Marta, convinta che a dividerla dal realizzare il suo sogno di diventare una scrittrice di narrativa erotica pubblicata siano i soldi necessari a comprare un corso di scrittura moderna, decide di approfittare della possibilità di lavorare come cameriera nel fast food di un bordello in Svizzera.

Hans mi precede nel corridoio tra i tavoli e il bancone del bar. Passiamo accanto ad uno dei divanetti grigi, simili a grossi materassi gonfiabili, disposti per la sala. I riflessi dei faretti sul soffitto scivolano lungo i travetti di legno scuro tirati a lucido del pavimento. Quanto tempo rimarranno così lindi, una volta che le porte del locale saranno state aperte e i clienti cominceranno a ordinare? Due muri sono coperti da assi di legno tarlate, gli altri due sono formati da sassi a vista: c’è qualcosa di reale, o sono di plastica? Da degli altoparlanti nascosti inizia a fluire della musica a basso volume, e un leggero odore di disinfettante riempie l’aria, per quanto sia sicura che quando la cucina sarà in piena attività lo sostituirà con profumi ben migliori.
Il locale è la perfetta riproduzione di un immaginario rifugio svizzero. O quasi: qui non ci sono finestre che danno sull’esterno, ma non credo ci siano al piano terra dei bordelli.
L’uomo si ferma accanto ad uno dei monitor attaccati a dei bracci che scendono dal soffitto e lo tocca. La scritta “Benvenuti a ‘La fritula’” scompare, sostituito da una lista di categorie alimentari. «Come vedi, Marta, il sistema che usiamo qui è simile a quello che trovi in molti altri fast food, ma con una differenza…» Abbassa la mano in fondo, dove compaiono, al posto di una parola e cibo stilizzato, il simbolo azzurro del maschile e quello rosa del femminile. Lo tocca e lo schermo viene riempito da foto a mezza figura di ragazzi e ragazze nudi, in posa, ognuna accanto all’altro, con il nome sotto.
Nel penultimo posto a destra compare la mia immagine, la seconda di seno bene in vista. Il fotografo deve avere usato qualche filtro per rendermi così affascinante: non ho mai avuto gli occhi di un colore nocciola così intenso e i capelli castani di una lucentezza simile… Chissà se è disponibile anche su Instagram per i selfie delle storie.
Hans tocca proprio la mia foto. Ora sono a figura intera, in piedi, la mia figa bene in mostra, le mani appoggiate alle anche e il seno spinto in avanti. Sì, il fotografo ha un tocco magico.
L’uomo indica con un dito una lista di pratiche sessuali – blowjob, handjob, vaginal, cumshot -, ognuna preceduta da un quadrato e seguite da un prezzo. 100 franchi svizzeri per un pompino! Non ho mai creduto che la mia bocca valesse tanto. 350 per la mia figa… Altroché passare le estati a lavorare come commessa al fruttivendolo di Sernio…
«Qui i clienti possono richiedere anche una prestazione sessuale, dopo aver scelto una hostess od uno steward, e selezionato una o più pratiche.» Tocca un paio di volte sullo schermo e dei segni di spunta riempiono i quadrati davanti a blowjob e cumshot. Totale: 150 CHF.
Farsi succhiare il cazzo e sborrare in faccia costa quanto passare una settimana a vendere pomodori e gerbere… e a questo vanno aggiunte le consumazioni. Quanti di questi franchi finiranno davvero nelle mie tasche? Comunque, più di starsene ad annuire ad una vecchia che si lamenta che l’insalata aveva i bordi neri dopo una settimana dall’acquisto.
Hans preme un tasto e lo schermo torna alla schermata iniziale. Mi sorride. Mi concentro sui suoi occhi azzurri oltre gli occhiali rotondi e non sul riporto imbarazzante che cerca di nascondere la pelata incipiente.
«Allora, Marta, cosa ne pensi? Sei sicura di voler essere dei nostri?»
Annuisco. «Certo, signor Rigonalli.»
«Ti ricordo che passerai il tuo turno praticamente nuda e dovrai soddisfare i clienti in ogni modo loro richiedano.»
«Certo, ne abbiamo parlato al colloquio di lavoro.» Almeno nel tempo che non eri impegnato a testare la mia bocca e la mia figa. Deve avere i suoi lati positivi essere il figlio del padrone del bordello… Chissà se intervista solo le future hostess o anche gli steward, o appioppa la cosa alla segretaria.
Hans mette una mano sulla mia spalla. Ha lo stesso sorriso di quando mi è venuto in gola. «Sono sicuro che te la caverai benissimo. Al colloquio…» si avvicina di un passo e abbassa la voce, come a confidarmi qualcosa che le sedie vuote e il bancone lucido non debbano sapere, «…sei stata la migliore che abbia incontrato fino ad ora.»
Inalo a fondo, il petto sembra che mi si stia aprendo dall’orgoglio. «La ringrazio, signor Rigonalli. Non si pentirà di avermi assunta.»
Lui annuisce. «Perfetto.» Mi accompagna al bancone del bar e indica una sorta di stanzetta simile ad una sala d’aspetto. Un paio di panche in legno sono appoggiate ai muri piastrellati, poste una di fronte all’altra, e altrettanti tavolini alle estremità, su cui sono presenti riviste e libri. Sopra una porta in legno bianco con un cartello, ticchetta un grande orologio da muro che indica pochi minuti alle otto. «Qui è dove le hostess e gli steward attendono di portare le consumazioni ai clienti.»
Portare le consumazioni ed essere consumati… Trattengo un sorriso. «Non stiamo in sala?»
Hans ha una leggera smorfia. «Preferiamo che vi vedano il minimo indispensabile.»
Comprensibile. Meglio che i clienti non si seghino guardandoci girare per i tavoli, ma paghino per delle prestazioni.
Con un cenno indica una porta in legno bianco con la scritta “privato” in italiano, tedesco e inglese, accanto a quella dei gabinetti. «Vai a cambiarti. Sono certo che i tuoi colleghi stanno già arrivando.»
Al secondo passo la voce di Hans mi ferma.
«Ah, Marta: un’ultima cosa…»
Mi volto.
«Volevo ricordarti che il regolamento interno vieta di fare sesso con i colleghi durante l’orario di lavoro. Sai, meglio non sderenare i ragazzi o non potranno soddisfare i clienti… Poi, fuori, dopo lavoro, potete fare quello che volete.»
Annuisco. Non credo nemmeno che avrò il tempo o la voglia di scoparmi i colleghi, qui o fuori, con tutte le prestazioni che dovrò fare per lavoro…
Lo spogliatoio non ha nulla a che vedere con la sala pranzo. Assomiglia più alle cucine o all’area di attesa: qui è tutto coperto di piastrelle bianche e l’illuminazione è prodotta da una fila di neon. Una porta in legno ha una targhetta con la scritta “Uffici”, un largo varco mostra un box doccia. Due muri sono occupati da armadietti di metallo color crema senza troppe pretese, in mezzo ai quali sono sistemate delle panche in metallo.
Su una di queste è seduta una ragazza dai lunghi capelli biondi che si sta slacciando una scarpa sotto la quale non c’è una calza. Mi scorge e si volta verso di me. Un sorriso meraviglioso le illumina il volto e le fa luccicare gli occhi azzurri. «Alegra! Devi essere la ragazza nuova.»
Ho sempre amato il saluto tipico romancio. «Alegra anche a te! Mi chiamo Marta.»
«Eva.» Finisce di togliersi la scarpa, che prende insieme all’altra accanto a lei e la appoggia sul fondo del suo armadietto. Si alza in piedi, e si solleva la maglia. «Cosa ti porta qui, Marta?» La testa le esce dallo scollo del vestito, i capelli le piovono sulla schiena. «Intendo: a fare la cameriera in un topless bar sotto steroidi?»
Prendo dalla tasca della tuta da motociclista la chiavetta che mi è stata consegnata dieci minuti fa, prima del tour del mio nuovo posto di lavoro. C’è attaccato un misero portachiavi in plastica verde al cui interno un rettangolo di carta reca il numero “9”. Ce n’è un altro un paio di armadietti più a destra di quello di Eva. «Sto studiando letteratura all’università, a Pavia, e mi piacerebbe diventare una scrittrice di racconti erotici…»
La ragazza è in reggiseno. Scoppia in una risata. «E così vai a lavorare in un bordello per fare esperienza.» Allunga le mani dietro la schiena, si sgancia il reggiseno e se lo toglie. Come se nulla fosse, resta a poppe al vento davanti ad un’estranea. «Ha senso. Per lo meno, non hai intenzione di scrivere romanzi ambientati nelle miniere o sulle piattaforme petrolifere.»
I seni di Eva devono essere una seconda, con delle piccole aureole attorno ai capezzoli marroni. Quante volte verranno afferrati e palpati in un giorno?
