Skip to main content

Massimo

By 9 Settembre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Al principio non comprendevo proprio, n&egrave potevo conoscerlo, il significato di quella parola ‘nabottasciùta’.
Era ciò che diceva mamma quando parlava di me, con chi si meravigliava che io fossi venuta al mondo dopo ventiquattro anni dalla nascita di Massimo. Mio fratello.
Poi, pian piano, col passare del tempo, capii cos’era ‘na botta, cio&egrave una scopata, e quando appresi meglio il dialetto, potei metterla insieme a ‘asciùta’, che voleva dire ‘uscita’, nel senso di ‘capitata’, ‘inaspettata’.
Quindi, io ero, tutto sommato, il frutto imprevisto di una scopata, quando i miei genitori credevano finito il periodo fertile della mamma.
Un po’ ingenui, per non dire scemi del tutto, i miei, che ritenevano di poter andare a ruota libera quando mamma aveva solo quarantacinque anni!
Se fossero stati sinceri, avrebbero dovuto dire che quella volta erano stati imprudenti, si erano lasciati trascinare dall’entusiasmo della’ faccenda.
In fondo, mamma era orgogliosissima di me, sia perché non ero proprio da buttar via, sia perché in tal modo aveva confermato, orgogliosamente, la sua femminilità. E quando mi allattava non copriva mai completamente il suo seno rigoglioso per dimostrare quanto ancora fosse florido e affascinante.
Orgogliosa di me, sì, perché sono molto simile a lei. Solo un po’ più in piccola!
Non parliamo di Massimo, che per me era ed &egrave stato sempre un secondo padre, ma più indulgente, comprensivo, e giocherellone. Solo che, quando avevo tredici anni se ne era andato da casa, si era sposato, e dopo si era trasferito a Torino.
Lo vedevo un paio di volte all’anno, ed era sempre affettuoso.
Lo avevo mitizzato. Per me era l’Uomo, in tutte le sue accezioni, dall’intelligenza, perché lo consideravo un genio, all’aspetto fisico, un vero Apollo, alla prestanza, alla’. virilità! In effetti invidiavo Stella, la donna che aveva sposato, che era stata scelta da quello che consideravo l’unico vero Uomo del creato, il campione, il ‘VIR’. ‘Vir’ da cui deriva virtus, perché lui, Massimo, era simbolo e personificazione della virtù, di tutte le virtà. E certamente Alessandro Magno, definito ‘vir potentissimus’ si sarebbe dovuto chiamare Massimo.
Inutile dire che nella mia testolina, quel ‘potentissimus’ doveva logicamente riferirsi a tutto, anche alla virilità, alla sessualità.
La pensavo ancora così, anzi sempre così, anche quando lui e Stella vennero a festeggiare il mio ingresso nella maggiore età.
Io avevo diciotto anni, il mio Dio, padrone e signore, Massimo, poco più di quarantadue!
La festicciola la facemmo a Sabaudia, dove abbiamo una modesta villetta, lungo la litoranea. Attraversi la strada e sei sulla spiaggia.
Venne anche qualche amica, compagni di classe. Tutto ciò accadeva subito dopo la uscita dei ‘quadri’. Era scritto che eravamo ‘mature’ e ‘maturi’!
Massimo, salutò tutti, ma quando gli presentai il team dei ‘maturi’, sorrise divertito e mormorò appena: hoc erat in votis!
Stella fu, come sempre, apparentemente affettuosa, e, con tono di falsa modestia, facendo finta di dare il merito a Massimo, ma in effetti attribuendoselo subdolamente a lei, mi dette l’astuccio che, quando lo aprii, rivelò un gioiello che sognavo da sempre, che mi ripromettevo di acquistare una volta raggiunta l’autonomia economica, che avevo sempre ammirato nelle vetrine del gioielliere, fin da bambina, e spesso quando ero in compagnia del fratellone: uno splendido rubino appeso a una catenina d’oro!!!
Ringraziai Stella, ma guardai subito Massimo, che mi strizzò l’occhio. Complice. Non poteva essere stato che lui a sceglierlo. Lo abbracciai, con trasporto, quasi mi appesi al suo collo, e gli sussurrai all’orecchio un ‘grazie!’ che gli diceva quanto gli fossi riconoscente e commossa.
