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Racconto 6 – (In 2 parti) – Senza scampo.

By 9 Aprile 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

RACCONTO 6 – (In 2 parti) ‘ Senza scampo.

Prima parte.
Mesi di tranquilla routine, poi la sensazione che manchi qualcosa, che i gesti ripetuti, gli amici di sempre, gli impegni quotidiani non bastino più. Un’irrequietezza crescente di entrambi.
La primavera era ormai incominciata quando decisero di cominciare a pensare alle vacanze estive.
Anna e Luca erano una bella coppia, molto affiatata. Vicini ai 40 anni ma ancora in forma e molto giovanili, conducevano una vita abbastanza riservata: pochi amici, un’attiva vita culturale, amavano alternare brevi vacanze in luoghi ed alberghi esclusivi a viaggi più lunghi (in genere una volta l’anno) all’insegna dell’avventura.
Erano entrambi degli accaniti viaggiatori. Sin dalle loro prime estati insieme avevano scoperto di amare il viaggio inteso come scoperta. Partivano da soli, evitando, per quanto possibile, gruppi e luoghi troppo affollati. Raggiungevano la meta prescelta in aereo, poi si spostavano sul territorio utilizzando, in preferenza, mezzi locali. Si muovevano così in treno od in autobus; talvolta noleggiavano auto, moto, finanche biciclette oppure a piedi quando il percorso non lasciava alternative. Dopo i primi anni, con una maggiore esperienza alle spalle, avevano allargato i loro orizzonti ed ora erano in grado di affrontare distanze ed itinerari decisamente impegnativi.
La decisone sulla destinazione fu relativamente semplice. Ebbero solo l’imbarazzo di scegliere, tra la rosa delle possibilità più interessanti, quella da realizzare per prima. Entrambi avevano un debole per l’oriente, continente che avevano visitato più volte e che ora cercavano di conoscere nei suoi angoli meno conosciuti ma, forse proprio per questo, più affascinanti.
Dopo un’accurata consultazione di mappe e di manuali decisero di attraversare l’Asia in uno dei viaggi più evocativi di sempre: la transiberiana, circa 8000 kilometri in treno da Mosca a Pechino. Tuttavia scelsero di evitare l’itinerario classico che attraversava la Mongolia e gli preferirono un percorso, menu usuale, che passava più a ovest attraversando alcune repubbliche dell’Asia centrale. Non avrebbero percorso tutto il tragitto in una sola tratta, ma si sarebbero fermati, lungo il percorso, per visitare le città ed i luoghi più interessanti.
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Ultimo giorno di lavoro, un week end davanti a loro per preparare i bagagli e poi via, in aereo a Mosca da dove il treno li avrebbe condotti, con alcune soste, sino a Pechino.
La preparazione dei documenti aveva richiesto molto tempo ma, alla fine, l’agenzia li aveva rassicurati, tutti i visti e le autorizzazioni necessarie erano state ottenute, avrebbero potuto attraversare le varie frontiere senza problemi.
Bagagli essenziali, abbigliamento pratico e robusto (ma Anna non aveva rinunciato ad infilare tra magliette e jeans un abitino leggero, moderatamente sexy, un golfino di cachemire, intimo di classe, calze autoreggenti ed un paio di scarpe dal tacco medio, tutti rigorosamente neri. Prendevano così poco spazio e, certo, Luca avrebbe gradito!), carte geografiche, guide ed un paio di libri completavano il loro equipaggiamento.
Partirono da Milano per Mosca, nella capitale russa passarono 2 giorni visitando i monumenti ed i musei più importanti. La sera cenarono in ristoranti alla moda, affollati di bellissime ragazze slave e di uomini molto meno interessanti, ma dalle generose disponibilità economiche, dati i prezzi altissimi. Anna fece ricorso all’unico abbigliamento elegante che aveva portato con se e, dalle occhiate interessate che colse tra gli uomini presenti, ebbe la conferma che anche in Russia avrebbe potuto trovare degli estimatori. Ne fu compiaciuta.
Il terzo giorno salirono sul treno che li avrebbe portati verso sud/est. Si sistemarono in uno scompartimento a 4 posti, tutti occupati. I loro compagni di viaggio erano una studentessa che tornava a casa per le vacanze ed un uomo che aveva con se dei bagagli molto ingombranti, sacchi e pacchi che sembravano contenere merci più che effetti personali. I posti erano spartani, ma non scomodi. Il problema fu che l’uomo incominciò a fumare ed in breve lo scompartimento ne fu invaso. La ragazza parlava un ottimo inglese e Luca riuscì a conversare a lungo. Anna, di tanto in tanto, si univa a loro, ma spesso si perdeva ad osservare il paesaggio monotono che scorreva fuori dal finestrino e gli uomini e donne che, dai lati della ferrovia, si fermavano a guardare il treno che passava.
Parlando di quei primi giorni di viaggio si trovarono d’accordo nel constatare una certa freddezza nella gente che incontravano e, più in generale, in ogni situazione che si trovavano a vivere. Questa sensazione faceva sì che il loro livello di guardia, normalmente alto durante i viaggi in paesi extraeuropei, fosse ulteriormente rafforzato. Inoltre, durante il soggiorno a Mosca, avevano cercato di avere chiarimenti sul percorso e sui documenti necessari (una verifica a titolo precauzionale), ma le risposte ricevute erano state differenti e poco chiare. Questo, nonostante le assicurazioni avute in Italia, aveva lasciato loro una certa inquietudine.
La prima notte in treno fu faticosa e non riuscirono quasi a dormire. Questo non tanto per la comodità delle cuccette (che era accettabile), quanto per il fatto che l’uomo continuò a fumare per buona parte della sera, accompagnando le sigarette (dall’odore acre e forte) a generose sorsate da una bottiglia di vodka che aveva estratto da un bagaglio.
Un’ulteriore scomodità, cui peraltro erano preparati, era la condivisione del bagno e dei servizi con gli occupanti degli altri scompartimenti del vagone.
Il viaggio proseguiva alternando ore di monotoni paesaggi ad incontri con altri viaggiatori, qualcuno in grado di parlare in inglese. Incontrarono anche qualche straniero con cui scambiare esperienze, opinioni e consigli.

Dopo 2 notti di viaggio arrivarono nella prima città che avevano deciso di visitare. Lasciarono il treno e, dopo una breve ricerca, trovarono un albergo apparentemente in condizioni discrete.
Prenotarono una camera per due notti.
Passarono la giornata a visitare la città e i luoghi più interessanti dei dintorni, poca cosa a dire il vero, fatto che li fece pentire della sosta più lunga del necessario.
Due giorni dopo erano in stazione pronti a riprendere il viaggio con il treno in arrivo.
Trovarono la carrozza e furono accompagnati allo scompartimento, sempre di quattro posti. Lo trovarono già occupato da un uomo, il quarto posto era libero. Non parlava inglese, il suo volto aveva dei tratti marcatamene asiatici, probabilmente siberiani o mongoli. Anche costui viaggiava con un enorme bagaglio al seguito e ci vollero parecchi minuti prima che liberasse le loro cuccette dai pacchi.
Dopo altri tre giorni superarono la prima frontiera, lasciando la Russia dietro le loro spalle ed entrando nella zona dell’Asia centrale.
Altri giorni di treno, alcune soste in città che sapevano di storia e di polvere. Cominciavano ad appassionarsi. I contatti non erano facili ed il solo trovare una camera d’albergo di uno standard accettabile comportava lunghe perdite di tempo, tuttavia quello che vedevano li ricompensava di tutto.
Ormai la frontiera cinese distava solo pochi giorni di viaggio anche se Pechino era ancora lontana..
Durante la notte successe una fatto che suscitò un certo allarme in entrambi. Già prima di partire sapevano che non avrebbero dovuto, per nessuna ragione, lasciare incustodito il loro bagaglio a causa dell’elevato rischio di furti. Decisero quindi che uno di loro sarebbe rimasto sempre nello scompartimento a vigilare sui loro effetti personali.