Lei si accorge che gliele sto fissando e sorride, come se avessi fatto un complimento per una sua opera. «Io invece sono qui perché mi piace far vedere il mio corpo e fottere.» Mi guarda negli occhi. «Qui posso anche guadagnarci.»
Mi mordo le labbra. Già…
Eva si sbottona i jeans corti con i bordi sfrangiati e li fa scendere lungo le gambe. «Controlla che ti abbiano dato l’uniforme.» Il sorriso diventa una nuova risata.
«Ehm… sì.» Infilo la chiave nella serratura e apro la porta dell’armadietto. L’interno è vuoto, a parte cinque fettucce rosa. Ne tiro fuori una e la mostro a Eva. «Non me l’hanno data. C’è solo…»
Eva è nuda. Ha solo un ciuffo biondo a cespuglio sul Monte di Venere a nascondere un palmo di pelle. E la fettuccia, che sta mettendo alla vita. Solleva lo sguardo dal nodo che sta facendo. «No, ce l’hai in mano.»
Cosa… La fettuccia è larga poco meno di un paio di pollici, lunga forse un metro. È rosa ai bordi, e bianca in una fascia interna.
La ragazza finisce di allacciare la sua: dal nodo spunta un grosso fiocco e le due estremità pendono per un palmo. La controlla e, soddisfatta, la gira finché il fiocco non le resta dietro.
«È la nostra uniforme. Finisci di spogliarti, poi ti aiuto a indossarla. Le prime volte è un po’ complicato.»
Metto un piede sulla panca e mi slaccio le scarpe. «Quanti siamo in sala?»
Eva spegne il telefonino – natel, qui lo chiamano natel – e lo depone nel ripiano superiore dell’armadietto. «Il lunedì c’è poca gente… vengono alla “Chesa dal Piacér” a scopare il venerdì sera e nel week end, e all’inizio della settimana di solito è tranquillo, quindi siamo tre ragazze e un ragazzo a…» Solleva le mani, le chiude a pugno e graffia l’aria con i medi e gli indici un paio di volte, «…“servire”. Nei giorni successivi siamo di più.»
Il rumore di una porta che si apre e chiude proviene da un corridoio che fa angolo all’altra estremità dello spogliatoio. Delle luci si accendono, forse in automatico quando entra qualcuno dall’ingresso riservato ai camerieri.
Eva si volta verso il corridoio. «Dev’essere Sabine.»
Dall’angolo fa la sua comparsa un ragazzo. La maglietta è tirata dalle spalle larghe, si gratta la barba bionda come i capelli. «Alegra, Eva.»
La ragazza mi lancia un’occhiata. Ha l’espressione che hanno di solito le persone che vedono il loro divo del cinema. «È Andri!» No, quando vedono il loro divo del cinema non sono eccitati fino a questo punto. Si volta verso il nuovo arrivato. Le chiappe le si contraggono e distendono come se le stesse usando per suonare due piatti, si solleva sulla punta dei piedi un paio di volte. «Alegra, Andri!»
Lui arriva davanti a lei e le fa l’occhiolino. «Sei sempre bellissima, ragazza.»
Sono pronta a scommettere che adesso Eva si inginocchia, gli tira fuori il cazzo e se lo mette in bocca, fino a svuotargli le palle, indifferente a quanto impongono le regole aziendali…
Invece, lei resta ferma e lo segue con lo sguardo. Lui la supera e si avvicina a me.
Mi guarda, sono a piedi nudi, con la tuta da motociclista fino alla vita e in reggiseno. Sembra apprezzare. Mi sorride, sia con la bocca ma soprattutto con gli occhi, occhi di un azzurro come il cielo in estate. Ha la mascella squadrata, una leggera barba la copre.
Mi allunga la mano. «Sono, come avrai inteso, Andri, il puttano del fast food. O fast fuck, come lo chiamiamo noi.»
Il cuore mi batte in gola, ho la bocca asciutta. La lingua si stacca da qualcosa che sembra la colla moschicida. «Marta, la… la tua nuova collega.»
«Sono felice di conoscerti, Marta.» La sua voce è calda, dolce. Se la cioccolata fumante avesse un suono, sarebbe la sua voce.
Eva gli assesta una manata sul petto. Da come si muove la maglietta all’impatto della mano, sembra che sotto ci sia del marmo. «Dai, non provarci con lei davanti a me.»
Lui gira appena la testa, un angolo della bocca si solleva. «Gelosa, Eva?»
