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Sottomessa in tarda eta

By 24 Luglio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Elvira aveva 60 anni.

Tentava di evitare il ridicolo ma, se sapeva resistere alla tentazione di spingersi oltre la semplice cortesia, le era impossibile trascurare la visita, quasi quotidiana, al negozio di cianfrusaglie dove lavorava “l’oggetto” del desiderio per eccellenza.

La tenda di perline tintinnò ammiccante e lei entrò, cercando di fare il meno rumore possibile. Desiderava essere invisibile. Voleva solo guardare il giovane, di nascosto, e bearsi della sua virile perfezione. Lo trovò intento a sistemare uno scaffale di ninnoli assortiti. Paccottiglia inguardabile. Non come quel suo fondoschiena perfetto, alto e sodo troppo fasciato in pantaloni almeno di una taglia più piccoli.
Deglutì. Il giovane uomo non si accorse si essere osservato e si passò distrattamente una mano fra i capelli chiari, leggermente lunghi. Un gesto affascinante, quasi erotico.
La voce di un’altra commessa la fece trasalire.
– Buonasera, desidera?
– Ecco… Io… – la vecchia fu presa alla sprovvista, si scrollò per uscire dallo stato ipnotico suscitato dall’attrazione indomabile. Stava quasi per arrossire…
Ma lui la salvò con galanteria, le fu subito accanto; sorrise come faceva tutte le volte che la vedeva.
– Alla signora penso io, non ti preoccupare. 
***
Elvira aveva 62 anni. Da 7 era vedova… e, da 3 mesi si comportava come una scolaretta alle prime armi: entrava e usciva da un negozio, che vendeva merce del tutto avulsa dalle sue necessità, per comprare, informarsi e valutare, con accuratezza certosina, le più astruse sciocchezze e i ninnoli più inutili.
Non poteva continuare così!
Non tanto perché ne soffriva la sua pensione, quanto per il fatto che, ormai, il suo comportamento bislacco si cominciava a notare.
Pure, quando il ragazzo era da solo, si trovava a suo agio e lui (magari la trovava ridicola) non faceva trasparire i suoi pensieri, anzi. Era talmente gentile, immediato, innocente, con quel suo sguardo azzurro, che la faceva sentire importante.
La sua dolcezza era come un cicchetto di grappa: a Elvira girava la testa e, per un attimo, dimenticava la differenza abissale che li divideva, peggio di un precipizio… una maledetta crepa che s’allargava, inesorabile, ogni giorno che passava.
A darle un colpetto odioso, invece, fu il sorrisetto ironico della commessa: la giovane aveva capito tutto. La troia, quando c’era, la osservava con condiscendenza malcelata. Tutto ciò non la feriva, lo riteneva normale, ma non sopportava l’idea che, quei due ridessero di lei, magari nel retrobottega, mentre, nell’ora di pausa, si scambiavano effusioni e carezze, intime e furtive.
Insomma: la sciacquetta trionfava sui suoi 60 anni, e di sicuro si godeva il suo collega; nessuna donna sana se lo sarebbe lasciato scappare… che rabbia le facevano quelle considerazioni, mentre sul faccino delicato, cercava di portare un sorrisetto placido, da nonnina appagata che si avvia tranquilla sul viale del tramonto. 
– Veramente, Fabio, avrei una richiesta un po’ particolare… solo se si può, è naturale… – Elvira partì all’attacco, giusto per lo sfizio di far rodere il fegato all’altra donna. Usò il “tu” che si erano concessi qualche giorno prima, per trattare con intimità, Fabio… il suo giovanotto preferito.
– Vedi – continuò – ho una veranda a casa e mi sono innamorata del vostro mobiletto di rattan, ecco, quello appena dietro la vetrina… prima non c’era vero? E’ in vendita? – Fabio rise e le spiegò dove l’avevano acquistato, ma per l’esposizione non per la vendita.
Ma Elvira questo l’aveva già intuito…

Il giovanotto fu gentile (e la “povera” Elvira non guidava) così, superando ogni aspettativa della signora, egli si dimostrò un gran signore; infine, e questo Elvira lo seppe solo dopo, la donna del negozio non era una commessa ma la proprietaria. Così ciò che avvenne raggiunse una notevole serie di scopi inaspettati… probabilmente la sua sessualità, più che matura, non sarebbe cambiata di una virgola ma, di sicuro, il suo orgoglio di donna ne usciva trionfante. In poche parole: Fabio si offrì di procurarle lo stesso mobiletto e di portarlo fino a casa sua.
Elvira sfoggiò, con un bel sorriso, tutto il “dolore” per aver arrecato tanto disturbo e, intanto, la donna del negozio schiumava, mentre Fabio accompagnava la vecchia alla porta benigno e rassicurante. Elvira andò via raggiante; al costo dell’inutile stipetto avrebbe aggiunto volentieri qualsiasi mancia… ne valeva la pena.
Si erano accordati per la domenica, nel primo pomeriggio, tra pochi giorni Fabio sarebbe stato a casa sua, non si faceva illusioni, non era il tipo, ma di certo si sarebbe goduta quella visita così speciale.

Maledetti imprevisti!
Alle 15 di domenica, puntuale, Fabio, in Jeans e maglietta attillati, arrivò, ma non recava con se un mobiletto, bensì un paio di scatole di cartone e persino la cassetta per i ferri.
– Sono stata una sciocca… mi perdoni; io non immaginavo… non posso rubarle altro tempo… e poi, di domenica… – disse Elvira, veramente imbarazzata. Effettivamente non si era resa conto che oggi, i mobili, li vendono così, in scatole di montaggio.
– Ma non ci davamo del tu? – rise mostrando la splendida dentatura. – A quest’ora io prendo sempre il caffè… e tu?
– Oh, sì… ma certo, figurati, farò il più buon caffè della mia vita! – promise lei allegra, contagiata dal giovane solare. Era raggiante, e mentre, correva in cucina, Elvira si sentì addosso 20 anni di meno, e magari li dimostrava, chissà?
Per fortuna aveva conservato un fisico asciutto. Da giovane era stata magra: una donna alta, elegante, apprezzata. Inoltre, per scaramanzia, il sabato si era recata in un centro estetico fuori mano, per chiedere operazioni dolorose, costose e segrete, che, all’estetista del suo coiffeur, non avrebbe mai osato chiedere.
Indossava una vestaglia semplice, coi bottoni, e sotto delle collant velate nere, tutto qui. Di sotto portava solo una canotta aderente, nera: il seno piccolo, una volta era il suo cruccio, adesso ringraziava il cielo, perché, anche con il solo sostegno del top, ancora non cascava giù. Aveva trovato il coraggio di abbondare col suo profumo, anche se adesso, con Fabio a pochi metri da lei, trepidava per la paura di mettersi in ridicolo.
Da un lato era euforica, dall’altro temeva di sbagliare a ogni gesto che compiva. Di una cosa sola era certa: con quel giovane non sarebbe mai successo niente di più… ma… in un angolo remoto e dolente della sua coscienza, una maledetta, stupida speranza, non voleva saperne di scomparire per lasciare il posto al necessario buonsenso.

Il pomeriggio volò via in fretta. Fabio sembrava del tutto a suo agio, smanettando tra pinze, cacciaviti e chiavini; lavorava comodo, prendendosi delle lunghe pause, per chiacchierare con la padrona di casa. Elvira si fingeva tranquilla, mostrando una disinvoltura che era ben lontana dal sentire. Ogni frase “spontanea” che le usciva di bocca era frutto di una costante e trepida autoanalisi.
“È giusto dire questo?”; “Posso nominare quel film… quella canzone? o mi farà sembrare più decrepita e ridicola di quanto già sono?”
E poi: “Si sta così bene con Fabio. Vorrei che questo pomeriggio non passasse mai!” E ancora: “Cosa diavolo mi sono messa in testa?”
Insomma Elvira, dopo anni di isolata e triste routine, si sentiva felice e, allo stesso tempo, frustrata, perchè tutto quel che desiderava non se lo poteva permettere. Non avrebbe mai creduto che essere vecchi avrebbe potuto comportare tanta passione, tanta indecisione e tanta, incontenibile, immaturità.
Ma il tempo passava e il ragazzo rimaneva padrone della situazione. Lui, almeno, sembrava godersela, senza porsi troppi freni e (Elvira ci fece ben caso) senza misurarsi assolutamente; Fabio la trattava come fossero stati coetanei, non ricercava le parole; non centellinava i pensieri: sciorinava le sue idee senza ritegno, l’unica cosa che non faceva assolutamente era provarci.
Alla fine le cose continuarono a scorrere, leggiadre e senza peso.
Fabio, sudato e imbrattato, chiese a Elvira se sarebbe stato troppo sperare di usufruire della sua doccia; Elvira chiese a Fabio se non gli sarebbe dispiaciuto trattenersi per cena.
Tutto facile, tutto amichevole, come in un sogno, felice e inatteso.
Il giovane insistette per la pizza, Elvira le ordinò. Alle otto erano a tavola, nell’accogliente, immacolata cucina.

Dal salotto, le note soffuse di una raccolta di musica soft. E, finalmente, dopo il primo calice di vino frizzate, Elvira (che era quasi astemia) si lasciò andare. Sprofondò in un piccolo paradiso rosa, dove il tempo non dominava più sullo spazio e l’amicizia, genuina e piacevole, non aveva età.
Aveva combattuto tutto il pomeriggio con la sua capacità di “fingersi” spontanea… adesso lo era veramente, e un possibile giudizio negativo, da parte di Fabio, non avrebbe avuto nessuna importanza, per quella sera, almeno.
Si sentì la sua amica del cuore: avrebbe persino potuto offenderla, non le sarebbe importato un fico secco. Stava bene, stop! Tutto il resto non le importava più… e pensare che in tutta la sua lunga e scontata esistenza, sensazioni così erano capitate talmente di rado che iniziava a dubitare di non essersi mai sentita tanto bene.
L’euforia si protrasse fino alle undici, quando Fabio dovette andare via: il giorno dopo lo attendeva il lavoro e quell’arpia, “purtroppo assai giovane”, della proprietaria del negozio. Un guizzo di curiosità femminile attraversò il cuore dell’anziana signora, ma seppe tenerlo a bada e non chiese a Fabio se, magari, tra loro due ci fosse qualcosa di più di un rapporto di lavoro, ma si trattenne.
Niente di speciale accadde tra i due, però Fabio, prima di uscire, quando la porta di casa era ancora chiusa e i due erano nella penombra, salutò Elvira con un abbraccio affettuoso e virile, poi, mentre continuava a stringerla a sé, le baciò il collo e le guance, premendo con le labbra tumide e facendo impazzire il cuore della donna.
Fabio uscì senza aggiungere nulla e socchiuse la porta sul suo sorriso… Elvira arrossì quando il giovane era già andato via, con la testa che le girava non volle fare niente, quella sera. Corse a buttarsi sul suo lettone e si masturbò con ferocia, come non le capitava da tanto; se ne venne tra le dita, smaniando sul letto; approfittando ancora delle sensazioni che le aveva impresso sul corpo, il giovane Fabio: la forza delle sue braccia, il calore dei suoi baci innocenti e le tracce del suo profumo di uomo, che lentamente svaniva, da quella sua casa asettica e solitaria.

“Maledetto lui! Maledetta lei!” pensava Elvira nella sua mente offuscata dalla fantasia e dall’eccitazione, sopita per anni nella sua mente, avvezza a sentirsi una donna anziana. Adesso, un po’ per “calore” di femmina, un po’ pure per gioco, la vecchia si tirava tutta una serie di competizioni, gelosie, emozioni… con chi, magari, non si era nemmeno accorto di lei.
Resistette una settimana senza notizie di Fabio, poi suo malgrado, non riuscì a fare a meno di cercarlo… aveva il suo numero di cellulare, ma non aveva idea di cosa chiedergli, così preferì recarsi al negozio, però ci trovò solo la strega. Dopo aver cincischiato in giro alcuni minuti, si fece sfrontata e chiese notizie del giovane, servendosi di una scusa. La donna la squadrò dalla testa ai piedi. Gelosa? Possibile? Certo sarebbe stata una bella soddisfazione… anche se solo morale.
– Fabio? Non gliel’ha detto? È in viaggio di nozze… o qualcosa del genere, non saprei nemmeno se ritornerà a lavorare qui. Cosa le serve?
Elvira avrebbe voluto sparire. Lasciò il negozio biascicando una scusa e si allontanò il più velocemente possibile.
Il peso degli anni le ricadde tutto addosso. Dopo lo smarrimento, in pochi minuti era ritornata vecchia; giusto il tempo di vergognarsi con se stessa: poi l’oblio della sua vita piatta e incolore la pervase nuovamente. Fabio, la cena, i sogni: tutto si era spezzato come uno specchio che si schianta; il ricordo di quella serata folle si ridusse prima in pezzetti minuti e poi, finalmente, in polvere, allontanandosi nel tempo come se tutto fosse accaduto mille anni prima.

– Elvira?
– Sì, ma chi… ? – La donna non finì nemmeno la frase, non poteva sbagliare, era la voce di Fabio. Nonostante fossero passati oltre due mesi, non poteva sbagliare.
– Vedi… se non ti spiace, io ti vorrei dire un paio di cose, magari se puoi, da vicino…

– Ma… – disse lei, stordita dalla sorpresa. Intanto, anche la sua visione rispetto a Fabio e tutta quella sua folle fantasia era diametralmente cambiata. Elvira era tornata un’anziana signora e Fabio, per lei, un simpatico ragazzo. – Non saprei, di che si tratta? Non puoi dirmi al telefono?
– Se non ti disturba, preferisco da vicino… magari in un posto… un bar, scegli tu. Si tratta solo di pochi minuti.
Elvira ci pensò su un momento. Aveva già frainteso tutto una volta… magari voleva un prestito, oppure solo un consiglio. Però, in definitiva, lei si fidava di quell’uomo, dopotutto era stata lei a farsi “un film” nella testa, lui non aveva mai fatto niente di sconveniente.
– No, no, perché? Vieni pure a casa, sai dove abito, – disse, un po’ risollevata – dimmi quando, però?
Ma Fabio insistette perché si vedessero in una tranquilla sala da Te.
– Scusa, ma sono sicuro che, se vengo a casa, non riesco a dirti… a comunicare…
La curiosità fece il resto e i due s’incontrarono il giorno dopo, nell’ora di colazione, ovviamente il retro con i tavolini era deserto.
– E così, ti sei sposato? – esordì Elvira – Devo farti gli auguri…
Lui rise ma era un po’ teso:
– Assolutamente no, sono stato semplicemente in vacanza, mi sono preso un po’ di tempo e… mi sono liberato di Giusy. – Elvira sapeva che Giusy era la proprietaria del negozio di oggettistica. – Ora, ho aperto un negozio mio, con la mia compagna… –
La donna sorrise, non sapeva cosa pensare:

– Ah, ah, scusa, ma non potevi semplicemente invitarmi all’inaugurazione? Inviti tutte le tue clienti al bar? ma spenderai una fortuna! – Le era venuto spontaneo scherzare sulla cosa, dopotutto si prendeva pure una piccola rivincita: quel maledetto le era mancato.
– Ascolta, fammi un favore… ascolta, non è facile chiederti quello che mi è passato per la testa. – Riprese l’uomo – Sono due mesi che ci penso, due mesi che sogno ma non trovo il coraggio di chiamarti…
Elvira si fece seria e più attenta, continuava a essere completamente all’oscuro riguardo al motivo di quello strano incontro.
– Facciamo così, se ti va. – Cominciò Fabio – Immagina che io ti chieda un regalo, un regalo un po’ strano, magari: donami cinque minuti.
– Guarda che io sono una donna di una certa età… non ho molto tempo da sprecare, quindi, attento. – L’atmosfera s’era fatta tesa, la stessa Elvira si sorprese per le parole che aveva appena pronunciato, era come “sentisse” che Fabio stava per confidarle qualcosa di grave, o almeno, di essenziale.

***

Non riusciva a inserire la chiave nella toppa. Aveva resistito per tutto il tragitto, aveva resistito in ascensore, perché non era sola, ma adesso, che era finalmente a un metro da casa, gli occhi si velarono di lacrime.
Rabbia, disgusto, vergogna… un po’ di tutto. Emozioni dimenticate, emozioni mai provate così intensamente… eppure lei era certa di aver accarezzato mille ipotesi segretamente, ma mai aveva dato adito, al giovane, di farsi delle idee, di azzardare delle proposte. Una sera, a casa sua, aveva intessuto una trama Platonica e del tutto privata, riguardo a una storia impossibile e assurda. Va bene… ma ora, come aveva potuto osare tanto?
Che razza di proposta era? Per chi cazzo l’aveva presa… ?

Fabio, nemmeno mezz’ora prima, con una faccia tosta del tutto incredibile, aveva sciorinato una serie di fantasie, di richieste strane, di desideri umilianti, inaccettabili… E pensare che Elvira, nell’ipotizzare sui motivi del loro appuntamento, era arrivata a pensare anche al peggio. Infatti, per un secondo, si era chiesta come sarebbe rimasta se il suo amico le avesse proposto di essere pagato, di farle da gigolò in cambio di sesso… quell’ipotesi l’aveva fatta solamente sorridere.
Ne era assolutamente certa: Fabio non era il tipo e lei non avrebbe accettato mai, piuttosto preferiva regalarglieli, se avesse avuto bisogno di soldi.
E invece? Invece, serio serio, guardando fisso per terra, aveva cominciato a sussurrare delle parole strane, parole oscene pur senza essere volgari, proposte raccapriccianti… ipotesi mai valutate nella lunga vita di Elvira.
Ma da dove gli veniva tanta spavalderia? Lui era un ragazzo così premuroso, educato, si può dire: all’antica. Anzi era per questo che l’aveva incantata, ammaliata ma di certo, Fabio, non l’avrebbe mai sedotta. Lo sapeva già da prima, da quando era lei “il problema” in quel sogno irrealizzabile: lei troppo vecchia; lei troppo moralista; lei troppo vergognosa e timida… esatto, timida e riservata, com’era stata per trent’anni con suo marito.
Cosa che non faceva mai, Elvira si versò due dita di liquore, tolse le scarpe e si lasciò cadere sulla sua poltrona. Il pomeriggio era silenzioso, il tempo era bello, fuori, e il sole punzecchiava tutta la parete, attraversando i fori della tapparella.
“Ma che razza di discorso è?” pensò, adesso che era sola “Ma che razza di proposta è? Ma con quale coraggio si parla così a una signora? Insomma… nemmeno a una puttana, credo, si possono fare proposte così strambe… malate… sporche!”
Era rimasta talmente inebetita, sconcertata, che non aveva nemmeno risposto a Fabio, a un certo punto si era alzata, aveva raccolto la borsetta e si era allontanata, senza salutarlo.
Controvoglia, nonostante il desiderio di cancellare tutta quella maledetta e stupida storia, non poté fare a meno di ripensare al discorso di Fabio. Voleva raccapezzarcisi, visto che nel locale, a un certo punto, non aveva capito più niente, tant’era la stizza che le avevano provocato le sue parole, melliflue e maligne.

Cosa diceva? Cosa voleva dire? Come gli era venuto in mente di dire quelle cose proprio a lei?
“Allora, io adesso ci provo” aveva cominciato “tu fa così: immagina di non essere qui ma di poter sentire i miei pensieri più segreti, ok?
Ora ti trasporterò in un mondo che non esiste, un mondo pieno di ipotesi, magari assurde, e su quelle ipotesi assurde, io ho costruito delle congetture.
Credo di essere un ragazzo che piace alle donne eppure non sono mai stato un donnaiolo, anzi. Diciamo che ho preferito sempre la tranquillità di un tradizionale rapporto, a una inconsistente e faticosa serie di avventure.
Non sono mai stato un tipo strano; non ho mai vissuto pratiche particolarmente “morbose” o pervertite. Non ne sentivo l’esigenza… magari ho letto di certe cose, o le ho viste rappresentate in un film; niente di più…”

Fabio non aveva il coraggio di guardare Elvira però, a testa bassa; continuò a parlare; si esprimeva a scatti, era chiaro che aveva meditato molto su ciò che diceva e adesso sembrava liberarsene, come un pasto mal digerito.

– Poi, nei miei pensieri, sei entrata tu… non scherzo, in un certo modo mi hai conquistato. Venivi al negozio, eri sempre educata, gentilissima, portavi con te una dolcezza che nelle ragazze di oggi è impossibile trovare… però, sentivo anche il tuo carattere che, al contrario, mi parlava di una donna sicura di sé, forte. Mi eri molto simpatica e… stop: credo che tra di noi passino trent’anni, quindi non pensavo ad altro. Mi affascinavi ed era un piacere servirti. E’ stata proprio Giusy, la donna del negozio a far scattare qualcosa nella mia testa. Avevo con lei una mezza storia di solo sesso, che pigramente si trascinava… da alcune sue affermazioni acide mi resi conto che era gelosa. Gelosa, di te. “Sarà ammattita!” pensavo… eppure.
Eppure, la mia mente iniziava a rimuginare sulla tua figura, sul tuo carattere, ti pensavo spesso e poi, senza accorgermene, mi ritrovai a fantasticare. Pensieri strani, nuovi, per me. Perdonami, ma devo essere sincero fino in fondo: non desideravo di venire a letto con te, no, fantasticavo su una specie di visioni, immagini particolari, diciamo pure, sogni ad occhi aperti.
La differenza di età mi faceva sballare, immaginavo che io, per una donna della tua età, potevo apparire come una specie di angelo, un dono speciale; pensavo che tu ti saresti potuta sottomettere in tutto, umiliarti, mortificarti. Ti vedevo in ginocchio, davanti a me, come fossi una specie di divinità, prona e pronta a qualsiasi sacrificio, pur di ottenere il mio favore… il mio interesse. Pian piano, poi, questa follia mi portò a immaginare profanazioni, punizioni, perversioni da infliggerti, godendo della tua totale abnegazione.
Ti sognavo pronta a tutto, annullata dal mio interesse verso di te; avresti sopportato qualsiasi, sia moralmente che fisicamente, pur di non rischiare di contrariarmi… Scusami, Elvira… questo è ciò che mi è passato per la testa. Certo, ti rispetto come sempre, per questo evito di scendere in particolari scabrosi, che potresti addirittura ritenere estremamente volgari.
Perchè dirtelo? Certo adesso ti stai chiedendo questo; naturalmente mi starai giudicando una merda, però ti prego, prova a metterti per un secondo nei miei panni… sono due mesi che impazzisco, con queste idee malsane che mi ossessionano, non mi fanno dormire.
Ecco tutto: dovevo dirtelo, non avrei potuto vivere senza tentare… anche se ci fosse una probabilità su un milione che tu mi possa dire di sì; dovevo tentare per mettermi l’animo in pace e per…
Ma Elvira, raccolta la borsetta, stava già uscendo dal locale, offesa e amareggiata.

***

La vecchia signora non era morta ma, per il mese successivo provò le pene dell’inferno. Elvira era una donna forte, seria, lo aveva detto lo stesso Fabio. Sapeva che sarebbe stata coerente con qualsiasi sua scelta, sapeva che se avesse detto sì a quel bastardo, poi sarebbe andata fino in fondo, dovunque la sua scelta scellerata l’avesse portata. Conosceva il sesso, non la perversione… adesso, dopo i sessanta, sarebbe mai potuta cambiare?
Come aveva detto Fabio: “Io come un dio per te e tu, prona e pronta a qualsiasi sacrificio per me!” Questo voleva dire, perversione, lei lo sapeva ma non era preparata a subire… nonostante tutto, sotto la pancia aveva il fuoco, la sua vagina non le era mai bruciata tanto, e il suo plesso solare non aveva mai subito tanta pressione.
Una mattina cercò il numero di Fabio e scrisse un sms estremamente sintetico.
“Hai vinto! Sono pronta.” scrisse Elvira, sperando che Fabio capisse e, soprattutto, che non avesse cambiato idea.

Passarono quasi due settimane; Fabio non rispose.
La signora trascorreva le giornate come un automa. Ogni tanto si recava al mercatino, a volte due passi nel pomeriggio inoltrato, entrò perfino in una chiesa, lei, che non era un’assidua frequentatrice, neppure di domenica.
Non riusciva a darsi una spiegazione di quel comportamento. Il messaggio inviato a Fabio era stato inviato correttamente: non aveva sbagliato numero; non aveva ricevuto avvisi di errore. Quindi: Ok, il “signorino” non rispondeva. E questo non avrebbe dovuto significare nulla per lei!
Pur dimenticando, per un attimo, la pazzesca differenza di età… ma, comunque, lei non era mica innamorata di lui. Tra loro non c’era stato assolutamente niente (a parte quell’ultimo, strano discorso sul “dominare” e “l’ubbidire”). Eppure, la vecchia si doveva trattenere dal desiderio di chiamarlo: una, dieci, cento volte al giorno.
L’attesa era snervante e, lei lo capiva, diventando debole diventava, automaticamente, più vulnerabile.
“Cosa diamine mi succede? Non sono più la stessa, a causa di questa maledetta, assurda, storia. Mi sto facendo un film che non ha ragione di essere… assolutamente nessuna.”
Decise di fare un viaggio.
All’agenzia le proposero una crociera, era il periodo migliore, ma lei titubava. Prese qualche depliant; pensò di ritornare a Parigi, le era tanto piaciuta, anni prima.
Quando tornò a casa, appena aperta la porta, trovò un biglietto per terra:

“Sono passato ma non c’eri.” Maledetto, indecifrabile Fabio… ora che si preparava a dimenticare, si era rifatto vivo.
Gli telefonò immediatamente, anche se dovette schiarirsi la voce più volte, perchè le tremava.
– Mi spiace, – si giustificò senza motivo – ero solo uscita per una commissione…
Fabio tagliò corto ma senza essere scortese:
– Ascolta… voglio saperti “pronta” e disponibile, come mi piace immaginarti. Nei miei sogni hai la pelle morbida e chiarissima… voglio che ti procuri lingerie nera, anche qualcosa viola. Un po’ di tutto, non so dirti. Anche dei collant… cose carine, non volgari. Magari anche dei guanti… Poi… Esistono ancora dei cappellini con la veletta? Boh? Vedi tu… ah dimenticavo, anche una mascherina o qualcosa di simile.
Elvira restò interdetta, intanto arrossiva mentre Fabio elencava quella caterva di oggetti… chissà perchè, questa cosa la faceva sentire ridicola, esposta come fosse nuda. Forse era a causa della confidenza che l’uomo si prendeva a parlarle così.
Ormai non era più se stessa, rispose che avrebbe fatto del suo meglio.
– Quando pensi di venire?
– Ascolta, io non lo so. Io con te non devo avere orari, appuntamenti. Mi piace pensare di averti a disposizione quando ne ho voglia e dove capita… non sono sicuro di nulla. È come masturbarsi: quando mi va, lo faccio.
Fammi sapere quando sei pronta, ok? Mi mandi un messaggio.

Di nuovo il fuoco si impadronì della pancia di Elvira. Felice di obbedire; felice di aver parlato con Fabio; felice che lui non si fosse scordato di lei, buttò via i depliant e corse in camera da letto, la vecchia, grande stanza che aveva condiviso col suo povero marito. Aiutandosi con un piccolo scaletto, raggiunse gli stipi superiori del grande armadio. Tirò fuori due scatoloni e alcune buste, contenevano gran parte del suo abbigliamento intimo giovanile. Molte di quelle cose non le aveva usate più da anni ma le aveva sempre conservate, con un pizzico di civettuolo piacere.
Sparse sul grande letto tutto l’intimo e la biancheria e iniziò a cercare tutti quegli indumenti che non stridessero troppo con la sua età ma che, di sicuro, avrebbero potuto soddisfare le fantasie di Fabio. Un pensierino maligno le vibrava nella mente, un nomignolo odioso… lui non le aveva detto niente in proposito, eppure, a lei capitava di associare, in testa sua, il nome di Fabio a un altro, un sostantivo: Padrone.
Nella grande camera, mentre sceglieva tra le Liseuse dai bordi in pizzo; tra i reggicalze e i corpetti, spesso usati una o al massimo due volte; mentre controllava le calze di seta e le rarissime mutandine sfacciate, ricordò che era stata donna. Che aveva fatto sesso, e le piaceva… ricordò di aver indossato quegli accessori, esclusivamente per suo marito, sapendo che lui, arrivando a letto, avrebbe apprezzato quei preparativi e goduto tra le sue carni, costipate nella seta e nel Jersey.
E ora? Stava profanando il suo ricordo, ancor prima di cominciare un rapporto con uno sconosciuto… un ragazzo che aveva la metà dei suoi anni e che le aveva detto chiaramente di volerla usare. Come si usa una puttana, come si chiede a una mantenuta.
Nonostante tutto, l’anziana e impeccabile signora Elvira, aveva paura di una cosa sola: che lui, il giovane aguzzino, potesse dimenticarsi di lei in un qualsiasi momento. Non aveva carte da giocare. Per quel rapporto non c’era futuro, nemmeno adesso che ancora doveva cominciare.

– Claudia… Claudia… ?
– Claudia, tua figlia! Ma mamma che hai… stai bene?
– Ma sì, sì, tesoro, figurati. Ero sovrappensiero… stavo guardando la TV, ecco. Sul divano, come al solito… ecco, sì!
Elvira arrossì fino alla cima dei capelli, come se le avessero puntato addosso un riflettore. Era sì davanti a uno schermo, ma quello del vecchio PC. Per fortuna, quando Claudia era ancora in casa con lei, aveva imparato i primi rudimenti e sapeva cercare un filmato sul Web. In effetti però, la dolce Elvira, stava consultando un canale che diffondeva video pornografici. Cercava d’imparare i termini e le posizioni più ricercate nel mondo del sado-masochismo. Aveva compreso il significato di BDSM; cos’era una Mistress e cosa ci si può aspettare da una slave.
Le cose che più le mettevano paura erano gli atti violenti, ma, per quelli, non sapeva ancora se avrebbe dovuto preoccuparsi. Mentre una vocina, nascosta nel suo subconscio, l’avvisava continuamente di stare in guardia riguardo a una pratica che, quasi certamente, le sarebbe stata richiesta, o meglio, se aveva ben capito l’antifona, imposta! La sodomia.
Si era documentata, aveva letto, aveva osservato: uno slave, non importava se maschio o femmina, veniva inculato; in un modo o nell’altro. E, se a spadroneggiare sul malcapitato era una donna, l’atto veniva perpetrato, in genere, con un cazzo di gomma. Per questo Elvira era molto a disagio, o meglio: terrorizzata.
Comunque, il suo folle status bipolare, ormai aveva preso il sopravvento e tutto ciò che l’atterriva, al tempo stesso la eccitava; il solo pensiero di non farcela, il solo pensiero di subire violenza, invece di farla rifuggire dal fatidico incontro, l’aveva spinta, proprio il pomeriggio precedente, a mandare il messaggio a Fabio:
“Spero di essere pronta. Spero di aver preso tutto ciò che hai ordinato. Decidi tu.”

Aveva da poco fatto colazione, dell’insalata e un poco di formaggio, voleva tenersi leggera, voleva tenersi pronta per quell’avventura che (finalmente aveva il coraggio di ammetterlo) le aveva fatto perdere la testa.
Fabio, comunque non si era sentito. Invece, di punto in bianco, era arrivata la chiamata di Claudia… non che si fosse scordata di avere una figlia, ma insomma, adesso che, con suo marito e il nipotino, si erano trasferiti a Roma, era davvero difficile incontrarsi durante l’anno.
– E quindi, massimo per le 5 saremo da te! – Concluse la donna.
Elvira si sentì mancare e, al tempo stesso, si accorse che era matta.
Lei! Lasciarsi condizionare da quello stupido gioco e, tanto intensamente, da preoccuparsi del “nulla”. Era nonna; era una donna seria: il suo adorato nipote sarebbe arrivato a momenti (dopo mesi che non lo vedeva), e lei? Lei si dava pensiero per Fabio. Lo sconosciuto!
Non erano amanti; tra loro non c’era mai stato nulla, tranne quelle quattro chiacchiere senza senso, eppure la sua vita ne era rimasta sconvolta. Elvira iniziò a pensare sul serio di avere dei problemi, forse, quella benedetta solitudine, che lei si lusingava di tollerare con una certa serenità, aveva alterato le sue facoltà.
Per anni le era bastata la sua passione per i libri e il legame pacifico con qualche amica; una vecchia cugina… Ora era infoiata come una sedicenne. Era stata più spesso all’Istituto di Bellezza in quegli ultimi giorni che in tutta la sua vita e, per paura di non soddisfare quel matto di un ragazzo, aveva speso mezza pensione per comprare lingerie e calze operate, tant’è che le stesse commesse ne restarono perplesse.

Le 5 arrivarono, sua figlia e il genero dovevano partecipare a una cerimonia importante; il piccolo Mattia, raggiante per aver ritrovato la nonna, si stringeva a lei senza mollarla un istante. Si era già prenotato per dormire insieme a lei, nel lettone.
Le ore passavano: Fabio non chiamava; Elvira respirava, sentendosi sempre meno sotto stress… stava andando tutto per il meglio.
Aveva fatto sparire, in fretta e furia, i segni del suo rinnovato guardaroba da sgualdrina.
Sua figlia sarebbe tornata non prima di mezzanotte, Elvira non voleva credere che il giovane avesse intenzione di vederla, ormai era tardi. E poi, alla fine, diamine, avrebbe pur potuto capire… lei non si aspettava l’invasione dei parenti!

– Nonna, mi fai il lattino? – disse il piccolo verso le 9, con la vocina già lievemente impastata; il viaggio in macchina lo aveva stancato.
– Certo, tesoro, sistemo il letto di mamma e poi te lo preparo subito. – Lasciò tranquillo il nipote che, comodo sul divano, seguiva il suo programma preferito.
Aveva appena inserito, nella federa immacolata, l’ultimo cuscino, che il suo cellulare iniziò a vibrare. L’aveva abbandonato in cucina, ci mise un po’ ad accorgersene, poi rabbrividì e corse a rispondere.
Maledizione: era Fabio!
– Mi servi. – disse in tono perentorio, era la prima volta che le parlava così. Ma lei immaginava che, prima o poi, sarebbe successo. Cercò di spiegarsi, di scusarsi (ma di cosa poi?), però l’altro divenne laconico.
– Elvira? Cominciamo così? – Non aggiunse altro e la donna temette che fosse già tutto finito. Una lunga pausa, come se l’uomo, dall’altro capo stesse riflettendo.
– Stammi a sentire… ho bisogno di te per una “dimostrazione”. Non c’è bisogno che io salga, scendi tu, basteranno pochi minuti… fa in modo da farti trovare. – Poi, prima di posare, aggiunse:
– Aspetta… ecco, scendi con una vestaglia scura o qualcosa di simile, sotto, però, devi essere completamente nuda. Capito? Nuda… tutta!

Dopo quella telefonata, una “Elvira” del tutto nuova, girava per la sua casa. Vista da fuori poteva sembrare la stessa signora, ma dentro di lei, c’era un’altra persona!
Le sue priorità erano cambiate. La nonna premurosa, che si occupava del nipotino, era divenuta un’estranea: pensava ad altro, viveva per altro…
Faceva le cose di routine come se, da dentro, le avesse affidate a un essere sintetico. Non provava quasi niente per il bambino, non aveva alcun pensiero per sua figlia e suo genero. In realtà, non che li avesse cancellati dalla mente, al contrario, si adoprava per sistemare le cose al meglio, per farli stare bene… ma non per amore. Era per liberarsi di loro e liberarsi “da loro”.
La nuova Elvira aveva un solo obiettivo immediato: non scontentare Fabio; non perdere l’occasione di essere tutta sua; un essere dedito a un solo scopo, accontentare tutti i suoi desideri.
Fu in questo orribile stato di lucida confusione che decise di perpetrare la prima, incredibile, trasgressione: al latte e cioccolato del piccolo, aggiunse un’abbondante porzione di certe gocce di camomilla, che teneva come calmante e antidolorifico. Naturalmente non lo avvelenò ma, se fosse stata presente a se stessa, come al solito, non avrebbe mai neppure pensato di fare una cosa del genere.
Il ragazzino, comunque, si addormentò in pochi minuti.
Elvira corse in bagno, si lavò i denti, si passò addosso delle tovagliette detergenti, per evitare di farsi trovare impegnata in una doccia. Indossò una camicia da notte nera, sottile, quasi trasparente; naturalmente sotto non mise assolutamente niente: né mutandine, né reggipetto. Di sopra, per mascherare la cosa, indossò uno dei camicioni che era solita adoperare per casa.
Di nuovo in bagno per sistemarsi i capelli, poi in giro per tutte le stanze, controllando che tutto sembrasse in ordine, completamente normale.
Correva leggera da un ambiente all’altro, si sentiva vent’anni di meno. Alla fine, sedette, scomoda, sul bordo del divano. Era tesa come una molla. Erano solamente le 21 e 45.

E aspettò!
Poi aspettò ancora. Poi si alzò e rifece tutto daccapo: bagno; denti; passata di tovagliette per tutto il corpo… un po’ di profumo. Di nuovo il giro delle stanze; il bambino dormiva della grossa.
“E se lei fosse uscita davvero? E se il piccino si fosse svegliato quando lei non c’era?”
Panico; nervi; attesa spasmodica… terrore e desiderio. Desiderio, che alla fine, avrebbe avuto la meglio su tutto il resto. Non si era mai sentita così!

I minuti passavano. Si stava quasi appisolando per la tensione, quando il cellulare vibrò. Lo teneva poggiato sulle gambe, sussultò, e poi rispose a Claudia.
Sua figlia l’avvertiva che era questione di poco, poi, con suo marito, avrebbero potuto riprendere la via del ritorno.
Naturalmente, la sfiga ci mise lo zampino: mentre parlava, il telefonino l’avvisò, con un bip, che qualcuno le aveva inviato un messaggio.
“Scendi nell’androne tra 5 minuti.” Di nuovo la prese il terrore, di nuovo la sensazione di calore alle guance.
“Porca miseria,” pensò giustamente, “mesi e mesi sola come un cane, stasera mi succedono tutte le cose insieme!”
Anche per la rabbia decise di fregarsene e di correre qualche rischio… e se l’avessero scoperta?
“Che vada tutto a puttane, io non rinuncio!”
Diede un’ultima occhiata al bambino, le si strinse il cuore… non poteva nemmeno pregare, perchè in effetti stava andando a “commettere peccato”. Guardinga, scese a piedi i due piani della sua palazzina. Nessuno, per fortuna. Erano in pochi e, alle 11, dovevano essere tutti tappati in casa.
Pochi istanti dopo arrivò Fabio. Gli aprì.
Le luci dell’androne non avevano pietà di lei; se fosse uscito qualcuno l’avrebbe notata di sicuro. Pelle bianca, piedi nudi e con addosso lingerie nera,talmente trasparente che le si vedeva il cespuglio scuro della vulva.
– Brava. – Disse Fabio, squadrandola dalla testa ai piedi. Lei sorrise, non avrebbe saputo cos’altro fare. Lui era entrato nella parte, ormai: non era più ossequioso e bonario ma deciso, quasi burbero.
– Apri la veste! – Ordinò senza cerimonie.

Il suo cuore voleva fermarsi… immaginare era una cosa, le era persino piaciuto, l’aveva pure eccitata; adesso però, quella richiesta, di fretta e furia la imbarazzava. Erano anni che non si spogliava davanti a un uomo. Poi arrivò la vergogna, aveva sessant’anni e nessuna “protezione”, niente intimo!
Si sentì nuda e magra, come una prigioniere in un Campo di concentramento.
Ma tanta mortificazione non riuscì a fermarla:
“E se deve finire, finisca pure così!” Pensò. “Adesso Lui mi vede e prova il disgusto legittimo di un giovane, un bel ragazzo, che vede spogliata sua nonna!”
Aprì la vestaglia e si scoprì.
La luce era impietosa; chiunque avrebbe potuto vederla attraverso i vetri del portone, o dalle scale; il suo nipotino era solo in casa, probabilmente terrorizzato.
“Sono proprio una vecchia puttana!”
– Bene, – disse Fabio – hai obbedito, mi fa piacere. – La valutava con lo sguardo come si osserva un oggetto prima di decidersi all’acquisto. Poi, fece una cosa a cui Elvira non era preparata. Tirò fuori dalla tasca il cellulare, scrisse qualcosa sullo schermo, poi le scattò un paio di foto, senza chiedere il permesso. Istintivamente lei provò a coprirsi in tutta fretta…
– Che cazzo fai? – Sbottò il giovane. – Apri, idiota, apri bene i lembi della vestaglia.
In che maledetta sciagura si era andata a mettere? Era ancora in tempo… poteva fuggire, chiudersi in casa. Cazzo, e le foto? Ormai le aveva scattate, quel porco.
Provò a dire qualcosa, a farsi valere. Ma lui la guardò con freddezza:
– Senti, stronza, già ti rimangi i tuoi impegni? Che faccio, me ne vado?
– No… no… ti prego, perdonami; ho sbagliato. Faccio tutto quello che vuoi. – Ma chi aveva parlato da dentro di lei? Non si riconosceva: era impazzita? Nonostante quell’orribile situazione, lei continuava a desiderare di soddisfare quell’uomo. Incredibile, eppure, ne aveva un bisogno viscerale. E più lui la mortificava, più si sentiva di appartenergli.
– Brava, la mia stronzetta, – disse lui abbozzando un sorriso – così mi ecciti… devi essere remissiva. Girati, adesso, tirati su tutta la veste e scopri il culo.
Elvira eseguì ciò che le veniva chiesto.
Le luci si spensero, Fabio le fece ripartire, poi riprese a fotografarla impietosamente.
– Chinati avanti, a novanta gradi… Bene! – Ordinava e decideva le sue mosse, la povera Elvira cominciò a bagnarsi in figa.
– Bene, così. Adesso apri le gambe… bene. Apriti con le mani; allarga le chiappe. Devo vedere il culo e la fessa. Ok, girati di nuovo… – Scattava continuamente, da tutte le angolazioni.
Elvira sapeva perfettamente che, con quelle immagini, avrebbe potuto ricattarla per tutta la vita; era stata stupida a non mettere “paletti” prima, e adesso era troppo tardi. Ma la cosa che più la disgustava di sé era che lei provasse piacere, un piacere subdolo, a essere svergognata così.
Non aveva spiegazioni plausibili… forse era la sorpresa di ricevere un tipo di trattamento che non aveva mai conosciuto.
Fabio mise il telefono in tasca. Elvira si strinse addosso il suo straccetto. nessuno ancora l’aveva vista, ma sua figlia sarebbe arrivata a momenti.
– Posso andare? – disse; era sulle spine.
– No, aspetta… mi hai fatto eccitare, – disse Fabio – vieni, mi pare che dietro l’ascensore c’è un piccolo ripostiglio.
Infatti, ricavato nel sottoscala c’era un piccolo spazio, dove tenevano le scope e qualche attrezzo, ma era angusto e senza porta.

– Vieni, ecco… mettiti, al mio fianco, così. – L’aiutò a raggiungere la posizione che desiderava; lei si trovò sulla destra di lui, quasi alle spalle. Le prese la mano e la costrinse a sbottonargli la patta. Elvira dovette frugare nel pantalone, finché gli prese il cazzo e lo fece uscir fuori.
Era duro e bello grosso, non esagerato, ma notevole. Alla vecchia mancarono le forze, troppe emozioni quella sera, e adesso era con quel caldo pene in mano, nascosta tra le scale di casa sua.
– Fammi la sega, Elvira. – Disse Fabio; si vedeva che si gustava tantissimo tutta la situazione anomala di quel rapporto. Elvira non era brava in quelle cose; per lei toccare il cazzo del marito, faceva parte dei “preliminari” ma si era sempre limitata a carezze ed effusioni. Adesso doveva praticare una masturbazione a un maschio e lei non era per niente preparata.
Fabio dovette capire e, con pazienza, la guidò. Per lui doveva essere una situazione molto arrapante, infatti il pene gli diventò di pietra e gli bastarono solo un paio di minuti.
A quel punto, le adoperò la mano a suo piacimento: due o tre segate veloci, per poi fermarsi, e così via… finché Elvira lo sentì respirare affannosamente e mugolare; poi gliela tenne ferma, tutta in basso, col cazzo che svettava dalle dita.
Il ragazzo cominciò a sborrare, accasciandosi soddisfatto sulla sua amichetta.
Elvira, dimentica di tutto, seguì il suo istinto e continuò a menargli il cazzo con delicatezza, sgusciando con le dita tra quella sua crema calda e odorosa.
Fabio, si calmò, alla fine. Si pulì il cazzo sulla vestaglia di seta, imbrattandola di bianco. Diede un buffetto a Elvira e sgusciò via dal portone.
In quello stesso istante, sua figlia Claudia e il marito, entravano, incrociando lo sconosciuto che si allontanò a testa bassa. La luce si spense, per fortuna.
Elvira fece appena in tempo ad appiattirsi nello sgabuzzino e fu per puro caso che, i suoi, non la scoprirono in quelle condizioni.

La vecchia signora, in una sola notte, visse le più drastiche emozioni della sua vita ed eseguì pericolose e azzardate manovre, inconcepibili per la sua età e per il suo rango… forse solo per questo, se la cavò senza essere scoperta.
Per prima cosa, superò la certezza di crepare d’infarto per la paura. Poi, rischiò di nuovo la vita quando, a piedi nudi, dopo aver atteso che sua figlia e il marito, chiudessero le porte dell’ascensore a vetri, perpetrò la lucida follia di far scattare il salvavita della palazzina. Per puro caso l’apparecchio era sistemato proprio nello sgabuzzino.
Il buio invase l’androne; corse per le scale alla meglio, brancolando nell’oscurità; ascoltando le recriminazioni sorde dei suoi congiunti, chiusi e spaventati nella cabina.
Sessanta secondi!
Le bastarono appena. Mentre il dispositivo di riarmo faceva di nuovo risplendere le luci, lei percorreva l’ultima tesa e s’infilava, come una ladra, nella porta socchiusa.
Corse in bagno e si lasciò cadere sulla tazza, trafelata e spossata da tante emozioni.
Dopo pochi secondi, sentì sua figlia entrare in casa blaterando.

Il giorno dopo, finalmente, rimase di nuovo da sola; in casa regnava il silenzio, come al solito. Dopo aver rassettato, sedette sul divano e si mise a ripensare, con calma, alla sua burrascosa nottata.
Verso le 18 chiamò Fabio, sembrava freddo ma cortese, non le chiese niente, nemmeno se le era piaciuto “servirlo”; probabilmente per lui era ben poca cosa.
A un certo punto si fece coraggio:
– Scusami Fabio… ma quelle foto… io non vorrei…
– Sei matta? Ascolta, te lo dico una sola volta: io non sono un ricattatore, non ho bisogno di niente. Voglio giocare con te… tutto quì! – Disse sbrigativo. – Se non ti va di obbedire, di essere assoggettata, puoi ancora dirlo. Ora o mai più, però. Non voglio che mi contraddici continuamente: esegui e basta! Ok?
– Ok, perdonami, – acconsentì vergognandosi della sua resa incondizionata, – Non succederà più!
– Brava, ecco; così mi piaci. La mia schiava, devi essere! Senza volontà, sempre obbediente. – Silenzio, per un attimo. – Ti sei già toccata per il fatto di ieri sera?
– Veramente non ho ancora avuto un momento per me… non ci ho pensato, ecco!
– Ok, allora fallo adesso, aspetto al telefono!
– Cosa? – L’aveva presa in contropiede, ma poi si riprese per non essere sgridata. – Scusa, sì, ho capito mi devo masturbare? Giusto?
– Esatto… fai come dico io però. Cosa indossi?
– Un camicione, azzurro… per casa.
– Sotto?
– Emh… solite cose, – non volle mentire – ho i calzerotti, mi spiace, poi mutandina e reggiseno. – Non era sicura di aver fornito la risposta giusta al suo, esigente, aguzzino.
Dopodiché, Elvira si ritrovò a dover eseguire una nuova, umiliante e pericolosa, performance; una delle tante che le sarebbero state richieste da quel misterioso ragazzo, Fabio. Un tipo dalla personalità doppia: una facciata “cristallina” e ineccepibile di lineare normalità e, dietro quello specchio luminoso, un’ombra buia, malvagia, che sembrava godere del disagio erotico della vecchia signora.
Elvira temeva di essere picchiata, sculacciata, usata sessualmente ai limiti dello stupro, invece Fabio, pareva godere a mortificarla nella sua personalità, come volesse spezzare il suo perbenismo, come volesse invalidare la sua integerrima figura sociale, innegabilmente un po’ borghese.
Non sapeva se credere alle parole dell’uomo; lui aveva sottolineato più volte, che quelle voglie e quegli stimoli perversi, gli nascevano proprio da quella loro tardiva frequentazione. Ma Elvira era troppo impegnata a superare le prove di abnegazione malevola cui la sottoponeva. Sembravano semplici, quasi banali, eppure, a causa di quei giochini, era già la seconda volta che rischiava tutta la sua rispettabilità di donna anziana, specchiata, madre e nonna ineccepibile.
Ed ecco che, qualche minuto dopo, chi fosse passato per la sua via in quel meriggio o, semplicemente, da dirimpettaio, si fosse affacciato alla finestra, avrebbe potuto intravvedere una signora, dalla carnagione chiara che, in piedi su una sedia, seminuda, procedeva a una masturbazione pubblica, proprio dietro i vetri del suo balcone.
Elvira aveva eseguito alla lettera gli ordini folli del suo nuovo padrone: maledetto!
“Sali su una sedia vicina ai vetri, mi raccomando. Se passa qualcuno deve vederti, si deve eccitare… bene,” aveva comandato Fabio, “ora apri la vestaglia, tutta, sul davanti, bene! Ora abbassa le mutande all’altezza delle ginocchia; fai saltare le zinne sopra del reggipetto. Mi raccomando: si devono vedere i capezzoli, capito? Poi ti masturbi finche non arrivi.”
Elvira, morta dalla vergogna, ebbe solo il coraggio di fargli notare che, se stava sulla sedia, i suoi occhi superavano il vetro, quindi non poteva sapere se qualcuno la stesse osservando…
– Esatto, – aveva risposto lui – è proprio quello che voglio… non devi sapere chi si gode la tua troiaggine. – Rise di gusto con un pizzico di malignità.
Elvira, rossa in viso, si arrese a Fabio e all’eccitazione selvaggia che si era impadronita di lei. Salì sulla sedia; iniziò a frugarsi tra i peli scuri della vagina, con due dita sul clitoride, meccanicamente, si trastullò in maniera fredda e distaccata. Ma, pochi minuti dopo, immaginando lo spettacolo che dava di sé, impossibilitata a sapere davanti a chi si stesse esibendo, senza alcun ritegno, iniziò a eccitarsi come una furia. Cominciò una specie di danza erotica; s’infilò le dita, profondamente nello spacco. Ancheggiava come un’odalisca; con un moto rotatorio che non aveva mai imparato. Ancheggiava e si sollevava, gradatamente, da destra a sinistra, come si strusciasse su un maschio, come fosse una gatta in calore.
La paura di essere vista, in vetrina, mentre si toccava, superò la vergogna e divenne bollente eccitazione.
Venne a lungo; venne così, come non era mai venuta, e la sua unica paura era quella di cadere dalla sedia per il troppo, irrefrenabile godimento.

Due metri dietro la donna al balcone, grazie a Skype, il suo amante, da lontano si godeva la scena e, naturalmente, la registrava.
Fabio non si toccò ma il suo pene era gonfio e cercava sfogo. L’uomo sapeva che avrebbe sofferto di un male incredibile alle palle, ma ne valeva la pena.
Aveva altri comandi e altri progetti, per il giorno dopo.

 

La mattina era uggiosa. Troppe emozioni in una sola volta, Elvira si attardò nel letto più del solito, godendosi un momento di pigrizia.
Poi prese il suo caffè, fece un po’ di colazione. La casa era in ordine, sistemò un po’ di cose; faceva tutto meccanicamente, fingendo con se stessa che nulla era cambiato. Cercava di non toccare l’argomento “Fabio”, perchè pensarci la metteva in una condizione psicologica e fisica che lei, poverina, non comprendeva e non sapeva gestire. La vecchia signora non conosceva quel tipo di sensazioni, eppure erano “sue”… era come quando, ristrutturando una vecchia casa, si scopre un sottotetto abbandonato o un ripostiglio murato: si tratta di un locale nuovo e misterioso. Elvira, dentro sé, aveva scoperto un precipizio, una caverna segreta e inesplorata. Indagare quel nuovo, forse infinito, spazio, provocava nella donna, nuove e inattese risposte emotive.
Sfaccendava; rimuginava; e così provava a ritenere che tutto ciò era pazzesco? Ebbene, appena la sua mente sfiorava l’argomento “Fabio”, e ciò che rappresentava in quel loro, strano, rapporto, si sentiva venir meno nelle gambe. Si scioglieva letteralmente e la sua personalità sembrava riplasmarsi, come plastilina, incapace di essere sottoposta al suo, ormai perduto, self-control.
E “la vecchia” tornava ragazza; trepidava; desiderava essere asservita e, come stava scoprendo in quei giorni, persino maltrattata e svergognata.
E tutto questo turbine di emozioni le girava come un vortice nella mente, ubriacandola ma facendola impazzire di desiderio.

 

Il suo aguzzino chiamò a mezzogiorno.
– Ascolta, – disse sbrigativo, sembrava che quello sarebbe stato il tono che amava adoperare con lei, – stasera mi porti a cena. Saremo in due, credo; paghi tu. Vengo a prenderti alle nove. Mi raccomando, devi tenere la gonna e non mettere le mutandine… Capito tutto?
Ecco: il tempo di capire le sue parole; il tentativo, fulmineo, di interromperlo, per accampare una scusa, per bloccare quella irrefrenabile, inaccettabile, catena di eventi; tutto veniva soppresso da quel calore tra le cosce. Emozioni da sedicenne, desiderosa di lasciarsi esplorare dal primo amore.
Le gambe che tremano; la voce è insicura, mentre un’eccitazione, sorda e immotivata, prende il sopravvento!
La donna non riuscì a profferire altro che:
– Va bene, alle nove! – E poi… – Posso chiedere chi è l’altra persona?
– Non te ne curare. – Rispose il ragazzo con voce beffarda. – Non conta niente, fa parte del “mio” gioco.

 

***

 

La mollezza sentimentale e l’estasi del suo nuovo mondo, costellato di perversione, perse vigore durante la giornata. Già uscire a cena con Fabio, che aveva quasi la metà degli anni suoi, era più facile a dire che a farsi. Ora, che sapeva che ci sarebbe stato un “terzo incomodo”, il disagio della signora aumentava, man mano che passavano le ore.
Alle 8,30 era pronta per uscire. Aveva usato molto deodorante (anche intimo), ma nessun profumo. Aveva recuperato un abito sobrio, con la gonna al ginocchio, scuro. Un giacchino color crema, completava la sua semplice mise.
Per fortuna, Elvira, aveva sempre avuto delle belle gambe. L’età non aveva ancora scalfito le sue forme, né le sue carni mostravano macchie antiestetiche di grossa entità. Poche, sottili, venuzze azzurrine segnavano il retro delle gambe, sotto i ginocchi. Comunque lei aveva messo delle calze coprenti ma non contenitive; le detestava; autoreggenti, per forza di cose: il “maledetto” aveva ordinato espressamente di farsi trovare senza slip. Avrebbe potuto fare la gnorri e indossare dei collant, ma temeva di irritarlo. Al contrario, desiderava che tutto filasse liscio e che quel martirio finisse presto. Era irritante sapere che quel suo momento di scottante intimità, sarebbe stato condiviso da un altro estraneo, oltre Fabio.
Ma forse, dopotutto, era una fortuna che andassero a cena fuori. Certo, in mezzo alla gente, non poteva certo pretendere oscenità particolarmente eclatanti, sarebbero state imbarazzanti anche per lui.
Probabilmente lo eccitava sapere che Elvira fosse così esposta, da sotto… chissà? La donna era veramente a digiuno riguardo a queste strane pratiche “moderne”.

 

Il citofono suonò qualche minuto prima delle nove. Inaspettatamente Fabio volle salire. Comunque la casa era in ordine; Elvira attese dietro la porta socchiusa.
Il suo amico entrò, la salutò con un bacetto sulla guancia e allungò subito le mani: sui seni, sotto la gonna. Lei sorrise, impacciata:
– Mi stropicci tutta… ti prego.
Fabio era molto poco interessato alle sue rimostranze. Dalla tasca della giacca sportiva, tirò fuori una bustina di carta, del tipo di quelle che si adoperano per i panini.
– Siediti sul divano. – intimò, mentre tenendola per un fianco la spingeva nel salotto. – Aspetta… prima alza la gonna. – Con la testa nel pallone la poverina non sapeva fare di meglio che eseguire.
– Bene, tutta su. Brava così! – Allora Fabio aprì il pacchetto, mentre Elvira, più che curiosa diventava rossa della sua repentina nudità. Da un grosso specchio, posto nel salotto, si vide esposta: la pelle chiara, diafana sotto le luci implacabili, e il suo triangolo di peli, scuri, arruffati.
Stavolta Fabio la sorprese sul serio; adesso aveva tra le mani una mutandina viola, neppure troppo osè, un modello classico, lievemente merlettato davanti. Inoltre, stringeva tra le dita anche un piccolo oggetto, liscio e lucido. Una specie di funghetto perlaceo, con un inserto laterale viola, dall’aspetto gommoso. Mistero!
– Ecco, cara, indossa queste. – Disse, appena lei sedette sul divano. – Tira, sì… no, non portarle tutte sopra. Bene, fermati! – Fabio si avvicinò e iniziò ad armeggiare con quello strano apparecchio; aveva le dimensioni di un grosso dito alluce.
Elvira non ci mise molto a capire cosa stava per succedere. In fondo, le mutande erano pochi centimetri di sotto alla sua figa e Fabio, non senza difficoltà, stava posizionando la base del “funghetto” in un apposito spazio creato apposta nelle mutande.
– Hai del gel lubrificante? – Chiese il suo amico, mentre controllava il suo lavoro.
– Io… ecco, forse. Ma, perdonami Fabio, non pretenderai che io…
Lui la guardò seccato, staccandosi da lei e rimirandola, come per controllare se, l’immagine d’insieme, poteva essere di suo gradimento.
– Sta zitta, non cominciare. Vuoi che te lo faccia inserire nel culo? Eh?
L’attempata schiava, terrorizzata, si levò in tutta fretta e corse in camera. Nascosta in una busta anonima, dove teneva tutte le “attrezzature” che si era procurata ultimamente, c’era anche uno stick di lubrificante intimo. Lo aveva comprato in una farmacia dall’altra parte della città, sperando che nessuno la riconoscesse. L’aveva preso spontaneamente, prima che iniziassero a incontrarsi, convinta che tutta quella storia si sarebbe svolta in maniera decisamente più “canonica”. Vista la strana piega che stava prendendo quel loro, incredibile, rapporto, Elvira pensò che forse, l’essere inculata, sarebbe diventato l’ultimo dei suoi problemi.
– Ecco, brava, – disse Fabio, quando la vide tornare, – vuoi fare da sola, o te lo inserisco io?
– Ehm, veramente, io non sono molto pratica; non vorrei commettere qualche errore.
– Ah, ah, – sbottò – Beh, tranquilla, nemmeno io, ma credo sia intuitivo.
Elvira tornò sul divano. Fabio si avvicinò, le prese entrambe le caviglie e se le portò al di sopra delle spalle; ora le grandi labbra scure di Elvira erano completamente scoperte. La donna iniziò a provare un grande calore, sbirciò verso lo specchio con discrezione: lo spettacolo che vide le procurò una botta violenta nello stomaco, un’emozione mai provata. Trasgressiva.
– Vuoi fare pipì, prima? – Disse l’uomo.
– No, no, sono a posto. Puoi fare…
Fabio iniziò immediatamente. Cosparse, con evidente voluttà, una dose di gel sulla figa e, in parte, ne spinse un poco, dentro il foro. La vecchia era bagnata, non poteva nasconderlo più. Dall’espressione di Fabio, la sua sottomessa capì che, a lui, questa cosa piaceva.
Fece scivolare le mutandine, facendo attenzione a non perdere il contatto con il dildo, poi, senza trovare resistenza, lo inserì in vagina fino alla base. La forma ovoidale faceva in modo che restasse ben fermo, infisso dentro la donna.
Poi l’aiutò ad abbassare le gambe e a sistemarsi la mutanda in maniera corretta. Le accarezzò le cosce, sfiorando le autoreggenti.
Elvira si portò davanti allo specchio e si diede una rassettata. Abbassò la gonna, sperando che tutto “l’armamentario” restasse un segreto, bloccato tra le sue cosce.
– Come va? Come ti senti?
– È strano… è nuovo. – Rispose Elvira con un sorriso ingenuo. Fabio godette: era proprio quello che lo aveva ispirato, trasformandolo improvvisamente in un Master assetato di dominio, la genuina impreparazione di quella vecchia signora.
La donna si manteneva molto bene; era dolce e simpatica, eppure, sin da quando l’aveva conosciuta, Fabio aveva provato, dentro sé, una strana emozione; una certa elettricità.
Sentiva che quella donna non era stata sfruttata, “adoperata” fino ad esprimere il massimo della sua carnalità. E non si sbagliava.
– Andiamo? – disse, mettendo la mano in tasca e stringendo il suo IPhone. Sorrideva, mentre uscivano per raggiungere la macchina. Quel pomeriggio aveva fatto tutte le prove necessarie: come promesso dalla pubblicità, il piccolo vibratore poteva essere comandato con un’App, direttamente dal telefonino.
Ma questo Elvira non lo poteva nemmeno immaginare.
“Meglio!” pensò il giovane mentre apriva la portiera.

 

– Tutto bene, Elvira?
Fabio lo chiese con un sorriso che la signora non seppe interpretare: era sarcasmo? Insieme all’altra si stavano prendendo gioco di lei? Aveva una possibilità di ribellarsi a tutto questo? Per Elvira le domande erano confuse, di conseguenza delle risposte coerenti sarebbero state assolutamente impossibili.
Era completamente fuori di testa; qualche commensale già l’aveva notata e la osservava sottecchi…
L’odiosa padrona del negozio (la misteriosa ospite cui aveva accennato Fabio), era la, a pochi centimetri da lei, ed era lampante che la osservasse con un certo disgusto.
Lei “sapeva”! E doveva sapere anche cosa stava passando da alcuni minuti.
La cena era andata abbastanza bene, nonostante, all’inizio lei fosse stata molto contrariata dalla presenza di Giuseppina, o meglio, Giusy. Lei l’aveva del tutto ignorata, sin dall’inizio della serata; probabilmente, a modo suo, doveva essere gelosa… (di cosa poi?) era un mistero. Elvira non era che una povera vittima nelle mani di Fabio; non era la sua donna; non era la sua amante; non l’aveva neppure mai scopata, per trattarla come ci si sarebbe aspettato: una specie di vecchia baldracca, bisognosa di cazzo. Niente di tutto questo. L’uomo aveva detto che voleva giocare con lei e stava mantenendo la sua promessa. Invece lei, alla presenza di Fabio diventava una mentecatta: puerile, ubbidiente, pronta a tutto. Totalmente incapace di dirgli di no; al contrario, le sue strane richieste le mettevano addosso una frenesia, un prurito, che si chetava solo ponendosi, come un cagnolino fedele, agli ordini del padrone. Non scodinzolava semplicemente perchè non possedeva una coda!
E Fabio, adesso, le stava propinando l’ennesimo scherzo, un pessimo scherzo.
Il ristorante era elegante e “dolorosamente” affollato, di sicuro qualcuno la conosceva o conosceva i suoi… La serata procedeva senza grossi intoppi, nonostante la sensazione indecente di avere un oggetto estraneo piantato nella figa. Elvira non aveva mai indossato niente di simile. Il coso la stimolava, comunque, e naturalmente lei si bagnava. La lubrificazione rendeva il canale dell’utero scivoloso e, camminando, viveva col terrore che le cadesse e, in qualche modo, si potesse palesare a tutta “la platea”. Ma era seduta, quindi il problema era quasi totalmente risolto.
Anche Fabio, sembrava sotto controllo, nonostante cercasse continuamente di toccarle le cosce e l’inguine, sia con le mani che con un piede, appena era possibile farlo senza richiamare l’attenzione. Solo Giusy doveva essersene accorta, probabilmente pure dalle occhiate di fuoco che Elvira indirizzava al suo ospite.
Era passata quasi un’ora. Stavano terminando la cena, in attesa del dessert, quando una scarica, che per Elvira sembrò elettrica, attraversò il suo corpo: dalla vagina, passando fulminea la spina dorsale, per arrivarle al cuore e alla nuca simultaneamente, facendola quasi schizzare via dalla sedia. Tutti i peletti le si rizzarono, le braccia si ritrassero verso il corpo e lei s’irrigidì come una scopa.
Con gli occhi spalancati e lo sguardo vitreo, sicuramente rossa come un peperone, doveva essere uno spettacolo fenomenale.
Cosa diavolo succedeva? Qualcuno, qualcosa stava vibrando tra le gambe della vecchia signora, mentre un misterioso dito di gomma, roteava e pressava da dentro il suo clitoride.
Era come se un cazzo, duro e palpitante, la stesse scopando da dentro! Dopo il calore, si raggelò e fu presa dai brividi: forse il fantasma di suo marito si stava vendicando del suo “tradimento” postumo?
Il cameriere, con una strana espressione sul volto, le servì la sua crem caramel al pistacchio e, per fortuna, si allontanò subito con discrezione. Elvira si sforzò di ritrovare il controllo su se stessa, giusto in tempo per registrare l’espressione divertita di Giusy e di Fabio; lui teneva in mano il cellulare. La vecchia non era stupida, non sapeva come ma capì che la diabolica emozione appena provata, era stata comandata, in qualche modo, dal telefonino.
– Ti piace? – Disse Fabio in tono leggermente canzonatorio, ma gli occhi gli brillavano, certamente quella perversione lo eccitava. Giusy invece se la godeva proprio, era lampante che si sforzasse per non sbottare in una risata, del tutto fuori luogo in mezzo a tanta gente. Lui sapeva, lei sapeva: insieme la prendevano in giro e l’avevano fatta saltare come una scimmia ammaestrata. Era veramente troppo! Dopotutto lei non era una ragazza come loro, era una donna di una certa età, era mamma e pure nonna.
“E che cazzo!” Pensò per poi alzarsi e cercare di allontanarsi da tanto degradante squallore, ma… niente da fare!
Alzarsi repentinamente da tavola era stata una pessima idea; una sfilza di vibrazioni ancora più tremenda si scatenò nel suo basso ventre, facendole disegnare una piroetta del tutto assurda in mezzo alla sala. Si piegò su se stessa, unì le gambe strette, strette, perchè era certa che quel macchinario infernale scalciasse come un topo impazzito e che volesse uscirle dalla figa. Sarebbe stata la vergogna totale. Tutti avrebbero visto in che stato era ridotta e cosa portava in grembo… Intanto, vibrazioni e ondulazioni, le provocavano nuovi stimoli per muoversi in modo strano e ridicolo.
– Chi ti ha detto di alzarti? Siedi subito, qui, di fronte a noi! – Comandò Fabio a bassa voce, mentre sembrava intento a scorrere i messaggi su un innocente iPhone. – Stai comoda e rilassata, se sarai buona ti piacerà. Tranquilla.
Con un sorriso imbarazzatissimo, sistemandosi la gonna scura, la povera Elvira riguadagnò il suo posto. Intanto i commensali, ai tavoli vicino, tornavano, pian piano, a godersi la serata, rassegnati all’idea che, quella sera, c’era tra loro una signora mezza matta.
– Mangia! – Intimò il suo padrone, indicando il dessert. Poi riprese ad armeggiare col suo dispositivo. Elvira obbedì, affondando nella crema il primo cucchiaino. Intanto il piccolo dildo, dentro lei, riprendeva la sua attività, stavolta in maniera più dolce e abbastanza sopportabile.
La donna strinse di nuovo le gambe; ora era come se due grosse dita si alternassero dentro la vagina, a un passo dal clitoride. Una vera, profonda e piacevole masturbazione. Il fatto che lei non avesse alcun controllo sul moto dell’apparecchiatura divenne lo stimolo più potente ed Elvira, suo malgrado, cominciò a eccitarsi, provando un intenso piacere fino alla punta dei piedi.
Fece buon viso a cattivo gioco, cercò di trovare una posizione comoda che le permettesse di mascherare il suo piacere.
Ora sbocconcellava, con una voluttà che non aveva mai osato ostentare, il suo dolce, molle e cremoso. Suggeva la crema, leccava il cucchiaino; Fabio, ora la fissava negli occhi e lo stesso faceva Giusy, ma adesso il suo sguardo non era di derisione. C’era complicità e piacere nei loro occhi; Elvira, misteriosamente si sentì amata e desiderata da quella strana coppia. Si ritrovò partecipe della loro perversa e intensa complicità. Gli altri, intorno scomparivano e lei provò una sensazione sconosciuta… si sentiva forte, si sentiva superiore. Non le interessava più niente del giudizio degli altri né della sua età e neppure dell’azione nefanda che stava compiendo, sotto gli occhi del mondo.
Elvira si lasciò andare al piacere, gli occhi pieni di voluttà e di desiderio; la figa di fuoco e la potente certezza che, se Fabio avesse voluto, lei si sarebbe distesa volentieri su quel tavolo, nuda dalla cintola in giù, e avrebbe pagato pur di essere infilzata dal suo membro, nonostante tutti gli ospiti che stavano cenando intorno a loro.
– Vieni in silenzio. – Ordinò Fabio impercettibilmente, accelerando il ritmo del dildo meccanico. A Elvira iniziò a mancare il respiro, socchiuse le labbra, fissò gli occhi in quelli di Giusy che le apparve bellissima e comprensiva… in quel momento avrebbe voluto servire anche lei, come una Padrona intransigente.
Poi venne, copiosamente, gocciolando l’estro dalle grandi labbra, bagnando le mutande, bagnando la gonna e, infine la sedia.
Fabio non fermò l’attrezzo, la fece soffrire e godere per oltre dieci minuti, mentre il mondo intorno a lei perdeva ogni significato e ogni etica.

– Mamma, ma ti senti bene?
Il telefono aveva squillato a lungo ma Elvira ci mise parecchi minuti prima di ricominciare a connettere.
Una volta sveglia, quando le nebbie si iniziarono a diradare dalla sua testa, si chiese: “Ma chi è che rompe a quest’ora?” Guardò l’orologio e sobbalzò, mentre la complice nebbia notturna spariva completamente, lasciando il posto a un sole abbagliante; sembrava uno spot, puntato sui suoi recenti peccati. “Quest’ora” erano, in realtà le 10,50! E quando mai, negli ultimi trent’anni, la povera donna s’era svegliata più tardi delle sette?
– Mamma… mamma? Che faccio? devo venire, che hai?
Urgeva una scusa; doveva prendere tempo.
– Ma no, a mamma, no. Ho solo passato una brutta nottata… qualcosa mi ha fatto male, a cena ieri sera.
– Ma che hai mangiato? Dove stavi? Ho telefonato tutta la serata; il cellulare, poi, inutile dirlo: non dava segni di vita. – La voce di Claudia era concitata.
– Hai ragione, amore, mi spiace… e che non ero a casa, sono stata a cena fuori.
– A cena? E a casa di chi? – Sua figlia conosceva tutte le sue amiche.
– No, una cena al ristorante… poi ti spiego, dai. Ho fatto un piccolo favore a una coppia di giovani e loro mi hanno voluta invitare… poi ti dico. – Elvira cercava di liberarsi in fretta per evitare troppe bugie.
– Mamma: ti ripeto la domanda… Stai bene? Devo venire da te? – Claudia non mollava, c’era dell’altro. – Ho sentito la Nasti, dice che è da un po’ che non vai in Parrocchia, nemmeno per il Burraco… e poi…
– E poi cosa? Sono solo delle vecchie pettegole… lascia perdere. – La donna era indispettita ma, soprattutto, preoccupata; la storia con Fabio aveva rivoluzionato il suo sistema di vita e lei non era sicura di avere ogni cosa sotto controllo, come avrebbe voluto.
– Sai cosa c’è? – Claudia abbassò la voce. – Pare che Angelica, quella che abita di fronte, avrebbe raccontato di averti vista nuda, che facevi qualcosa alle tende del balcone, o roba di simile. Completamente nuda… era pieno giorno, mamma!
Elvira si fece di tutti i colori; camuffò la lunga pausa di terrore fingendo di prendere tempo per ricordare.
– Nuda? Nuda al balcone, dici? – Pausa. – Ma stai bene tu, Claudia? Che vi salta in mente a tutte? Ma tu guarda! – Sbuffò, per farsi sentire. – E tu dai credito a una vecchia pazza, visionaria, che passa la vita a spiare la gente dalla finestra?
La figlia rise.
– Ok, vedo che stai bene! – Aggiunse – E non è finita, mamma invereconda: l’Angelica avrebbe detto pure che fai entrare gli uomini in casa… – e rise ancora, prendendo in giro la povera Elvira.
– O Signore! Ma che vecchia stronza… avrei voglia di dirgliene quattro, a quell’impicciona. – Si sentì risollevata; la figlia l’aveva presa sul lato comico. Per fortuna, Claudia, abitava in un’altra città; non le era facile liberarsi dagli impegni familiari e dal lavoro.
– Ma lascia perdere, – riprese la madre, – è tutto collegato a questa giovane coppia, che ti dicevo. Hanno dei negozi di oggettistica, cose carine, un po’ di antiquariato. Sono bravi ragazzi. Poi, da vicino ti spiego meglio.

Il pericolo era scongiurato, per ora, ma Elvira non poteva andare avanti così…
Per lei, per il suo modo di vivere, per il tipo di persona che era, sarebbe stato del tutto impossibile persino avere un compagno della stessa età. I suoi sarebbero rimasti basiti!
Un amante giovane, magari un gigolò, che viene a soddisfarti quando ne senti l’esigenza? Magari incontrando “lo stallone” in posti remoti, consumando in alberghetti compiacenti? Anche questo sarebbe stato impensabile… ma segretamente plausibile.
Un rapporto assurdo e incontrollabile con uno come Fabio, no! Questa cosa era inaccettabile. Non poteva fare la schiavetta di un pazzo; uno che non si sapeva dove sarebbe stato capace di spingersi; uno senza regole, senza schemi, che entrava nella sua tranquilla esistenza, come una valanga.
A parte i giochi “strani”, gli ordini assurdi, la cosa più grave era la mancanza di rispetto per il suo quotidiano! “Come ti permetti? Come osi, stravolgere le mie abitudini? Mettermi sulla bocca di tutti! Trasformarmi in una donna chiacchierata, sospettata…” No, non poteva essere!
Angelica aveva sparlato già, in Parrocchia, nel quartiere, era già argomento di dicerie. E qualche pia donna, aveva già sentito l’esigenza di avvertire sua figlia.
Che scandalo!

***
– Che scandalo! Giusto? Hai detto testualmente così: Che scandalo.
Elvira stava male; friggeva sul sediolino nel bagno, e si agitava come chi non riesce a trovare una posizione stabile.
Per tutta la mattinata si era “caricata” per affrontare il suo aguzzino, una volta per tutte; si sentiva già “quasi” pronta a parlargli chiaro. Quella stessa sera lo avrebbe chiamato! Deciso. Aveva tirato fuori dalla credenza una vecchia bottiglia di grappa; prima di chiamare era determinata a farsi un cicchetto, probabilmente le avrebbe dato coraggio… ma mentre rimuginava, il maledetto l’aveva preceduta.
Alle 16 precise le telefonò. Non se la sentì di non rispondere, e mentre il cellulare squillava, avvertì chiaramente che, dentro lei, c’era una parte segreta, una parte che non avrebbe dovuto neppure esserci, la quale era felice di quella chiamata, anzi, l’aspettava, l’anelava.
Comunque: concentrandosi, violentandosi, soffrendo, si era preparata e, un po’ balbettando, era riuscita a dire tutto quello che doveva essere detto.
Ora, senza forze e con gli occhi umidi, aspettava, rassegnata, la rabbia di Fabio.
Pur se le sue richieste erano state del tutto assurde, lei, certo per debolezza, però le aveva accettate. Ora si sentiva in colpa (pur avendo ragione da vendere); ma, soprattutto, era terrorizzata riguardo ad eventuali ritorsioni da parte del giovane, che, come aveva dimostrato, in quel loro rapporto osceno si esaltava e diventava un altro.
Fabio aveva delle foto, forse video, forse altre prove… tutto materiale adatto a sputtanarla in pochi minuti.
– Ascolta, vecchia e stupida schiava: tu sai perfettamente di avere torto, sai perfettamente di aver accettato di sottometterti incondizionatamente… – Continuò Fabio quasi sibilando, era contrariato, senza dubbio. A Elvira si stava spezzando il cuore; mentre lui la trattava uno schifo e la offendeva, ogni interesse per la sua dignità andava a farsi benedire, l’unica cosa che la terrorizzava, adesso, era di perderlo. – Ma mi fai pena. Non voglio infierire su di te… voglio darti un’ultima chance per farmi da scendiletto, per servirmi devotamente come una schiava di merda… Però, da uomo normale, adesso, non da Padrone, intendo, ti voglio chiedere solo una cosa: chi cazzo sono queste persone per te, Elvira? Cosa fanno per te? Ti rendi conto che sono “il nulla”? Ti rendi conto che sei una vecchia sola, di cui nessuno se ne fotte? Si ricordano di te solo se possono sparlare… e anche tua figlia!
Vive la sua vita da un’altra parte, si fa tutti i cazzi suoi, però parte in quarta, se qualcosa cambia, nella vita inutile di sua madre. La madre non ha diritto di cambiare, e no! Non ha diritto di godere o di scopare… come si permette? La madre è un… un oggetto, una comodità… quando serve si usa; quando non serve: via, torna nel ripostiglio, e senza fiatare. Che diritto ha di vivere una vita sua, se solo sogna di uscire dagli schemi?
Lei ascoltava senza in silezio, sapeva che quel che stava dicendo non era del tutto vero ma conosceva pure la solitudine amara delle sue giornate; una serie di grigie fotocopie, senza emozioni. Da quando era morto il suo… Ok, sì: suo marito. Sì, si erano voluti bene… ma, anche prima, con lui, quali sensazioni aveva mai vissuto, negli ultimi anni di matrimonio? Zero, ecco la vera risposta: abitudini, sequenze, anniversari. E gli anni passavano; e la sua strada portava in una sola direzione: la morte, che, alla sua età, sembrava sempre più vicina.
– Ti rendi conto di cosa stai perdendo, signora Elvira? E adesso puoi sparire, te lo concedo. – Stava dicendo l’altro. – Se fai così, non mi diverti… non mi servi. Ecco perchè ti restituisco la libertà… torna pure alla tua “felice” routine, Elvira. Peccato, perchè mi… – No, ti prego, ti prego, non lasciarmi…- La sua voce era partita da sola, comandata dal desiderio e non dalla testa, ma la “testa” non la fermò!
– Faccio tutto quello che mi chiedi… ti prego, sono una sciocca; voglio essere solamente tua. La tua schiava… una cosa, nelle tue mani, ma non lasciarmi, ti prego.

 

– Elvira, a me piacciono le persone serie… questi tira e molla mi annoiano… – Fabio la stava letteralmente friggendo. Alla fine accettò di riprenderla come schiava al suo servizio incondizionato, ma prima Elvira dovette pregarlo e promettere, mille volte, assoluta fedeltà.
– Ok, adesso ho voglia di punirti… vengo da te tra due ore. L’hai mai preso nel culo? – Chiese, saltando di palo in frasca. Elvira sobbalzò per la richiesta così volgare e repentina. – Spero di no, vorrei sfondarti io… stasera.
– No, Padrone, tranne qualche insignificante tentativo, non l’ho mai preso nel culo. – Disse Elvira, sperando di farlo felice ma non riconoscendosi in quel modo di parlare, sordido e libidinoso.

– Ah… Ahi… – strillò la vecchia signora, sentendosi lacerare dietro, come fosse stata colpita da un bisturi e scalciò, mentre scattava in avanti, per sfuggire a quel dolore, improvviso e inaspettato.
Non aveva creduto di poter soffrire in quel modo sino all’istante immediatamente precedente; nel profondo del cuore, anche a causa del rapporto nuovo e arrapante che la teneva legata e prona, al suo padrone Fabio, si aspettava un po’ di male, ma non quello che aveva subito un istante prima.
Lui, incurante della sofferenza, non le permise di sottrarsi a quel primo attacco, la inseguì letteralmente, per sprofondarle nuovamente dietro. Era molto eccitato e il suo pene era grosso e distruttivo. Intanto, continuava a sussurrare:
– Zitta, zitta. Prendi, prendi… – Un attimo dopo scivolò fuori di lei, rapido così com’era penetrato.
– Mi sono sporcato. – Esclamò, si alzò e si allontanò, scomparendo nel bagno.
Elvira ringraziò il celo, pur ricoprendosi di rossore. Aveva fatto di tutto per evitare quella eventualità, ma Fabio forse l’aveva colta troppo di sorpresa, oppure era sceso troppo in fondo… “si era sporcato”, aveva detto, è questo la riempì di vergogna.
Fabio era arrivato da poco; non aveva voluto niente tranne un goccio di liquore, poi, in salotto, lui stesso aveva approntato la scena del crimine. Nessun amore, senza sentimenti: eppure Elvira aveva goduto, era venuta, quasi di nascosto, in pochi minuti.
Le aveva fatto sistemare una coperta doppia, per terra (segno che la voleva prendere là), aveva posizionato una piccola videocamera, affinché riprendesse tutta la scena e aveva ordinato alla vecchia di spogliarsi completamente nuda. Tutte le luci del salotto accese; a Elvira fu ordinato di farsi vedere (e registrare) completamente esposta, al centro della sala: in piedi, prima davanti e poi dietro; poi in pose sciatte, in cui lei stessa, aprendosi con le dita, doveva ostentare la figa spalancata, e persino l’ano.
La vergogna e la soggezione le provocavano enorme imbarazzo, dentro di sé aveva voglia di gridare e di opporsi, ma la paura e il desiderio, che aveva di quel giovane, trasformavano le sue ostilità in risolini imbarazzati e fuori luogo, che la facevano apparire come una mentecatta, specialmente adesso, che era bianca, diafana e nuda. Costretta a esibirsi come una diva del porno, lei, una vecchia donna ossuta, fisicamente (e per fortuna) passabile. Quasi giocando, aveva chiesto e ottenuto di indossare una mascherina di stoffa, la teneva in camera da letto: una di quelle che servono per non essere disturbati dalla luce. La indossò senza troppa convinzione: chi la conosceva avrebbe identificato immediatamente sia lei, che la camera dove si sarebbe svolto l’atto sessuale; in più, a causa della “cecità” che si era imposta, si muoveva in maniera impacciata e Fabio doveva condurla per mano, come una scema, nei vari punti in cui desiderava filmarla. L’inutile maschera venne buttata via già dai preliminari.
Il ragazzo la volle in ginocchio, poi controllò l’inquadratura, poi tornò da lei e se lo fece prendere in bocca, per indurirlo. Elvira, dopo il primo smarrimento, volle godersi quella pompa, la desiderava molto. Dopotutto obbediva a tutti i capricci di Fabio, ma ciò che lei desiderava era solo di farsi qualche sana e piacevole scopata, oltre che godere dell’appagamento del suo inatteso partner.
Appena il pene fu in tiro, gonfio come un palloncino, ma duro, Fabio la mise a quattro zampe e l’assalì, lubrificando l’ano, sputandoci, direttamente sopra, un poco di saliva. Elvira era praticamente vergine, dietro, e i tessuti erano poco elastici e per nulla lubrificati. L’uomo aveva fatto tutto troppo in fretta; lo sfintere aveva opposto resistenza, da qui la sensazione di essere spaccata in due da un piolo.

Distesa sulla schiena aspettava il suo destino; trovò il coraggio di sfiorarsi con un tovagliolino, lo osservò, era lievemente ambrato, purtroppo, ma c’era anche un sottilissimo segno, del colore del sangue vivo. Una lacrima le scese lungo il viso; trovò la forza di alzarsi e di correre a pulirsi nell’altro bagno, sciacquando a lungo con l’acqua fredda.
Fabio, adesso, l’avrebbe lasciata in pace o avrebbe ricominciato a romperla?
Tornò nel vasto salotto, anche il suo uomo aveva terminato di lavarsi. Elvira fu rimessa in ginocchio, al centro della scena; lui avvicinò una sedia e sedette, indirizzando la testa dell’amante in posizione, affinché riprendesse a fare il pompino. Stavolta Elvira ci mise dentro tutto il cuore e se lo godette; Fabio non aveva fretta, né sembrava avesse voglia di assalirla come prima. Per molti minuti la vecchia si potè sbizzarrire, sul pene, sul glande e sul grosso scroto scuro.
Leccava, Elvira, oltre a succhiare, e leccava, godendone con tutta l’anima. Quando l’uomo alzò le gambe verso l’alto, la donna non lo capì, ma lui le spinse leggermente la testa più in basso. Elvirà comprese il suo dovere ma ne fu veramente sconvolta.
Doveva baciargli l’ano? E come si procedeva? Doveva leccare… e la lingua? Avrebbe dovuto leccare di fuori oppure entrare nel buchetto? La poverina non l’aveva mai fatto a suo marito e, quel che è peggio, nemmeno il suo uomo a lei. Decise di lasciarsi trasportare dall’istinto, per capire cosa piaceva al suo aguzzìno, quella sera!
Dovette comportarsi bene, probabilmente, perchè Fabio, dopo un poco, cambiò posizione; si voltò, abbandonandosi con le braccia e la testa sulla sedia, mentre le chiappe si spalancavano, mostrando un fiore, scuro e sanguigno, alla schiava. Elvira si liberò la bocca da un pelo maschile, poi affondò la faccia in quell’afrore umido e succulento, era una cosa bellissima, eccitante.
La donna iniziò a bagnarsi di brutto; si portò le dita in figa, spontaneamente, e appena si rese conto che Fabio tollerava questo suo desiderio, cominciò a masturbarsi, per poi darsi all’orgasmo poco dopo, mentre con la lingua, violentava letteralmente il suo padrone.

Elvira stette bene, veramente bene, quella sera.
Dopo oltre venti minuti di “lavorio”, cambiarono di posizione. La signora venne rimessa sotto (lo aveva immaginato), stavolta, anche per l’eccitazione, era più preparata, quasi bramosa, e lo prese nel culo senza soffrire. Certo sentiva ancora la pesante pressione del glande gonfio, ma era un fastidio sopportabile. Il piacere, poco a poco, fece sparire anche quello. Lo prese dietro tante volte, scivolava che era una meraviglia e lei, adesso, mugolava di piacere.
Fabio pure godeva molto di lei e del suo corpo, chissà perchè la vecchia lo attizzava più di una coetanea. Un mix di emozioni complicate lo attanagliava, facendo diventare più crudo e coinvolgente il piacere, e poi c’era quel senso infinito di appartenenza: la vecchia donna, poco propensa e quasi ingenua, era tutta sua; una cosa sua, una proprietà di cui poteva disporre a piacimento… fantasie sempre più estreme e più orribili, gli frullavano nella testa, mentre ficcava in quel culo bianco e delicato, come un maglio che si abbatte sulla vittima.
Con uno sguardo controllò che la loro posizione fosse a favore di una buona inquadratura… che bello guardare quella scena; era oltre mezz’ora che si scopava la vecchia. Voleva venire… si attardava solo perchè conosceva i suoi limiti; dopo la prima eiaculazione tutto sarebbe finito, non riusciva mai a farne due. Ma la sua mente subdola gli suggerì un ultimo affronto, per tenere sotto i piedi la sua vecchia serva del piacere.
Elvira, dal ritmo e dalle spinte, comprese che Fabio stava per arrivare. Poco più in là, il telefono iniziò a vibrare. Maledizione!
– Guarda chi è. – Disse Fabio senza smettere di scopare.
– È… È mia figlia, mi spiace.
– No, no, va bene, lascia suonare. – Fabio era sempre più arrapato, si capiva dalla voce incerta. – Tua figlia deve sospettarlo che sei la mia vecchia troia. La mia puttana… che lo prende… dai, dai, prendilo!
La donna perse ogni eccitazione, temendo che Fabio tentasse di coinvolgere la sua ragazza, in qualche modo. Era solo una donna debole, adesso, usata nel suo salotto da un giovane porco, che l’aveva inculata fino a farla sanguinare… poco lontano, il telefono continuava a vibrare, mostrando il nome di Claudia: sembrava un dito accusatore puntato verso i suoi recenti peccati di libidine. Di fronte al suo sguardo, solo adesso li notava e dava ad essi il giusto peso, i giocattoli innocenti di suo nipote.
Un pupazzo sembrava fissarla, e le diede i brividi, come se il balocco avesse il potere di registrare la sua immagine… come ci fosse suo nipote a guardare la nonna, mentre godeva e fotteva come una liceale. Che vergogna provava.
Fabio venne nel sedere, prendendola di sorpresa e, come gli capitava quando era assai eccitato, la riempì di sperma. Ma non fu contento nemmeno allora; aveva escogitato qualcosa, per dare sfogo al suo desiderio di possesso.
– Resta immobile! – Ordinò a voce alta, quando fu ben certo di essersi del tutto svuotato. – Non la fare uscire…
Sgusciò dall’ano e si diresse, rapidamente, verso il tavolo; là c’era il bicchiere vuoto del liquore, lo prese e lo posizionò dietro di Elvira. Ancora una volta la vecchia si sorprese di quelle piccole ma incredibili trasgressioni… non vi era abituata.
Fabio la gestì per oltre dieci minuti, mentre lei obbediva piena di vergogna; assumendo varie posizioni, e lasciandosi manipolare o, addirittura, spingendo lei stessa, dovette emettere dal buco tutto il succo maschile, deposto dal ragazzo.
In certi casi lo sperma scivolava via a goccioloni, senza alcuna forzatura, in altri veniva espulso con piccoli rumori indecenti, che, alla povera signora, sembravano riecheggiare per tutto il salotto.

 

Mezz’ora dopo tutto era tornato tranquillo, nella grande casa di Elvira. Si erano rivestiti e, come quando si erano conosciuti, sembravano solo buoni amici. Fabio non volle cenare ma accettò degli snack accompagnandoli con una birra di qualità, che la sua ospite aveva comperato apposta per lui.
– Chiamala, tua figlia. – Disse Fabio, gentilmente. – Magari si preoccupa inutilmente…
Elvira avrebbe voluto che lui e la sua famiglia non venissero mai a contatto ma non volle rifiutare, non si capiva se le aveva impartito un ordine o un semplice consiglio, così prese il cellulare e richiamò.
Parlava in modo affettato, cercando di essere sbrigativa, ma otteneva l’effetto opposto: Claudia era apprensiva e diventava sospettosa, dopotutto conosceva bene la sua mamma. Elvira preferì condurre in maniera familiare la chiamata, senza far caso al giovane che sembrava del tutto assorto nei suoi pensieri. Invece Fabio si alzò, andò in salotto e poi tornò. Teneva tra le dita il bicchiere sporco… sul fondo qualche millimetro di liquido ialino, dal caratteristico odore. Con un sorrisetto eccitato e ironico, iniziò a passarle il bicchiere sotto il naso, così da farle girare la testa per l’emozione, mentre cercava di mantenere un dialogo coerente con Claudia.
Ma Fabio non la smetteva…
Così mentre s’informava sui progressi del nipotino e sulle sorprendenti qualità dell’ultimo detersivo, Elvira venne costretta a sorseggiare quel liquido osceno, che la disgustava e la emozionava contemporaneamente.
Contrariamente alle sue abitudini, Fabio si trattenne ancora a casa della vecchia, infatti pochi minuti dopo, quasi come marito e moglie, la portò in camera da letto e, nella penombra, la prese con tanta dolcezza che Elvira si sciolse in lacrime, tenendosi stretta, abbarbicata al suo corpo, anche dopo il piacere.

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