ma certo! Sicuro!

– Prima che mi umiliassi di fronte ai nostri genitori e ai nostri amici? Al punto che non oso più andare in centro (abitiamo vicino a Ivrea, in una bella casa a Chiaverano e ci conoscono tutti. – ndr) perché tu ci scorrazzavi con Giorgio tutto il giorno e la gente quando mi vedeva non mi risparmiava risatine e commenti sarcastici? Qualche volta anche il gesto delle corna?

– Sì, vabbe’, forse abbiamo esagerato, ma ormai tutti sapevano della nostra relazione e nasconderlo sarebbe stato infantile, ti pare?

– Se tu non avessi detto a tutte le tue amiche e a tutti i tuoi conoscenti, con profusione di dettagli, quanto più bravo di me fosse Giorgio a scopare, quanto più lungo fosse il suo cazzo e quanto più resistente fosse prima di venire, forse mi sarebbe rimasto qualche amico.

Ricordavo quel periodo come un incubo: dovetti venire quasi alle mani con persone che consideravo miei amici, ma che non potevano resistere a prendermi in giro con pesanti allusioni e battute.

– No, non ho mai detto che Giorgio fosse meglio di te. Diverso, forse, più energico… Certo più eccitante di ciò che era diventata la nostra noiosa vita sessuale.

– Come quella che è diventata la tua con Giorgio ora, giusto?

– Forse hai ragione. – disse con un sorriso triste. – Sapevo che avresti capito, Luca.

– Certo che ho capito. Ma questo non vuol dire che sia pronto a ritornare nel tuo letto così facilmente. Renditi conto che hai ferito il mio ego molto profondamente: non sono affatto sicuro di essere in grado di fare l’amore con te, sapendo quanto poco mi stimi.

– D’accordo allora. Facciamo un viaggetto. Domani ci alziamo presto e andiamo, che so? Alle Cinque Terre, per esempio. Prenotiamo in quel piccolo albergo a Monterosso e passiamo qualche giorno a ricucire romanticamente il nostro rapporto.

– E come pensi di andarci?

– Tira fuori la Jaguar!

– Non è così semplice. Anzi, impossibile direi.

– Perché, che c’è? La Jaguar non va più?

– Che io sappia va ancora benissimo. è che non è più mia. Ho dovuto venderla.

Rimase a bocca aperta. In un momento si rese conto di quanto poco avesse seguito le normali vicissitudini familiari, presa com’era dalla lussuria per Giorgio.

– Mi stai dicendo che hai venduto la tua amata Jaguar E Type spider del 1964, verde inglese con le ruote a raggi che hai restaurato da solo durante gli ultimi dieci anni? Che ti è costata sudore, soldi e centinaia di ore di lavoro? Com’è possibile? Quando l’hai venduta? E perché?

– Più di un anno fa. E l’ho fatto per pagare l’università all’estero per i nostri figli. Lo sai bene: hai firmato anche tu. Il Mit per Marcello e Cambridge per Simona. – la informai, stupefatto per quanto poco sapesse della vita della nostra famiglia e dei nostri figli. Troppo occupata a fare pompini al suo amante.

– Ne compriamo un’altra, Luca. Oppure perché non ricompri la tua?

– A parte che la mia vecchia Jaguar non è più in vendita, con quali soldi pensi che potremmo comprarne un’altra?

– Come? Non ci sono i soldi dell’azienda? Come tutte le altre macchine che abbiamo comprato?

– Non ti ricordi? Hai venduto la compagnia sei mesi fa. Hai firmato i contratti. – la informai con grande piacere.

– Io? quando?

– Te l’ho detto. E più di una volta, anche. Non ricordi quando ti parlavo della crisi, della concorrenza cinese, dell’aumento delle tasse? Il fatto è che tu negli ultimi anni non hai mai ascoltato quello che ti dicevo. Troppo impegnata con le tue vicissitudini sentimentali.

– Cosa mi stai dicendo, Luca! Che non siamo più ricchi? La vendita dell’azienda deve aver fruttato un sacco di soldi, giusto?

La guardai per diversi secondi senza rispondere. Volevo che interiorizzasse per bene le informazioni che le avevo fornito fino a quel momento, tutti i cambi che erano avvenuti sotto il suo naso senza che se ne rendesse conto, occupata com’era a farsi sbattere da quel bastardo. Poi mi alzai, mi diressi fino alla scrivania e da un cassetto estrassi delle carte.

– Leggi qua. La tua parte dovrebbe essere sufficiente per riscattare l’ipoteca sulla casa.

– Ipoteca? Quale ipoteca? – fino a quel momento aveva vissuto in un mondo di fantasia, popolato da amanti, cazzi e chiavate – Non abbiamo un’ipoteca sulla casa. Un momento… Cosa intendi quando parli della “mia parte”?

– Con la mia ho comprato una barca. Un due alberi da quindici metri. Ho dato le dimissioni e sfruttando la legge Fornero ho deciso di rinunciare a una fetta di pensione per andarci subito, così da poter girare il mondo con la mia nuova barca, ormeggiata in Costa Azzurra.

– No, Luca. Sai bene che non mi piacciono le barche e che detesto il mare!

– Ah, sì, lo so. – Ammisi – Nessun problema, tanto per te non ci sarebbe posto.

– Come?! Una barca così grande! Per forza ci dev’essere posto per me! – Apparentemente la sua avversione per le barche e il mare in generale era venuta meno in un secondo.

– Veramente no. Saremo solo noi due: io e il marinaio che ho assunto durante uno dei miei ultimi viaggi in Francia.

– No, Luca! Guarda, io posso venire, non ti darò fastidio. Anzi, mi sono divertita un mondo a fare shopping in Provenza due anni fa quando Giorgio mi ha portata.

– Niente da fare. C’è solo una cabina.

– E allora dove dorme il marinaio!? – chiese con impazienza mia moglie, sicura di avermi preso in castagna.

– Lei dorme con me. – La informai con serietà, soffocando un sorriso. – Da ormai diversi mesi.

– Lei? Il marinaio è una donna?

– Proprio così. Si chiama Giselle. Trentadue anni, francese, naviga da cinque anni ormai, ha persino traversato l’Atlantico in solitaria. E non dimentichiamo che è bionda, sexy, bellissima e una cuoca superlativa.

– Ah!

Credo che quest’ultima notizia finalmente le facesse capire la gravità della situazione. Non aprì più bocca e cominciò a piangere.

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Il giorno successivo, quando partii per Saint Tropez, stava ancora piangendo.

Organizzare tutto aveva preso tempo ma ne era valsa la pena: la mia barca (l’avevo chiamata ICAB – che stava per In Culo Alla Balena) mi aspettava, come Giselle, ormeggiata nel porto di quella ridente località della Costa Azzurra.

A Luciana non avevo menzionato la villa che avevo acquistato con i fondi che avevo sottratto alla società nel corso degli ultimi mesi, a Saint Paul de Vence, un po’ in collina, ma con una spettacolare vista sul mare.

Non vedevo l’ora di tuffarmi nella mia piscina, insieme a Giselle (che non so per quale motivo – forse religioso – si rifiutava di indossare qualsiasi indumento dalla vita in su), e di sorseggiare un pastis prima di cena.

Ma soprattutto ero impaziente di aprire il basculante del garage: la mia adorata Jaguar E Type spider mi aspettava per divertirci insieme, vento nei capelli, sulle strade della Costa Azzurra, della Provenza e della Camargue.

La vita si presentava piena di interessanti prospettive.

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