Erano i lucidi i suoi occhi, e mi sorridevano.
Non mi sarei voluta staccare da lui, era bellissimo restare così!
L’indomani, a pranzo, Massimo disse che dovevano tornare a casa, lui aveva impegni. Stella guardò il mare, dalla veranda, e disse che era proprio un peccato, perché il mare era così bello, così invitante’.
Mamma la invitò a restare, almeno una settimana, poi avrebbe raggiunto il marito, a Torino.
Massimo si disse d’accordo, e osservò che il biglietto aereo, trattandosi di un volo low-cost, non rinviabile né rimborsabile, sarebbe andato sprecato.
Stella alzò le spalle.
Mamma disse che aveva una soluzione.
Io potevo andare a Torino, col biglietto di Stella, sarebbe stato un viaggio premio, e mentre Massimo era al lavoro avrei visitato la città e il Museo Egizio che da tanto tempo desideravo vedere.
Tornando a Roma, con Massimo, io avrei fruito della tratta Torino-Roma, e Stella avrebbe utilizzato il ritorno. Del resto il biglietto era Mr.& Mrs. Moretti. Anche a un controllo, improbabile, tutto sarebbe stato in regola.
Massimo si dichiarò d’accordo.
‘Dai, sorellina, che mi fai vedere come sai cucinare!’
Stella non sembrava entusiasta, era molto gelosa della sua casa. Concluse che per non farmi lavorare più del necessaria avrebbe telefonato a Dorina, la loro colf, pregandola di prolungare al massimo l’orario di servizio.
La cosa non mi era molto chiara, ma non me ne importava nulla.
Avrei trascorso una settimana con Massimo!
Sì, certo, Torino mi interessava, il Museo Egizio anche, ma con Massimo sarei andata anche’ all’inferno!
Papà ci accompagnò all’aeroporto, partimmo.
Ero col mio fratellone, sola con lui. Non era mai accaduto in precedenza.
E la cosa mi elettrizzava, mi entusiasmava. Avrei potuto abbracciarlo, carezzarlo, stare vicino a lui, come sognavo da sempre.
Già’ i sogni! Da qualche tempo erano strani, equivoci. No, nemmeno equivoci perché erano di una chiarezza eloquente, di un realismo inquietante, come se qualcosa fosse in me, da sempre, allo stato latente, un seme ignoto e ignorato, ora era sbocciato di colpo, prepotentemente.
Sognavo di fare l’amore con Massimo. E mi svegliavo, ansante, sudata’ bagnata! Al solo pensiero rabbrividivo, mi veniva la pelle d’oca, il grembo si contraeva. Forse dovevo rinunciare a quella gita!
Ma non vi rinunciai.
Ero a Torino, con lui. Sola con lui. Nella sua grande e bella casa.
Mi mostrò la camera degli ospiti, la solita.
Disse che aveva in mente di andare a cena fuori. Una cena deliziosa. Sapeva lui dove.
Dopo mezz’ora ero nel soggiorno, tutta pimpante, curiosa di vedere dove saremmo andati. Mi aveva detto che era un locale veramente elegante.
Dopo un po’ mi raggiunse. Si era cambiato. Era veramente affascinante, Massimo, ed elegante. Lo guardai con compiacimento, muovendo la testa.
‘Allora, piccola, pronta?’
‘Certo.’
‘Sei veramente bella’. Peccato che siamo sempre così lontani”
‘Ora, comunque, siamo vicini!’
Mi accostai a lui, gli presi la mano, vi intrecciai la mia, la portai sul cuore.
Lui, per la verità, premette, e strofinò il dorso contro la mia tetta.
‘Però, piccoletta’. sei diventata proprio una donna, una gran bella donna”
Mi guardò, sornione, sorridendo, e strofinò ancora. Significativamente.
Era piacevolissimo quel contatto. E mi faceva ricordare ‘quei’ sogni!
‘Dai Mara, andiamo.’
Una bella pacca sul sedere, a mano aperta e, mi sembra proprio, con vigorosa palpata per contorno.
Evidentemente aveva trovato tutto di suo gradimento.
