
Nicolò
Le macchine degli ultimi che hanno voluto restare alla festa dei Favaro sono ancora nell’ampio parcheggio davanti alla villa. Trovo il posto accanto all’ingresso al parchetto che circonda la casa. Un paio di coppie sono sotto un lampione a fumare.
Non sono mai andato ad una delle famose feste che il figlio organizza un paio di volte o tre all’anno, e sognavo di andarci con Fabiana. Beh, più o meno è successo, per quanto non come avevo intenzione io…
Cavo dalla tasca della giacca il cellulare. Mamma è rimasta stupita quando mi ha visto smettere di studiare e prendere le chiavi della macchina, alle undici e mezza. “Dove vai a quest’ora?”, mi ha chiesto. “Lascia perdere”, ho risposto. Non mi andava di spiegarle cos’era successo. “Torno tra poco”.
Apro Whatsapp per mandare un messaggio. Quello che mi ha fatto uscire di casa compare sullo schermo.
Fabiana
Nico, puoi venire a prendermi alla villa dei Favaro, per favore? 😊😘
Inalo a fondo, il respiro sibila nel naso. Ora posso ammettere quello che nelle ultime settimane ho provato ma ho sempre nascosto anche a me stesso: Fabiana mi prendeva in giro. Mi ha raccontato una montagna di balle e mi ha usato solo per uscire e spassarsela senza spendere un euro.
Ha ragione suo fratello Leonardo: mi merito di meglio di quella troia…
Il movimento accanto alla portiera del passeggero mi distrae dall’intento di avvisare con un messaggio la ragazza che sono arrivato: lei è oltre il finestrino e allunga una mano alla maniglia.
Fabiana apre la portiera. «Sei davvero un tesoro a venire a prendermi, Nicolò.» Sorride. È il sorriso meno convinto che abbia mai visto, sembra le sia appena morto il gatto ma debba comunque comportarsi come se tutto stia andando a meraviglia.
Non rispondo. La fisso e basta, non accenno nemmeno a fingere di essere contento di vederla. Non che debba impegnarmi per questo.
Solleva una gamba per entrare nell’abitacolo, emette un gemito come se sentisse dolore. Ha la stessa agilità di mia nonna, che ha più del triplo dei suoi anni, o mio padre con la schiena dolorante dopo una settimana passata in cantiere a spostare sacchi di cemento.
È caduta dalle scale, per essere conciata in quel modo?
Stringe gli occhi e fa una smorfia quando si appoggia sul sedile. «Ahi…»
«Stai bene?»
Arriccia le labbra in un’espressione di dolore nel mettersi più comoda, o almeno ci prova. Sembra avere le emorroidi.
«S… sì, sono solo un po’… Non lo so…»
Il suo fiato è come l’odore che proviene dalla distilleria al confine di Caregan. Adora la bottiglia, Fabiana, ma questa sera deve aver battuto ogni suo record.
Lei mi guarda, sorridendo, ma l’espressione cala nel vedere la mia, ben poco cordiale.
«Mi avevi scritto che saresti rimasta a casa a studiare.» Un senso di colpa mi nasce nel petto a rinfacciarglielo, ma non ho intenzione di rimangiarmelo.
Lei è sorpresa, balbetta. «Io… la… la mia amica Piera mi… mi ha chiesto di accompagnarla e…»
Ero convinto che le donne sapessero mentire meglio. «E ti ha lasciata sola, se n’è andata senza di te?»
Fabiana annuisce. «Sì… sì, è andata via con… con uno. Mi ha lasciata qui, da sola.» Stende le labbra in quello che dovrebbe essere un sorriso, ma sembra quasi un ringhio, o una paresi.
«E non potevi chiedere a qualcuno della festa di accompagnarti a casa?»
Fabiana si tortura una mano con l’altra, si morde un labbro abbassando lo sguardo. «Non mi fido di loro…»
Mi limito a fissarla senza pronunciare una parola. Ha paura che uno di loro le spalanchi le gambe, mentre sa che io non lo farei, considerando che fino ad ora non ci ho mai nemmeno provato… Anche perché non le aprirebbe mai con me.
Lei sembra capire i miei pensieri. «Sei così gentile, Nicolò…» sussurra e appoggia, fingendo di non farci caso, una mano sulla mia coscia, a poche dita dal mio inguine. Una scossa raggiunge il pene e lo fa prudere.
Prendo il suo polso e sposto la mano sulle sue, di gambe. «Scusami, devo guidare.»
I suoi occhi, già rossi, diventano anche liquidi, nemmeno le avessi assestato una sberla. Stringe le labbra e guarda avanti.
Avvio la macchina, metto la retro ed esco dal parcheggio.
Le strade, a quest’ora, sono quasi deserte, un paio di macchine viaggiano sulla corsia contraria e di passanti nemmeno uno. Esco dall’abitato di Caregan per tagliare lungo la strada per i prati e raggiungere prima la contrada di Sant’Egidio, così da lasciarla il prima possibile a casa.
Non so quante volte sono passato di qui, quando la scarrozzavo, accarezzando l’illusione che lei volesse fermarsi lungo la strada, per farmi un pompino o una sega per ringraziarmi della serata passata insieme. Dovevo essere scemo.
Fabiana ha il mento appoggiato al petto. Non parla da quando siamo partiti, nella macchina non c’è mai stato tanto silenzio con lei a bordo. Ha un singulto, stringe gli occhi come mia madre quando ha un attacco di bruciore di stomaco, si mette la mano sulla bocca.
Le lancio un’occhiata. «Cos’hai?» Non è difficile immaginare cosa le sta succedendo, ormai dovrei conoscerla.
«Fermati, per favore… Fermati!»
Accosto al lato della strada, in uno spiazzo tra due castagni. La luna illumina appena i prati che si stendono oltre un fosso. Fabiana apre la portiera con la macchina che non è ancora ferma e si lancia verso il canale, si appoggia con le mani sulle ginocchia e rimette.
Metto in folle l’auto, vi giro attorno e la raggiungo. Fabiana emette gemiti che mi spaccano il cuore, l’odore che si alza davanti alle sue scarpe è disgustoso. Nella luce dei fari della Punto riflessa dalla vegetazione, le prendo i capelli lunghi e glieli tengo lontano dal viso – è questo che si fa in questi casi, giusto?
Ha un altro conato e riversa bava nell’erba sulla sponda del fossato, tra una lattina e una bottiglia di birra. Quanto diamine ha bevuto? Come fa a ridursi in questo stato?
«Stai bene?» Non deve rispondere per comprendere che è palese che sta da schifo.
Fabiana boccheggia, rantola nel respirare. Fatica nel mettersi dritta. Nella luce dei fari della macchina, ha gli occhi lucidi e ancora più rossi. Sembra sul punto di mettersi a piangere. Si passa il retro di una mano sulle labbra sporche.
«Aspetta.» Torno alla macchina, apro la portiera del passeggero e prendo la bottiglietta d’acqua naturale che ho sempre accanto alla leva del freno a mano. La stappo e la passo a Fabiana. «Bevi un po’. Dopo questo, devi restare idratata.» E magari ti toglie quell’alito disgustoso.
Lanciò un’occhiata al luccichio nell’erba che ha appena bagnato. Oltre all’alcool semi-digerito, ci saranno anche liquidi corporei di altre persone? Blocco sul nascere una smorfia di disgusto.
Fabiana solleva la bottiglietta, diverse bolle salgono dal collo fino al fondo e il livello dell’acqua cala a metà. La abbassa ed emette un sospiro. «Grazie, Nicolò…» Ha una voce piagnucolosa. Chiude il tappo della bottiglietta e me la allunga.
Sollevo una mano. «Tienila pure.»
Adesso inizia a lacrimare davvero. Tira su con il naso. «Sei l’unico che mi tratta bene, Nicolò…» Si passa la mano libera su un occhio, il rimmel, o quel cosmetico scuro che le donne mettono sugli occhi, sbava un po’ sulla tempia. O è un’ottima attrice, o è davvero disperata.
Non mi importa. Mi volto e faccio un passo per girare attorno alla Punto. «Sali in macchina.»
Una sua mano si appoggia sulla mia spalla. «Aspetta, Nicolò…»
«Cosa?» Le lancio un’occhiata.
Fabiana abbassa lo sguardo, si prende una mano nell’altra, torturandosi le dita. «Io… senti…» Sposta una ciocca di capelli biondi dietro una spalla, mostrando un orecchio. La voce diventa più flebile. «Sei l’unico ragazzo con cui esco che mi tratta come… che mi rispetta.»
Mi giro verso di lei. Adesso che diavolo ha? Si è accorta che è lei che usa me, nella nostra coppia? «Ok.»
«Mi sento in debito con te, Nicolò.»
Non fare la melodrammatica, non sono dell’umore adatto. «Va bene. Apprezzo molto, adesso andiamo.»
«Aspetta!»
Fabiana crolla a terr— no, si accoscia davanti a me, nello spiazzo tra i castagni. Allunga le mani verso il mio inguine, afferra i pantaloni.
Il cuore mi balza in gola, sta succedendo davvero? Sta succedendo come sognavo quando passavamo di qua? Fabiana sta per fare davvero quello per cui mi ero preparato questa sera, prima che mi mandasse il messaggio che annullava la nostra uscita? L’eccitazione mi assale come un’ondata di calore, è potente al punto tale che vacillo sulle gambe, sembra che quanto è accaduto fino ad un attimo fa siano ricordi di un altro Nicolò in un universo parallelo che stava…
Le dita esperte della ragazza sbottonano i jeans, la pressione sulla mia vita cala. Nella penombra, lei mi sorride… mi sorride con le labbra sporche di vomito alcolico, gli occhi rossi non sono sfiorati dalla gioia, sono pieni di tristezza.
Ha passato la sera a fare sesso ubriaca ad una festa, ora cerca di manipolarmi per non perdermi. Il suo pompino non mi farà eiaculare sperma, ma autostima.
Le tolgo le mani dai miei pantaloni, faccio un passo indietro e colpisco con il sedere il fianco dell’auto. «Finiscila.» Metto troppa rabbia al posto dell’autorevolezza che volevo inserire nella voce, ma non importa.
Fabiana mi fissa a occhi spalancati, la bocca semiaperta. Se l’avessi schiaffeggiata sarebbe rimasta meno stupita. Quando mai qualcuno rifiuta un pompino, soprattutto da una dea come lei.
Un senso di pentimento più pesante di un macigno mi crolla sull’anima: ho appena perso l’occasione di scoprire cosa si prova a farsi succhiare l’uccello da una ragazza perfetta. Ho perso la possibilità di fare sesso con lei. Dopo mesi che la frequento…
…che le faccio da autista.
La dignità è una merda, ma essere usato da una troia come lei è peggio… Chiudo il bottone dei jeans. «Andiamo che è tardi,» la mia voce è piatta, stenta ad uscirmi dalla gola. «Voglio andarmene a dormire.»
Mi volto e giro attorno alla macchina. Non guardo Fabiana, non ne ho la forza. Mi sento male, mi sto comportando al contrario di quanto mi sembra corretto.
Entro in auto, lei fa lo stesso, chiude la portiera e non dice una parola. Appoggia lo sguardo sullo specchietto laterale, si serra nel mutismo.
La macchina riparte, ondeggia sui solchi lasciati nella terra dello spiazzo dai copertoni dei trattori e si stabilizza sulla strada asfaltata. L’unico rumore è quello del motore nella notte, ma la mia mente è un baccano di pensieri.
L’insicurezza di quello che ho appena fatto striscia nelle viscere, l’idea di aver ferito Fabiana mi brucia gli occhi, la convinzione che nessun’altra ragazza vorrà parlarmi e uscire con me stringe il petto… Devo mordermi la lingua per non essere quello che infrangerà il silenzio e coprire i pensieri che mi stanno dilaniando.
Lancio un’occhiata verso Fabiana. È triste, o almeno lo vuole sembrare. Faccio forza su me stesso per convincermi che se l’è cercata, che è una donna che non merita il mio tempo, che non ho nessun dovere di salvarla da una situazione in cui si caccia da sola, di sua volontà, e con un certo impegno.
Le prime case di Sant’Egidio sfrecciano ai lati dell’auto. Rallento la macchina.
Fabiana si stringe le mani in grembo. Puzza di alcool da fare paura, ancora più di prima. Al rientro a casa dovrò abbassare i finestrini per tentare di liberare almeno in parte l’abitacolo dal tanfo.
Mi guarda. Adesso i suoi occhi mi scagliano contro saette di rabbia. «Non mi è piaciuto come ti sei comportato, questa sera, Nicolò.»
«E a me non piace come ti sei comportata negli ultimi mesi, Fabiana.» Le ultime parole che pronuncio sono coperte dal suono del cuore nei timpani. Escono come un coltello affilato, ma ho paura che faccia più male a me che a lei.
«Avrei dovuto chiedere il passaggio a qualcuno alla festa, invece di chiamare te e…» si interrompe, ma la parte di frase che inghiotte lascia intendere che sarebbe stata costretta a mandare giù anche altro.
«Sono certo che avrebbe gradito più di me.» Capirà il doppio senso?
Fabiana stringe le braccia al grosso seno, fissa lo sguardo sulla strada.
Svolto l’ultima curva per arrivare a casa sua. È l’ultima volta che voglio vederla: per fortuna non è su qualche via principale e non correrò il rischio di passarci davanti.
Un paio di fari nella direzione contraria si fermano, una freccia lampeggia e l’auto svolta nello spiazzo asfaltato davanti alla mia destinazione. È la Dacia Sandero dei genitori di Fabiana?
La ragazza si porta le mani alla bocca. «Cazzo! Sono arrivati prima!»
Il suo sguardo si sposta su di me, implorante. È terrorizzata che i suoi scoprano che è uscita e si è ridotta come una merda? Mi meraviglierei del contrario.
Cosa dovrei fare? Accelerare e non fermarmi? Aiutarti ad entrare di straforo in casa, lasciando credere ai tuoi che eri a letto? Salvarti dalla loro punizione?
Lei mi implora con gli occhi. Starà già pensando a come ricompensarmi?
Lo farei per un pompino? Una scopata in piena regola?
Inspiro l’aria lercia nell’auto, espiro.
No. Freno dietro la Sandero, i due adulti che stanno scendendo dall’abitacolo si voltano a controllare cosa sta accadendo.
La loro curiosità si trasforma in sbigottimento nel vedere la loro figlia su un’automobile invece che a casa. La botta della portiera chiusa con troppa violenza dalla madre rimbomba tra le case, la donna resta ferma sul posto, fissando la ragazza.
Fabiana mette la mano sulla leva dello sportello, si volta appena verso di me. «Sei un bastardo…» sibila. Sembra pronta a mettersi a piangere per impietosirmi.
Non infierisco, non le dico cosa penso di lei: sono certo che sua madre le farà una sfuriata con i controfiocchi. Dopotutto, è il suo dovere, e il mio non è quello di supportare una donna che non mi rispetta. Annuisco. «Stammi bene…»
La ragazza sibila qualcosa, apre la porta e scende. Ancora prima di mettere piede a terra, la madre ruggisce.
«Fabiana, cosa ci fai in giro?»
«Mamma… io…»
La portiera sbatte, le voci si attenuano, ma la smorfia sul viso della donna non lascia dubbi sulla sua rabbia.
«Ti avevamo detto di non uscire e… come diavolo sei conciata? Hai bevuto?»
Metto la freccia e lascio il pedale della frizione. La macchina esce dal parcheggio, la madre e il padre mi guardano. Scuoto la testa: no, io non c’entro nulla. Questa volta, e neppure le volte precedenti che la vostra adorata figlia è tornata che sembrava uscita da un baccanale.
Riprendo la strada, nello specchietto la madre si avvicina a Fabiana gesticolando. Ho l’impressione che si sia stancata del comportamento della ragazza. «Fila in casa! Non uscirai più fino a dopo gli esami! E puoi scordarti di bere per…»
Accelero, le luci di un paio di case dei vicini si accendono per le grida della madre. Sarà meglio non tornare più, in zona. Ma, tanto, passerò anch’io le serate a studiare fino agli esami. Poi, vedrò se riuscirò a trovare una ragazza, anche con meno tette di Fabiana, ma con più dignità.
William Kasanova
Caregan, maggio 2025
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Bel racconto, scritto bene (che è difficile vedere in questo sito), se fosse vero ti saresti comportato da vero uomo, non sottomesso alla figa. Bravo
Ti ringrazio per l’apprezzamento: ritengo importante impegnarsi per scrivere al meglio delle proprie capacità anche quando si tratta di narrativa (incomprensibilmente) considerata di classe inferiore come quella erotica. La storia raccontata è inventata, per quanto si basi su esperienze mie pregresse; volevo completare il breve arco di trasformazione del personaggio di Nicolò da zerbino a ragazzo con una certa consapevolezza del suo stesso valore, ma al tempo stesso mostrare che anche Fabiana, dopo una serata che si è svolta con dinamiche completamente diverse da quelle che aveva previsto, vorrebbe poter cambiare ed essere aiutata, ma ha ormai perso ogni considerazione da parte delle altre persone a causa del proprio comportamento (eh, che avesse ragione il fratello, dopo tutto…).
Spero che anche “Ossessione” possa trovare il ruo stesso favore.