I pantaloni mi hanno appena nascosto uno sbocco di eccitazione dalla figa, che sta prudendo come poche volte in passato. Questo se le scopa tutte, e non deve nemmeno chiedere…
Con me non deve domandare…
Andri non aspetta risposta dalla ragazza. Da una tasca prende una chiave e apre lo sportello accanto al mio. Sul fondo ci sono delle bombolette di deodoranti e profumi spray, un paio di libri stropicciati e dall’aria di essere stati letti e riletti, su una copertina compare l’immagine di un busto di marmo, e dalla barra appendiabiti pendono una mezza dozzina di fettucce blu e azzurre.
Eva fa fatica a staccare gli occhi di dosso dal ragazzo. Quanta ne faccio anch’io. «Marta, finisci di spogliarti, che ti aiuto a mettere l’uniforme.»
Andri ride. «Già. Io le prime settimane l’indossavo al contrario.» Con i piedi si toglie le scarpe, vecchie Nike che devono avere almeno un lustro. «Se ti serve una mano per il gancetto del reggiseno, non farti problemi a chiedere.»
Trattengo un sorriso. Mi volto e gli do la schiena. «Avresti questa cortesia?»
«Certo.»
Le sue dita toccano tra le mie scapole, il calore delle sue mani si diffonde nelle mie car— La pressione del reggiseno scompare in un istante, le due alette pendono lungo i miei fianchi. Quanti reggiseni ha aperto per essere così bravo?
«Vuoi anche che te lo tolga?»
Metto le mani sul seno, come a nasconderlo, e gli faccio la linguaccia.
Lui ridacchia. «Toglile pure. Tanto le vedrò per le prossime sei ore.»
È vero, e comunque non ho intenzione di nasconderle a nessuno. A lui soprattutto.
Abbasso le braccia, le mani che tengono le spalline del reggiseno. La mia seconda fa la sua comparsa davanti ad Andri ed Eva. Lei annuisce e sorride.
Lui ancora di più. «Belle tette, Marta.»
Usa ancora quel tono di voce. I seni mi diventano più duri, i capezzoli s’inturgidiscono. Mi viene voglia di mettermi una mano nelle mutandine e massaggiarmi la figa, giocare con il mio clitoride davanti ad Andri… vorrei che lo facesse lui mentre mi succhia le tette…
Ora mancano solo i pantaloni e le mutandine… La cosa strana è che sono nervosa e al contempo calma, come se avessi paura del giudizio dei due ragazzi e, al tempo stesso, fossi certa che aspettano solo che mi denudi per cominciare una bollente sessione di petting a tre. Eva si è spogliata senza problemi, oramai abituata alla cosa; Andri si sta togliendo la maglietta, e sembra farlo con il piacere di essere guardato.
Una schiena a V si denuda davanti a me, due spalle muscolose la sovrastano. Sul fianco, minuscolo, compare un tatuaggio: due montagne stilizzate con un sole che vi sorge in mezzo, ridotto ad un pezzo di circonferenza e tre lineette a rappresentarne i raggi. Sotto, la scritta in caratteri che simulano quelli delle iscrizioni sui monumenti dell’Antica Roma: “Nihil enim fit quod hominem sustinere non possit”.
Oddio, quel dannato latino mi perseguita anche in un bordello in Svizzera? “Infatti niente succede”, ehm… “che l’uomo non può sostenere”, giusto? Cos’è, qualche massima di vita?
Il ragazzo prende la maglietta e la getta nell’armadietto, sopra i libri e gli spray. Eva lo contempla con devozione, lo avrà visto non ho idea quante volte, ma sembra che non abbia mai ammirato nulla di simile in precedenza.
Una mano le si sposta su una coscia verso l’interno, un paio di dita si muovono come ipnotizzate, attratte dalla sua stessa figa. Le piccole labbra sono rosse e luccicano. Sono pronta a scommettere che sta lottando contro sé stessa per non ditalinarsi davanti a noi. Sono certa che qualcuna, in passato, l’abbia già fatto in un’occasione come questa.
L’unica differenza tra lei e me è che io indosso ancora i pantaloni. Non so se risponderò di me quando quello scudo di jeans tra la mano e il sesso sarà caduto…
Andri non fa caso alla cosa, come se fosse per lui naturale avere due donne attorno a lui, desiderose di essere possedute o cavalcarlo. Forse ne è abituato. Si sbottona i pantaloni e li abbassa. Il davanti degli slip bianchi sporge, non è richiesta la fantasia per comprendere cosa contiene, e le sue dimensioni. Dev’essere così che si presentano un paio di slip con dentro la banana delle barzellette.
Eva schiocca due dita per richiamarmi alla realtà. «Finisci di spogliarti, Marta…» Lei non è molto più presente di me.
Cosa… Sbatto gli occhi. «Sì…»
Ho fatto sesso con diversi amanti, un paio di volte anche con due contemporaneamente, denudandomi in loro presenza… ma trovarmi davanti due colleghi – nuovi colleghi – mi sta facendo impazzire il cuore.
Al diavolo, è inutile star qui a perdere tempo: afferro pantaloni e mutandine in una volta e abbasso.
Ora sono nuda, il mio sesso è davanti a loro. Mi sento vulnerabile.
Eva abbassa lo sguardo e accenna un sorriso. «Ti depili, vedo.» L’equivalente di “una bella giornata, oggi” quando hai davanti una donna nuda e non hai nulla da dire ma non vuoi sembrare imbarazzato.
Andri non degna della sua attenzione il mio pube. Solleva una gamba, si sfila un pantalone, ripete con l’altra. Ha delle gambe muscolose, depilate. Ci deve scalare le montagne, con quelle…
Prende l’elastico dello slip e lo abbassa. Un cazzo in erezione per metà, lungo una spanna, vi cade fuori, pendendo tra le cosce. A differenza sua, non riesco a distogliere lo sguardo, lo calamita ancora più della sua schiena. Sporge da un pube quasi depilato, l’ombra del pelo biondo in ricrescita colora la pelle. Inizia a gonfiarsi, forse per la nostra presenza: lui non vuole farci credere che lo eccitiamo, ma l’erezione, come diceva un mio zio, è la più onesta emozione.
La cappella spunta appena di punta dal prepuzio, gonfio rispetto al resto dell’asta, che si sta inturgidendo.
Deve passare le sei ore del turno di lavoro in uno stato continuo di arrapamento…
Andri mi scocca un’occhiata, sorprendendomi nel fissargli il cazzo. Sobbalzo, mi si mozza il fiato.
Lui sogghigna. «Ti piace quello che vedi?»
Alle sue spalle, Eva non distoglie lo sguardo dall’eccitazione del ragazzo, ha sul viso l’espressione soddisfatta di una persona che vede qualcosa che apprezza molto. L’avrà mai toccato… Ovvio, lui è così… espansivo. Forse hanno anche fatto sesso insieme.
Deglutisco. Stringo le labbra. «Scusa, non volevo…»
I due scoppiano in una risata come se avessi detto una battuta spassosissima. Si guardano e ridono ancora più forte.
«Cos’è successo?» Una ragazza mora arriva dal corridoio, ha la pelle scura come una mulatta. Un tatuaggio simile a fiamme sul lato destro del dorso parte da sotto l’ascella e si tuffa nei pantaloncini corti.
Eva si volta verso di lei. «Ciao, Sabine.» Mi indica. «Lei è Marta, la nuova arrivata.»
Sabine alza la mano in un saluto. «Perché ridete?»
«Ha detto che non voleva guardare l’uccello di Andri!»
La nuova arrivata ridacchia. Si avvicina al ragazzo, gli dà un bacio su una guancia e gli passa una mano sull’uccello in tiro. Lui risponde dandole una pacca sul culo.
Sabine abbassa la voce, come se gli altri due non possano sentirla a mezzo metro di distanza. «Questo è un gran puttaniere, si scopa qualsiasi donna gli capiti a tiro. Tra una settimana al massimo stai tranquilla che ti ritrovi tra le sue gambe a farti riempire dal suo cazzo.»
Lui le fa una linguaccia. «Non mi pare che ti sia dispiaciuto.»
Lei gli scappella il cazzo e passa il pollice sul glande. A lui si gonfia il petto e si allarga il sorriso. «Quando abbiamo finito sai dove sono Oggi pomeriggio potrei non riuscire a trovare tanto velocemente le mutandine…»
Andri le fa l’occhiolino e le scocca un bacio su una guancia.
Eva sorride, ma solo con le labbra.

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scusa, al quarto sono bloccato!
ti ringrazio, mi fa molto piacere sapere che ti sia piaciuto! il secondo capitolo l'ho completato. nel terzo sono bloccato.…
ne ho scritti altri con altri nick...spero ti piacciano altrettanto.
Vedi la tua posta indesiderata
Ti ho scritto, mia Musa....attendo Tue...