Durante la prima parte del viaggio, appunto alternandosi, avevano esplorato il treno e visitato il vagone ristorante per consumare i pasti. Anche questa volta notarono la presenza di numerosi individui dall’aspetto poco rassicurante, ma anche a questo erano pronti data l’accuratezza delle informazioni raccolte. Verso sera Luca lasciò la moglie e si recò nel vagone ristorante per la cena, dopo un mezzora fu di ritorno e si diedero il cambio. Dopo circa altri 30 minuti Anna tornò nella scompartimento visibilmente alterata. Gli disse che, mentre era seduta a cenare, da un tavolo vicino quattro individui dall’aspetto inquietante avevano cominciato a rivolgersi a lei, in una lingua incomprensibile, ma con frasi dal significato inequivocabile, accompagnando le parole con gesti che accennavano alle forme del corpo di Anna e risate sguaiate.
La donna indossava scarponcini da trekking, un paio di jeans, camicia e pullover; abbigliamento che certo non poteva definirsi provocatorio. Tuttavia il fisico snello e ben proporzionato, i capelli raccolti a coda, gli occhi scuri e profondi, un trucco leggero sul bel viso, le mani curate erano tutti particolari che esaltavano la sua femminilità.
Quando Anna si era alzata per allontanarsi, era stata costretta a passare di fianco al loro tavolo ed uno di essi, il più accanito o, forse solo il più ubriaco, aveva allungato una mano cercando di toccarle il sedere, ma lei era stata più veloce nello scansarlo e rientrare velocemente.
Luca si arrabbiò moltissimo ed andò alla ricerca del capotreno, ma non ci fu nulla che poté fare.
L’ometto in uniforme, assolutamente indifferente, gli disse che a lui non risultava nulla e che nessuno sul treno era ubriaco o aveva dato disturbo. Ovviamente la conversazione si svolse in Inglese, lingua che entrambi parlavano, ma che l’addetto al treno masticava a fatica e ciò contribuiva all’innata antipatia che sentiva verso questo straniero che si agitava tanto alzando la voce.
Poche ore dopo arrivò il momento di coricarsi, furono aperte le cuccette ed ognuno si preparò per la notte.
Il loro compagno di viaggio si limitò ad una veloce visita al bagno per poi coricarsi vestito. Non rinunciando, comunque, a fumare di tanto in tanto.
Spensero la luce che era già tardi, fuori dal loro scompartimento, nel corridoio del treno, il passaggio di persone diminuì, le voci si affievolirono e, poco a poco, scese il silenzio.
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Anna aprì gli occhi, le sembrava di aver dormito pochi minuti, ma erano già le 4 del mattino.
Sentì l’impellente necessità di andare in bagno. Si guardò intorno, tutti dormivano. Decise di non svegliare Luca, era questione di solo pochi minuti. Scese dalla cuccetta, si infilò le scarpe, pensò per un attimo di indossare una giacca, ma l’aveva riposta nel bagaglio e per cercarla avrebbe fatto rumore, decise di rinunciarvi e di uscire con la tuta che fungeva da pigiama.
Aprì la porta dello scompartimento e guardò fuori, non c’era nessuno. Il bagno si trovava in fondo al corridoio, all’estremità opposta della carrozza, delle minuscole luci notturne e il chiarore della luna illuminavano fiocamente il percorso. Richiuse la porta e lo raggiunse, dopo aver terminato si lavò le mani, diede una rapida occhiata allo specchio che le rimandò l’immagine di un volto bello e affilato, dai profondi occhi scuri, nonostante la stanchezza e l’assenza di trucco. Se ne compiacque intimamente. Uscì dal bagno e si incamminò nel corridoio per tornare a letto. Alzando la testa scorse immediatamente due uomini, fermi 10 metri più avanti, intenti a fumare e parlare. A causa della mancanza di luce non riusciva a scorgerne i volti, rallentò il passo indecisa. In quel momento gli uomini si accorsero della sua presenza e si voltarono per vedere chi fosse. Anna si sentì gelare, riconobbe immediatamente 2 degli uomini del ristorante. Rallentò ancora non sapendo che fare, si sentiva come in trappola e si maledisse per non aver svegliato Luca. Il cuore prese a battere all’impazzata. Gli uomini la guardavano in silenzio. Dopo qualche attimo di esitazione si decise, inutile aspettare e lasciare loro il tempo di riaversi dalla sorpresa. Abbassò la testa ed accelerò il passo dirigendosi decisa verso i due. Li raggiunse rapidamente, scansandoli, li aveva ormai superarli quando udì uno dei due dire qualcosa all’altro. Si sentì afferrare per una spalla, cercò di divincolarsi ed urlare, ma una mano le coprì la bocca soffocando la richiesta di aiuto. Ebbe paura. L’uomo che l’aveva fermata l’attirò violentemente contro di se bloccandole un braccio dietro la schiena e tenendole una mano premuta sulla bocca.
Anna era, di fatto, immobilizzata, con la schiena premuta contro il corpo dell’uomo che la teneva saldamente da dietro.
Lei con la mano libera cercò di lottare e respingere l’altro uomo che, nel frattempo si era avvicinato a lei ma fu facilmente immobilizzata. Loro puzzavano di vodka e di tabacco, quello davanti a lei, appoggiò la mano libera sul fianco della donna e la infilò sotto la felpa della tuta. Sotto l’indumento Anna era nuda. Al contatto con la pelle della donna l’uomo sogghignò ed i suoi occhi si contrassero sorpresi. La mano risalì rapidamente il torace della donna raggiungendo il seno, lo ghermì e cominciò a palparlo pesantemente. L’uomo dietro di lei, udendo dalle parole del compagno che il corpo di lei era così accessibile, decise di avere la sua parte; pur continuando a tenere una mano premuta sulla sua bocca le lasciò andare il braccio e, con la mano rimasta libera, cercò di sollevare la felpa. La donna, nonostante la paura, riusciva a mantenersi lucida. Comprese immediatamente che i due erano completamente ubriachi ed approfittando del fatto che la loro attenzione era tutta rivolta alla scoperta del suo corpo, riuscì a colpire violentemente all’inguine, con il ginocchio, l’uomo che aveva di fronte. Costui si piegò per il dolore ed il suo compagno, sorpreso, allentò la stretta. Lei diede un forte scossone buttandosi improvvisamente all’indietro. L’uomo che la teneva fu spinto contro la parete e, sbilanciato, portò le mani dietro la schiena per sostenersi. Non servì altro, Anna si lanciò nel corridoio e raggiunse il suo scompartimento, spalancò la porta e si gettò su di Luca.
Tremava per la paura e lo stress della violenza subita, Luca si svegliò di soprassalto, spaventato, ci mise un po’ di tempo a capire, dalle frasi sconnesse e rotte dai singhiozzi, cosa era successo alla moglie. Si alzò di scatto, spalancò la porta, ma nel corridoio non c’era nessuno. Tornò allora da lei, l’abbracciò e la fece entrare nella sua cuccetta. Il loro compagno di scompartimento dormiva o, almeno, così sembrava.
Lei si stava calmano, gli raccontò tutto. Più parlava e più si rendeva conto che durante i brutti attimi passati, al di là della paura del momento, era riuscita a rimanere fredda, a non perdere il controllo di se. Se così non fosse stato, forse, le cose sarebbero andate in un altro modo, rabbrividì al pensarci.
Luca la sostenne, ne condivise i pensieri, la lodò per il coraggio dimostrato, la tenne stretta per tutte le ore che passarono insieme, sino al mattino.
Quando fece giorno erano entrambi stanchissimi per non essere riusciti a dormire. Luca si accertò che Anna stesse bene, approfittando del fatto che l’uomo che viaggiavano con loro era uscito, chiuse la porta e l’aiutò a cambiarsi. Quando tornò uscì a sua volta per andare a prendere la colazione. Si preoccupò che lei mangiasse poi, non senza timori, andò alla ricerca del capotreno.
Lo trovò due carrozze più avanti, costui vedendolo arrivare fece una smorfia. La comunicazione fu un disastro, il capotreno sembrava non capire e Luca insisteva per spiegare quanto successo. Alla fine erano entrambi tesi, Luca, consultando un piccolo dizionario pronunciò più volte il termine ‘ Polizia ‘ L’uomo annuiva con il capo e diceva qualcosa gesticolando. A Luca sembrò di capire che l’uomo volesse dirgli di aspettare la prossima fermata. Si arrese e tornò da Anna.
Passarono la giornata senza lasciarsi, verso sera presero con loro il denaro e la macchina fotografica ed andarono al ristorante insieme. Era già tardi, la sala era quasi vuota. Si sedettero ed ordinarono da mangiare.
Durante la notte Anna ebbe un paio di bruschi risvegli, ma la rassicurante presenza del marito servì a tranquillizzarla e riuscì a riposare. Si alzarono di buon umore. Quel giorno il treno avrebbe attraversato un altro confine dirigendosi a est. Entrambi sentivano la frontiera come una barriera fisica che avrebbero lasciato alle spalle con il loro tremendo ricordo. Ancora poche ore e l’incubo sarebbe svanito.
Il paesaggio diventava più arido e montagnoso, ai lati del treno le foreste scomparivano in vallate strette e scure. Il treno cominciò a rallentare, poco dopo si fermò. Sapevano della fermata per il normale controllo dei passaporti e dei documenti di viaggio, una volta ripartiti si sarebbero dovuti fermare ancora oltre confine per lo stesso controllo da parte della polizia di frontiera del nuovo paese.
Aspettarono per oltre un’ora, poi alcuni militari si presentarono alla porta dello scompartimento, erano accompagnati dal capotreno. Visionarono i documenti del viaggiatore seduto di fronte a loro, poi si rivolsero ad Anna e Luca. Intervenne il capotreno che parlò a lungo con l’ufficiale. Loro non riuscivano a comprendere una sola parola.
L’ometto si agitava ed i suoi toni non erano ne cordiali ne amichevoli. Luca cercò di chiedere, di intervenire, ma non fu nemmeno preso in considerazione. Allora si arrabbiò moltissimo e cominciò a parlare in Inglese rivolgendosi all’ufficiale in modo concitato.
Costui non parlava inglese, riuscì a pronunciare una sola parola comprensibile- Passports!
Li ricevette e cominciò a consultarli in silenzio. Dopo un esame che parve durare un’eternità. Si rivolse a loro nella lingua locale. Scese il silenzio. Anna e Luca non riuscivano a capire una parola, il militare continuava a parlare indicando loro il corridoio verso l’uscita.
Anna guardava Luca, avevano entrambi un’aria stanca e preoccupata. Il capotreno intervenne e nel suo inglese stentato riuscì a far capire loro che dovevano seguire il militare. Rassegnati, raccolsero i bagagli e scesero dal treno.
Era una piccola stazione, in una piccola città sperduta al centro dell’Asia.
Fuori poche decine di case e, vicino alla ferrovia, la caserma delle guardie di confine: un edificio grigio e cupo, in cattive condizioni circondato da reticolati ed alte mura. Anna rabbrividì.
Furono accompagnati in uno stanzone umido e freddo.
Sedettero su una panca in legno.
Una lunga attesa, poi entrarono due militari, uno aveva dei gradi e sembrava essere l’ufficiale in comando, era un uomo robusto, di bassa statura e dal ventre prominente, circa 55-57 anni, capelli corti e baffetti ingialliti dalla nicotina, aveva un espressione dura e fredda, molto decisa. Si avvicinò e li squadrò con occhi penetranti. Rivolgendosi a Luca, incominciò a parlare in Inglese. Fece molte domande, chi erano, da dove venivano, dove andavano, cosa ci facevano lì. Luca rispose a tutte. Quando l’interrogatorio terminò l’ufficiale disse che il visto di transito sul loro passaporto era incompleto e, quindi, non valido. Si trovavano nel paese illegalmente. Ufficialmente il militare avrebbe potuto arrestarli e trattenerli per poi mandarli davanti ad un giudice. Ovviamente tutto si sarebbe risolto, ma la cosa avrebbe comportato una enorme perdita di tempo, ci sarebbero volute settimane. Luca era nero, Anna aveva un’aria scoraggiata.
– E’ un grosso problema.- Aggiunse il militare.
Loro ebbero l’impressione che l’ufficiale stesse prendendo tempo per decidere il da farsi.
Sapevano bene che, in quei paesi, spesso si potevano trovare dei compromessi, ovviamente non ufficiali, che però avrebbero portato ad una soluzione più rapida. Si trattava di capire se l’ufficiale sarebbe stato disposto a trattare e che cosa avrebbe preteso.
Rivolgendosi alla coppia, i militari fecero cenno di seguirli. L’ufficiale disse loro che sarebbero stati perquisiti ed i loro bagagli controllati. Uscirono accompagnati, a metà corridoio, su un tavolo, c’erano i loro bagagli, dovettero scegliere i propri che furono raccolti dai soldati che li accompagnavano. Luca fu introdotto in una stanza vicina.
Entrambi erano molto tesi. Anna, ancora provata dai fatti successi, aveva paura ed il sentirsi separata dal marito la faceva sentire sola ed abbandonata a se stessa. L’ufficiale seguì Luca con un soldato che portava il suo zaino. Lei fu accompagnata in un altro locale, il soldato entrò con lei, depositò il bagaglio su un tavolo, uscì fermandosi sull’ingresso, e chiuse la porta.
L’interno era spoglio, faceva freddo. Si guardò intorno, c’erano due scrivanie ed alcune panche lunga una parete, in un angolo un separ&egrave di tessuto stinto e logoro, di fianco un lettino da infermeria ed un armadio.
Era quasi sera, le due grandi finestre erano oscurate, ma il chiarore del tramonto bastava a proiettare il contorno dell’inferriata sui vetri bianchi, l’interno era illuminato da due lampade al neon che spargevano una luce fredda ed incolore. Ad Anna si strinse il cuore e le venne da piangere, non si era mai trovata in una simile situazione, una sensazione di impotenza le opprimeva il cuore.
Una attesa snervante, poi la porta si aprì all’improvviso, Anna persa nei suoi pensieri ebbe un sussulto e, d’istinto, si alzò in piedi.
Entrò una donna, bassa, tarchiata, un’età indefinibile tra i 50 ed i 60 anni, i capelli grigi raccolti in una crocchia sulla nuca. Indossava un camice bianco sotto il quale portava l’uniforme dei militari.
Con passo deciso andò verso una scrivania, posò delle carte sul ripiano, si voltò e, rivolgendosi ad Anna, le indicò il paravento e con gesti inequivocabili le fece capire di togliersi i vestiti. Nonostante l’invito o, sarebbe meglio dire, l’ordine fosse stato molto chiaro la donna rimase un attimo immobile, era sorpresa, non si aspettava quello che le veniva richiesto. La richiesta fu ripetuta. Anche se non c’era scelta, Anna provò ad obiettare qualcosa in Inglese, ma ottenne, per la terza volta lo stesso invito accompagnata da una frase nella solita lingua incomprensibile. La voce era secca, tagliente. Il braccio teso della donna in uniforme indicava il paravento.
Anna si mosse, andò verso il paravento e gli girò intorno. Dietro c’erano una sedia ed un attaccapanni, nell’angolo della parete una doccia ed un piccolo lavandino. Incominciò a spogliarsi. Quando rimase con la maglietta, gli slip e gli scarponcini (camminare a piedi nudi su quel pavimento le faceva schifo) si affacciò nella stanza. La donna aspettava in piedi, vicino al lettino., la guardò e le fece cenno di togliersi tutti gli indumenti. Anna protestò, ma ottenne solo un altro ordine pronunciato a voce piuttosto sostenuta. Si rifiutò di obbedire. L’infermiera, esasperata, si diresse verso la porta, stava per aprirla quando Anna la chiamò dicendo- Wait, wait. La donna si fermò con la mano sulla maniglia e si voltò a guardarla.
Anna annuì con il capo, rassegnata. Era spaventata, per un attimo aveva immaginato la scena dei militari che entravano per costringerla a spogliarsi con la forza, davanti a loro. Preferiva collaborare, non c’erano alternative. Avrebbe voluto che Luca fosse con lei. Tornò dietro il paravento, si tolse la maglietta, gli slip e gli scarponcini, tenne i calzettoni, per il resto era nuda. Sporse la testa, la donna le fece cenno di avvicinarsi e di portare con se gli indumenti.
Anna li raccolse e, coprendosi alla meglio, uscì da dietro il paravento e si avvicinò alla donna.
Costei la lasciò avvicinare, rabbonita dalla sua docilità. Quando fu di fronte a lei le prese i vestiti e li controllò, uno ad uno, per poi appoggiarli su una panca. Anna cercava, nel frattempo, di coprirsi con le mani. Quando la donna ebbe terminato si rivolse a lei e le indicò di allargare le braccia.
Anna si sentiva morire dalla vergogna, con suo rammarico constatò che il freddo della stanza, oltre a provocarle dei brividi, le aveva indurito i capezzoli, ora molto più evidenti del solito.
Allargò le braccia ed attese. La donna si limitò a guardarla, la fece girare, poi battendole una mano sulla spalla le indicò il lettino. Anna la guardò e scosse la testa. La donna, con un sorriso perfido, accennò alla porta e la guardò con aria interrogativa. Lei cedette di nuovo, sconfitta. Si accostò al lettino e si sedette sul bordo. La donna la invitò a togliersi i calzettoni ed a sdraiarsi, fu obbedita. Ora Anna era distesa con le gambe penzoloni, nuda. Una mano copriva il seno, l’altra il pube.
La donna si avvicinò, le prese una caviglia e, vincendo una breve resistenza, le piegò la gamba appoggiando il piede sul bordo esterno del lettino. Anna capì immediatamente che la donna voleva farle assumere una posizione da visita ginecologica, ma era troppo spaventata e stanca, per poter resistere. Tremando per il freddo e la tensione lasciò che lei le sollevasse anche l’altro piede e si trovò così, nuda ed aperta, davanti alla sua inquisitrice.
Costei, calmissima e glaciale, prese un paio di guanti di lattice dal mobiletto a fianco, li indossò, prese un tubetto e spalmò un po’ di crema trasparente sulle dita. Anna comprese subito che cosa la aspettava, le vennero alla mente articoli letti sui giornali che parlavano di trafficanti di droga che usavano infilare nell’ano od in vagina ovuli pieni di stupefacenti. Sentì una contrazione allo stomaco, ma si rese conto che doveva piegarsi.
La donna distese la crema su tutte le dita della mano destra, poi si piegò su Anna e le allargò le ginocchia, facendole cenno di togliere la mano che copriva il sesso. Lei obbedì, ora era completamente aperta davanti alla donna. Costei allungò la mano sinistra e, con due dita, le allargò le labbra del sesso, avvicinò poi il medio della mano destra, coperto dal guanto e unto di crema e, lentamente, lo infilò nella vagina della donna. La mano sinistra si appoggiò sul ventre, tastandolo. Anna era tesissima, ma cercava di non pensare a quello che stava subendo. All’improvviso la porta si aprì di scatto e l’ufficiale entrò nella stanza. Il suo ingresso fu talmente rapido che lui riuscì a chiudere la porta dietro di sé prima che le donne avessero una reazione.
Anna esplose e cercò di alzarsi, coprendosi con le mani. Urlò- Ma come si permette, stronzo- in italiano, senza rendersi conto che nessuno l’avrebbe compresa. L’infermiera che la stava esplorando si limitò a girare la testa poi, riconosciuto il suo superiore, non si mosse e con la mano sinistra tenne inchiodata Anna sul lettino da cui lei cercava di togliersi. La mano destra rimase sul sesso di lei, con il dito affondato nella sua vagina.
Il militare si gustò la scena che aveva davanti con calma, poi disse in perfetto inglese- Mi scusi, pensavo che l’ispezione fosse già terminata. Tornerò quando avrete finito.- Detto questo, senza nessuna fretta, si voltò ed uscì.
Anna era furiosa, inveì ancora, questa volta in inglese, troppo sconvolta da quella apparizione per stare calma.
Intanto la donna aveva terminato l’ispezione vaginale, estrasse il dito e lo spostò più in basso, appoggiandolo sull’ ano. Anna comprese, era livida di rabbia e di vergogna. Anche se l’uomo era uscito, sentiva la sua apparizione come una violenza inaccettabile. Cercò di ribellarsi, ma l’infermiera era più forte di lei e riuscì a bloccarla, così cedette di nuovo, impotente ad opporsi, con gli occhi pieni di lacrime.
La mano sinistra della donna le aprì le natiche ed il solito dito si infilò nel suo ano. Dovette esercitare una certa pressione per vincere la contrazione muscolare che Anna non riusciva a controllare, ma la pomata svolse efficacemente il suo compito. Dopo pochi minuti tutto era finito.
La donna si disinteressò di lei, Anna raccolse tremando i suoi vestiti e ritornò dietro il paravento per rivestirsi. Quando ne uscì l’infermiera era scomparsa.
Si sedette e cercò di reagire allo sconforto. – Usa la testa, usa la testa.- si ripeteva in continuazione.
Quello che aveva subito era stata, oggettivamente, un’ispezione corporale asettica. Odiosa ma totalmente impersonale. La donna che l’aveva scrutata ed esplorata si era limitata a quello che, probabilmente, fanno in ogni parte del mondo in queste situazioni. Ovviamente i metodi erano discutibili, ma non si trovava in Italia od in altro paese occidentale dove le regole sono sicuramente più attente ai diritti delle persone.
L’ingresso dell’ufficiale, per quanto ugualmente odioso, avrebbe potuto essere casuale (non ne era sicura), ma il fatto che lui fosse uscito dalla stanza (anche se non si era certo negato lo spettacolo di lei nuda sul lettino, con le gambe aperte e quella maledetta infermiera che muoveva il suo dito dentro la sua vagina), faceva pensare ad un certo rispetto delle regole. Dopotutto loro erano degli occidentali, non avevano commesso alcun reato ed il visto incompleto era chiaramente dovuto ad una svista, non certo ad un piano preordinato.
Questi ragionamenti servirono a calmarla inoltre il constatare che anche sotto pressione riusciva a ragionare con freddezza le diede fiducia in se stessa.
Fine Prima Parte.
Racconto 6 (In 2 parti) ‘ Senza scampo.

Seconda parte.
Udì la porta aprirsi, si voltò e vide l’ufficiale entrare nuovamente. Lui chiuse la porta dietro le sue spalle, si avvicinò al tavolo dove era appoggiato la grossa borsa di Anna, la prese e la portò su una scrivania, si sedette e le disse- Venga, si avvicini. Spero che si sia ripresa.
La donna non rispose, si avvicinò e si fermò di fronte a lui, dall’altra parte della scrivania, in piedi.
L’ufficiale- Ora, se non le dispiace, dovremo procedere all’ispezione del suo bagaglio, sono i regolamenti. Lo apra per favore.
Anna si avvicinò, prese la borsa e la aprì facendo scorrere la cerniera.
Lui- Metta il contenuto, tutto il contenuto sul tavolo.
Lei cominciò ad estrarre le varie cose contenute in essa. Jeans, maglioni, camicie, magliette, calzettoni e vari oggetti di uso personale andarono ad impilarsi sulla scrivania. L’uomo controllava e spostava dall’altra parte del tavolo gli oggetti già ispezionati. Di tanto in tanto, in apparente casualità, apriva un indumento lo guardava e lo riponeva sugli altri. Controllò accuratamente la borsettina di tessuto contenente gli oggetti da toeletta di Anna, spazzolino da denti e trucchi compresi. Esaminò con attenzione particolare (o così parve alla donna) la sua biancheria intima, mutandine e reggiseni in cotone, di foggia pratica e sportiva. Sembrava divertirsi, dava l’impressione di mettere in quello che faceva uno zelo esagerato, come volesse dilatare all’infinito un lavoro di pochi minuti. Anna era esasperata, ma si impose la calma.
Poco alla volta la borsa si svuotava, ne uscirono le scarpe, un paio di libri poi, rovistando con la mano nel bagaglio ormai vuoto, la mano di Anna trovò l’ultimo oggetto rimasto, una busta di tessuto nero. Se n’era dimenticata, il trovarsela tra le mani le riportò alla mente il completino un po’ sexy che aveva deciso di portare con se, rimpianse quella decisione.
L’ufficiale notò l’indecisione della donna, la sua attenzione si risvegliò.- Metta tutto sul tavolo, per favore.
Anna estrasse la busta e la depose sulla scrivania.
Lui- Apra la busta, per favore.
Lei la aprì e rovesciò il contenuto sul tavolo. Poi lo guardò arrossendo.
L’uomo allungò le mani, prese il reggiseno a balconcino di pizzo nero e lo aprì con evidente interesse, poi fece lo stesso con le mutandine coordinate, con le autoreggenti velate sempre nere e con il corto abitino che Anna aveva indossato nelle serate Moscovite. Indugiò su quei capi leggeri e provocanti.
Alzò la testa e fissò Anna. Lei si sentì trapassare dal suo sguardo, come se lui fosse in grado di vedere attraverso i vestiti che aveva indosso. Arrossì vistosamente e non riuscì a nascondere un profondo imbarazzo.
Lui disse- Complimenti signora, le staranno benissimo. Si sieda ora. Parliamo.
Anna sentì una forte contrazione al basso ventre, come quando guidando a velocità sostenuta si supera un dosso. Una sensazione di vuoto e di vertigine che le fecero accelerare il battito cardiaco, le sua fronte si imperlò di sudore.
Sedette.
Lui- Bene, ora abbiamo finito e possiamo esaminare la vostra situazione.
Lei lo interruppe- Non si potrebbe chiamare anche mio marito così che possa sentire anche lui?
Lui rispose seccato- C’&egrave tempo per tutto, ora voglio parlare con lei. Poi si vedrà.
Anna si zittì.
Lui riprese- Vede, vorrei si rendesse conto che la vostra &egrave una situazione difficile. Mi rendo conto che probabilmente la vostra &egrave solo una disattenzione, ma essere nel paese senza visto &egrave un reato.
Parlava lentamente, come per dare maggiore peso a quello che stava dicendo, e faceva delle pause dopo le parole che facevano apparire più grave la loro posizione: difficile, reato””.
Anna capiva che l’uomo cercava di impressionarla, razionalmente lo capiva, ma emotivamente non riusciva a rimanere distaccata dalla situazione. Sentiva un fondo di angoscia nel cuore.
Lui taceva, guardandola in viso, Anna non seppe trattenersi e disse- Capisco, ma cosa possiamo fare?
L’uomo rispose- Devo denunciarvi alla magistratura locale perché esamini il vostro caso, probabilmente sarete condannati, ma tenendo conto che siete stranieri, che non avete commesso altri reati e di un mio rapporto favorevole, tutto dovrebbe risolversi con una multa e l’espulsione, ci vorrà circa un mese, forse di più, nel frattempo dovrò trattenervi qui.
Anna- Un mese! ‘ gridò ‘ Impossibile!
Lui, glaciale- Non gridi per favore. Non &egrave urlando che risolverà la vostra posizione.
Lei- Mi scusi, ma &egrave assurdo. Non abbiamo fatto nulla. Stiamo solo viaggiando, siamo turisti. C’&egrave stato un errore nei visti, ma la nostra agenzia ci aveva assicurato che tutto era a posto.
Lui- Già, &egrave veramente un problema, un grosso problema.
Anna aveva nuovamente le lacrime agli occhi, era disperata, ma capì che non era prendendo di petto il militare che li avrebbe aiutati ad uscire da quella situazione.
Si chinò leggermente verso di lui e, con un tono implorante, disse piano- Cosa possiamo fare? Ci aiuti, per favore. Lei può farlo, ne sono certa.
L’uomo mostrò di gradire questa richiesta ed il tono supplichevole in cui era stata posta. Si raddrizzò sulla sedia e, chinandosi a sua volta verso la donna, disse- Beh, forse potrei aiutarvi, ma &egrave difficile, i regolamenti sono molto rigidi qui e chi non li rispetta corre grossi rischi.
Il messaggio era lanciato, Anna ne era consapevole. Ora si trattava solo di trattare per capire l’entità della richiesta.
A- La prego, se c’&egrave una possibilità che lei possa fare qualcosa per noi, sappia che le saremo grati. Sicuramente mio marito saprà ricompensarla come merita.
L’uomo socchiuse gli occhi, si distese all’indietro sulla sedia, la guardò fissamente, disse a voce bassa- Si, forse posso fare qualcosa per voi, ma deve capire, dovrò sostenere delle spese, dovrò chiedere dei favori.
A- Non si preoccupi, mi dica cosa vuole, faremo tutto quello che chiede.
Lui- Nel vostro caso sarebbe meglio fare tutto molto rapidamente, potrei cercare di farvi salire sul treno di domani sera, in poche ore sareste oltre confine. Ovviamente fare tutto così in fretta costerà di più.
A- Non si preoccupi, mi dica, quanto le serve.
L’uomo indugiò un poco, come a soppesare la situazione, poi disse lentamente: Servono 10.000 dollari in contanti.
Anna trattenne il fiato- 10.000 dollari? In contanti? Ma non li abbiamo qui!
Immediatamente però il suo cervello incominciò a pensare. Quest’uomo sta bleffando! Lui sa per certo (dato che ci ha perquisito a fondo) con quanto contante stiamo viaggiando. La sua richiesta &egrave esagerata, lui ne &egrave cosciente, devo negoziare per capire quanto vuole veramente.
A- Senta, siamo partiti con circa 4000 dollari in contanti e le nostre carte di credito. Non abbiamo tale somma in contanti! Però potremmo procurarla.
Lui- No, non c’&egrave il tempo. E poi qui non ci sono banche. Inoltre resterebbero delle tracce. E’ un peccato. Mi spiace.
A- No, aspetti, aspetti. Io e mio marito abbiamo speso circa 1000 dollari da quando siamo partiti, ora ne abbiamo solo circa 3000 in contanti, ma possiamo darle i nostri orologi, sono oggetti di valore, ne ricaverebbe sicuramente una buona somma.
Il militare scosse il capo- No, solo contanti. Nessun oggetto che possa lasciare delle tracce, troppo pericoloso. Mi spiace.
Anna era in lacrime- Aspetti, aspetti. Mi dica cosa possiamo fare. Faremo tutto ciò che vuole. Noi dobbiamo partire. Ci aiuti.
L’uomo tacque. Stava rimuginando le varie possibilità. Pensava e guardava Anna di sottecchi. Una bella donna davvero, disperata, sola. Che bel viso e che occhi. La rivide nuda sul lettino, nelle mani dell’infermiera. Un’occasione interessante. Pensò a sua moglie, al suo paese con i figli, invecchiata precocemente per il lavoro nei campi, da troppo tempo lontana, tanto lontana da serbarne un ricordo sbiadito.
Dopo un lungo silenzio prese la sua decisione. Si alzò, la sua voce era dura, tagliente, disse a Anna- 3000 dollari copriranno a malapena le spese, serve una compensazione. Non avete altro da offrire, ma sono disposto a venirle incontro. Ora la lascio sola, le lascio il tempo di pensare. Se &egrave disposta a trattare, quando tornerò, si faccia trovare con questi indosso-
Così dicendo, spinse verso di lei il mucchietto di capi usciti, per ultimi, dalla sua borsa: il reggiseno e le mutandine di pizzo, le calze autoreggenti e l’abitino nero. Detto questo si diresse alla porta ed uscì senza voltarsi.
Anna rimase di sasso. Cosa voleva significare la sua richiesta? Era veramente quello che sembrava? Era lei che voleva? Sentì montare un senso di nausea, le lacrime rispuntarono nei suoi occhi, si sentiva sola, dov’era Luca? Quanto le mancava!
Appoggiò la fronte sulla scrivania e si sentì sopraffare dalla disperazione. Cosa doveva fare? Quell’uomo era stato chiaro, se lei non avesse accettato avrebbe fatto di tutto per ostacolarli. Avrebbero dovuto affrontare un processo in un paese straniero di cui non parlavano la lingua, lontanissimi da casa e, nel frattempo, sarebbero rimasti in quella caserma, magari in cella, nelle mani dell’ufficiale, magari per mesi. Ebbe paura. Si trattenne a stento dal piangere, ma tremava visibilmente.
Fece appello a tutte le sue risorse: pensa, pensa, usa la testa!
Fino a quel momento non le era stata usata alcuna violenza e, da come l’ufficiale si era comportato, nulla la faceva prevedere. Lui voleva il suo corpo? Cosa le avrebbe fatto?
Forse voleva solo vederla nuda e toccarla, magari possederla (non si faceva troppe illusioni). Avrebbe dovuto fare con lui quello che aveva già fatto con altri uomini. Certo la differenza era che, le altre volte, lei aveva sempre potuto scegliere, questa volta non sarebbe stato possibile.
Lui era orrendo e la situazione non faceva che peggiorare la sensazione, ma c’era in gioco una posta troppo grossa per i dettagli estetici. Si scoprì a ragionare freddamente, quasi cinica, su queste possibilità.
La soluzione era nelle sue mani, Luca era altrove, chiuso in qualche stanza. Sicuramente preoccupato per lei.
Accontentarlo, certo, sarebbe stata la strada più sicura per evitare delle violenze, non voleva che le facesse male.
Se tutto fosse andato bene, domani sarebbero stati sul quel treno.
Si fece forza, dopotutto se fosse stata abbastanza abile c’era la possibilità, seppur minima, di riuscire a condurre il gioco con un uomo, quasi certamente, poco esperto e, soprattutto, abituato a donne molto differenti da lei.
Bussarono alla porta, Anna si rese conto che era passata quasi un’ora da quando l’ufficiale aveva lasciato la stanza.
La porta si aprì e lui entrò nella stanza. Vedendola seduta dove l’aveva lasciata e con indosso gli abiti della giornata disse, seccamente- Bene, vedo che ha deciso!
A- Non ancora.- rispose- L’aspettavo per chiarire un punto.
Lui, un poco sorpreso- Mi dica.
A- Chi mi garantisce che poi lei rispetterà i patti?
Passarono alcuni istanti di silenzio- Nessuno, deve fidarsi di me. Ragioni, che interesse avrei a tenervi qui? Potrei ritardare un po’ il procedimento, ma con la certezza che la stampa occidentale, prima o poi, solleverà un putiferio. Inoltre facendovi partire domani non temo le vostre possibili dichiarazioni, i miei uomini mi sono devoti e l’infermiera testimonierà di essere stata con noi tutto il tempo. Sarebbe diverso se vi trattenessi per un lungo periodo, molto più difficile da controllare. No, la cosa migliore &egrave farvi partire al più presto.
Anna aveva seguito attentamente le sue parole, rimase colpita dalla sottigliezza del ragionamento; semplice ma efficace, pensò. Si prese qualche istante, poi gli disse- Va bene, accetto. Mi lasci qualche minuto, per favore.
L’ufficiale si alzò ed uscì dalla stanza- Tornerò tra 15 minuti.
Le mani le tremavano dalla tensione, raccolse dalla scrivania gli indumenti che le erano stati indicati, cercò tra quelli esaminati le scarpe nere da abbinare al vestito e si diresse verso il paravento.
Si spogliò velocemente, nell’angolo del locale riparato dal paravento c’era una rientranza nella parete con un soffione doccia ed un piccolo lavandino con uno specchio, non era molto pulito, ma a quel punto non era più un problema, aprì l’acqua, era gelida, cercò di ripulirsi alla meglio senza infilarsi sotto il getto ghiacciato. Tremava dal freddo ed aveva la pelle d’oca, ma le fece bene. Riuscì a trovare la forza di scherzare con se stessa dicendosi- Ci manca solo che mi prendo una polmonite! Si asciugò con un camice appeso sulla parete vicina. Vide di sfuggita il suo corpo nudo riflesso nello specchio, snello, slanciato, le belle gambe, i seni piccoli e sodi, i capezzoli eretti per l’acqua gelida.
Indossò le mutandine ed il reggiseno, infilò le calze e le scarpe, si mise il vestito passandolo dalla testa. Si aggiustò l’abito addosso, non era troppo corto, ma ora le sembrava esageratamente provocante. Si guardò allo specchio., un disastro. Era spettinata e la stanchezza aveva lasciato il segno sul suo bel viso. Corse al tavolo e recuperò un pettine. Tornò allo specchio e si sistemò i capelli. Poteva andare, dopo tutto non sarebbe stato un appuntamento galante. Odiava tutto questo, aveva paura, aveva schifo, sentiva nausea al pensiero di quello che l’aspettava, ma non rinunciava ad essere seducente, a contrapporre la sua bellezza allo squallore che la circondava. Voleva Luca, lo voleva al suo fianco più di ogni altra cosa, ma non c’era.
Sentì bussare, poi la porta si aprì senza attendere la risposta.
Ad Anna si fermò il cuore. Era giunto il momento, non poteva più evitarlo. Tremava per il freddo, la paura, la tensione. Udì la porta richiudersi ed i passi dell’ufficiale che andavano verso la scrivania. Sentì la sedia scricchiolare. Poi la sua voce- E’ pronta?
A- Si, sono pronta.
Lui- Venga fuori, si avvicini.
Lei, esitante, uscì da dietro il paravento e si fermò. Alzò la testa e lo guardò
Lui la fissava, visibilmente ammirato. Un figurino sottile, slanciato. Le belle gambe fasciate di nero. L’abito le modellava il seno, sollevato ed esposto dall’intimo. I suoi occhi percorsero il corpo di lei lentamente.
Anna era imbarazzata, non sapeva bene cosa fare, si mosse lentamente verso di lui. L’uomo era seduto dietro la scrivania, ma aveva spostato la sedia piuttosto indietro, quasi contro la parete dietro le sue spalle.
Lui- Venga da questa parte, si avvicini.
Anna, esitante, girò intorno alla scrivania e si fermò davanti al militare, ma si tenne distante da lui appoggiandosi al ripiano, erano circa ad un metro di distanza.
L’uomo era evidentemente soddisfatto della piega che stava prendendo la situazione, si allungò sulla sedia incrociando le braccia dietro la testa e disse- Allora, più tardi, quando incontrerà suo marito, prepari i 3000 dollari ed i vostri passaporti. Manderò il mio aiutante a ritirarli. Per domani a mezzogiorno tutto sarà sistemato e voi potrete ripartire con il treno del pomeriggio.
A- Grazie, grazie davvero. (Il doverlo ringraziare la fece infuriare, ma non c’era via d’uscita).
Lui- Rimane il fatto della compensazione. Le ho spiegato che tale somma &egrave molto lontana dai costi che devo sostenere per aiutarvi. Ma ho deciso ugualmente di venirvi incontro e di aiutarvi perché mi siete simpatici. Ovviamente mi aspetto una certa riconoscenza da parte vostra,”. da parte sua.
Le mani di Anna stringevano nervosamente il bordo della scrivania cui era appoggiata, aveva i palmi sudati ed era molto tesa per il nervosismo e la tensione. Si rendeva conto che lui stava girando intorno alla vera richiesta e sapeva che, prima o poi, sarebbe arrivato al dunque. Cosa stava aspettando! Tacque.
Lui continuò- Sa, io vivo qui da 5 anni, vedo la mia famiglia solo molto raramente. E’ quasi un anno che non vedo mia moglie e, cosa vuole, in questo paesino di montagna non c’&egrave nulla. E’ una vita dura,”.. nessuno svago”.nessuna donna. A quelle parole e, soprattutto, il tono esageratamente sdolcinato ed insinuante con cui erano state pronunciate Anna sentì una stretta allo stomaco.
Lui aggiunse con aria interrogativa, sogghignando- Non &egrave d’accordo sul fatto che mi meriti una ricompensa per avervi aiutato così tanto?
Anna, con voce flebile- Ss’..i, si.
Lui (sempre carezzevole)- Oh, bene, vedo che capisce. Lei &egrave una persona intelligente. E poi &egrave una donna così elegante, così bella. Questo vestito rende pienamente giustizia alla sua bellezza. L’avevo capito subito che era una bella donna, ma ora &egrave molto meglio.
Anna, molto imbarazzata cercò di minimizzare- Grazie, ma non sono poi così speciale.
L’uomo era sempre più a suo agio in una situazione che, ormai, sentiva di avere in pugno. I suoi toni ebbero un leggero mutamento e, da concilianti divennero un poco più decisi.
Lui- Ma cosa dice, ha un viso perfetto, due occhi splendidi, e il suo corpo”. le sue gambe’..
La tensione di Anna era alle stelle, istintivamente aveva stretto le spalle e teneva le ginocchia serrate.
Lui- Le sue gambe’perché non me le mostra meglio? Su, mi faccia vedere meglio le sue gambe.
Anna smise di respirare, nonostante sapesse dove lui voleva arrivare, davanti ad una richiesta esplicita rimase sorpresa. Riuscì a balbettare- Cosa? Cosa devo fare?
Lui (la sua voce tornò dolce ed insinuante)- Da brava, si raddrizzi, mi faccia guardare meglio le sue gambe.
Anna raddrizzò le spalle rimanendo però appoggiata alla scrivania.
Lui- Bellissime, ma ora, perché non solleva un poco la gonna, che dice?
Anna, esitante, si chinò per afferrare il bordo della gonna e la sollevò un poco. Si vergognava moltissimo e doversi esporre, in maniera così plateale e fredda davanti ad un essere ripugnante, le creava un enorme imbarazzo.
Si fermò con la gonna a metà coscia, in attesa. Teneva gli occhi bassi, evitava di guardarlo negli occhi.
Lui- Bene, bene. Bravissima. Ma la sollevi più in alto, di più, mi faccia vedere.- Accompagnava le parole con leggeri movimenti della mano.
Anna alzò la testa- Non ce la faccio, mi scusi, ma non ce la faccio.- Aveva le lacrime agli occhi.
Il viso di lui si indurì immediatamente, la sua voce diventò più secca- No, così non va bene bella signora. Lei non deve pensare, deve fare solo quello che le dico. Sempre che non decida di restare qui per qualche mese’..Ma, attenzione (agitò un dito minaccioso), decida ora, la finisca con questa lagna! Basta! Se non farà quello che le dico, subito, vi faccio sbattere in celle separate e poi mi occuperò del vostro caso, con calma, con molta calma.
Passò qualche istante. Anna tremava, represse un singhiozzo poi, senza aggiungere una parola, riprese a far salire la gonna. Arrivò al bordo delle calze, andò oltre e scoprì la pelle morbida della cosce. Quando sentì sotto le dita il pizzo delle mutandine si fermò.
Ora era in piedi di fronte all’uomo, la gonna sollevata sino all’inguine, le gambe, fasciate nelle autoreggenti, completamente scoperte agli occhi di lui.
Lui la guardava con avidità, era compiaciuto del suo potere ed ormai non faceva più nulla per nasconderlo.
Quella donna, questa splendida creatura era nella sue mani, ora poteva farne quello che voleva e lei lo sapeva.
Lui- Bene, bene. Brava, sei proprio bella. Ma dai, non fermarti, togliti il vestito, così sarai più libera.
Anna sapeva che ormai non poteva più sottrarsi. Lui la teneva in pugno ed il suo ricatto non era negoziabile in altro modo. Lasciò cadere la gonna, portò le mani dietro la schiena e fece scorrere la cerniera dell’abito poi, chinandosi, afferrò l’orlo della gonna e cercando di non agitarsi troppo e restando leggermente piegata su se stessa, lo sfilò facendolo passare dalla testa. Dopo che l’ebbe tolto, imbarazzata, lo tenne tra le mani davanti a se, cercando di ripararsi alla meglio.
Lui- Brava, brava, così va bene. Sei proprio brava, ma non fare così, buttalo sul tavolo ora, che fai? Ti vergogni? Ti copri davanti a me? Non ricordi che, poco fa, ti ho già visto nuda mentre la mia infermiera ti esplorava per bene? ‘ disse sghignazzando.
Anna, nonostante l’aspetto ed i modi femminili, era forte, riusciva a trattenersi anche se la tensione si manifestava in modo evidente. Qualche lacrima, un tremito di labbra, un singhiozzo represso. Si voltò e depose l’abito sul piano della scrivania, indugiando, poi tornò a voltarsi, le braccia lungo i fianchi, il busto chino in avanti. Indossava ora solo l’intimo e le calze autoreggenti, il suo seno era sostenuto dal reggiseno a balconcino che lo lasciava generosamente scoperto.
L’uomo socchiuse gli occhi, era colpito dalla sua bellezza ed incominciava a sentirne gli effetti; il suo membro si stava risvegliando da un sonno troppo lungo. Già pregustava il contatto con quelle carni delicate.
Lui- Bene, ma su bella mia, non fare quella faccia da funerale, sorridi, stai dritta. Le donne come te non devono essere tristi, mai. Su, sorridi, sorridi, ho detto! Le ultima parole suonarono come una sferzata.
Gloria atteggiò le labbra ad un sorriso amaro, raddrizzò le spalle ed il busto. Lui la voleva guardare, che guardasse allora, per quanto potesse farle, lei non sarebbe mai stata sua, pensò orgogliosa.
Con le spalle aperte ed il busto eretto i suoi seni erano ora più esposti, nel complesso stava offrendo all’uomo uno degli spettacoli più eccitanti che avesse mai visto.
Lui si saziò di sguardi. Anna teneva la testa bassa, pensava a Luca, quanto gli mancava.
Dopo qualche istante la voce di lui la scosse- Ti sei riposata abbastanza? Andiamo avanti?
L’uomo non poteva più trattenersi, voleva toccare quella pelle liscia, voleva sentirla addosso, sentire il calore di quel corpo. Le disse- Vieni qui, sulle mie ginocchia.
Anna esitò. ‘Ho detto di venire qui!- ordinò seccamente lui.
La donna si mosse, gli andò vicino, si fermò di fronte a lui.
L’uomo si allungò in avanti e le prese una mano, al suo contatto lei ebbe un moto di repulsione, lui se ne accorse e, acido, le disse- Ah fai la ritrosa ora, dopo quello che sto facendo per voi. Vuoi che smetta? Vuoi che vi sbatta in cella e che vada a dormire? Allora, rispondi!
Anna scosse la testa, muta.
-Bene, allora vieni qui, siediti sulle mie ginocchia- disse tirandola a se.
Anna comprese presto in che posizione lui la voleva seduta, lo comprese quando lui, con la mano libera, le spinse le ginocchia verso l’esterno e, tirandola verso di se, in basso, la fece sedere, a gambe aperte, sulle sue gambe.
Lei arrossì violentemente per l’intimità della posizione. Era addosso a lui, seduta sulle sue ginocchia con le gambe forzatamente aperte attorno ai suoi fianchi, i seni all’altezza del suo mento. Indifesa, esposta, aperta ai suoi occhi, alle sue mani. Con sgomento si accorse dell’erezione che tendeva i suoi pantaloni.
L’uomo era in paradiso, mai gli era capitato di avere tra le mani una donna come quella. Il suo corpo, la pelle, e poi così abbigliata. Aveva visto cose simili solo sulle riviste occidentali che gli capitava di sequestrare, di tanto in tanto, sul treno. Ora ne aveva una, in carne ed ossa, sulle ginocchia, a sua disposizione. Un’occasione che non poteva lasciarsi sfuggire.
Appoggiò le mani sui fianchi della donna, lei tremava, era calda, teneva le braccia piegate sul petto, come per proteggersi. Lui le scostò in malo modo. La sentì singhiozzare. Fece correre le mani sulla pelle del ventre, sull’addome, portò una mano sul seno. Lei si lasciò sfuggire un gemito. Che morbidezza. Lo palpò a lungo, poi le dita corsero sulla sua spalla e, presa la spallina del reggiseno l’abbassarono lungo il braccio. La coppa del reggiseno si rovesciò scoprendo la mammella, il capezzolo era eretto per il freddo. La sua mano lo coprì e ne saggiò la consistenza, la forma. Con l’altra mano scoprì, nello stesso modo, il seno sinistro. Disse alla donna di togliere l’indumento, lei portò le mani dietro la schiena per aprirne il gancio e nel farlo, in modo del tutto involontario, chinò il busto leggermente in avanti, appoggiando il seno sul viso dell’uomo.
Si ritrasse immediatamente, ma lui, ridendo, la trattenne per le spalle ed immerse il viso tra i suoi seni incominciando a leccarle i capezzoli. Le mani tornarono al suo corpo, invadenti, dalla nuca alle spalle, si insinuarono sotto le ascelle, percorrevano la schiena, erano sui fianchi, passavano alternandosi con la bocca da un seno all’altro, stuzzicavano un capezzolo, accarezzavano le cosce, una mano raggiunse il ventre e si spinse più in basso. Lei, istintivamente, cercò di serrare le ginocchia, ma ne fu impedita dalla posizione. La mano scese tra le sue gambe e raggiunse il pube. L’uomo grugniva infoiato. La mano si appoggiò sulle mutandine e prese a muoversi avanti e indietro, tastandola e premendo sulle grandi labbra.
La donna cercò di ribellarsi, urlando il suo disgusto disse- Basta, basta, non così.. La prego, mi fa male. Basta.
L’uomo si scosse, interrompendo le sue manovre sul corpo della donna, alzò la testa, la bocca ed il mento lucidi di saliva, la guardò sorpreso, con aria cattiva, e disse- Ok, ti faccio male eh? Allora cambiamo posizione. Vedrai che così non sentirai più male. Il tono era minaccioso e palesemente sovraeccitato.
Continuò- Alzati, torna alla scrivania, mettiti come prima. In piedi.- E, così dicendo la respinse da se.
La donna si alzò ed indietreggiò barcollando, poi si riprese e raggiunta la scrivania riprese la posizione iniziale, appoggiata al ripiano.
Lui- Sta dritta, in piedi. Tieni le braccia distese, non coprirti. La voce non ammetteva repliche.
Anna obbedì, era di fronte a lui, indossava ancora le scarpe, le calze e la parte inferiore dell’intimo.
I seni erano coperti da segni rossi, lasciati dalle carezze e dai baci focosi dell’uomo.
Lui la guardò a lungo, poi le disse- Adesso togliti le mutandine.
La donna rassegnata e tremante, si chinò e sfilò le mutandine poggiandole sulla scrivania. Teneva le gambe serrate, il ciuffo di peli neri del pube spiccava sulla sua pelle chiara. Indossava ora solo le calze e le scarpe.
Vedendola collaborare, l’uomo assunse un tono più conciliante- Non stare così rigida, rilassati, siediti sulla scrivania, su siediti.
Lei obbedì e si sedette sul ripiano della scrivania, i piedi non toccavano terra per pochi centimetri.
L’uomo, facendo scorrere la sedia sul pavimento, si portò vicino a lei che, vedendolo avvicinarsi, si irrigidì istintivamente.
Lui le fu addosso- Ora stai buona, non ti voglio fare del male, ma tu devi collaborare, vero che sarai brava.- così dicendo le sue mani afferrarono le ginocchia della donna e cominciarono a tirarla verso di se, Anna dovette appoggiare le mani sul ripiano, dietro la schiena, per sorreggersi. L’uomo si fermò quando il bacino di lei arrivò al bordo della scrivania. Allora le sua mani spinsero le ginocchia verso l’esterno, forzandola ad aprirsi davanti a lui. Mano a mano che le gambe si allargavano, lui faceva avanzare la sedia su cui era seduto avvicinandosi al grembo di lei che si stava svelando davanti ai suoi occhi.
Anna era sopraffatta dalla vergogna. Si sentiva violata contro la sua volontà, senza poter opporsi, davanti a questo maiale che ormai non si negava più nulla del suo corpo.
In breve lui le fu vicino, per evitare che lei si allontanasse le sue mani si aggrapparono alle natiche della donna, in un abbraccio molto intimo. Con la vulva a pochi centimetri dal viso dell’uomo ed impossibilitata a chiudere le gambe gli offriva, ormai, la visione più intima del suo corpo.
Lui portò una mano sui seni, palpandoli e soppesandoli, stuzzicando i capezzoli. La donna prese a singhiozzare.
Lui, eccitatissimo, spingendola per le spalle, la fece sdraiare all’indietro poi portò una mano in basso e si impadronì del suo sesso. Accarezzò i peli del pube, scostò le labbra rivelando il colorito roseo della vagina, si chinò verso di lei e prese a leccare la fessura, trovò la clitoride e la succhiò avidamente, le sue mani correvano intanto sul corpo della donna, dalle gambe ai seni.
Dopo parecchi minuti la donna, sconvolta e confusa, all’improvviso sentì le mani fermarsi ed abbandonare il suo corpo. Lo udì alzarsi dalla sedia. Sollevò il capo per vedere cosa stesse facendo e lo vide intento a calarsi i pantaloni dopo averli aperti.
Era arrivato il momento che temeva, lo sapeva, era rassegnata, ma ugualmente fu presa da un attacco di panico. Le mancava l’aria, il respiro era affannoso.
Non voleva, non voleva, no, no. Luca dove sei?
L’uomo, in preda ad una vera e propria frenesia, lasciò cadere i pantaloni sulle caviglie, senza sfilarli, si abbassò i pesanti mutandoni che, evidentemente, a quelle latitudini non erano ridicoli come potrebbero esserlo a Milano e si rialzò. Il membro era teso e gonfio, molto arcuato e dal colore scuro. Puntava in direzione della donna. Lui appoggiò una mano sul ginocchio di lei, con l’altra accarezzava piano il suo pene in erezione. La guardò a lungo, voglioso, la bocca sogghignante, ora era sua.
Avanzò tra le sue gambe, la mano libera si appoggiò sulla vagina e ne socchiuse le labbra, con l’altra guidò il suo bastone al centro di esse, spinse e fu dentro di lei. Non faticò ad entrare, la saliva con cui l’aveva abbondantemente lubrificata rendeva facile l’accesso. La donna sentì un cuneo che si faceva strada dentro il suo corpo, ebbe un gemito di disgusto e con le mani artigliò la scrivania, ma non pot&egrave far nulla per fermarlo, lo sentì scorrere dentro la sua vagina, sentì le pareti del sesso che si stringevano attorno a questo corpo estraneo.
L’uomo l’afferrò per le anche, le dita affondarono nella carne in una presa molto salda, si bilanciò bene sulle gambe e cominciò a muoversi dentro di lei. Entrava ed usciva, lentamente. Ritirava quasi completamente il membro per poi riaffondarlo nella vagina. Si fermò un attimo restando dentro di lei, giusto il tempo, chinandosi un poco, di afferrarle le caviglie, poi le sollevò le gambe spingendole e piegandole verso il petto con l’effetto di alzare il bacino di Anna per poterla penetrare più agevolmente e profondamente.
Riprese a muoversi piano, assaporando il calore, le carezze del sesso della donna sul suo membro. Continuò per molti minuti. La presa sulle caviglie gli consentiva di tenere le gambe di Anna ben alzate ed aperte.
Accelerò il ritmo, ora si muoveva rapido, era molto resistente.
Anna, a cui il sesso piaceva e che praticava sovente, che insieme al marito aveva sperimentato alcune trasgressioni senza mai pentirsene, che normalmente avrebbe partecipato attivamente all’amplesso, era ora passiva, subiva i suoi affondi in modo quasi incosciente, sentiva i suoi movimenti, ma senza partecipazione, una bambola inanimata nelle mani di un burattinaio.
L’uomo sudava abbondantemente, domare quel corpo riluttante, farlo suo, profanarlo, erano cose che lo eccitavano quanto il corpo stesso, le sue forme, i suoi odori.
Gli occhi di quella donna, succube ma altera, lontana nonostante lui fosse dentro il suo corpo, l’accecavano.
Sentiva il piacere montare, aveva il membro in fiamme, la voleva sopra ogni cosa, ancora pochi affondi poi esplose dentro di lei, ondate di piacere, una dopo l’altra, senza fermarsi, senza rallentare, per molti minuti, poi si fermò. Piegato su di lei, le mani sui seni, affondato dentro i suo corpo.
Poco dopo si ritirò da lei, tenendosi una mano sul pene si sedette sulla sedia, lunghi minuti di silenzio. Poi cominciò a rivestirsi. La donna, nel frattempo, si era rannicchiata ed aspettava, insensibile a quanto le accadeva intorno.
Quando fu pronto le disse- Si rivesta, si lavi, manderò qualcuno tra mezzora a prenderla per accompagnarla da suo marito. Domani salirete sul treno. Siete liberi.- Detto questo,uscì.
Anna si sollevò a stento, si alzò e si diresse barcollando verso il paravento. Indifferente all’acqua gelida si tuffò sotto la doccia, il getto vigoroso e ghiacciato le diede una sferzata d’energia.
Era finita, erano liberi. Fra poco avrebbe riabbracciato Luca. Non le sembrava vero.
Decise che non avrebbe raccontato al marito quanto successo, non subito.
Voleva evitare che lui, in un impeto di collera, potesse compromettere la libertà tanto sofferta ed pagata a così caro prezzo.
Ne avrebbero parlato a casa, al sicuro, lontano da qui.
Fine seconda ed ultima parte.

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