‘Sei proprio gagliarda, ah, ragazza!’
Gli presi la mano e la baciai. Che bello, gli piacevo!
Veramente elegante e raffinato il locale dove andammo, e così pure il servizio, le pietanze e’. e’ sì’ i vini!
Non ero assolutamente ubriaca, neppure allegra. Li avevo assaggiati, apprezzati, niente di più.
Contrariamente alle mie abitudini presi anche il caff&egrave, dopo cena, per far compagnia a Massimo.
E tornammo a casa.
Quando fummo in ascensore, Massimo mi mise una mano sulla spalla, mi avvicinò a lui. Mi poggiai a lui, teneramente. Forse &egrave più esatto dire gioiosamente’, ancor meglio’ calorosamente’. ardentemente’ E così, tenendomi stretta, uscimmo sul pianerottolo, aprì la porta, entrammo in casa, la richiuse, mi sorrise, chinò il volto su me’. Chiusi gli occhi e porsi la bocca’ Sentii le sue labbra’ posarsi sulla mia fronte.
‘Sei proprio una splendida bambina, Mara. Una vera ‘madamina’ che sa comportarsi meravigliosamente in società. Brava!’
Aprii gli occhi, pieni di pianto. Per la rabbia e la delusione, non per la commozione. Gli sorrisi. Il contatto con lui mi turbava, sentivo palpitare dentro me, e pulsare le tempie.
‘Grazie per la bellissima serata, Massimo’ e adesso?’
‘Adesso andiamo a nanna, tesoro’ domani si lavora’ cio&egrave sono io che devo lavorare, tu puoi dormire quanto vuoi. Ciao.’
Si chinò e mi baciò di nuovo. Sempre sulla fronte. Mi alzai sulla punta dei piedi e lo baciai sul volto, all’angolo della bocca.
Ero veramente su di giri, e la lunga preparazione per andare a letto, indugiando nello struccarmi, non fece che aumentare la mia eccitazione.
Massimo era nella camera di fronte alla mia. A letto!
Mi guardai a lungo nello specchio.
Perché insisteva a chiamarmi ‘bambina’. Lo specchio mi diceva che ero donna, femmina, a tutti gli effetti. Non con forme esagerate, ma tutto in proporzione. Insomma, io mi piacevo! E la mano andò ad accertarsi che seno, fianchi, glutei e’ ‘passera’ confermassero la piacevolezza del tutto. Mi venne da sorridere alla parola ‘passera’. La chiamavo così da sempre, ma ora pensavo a Leopardi, ai versi della sua poesia, ‘il passero solitario’. Seguitavo a guardarmi nello specchio, più precisamente a guardarla… Sì ch’a mirarla intenerisce il core,’ Dell’anno e di tua vita il più bel fiore, ‘. Che parrà di tal voglia? Che di quest’ anni miei? che di me stessa? Già, la ‘voglia’, e ‘che di me stessa? Così, nuda com’ero, andai in camera, sul letto avevo posto la camicia da notte, abbastanza leggera, l’indossai, e, scalza, attraversai il corridoio, abbassai lentamente la maniglia, la porta si aprì, Massimo era a letto, leggeva il giornale, aveva gli occhiali. Li tolse e mi guardò.
‘Mara!’
‘Vengo a letto con te, Massimo.’
La voce era decisa, priva di tono, impersonale. Senza aggiungere altro, andai dall’altra parte del letto, alzai la copertina, mi infilai dentro e mi coprii. Mi misi su un fianco, rivolta verso lui.
Massimo mi guardò ancora un po’, rinfilò gli occhiali e riprese a leggere.
Mi avvicinai a lui, gli presi una mano, la tirai giù, mi misi con la testa sul suo braccio e portai la sua mano sotto la mia ascella.
Stavo benissimo. Era caldo. Profumava di qualcosa di sconosciuto che mi eccitava. E non ne avevo certo bisogno. Ma il mio grembo voleva sentirlo vicino. Alzai la gambe e la posai su di lui. Ecco, ora sì, la ‘passera’ poggiava sul suo corpo. Purtroppo c’era la stoffa! Massimo, seguitando a leggere, mi carezzava delicatamente, sfiorava l’attaccatura del seno’ mi mossi, mi voltai un po’, affinché le dita potessero raggiungere il capezzolo turgido e desideroso di essere toccato. Lo sentì, sì lo sentì’ e mi guardò di sfuggita.
Non riuscivo a star ferma, mi strofinavo a lui, impudica’ lo so, ma era bellissimo. Il mio culetto desiderava pazzamente essere afferrato e spinto verso quel meraviglioso fratellone che mi stava facendo perdere la testa’
Non so se seguitasse a leggere, ma aveva ancora il giornale davanti agli occhi. Le dita, però, titillavano e pizzicavano il capezzolo.
‘Ma cosa aspetti?’, mi chiesi tra me e me.
Allungai la mano verso’
Perdiana che randello! E come era sacrificato nel pantalone.
Mi arrabattai alla meglio, un po’ goffamente, ma trovai il modo di liberarlo da quella prigionia. Era caldo, pulsava!
Massimo si era tolto gli occhiali, li aveva messo sul comodino, aveva fatto cadere il giornale sul pavimento.
Glielo avevo afferrato stretto, col cuore che mi scoppiava e il grembo che sussultava, e lo stavo lisciando lentamente. Volevo conoscerlo bene: dalla base al grosso glande. Era caldissimo.
Massimo era immobile.
Provai a carezzarlo, delicatamente.
D’improvviso, sentii l’altra mano di Massimo che mi allontanava un po’ da lei, mi alzava decisamente la camicia e si infilava tra le mie gambe, le faceva dischiudere’ le dita si intrufolavano, titillavano il clitoride, lambivano il mio interno’ Stavo tremando come una foglia, e sentivo avvicinarsi rapidamente’
Tanto rapidamente, che gemetti forte, scossa violentemente da un piacere che non conoscevo, un orgasmo travolgente, ma non appagante’
I movimenti erano disordinati, confusi, ma riuscii a togliere la camicia’ afferrai l’elastico dei pantaloni del pigiama di Massimo e tirai giù, con violenza, giù, fino in fondo, sfilandoglieli del tutto’ lo spinsi’ era supino, mi sollevai sulle ginocchia, a cavallo di lui, afferrai il glande lo portai golosamente all’ingresso della mia vagina’ era strettissima, ma nulla avrebbe potuto fermarmi, a costo di sentirmi squartata’ stava entrando’ sì’.maestosamente entrando.
Mi afferrò alla vita, mi face cadere su lui, mi strinse forte, fortissimo, e così, con lui in me, riuscì a rotolare. Gli ero sotto, e stava pompandomi quasi con violenza, con foga, passione. I suoi colpi mi spingevano verso l’alto. Mi afferrai alle aste di ottone del letto che batteva sul muro. Massimo proseguiva con energia, gagliardia, né diminuì quando fui travolta da un orgasmo che non accennava a esaurirsi, anzi, divenne ancora più impetuoso.. dei colpi fortissimi’. Bellissimi’ un attimo di sosta e’ mi sentii invasa da un torrente tiepido e inebriante che si sparse dappertutto, come un balsamo divino’ E lui giacque su me. Era enorme, ma non pesava.
Il suo sesso pulsava nel mio, e io stringevo forte, per mungerlo fino all’ultima goccia. Avida, golosa, insaziabile.
Quando riuscii a riprendere fiato, lui aveva alzato la testa e mi stava fissando.
‘Siamo pazzi, Mara, pazzi!’
‘Sei meraviglioso, Massimo, magnifico! Come ti pare la ‘piccola’ Mara?’
‘Stupenda, favolosa, bellissima, eccezionale!’
E ogni parola era accompagnata da una spinta, in me, che mi faceva morire di piacere.
Ogni confine era stato rimosso, non esistevano più tabù.
E non detti pace al mio poderoso e grandioso fratellone.
Tutto di lui mi piaceva, e nulla di me lasciò inesplorato. Le sue labbra, la sua lingua, le mani, le dita e’ il resto’ erano incessantemente dappertutto.
Ero sfinita, spossata, ma felice, esultante, gongolante.
Finalmente! Avevo raggiunto il’.Massimo!
^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply