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Trasloco di ferragosto

By 5 Novembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando era arrivata a casa, aveva notato sia il camion con la scritta ‘Baldovinetti traslochi’, di lato al portone, sia, più lontano, la piattaforma poggiata alla parete del palazzo, e si era chiesta chi stesse mai traslocando alla vigilia di ferragosto.
Ci aveva pensato solo un attimo, un po’ distrattamente, poi aveva pagato il taxi ed era entrata nel portone.
Ginevra era stanchissima ed aveva caldo. Dopo un viaggio lungo e faticoso, non vedeva l’ora di spogliarsi e farsi una bella doccia appena tiepida.
Caldo? Certo faceva parecchio caldo, e chiunque, vedendola vestita così, maglione e gonna di lana, oltre ad un paio di calze pesanti, l’avrebbe presa per matta.
Aveva potuto togliersi soltanto il pesante giaccone imbottito, che aveva incastrato nel manico del trolley rosso ed ora cercava di trascinare a fatica i bagagli lungo la rampa di scale che portava al portone.
No, Ginevra non era matta, stava semplicemente tornando da un viaggio in Sud America, e lì, ad agosto, è inverno pieno.
Erano state due settimane faticose ma emozionanti, trascorse ballando il tango con i migliori maestri argentini. Uno stage organizzato dalla scuola di tango che lei frequentava da anni, per il quale erano stati selezionati i migliori allievi, e lei era la migliore.
Aveva iniziato tardi, dopo la quarantina, a praticare il tango, ma si era subito appassionata a questo ballo strano, difficile e sensuale.
Ginevra posò i bagagli sul pianerottolo, davanti alla porta di casa, e cominciò a frugare nella borsetta, alla ricerca delle chiavi.
Quando finalmente riuscì ad estrarre il portachiavi in mezzo al groviglio di oggetti alla rinfusa ed avvicinò la chiave al buco della serratura, accadde un fatto imprevisto.
La porta, come per magia, si aprì quando la chiave stava per entrare nella toppa.
Prima che lei riuscisse a capacitarsi di quello che stava accadendo, una mano grossa e pelosa l’afferrò per entrambi i polsi e la trascinò dentro.
Qualcuno la prese da dietro, sollevandola, mentre l’uomo che l’aveva trascinata in casa la prendeva per le caviglie.
Le fecero attraversare rapidamente il corridoio, tenendola sospesa, in orizzontale, la portarono nella sua camera, lasciandola infine cadere di schianto sul letto, a pancia in giù.
Ginevra si ritrovò sdraiata, con i piedi sul cuscino e la testa affondata nel materasso morbido, con i lunghi capelli neri scomposti e davanti agli occhi.
Impiegarono solo pochi secondi a legarle le braccia dietro la schiena e le caviglie strettamente tra di loro, con un sottile spago.
Era prigioniera, prigioniera in casa sua, in balia di un gruppo di uomini che stavano facendo il trasloco di tutte le sue cose.
Quegli uomini vestiti di blu, con la scritta sulla maglietta identica a quella della fiancata del camion, stavano svaligiando il suo appartamento.
Si aggiravano veloci e sicuri dei loro movimenti, smontando mobili, inscatolando oggetti, con rapidità e professionalità.
Ginevra sentiva le loro voci, li vedeva passare rapidamente attraverso il corridoio e non poteva far nulla.
Se fosse tornata un giorno più tardi avrebbe semplicemente trovato il suo appartamento vuoto, ora invece ‘
Cosa sarebbe successo?
Quegli uomini continuavano a lavorare alacremente, comportandosi come se lei non ci fosse.
Alla fine le successe una cosa curiosa: si addormentò.
Tante volte a Ginevra, quando era bambina, era capitato, in un momento di paura, di chiudere gli occhi, estraniandosi completamente. Ora, complici forse la stanchezza e la differenza di fuso orario, era riuscita ad addormentarsi, nonostante la situazione difficile e pericolosa.
‘Cos’è questo, bella signora?’
Le parole pronunciate ad alta voce ed una sensazione di dolore alla nuca, la fecero ridestare di colpo.
L’uomo che prima le aveva aperto la porta era di fronte a lei. Era alto, grosso e grasso, e troneggiava in mezzo alla stanza, con i pantaloni di tela blu e la maglietta dello stesso colore.
Puzzava forte di sudore, come può puzzare un facchino che sta trasportando, da diverse ore, mobili e scatoloni.
L’aveva presa con forza, dietro la nuca, afferrandola per i capelli lunghi e scuri, costringendola a sollevare il viso dal materasso per poterlo guardare.
‘Cos’è questo?’
Ripeté la domanda con tono spazientito e Ginevra riuscì a mettere meglio a fuoco.
Aveva i pantaloni aperti e calati e non poteva esserci alcun dubbio su cosa intendesse con quella domanda.
Le tirò ancora più forte verso l’alto i capelli e Ginevra emise un grido di dolore.
‘Allora? Hai perso la parola? Cos’è?’
‘Pe…ne…’
Era riuscita solo a bisbigliare quelle due sillabe.
La risposta fu una risata potente e sgangherata.
‘Cazzo!’
Le era sembrata quasi un’esplosione, per quanto l’uomo aveva gridato forte.
‘Si chiama cazzo, bella signora. è il cazzo che stai per succhiare.’
E per rendere meglio l’idea, sempre tenendola ferma, spingendo in avanti il bacino, lo avvicinò alle sue labbra.
L’odore acre e fastidioso, sommatosi a quello del suo sudore, diede come una scossa a Ginevra, che cominciò a gridare e a dimenarsi.
‘Ti farò cambiare idea.’
Solo queste parole, dette con tono fermo e tranquillo, che però, proprio per quell’aria di normalità, le apparirono ancora più minacciose.
Le aveva lasciato i capelli, facendola ricadere sul letto, e attraverso il filtro della lunga capigliatura spettinata, che in parte le copriva gli occhi, lo vide riabbottonarsi i pantaloni e, subito dopo, togliersi la cintura.
Le sfilò le scarpe e poi le spostò i piedi, facendo poggiare bene il dorso e le dita sul cuscino.
Ginevra capì subito come le avrebbe fatto cambiare idea, quando sentì la cintura di cuoio abbattersi con forza sulle piante dei piedi.
Arrivò un secondo colpo e lei gridò, ma l’uomo non sembrò minimamente impressionato e continuò a colpire metodicamente.
I colpi si susseguivano ai colpi, accompagnati dal rumore sordo della cintura che sbatteva sul cuscino e dalle grida di Ginevra.
Il dolore era forte ed aumentava con il passare del tempo, perché le nuove cinghiate la colpivano dove erano arrivati i colpi precedenti. .
L’uomo si fermò e lo sentì toccarle i piedi. Le calze sotto l’effetto della cinghia, si erano strappate ed i brandelli del tessuto erano penetrati dolorosamente nelle ferite. Lui ora stava tirando via i pezzettini di stoffa dalla sua carne martoriata.
Ginevra si chiese se lo faceva per evitare che i tagli si infettassero o perché si divertiva a vederla soffrire.
Pensò che forse, se si fosse aperto di nuovo i pantaloni, ora avrebbe accettato di prendere in bocca il suo ‘ sì, il suo cazzo.
L’uomo invece riprese a colpirla, questa volta sulle gambe.
La cintura si abbatteva sulle sue caviglie sottili, sui suoi polpacci snelli ed appena muscolosi, che solo ventiquattro ore prima era stati impegnati in difficili passi di tango.
Il dolore aumentava di intensità e si estendeva, mentre Ginevra singhiozzava disperatamente.
Era risalito fino al retro delle ginocchia, per poi proseguire con le cosce lunghe e magre, che tutti, nei giorni precedenti, avevano ammirato durante le serate di ballo.
Si fermò nuovamente per dedicarsi alla ripulitura dei brandelli delle calze.
Ginevra era annebbiata dal dolore, che si faceva sempre più acuto, ma riuscì a trovare la forza per parlare.
‘… per favore, basta così ‘ va bene …’
Ma l’uomo non si degnò di rispondere. Non sembrava avere alcuna fretta e, sicuramente, aveva in testa un disegno ben preciso.
Intanto i suoi colleghi, tutti vestiti alla stessa identica maniera, con pantaloni e maglietta blu, continuavano a lavorare.
Nella stanza da letto erano spariti tutti i mobili, con esclusione del letto su cui giaceva Ginevra e del lampadario che uno di loro stava smontando.
Le arrotolò la pesante gonna di lana fino alla vita, poi cominciò a colpirla sul sedere, sempre con la cintura.
Le mutandine ed il collant pesante che lei aveva indossato, riparavano, almeno in parte, la sua carne morbida e delicata dai colpi che l’uomo le assestava.
Ad un certo punto lui si dovette rendere conto che la punizione non era abbastanza efficace ed impugnò la cintura per l’altra estremità, facendo in modo di colpire Ginevra con la pesante fibbia di metallo.
Lei si mise subito a gridare.
Lo supplicò di smettere, promettendo che avrebbe fatto tutto quello che voleva, ma lui continuò imperterrito, per diversi minuti, dopo aver strappato via con le mani, i pochi brandelli di stoffa che ancora la ricoprivano.
Ginevra non poteva vedere il risultato di questo duro trattamento: il suo bel culetto, rotondo e carnoso, adesso era gonfio e pieno di segni violacei, e, nei punti dove la cintura aveva colpito più volte, la pelle si era spaccata.
Quando finalmente posò la cintura sul letto, a fianco del corpo sofferente e tremante della donna, Ginevra era completamente sottomessa e rassegnata, consapevole che avrebbe fatto qualsiasi cosa le fosse stata ordinata, senza alcun ripensamento.
La tirò in avanti in modo che la testa finisse fuori del letto.
Lei aprì gli occhi e si accorse che l’uomo si era seduto su una sedia, proprio ai piedi del letto.
Si era aperto di nuovo i pantaloni ed il suo ‘ sì, il suo cazzo era pronto, a pochi centimetri dalle sue labbra.
Il viso di Ginevra, infatti, era proprio in mezzo alle gambe dell’uomo. Facendo forza sui muscoli del collo poteva stargli lontana qualche centimetro, ma sarebbe bastato rilassarsi un attimo e le sarebbe penetrato direttamente in bocca.
Avrebbe dovuto farlo. Perché non avrebbe potuto resistere all’infinito sollevata e soprattutto perché, se lui si fosse irritato, avrebbe ripreso a frustarla con la cinta dei pantaloni e lei non avrebbe potuto sopportare di nuovo quel dolore.
Era una cosa schifosa, non l’aveva mai fatto e non voleva farlo.
Sì, era arrivata a quarantacinque anni senza mai fare un ‘ pompino, si diceva così.
Delle volte le era venuto il desiderio, per soddisfare qualche uomo che aveva amato, o semplicemente per il quale aveva provato un’attrazione così forte da pensare di lasciarsi andare completamente, invece, ironia della sorte, avrebbe dovuto farlo con uno sconosciuto, brutto, grasso e puzzolente.
Già, la puzza.
Ora che gli stava quasi completamente addosso, l’odore che proveniva dalla sua maglietta, piena di macchie di sudore, le sembrava veramente insopportabile.
Ma era nulla a confronto con la puzza che emanava quel coso di carne, tozzo e duro, che si protendeva verso la sua bocca.
L’uomo le poggiò le mani sulle guance e le fece aprire la bocca, poi le abbassò lentamente la testa.
Ginevra ebbe un conato di vomito quando le sue labbra sfiorarono il pene dell’uomo (no, cazzo, era un cazzo, glie lo aveva gridato in faccia, poco tempo prima), ma si trattenne, pensando alla cinghia che avrebbe ripreso a colpirla.
Era entrato. Tutto, fino in fondo, perché non era molto lungo.
In compenso era bello largo e lei si sentiva la bocca piena.
Aveva la bocca piena di ‘ cazzo.
Ecco, doveva abituarsi. Già le sembrava di sentire meno la puzza che emanava.
Sempre tenendole le mani sulle guance, lui cominciò a farle muovere la testa in su ed in giù.
Quell’intruso, penetrato nella sua bocca, era vivo: lo sentiva pulsare e stava crescendo di dimensioni.
Lo toccò con la lingua, verso la sommità, dove si ingrossava, e lo sentì sussultare.
Stava provando un’emozione nuova, una sensazione strana, che si sovrapponeva al dolore sordo delle cinghiate, che percorreva tutta la parte inferiore del suo corpo, dal sedere alle piante dei piedi.
Senza rendersene conto, lo toccò di nuovo con la lingua, a questo punto lui lo tirò fuori e lei cominciò a leccarlo. Passava la lingua intorno al glande gonfio ed arrossato, poi lo leccava fino alla base, infine giocava con i suoi testicoli pelosi, per poi tornare su, a stuzzicarlo in punta.
Si stava eccitando, era lei che ora comandava il gioco, non si sarebbe mai creduta capace di una cosa simile. Cominciava a sentirsi bagnata in mezzo alle gambe, ed il dolore delle cinghiate era sparito.
Dopo un’ultima leccata, evidentemente più efficace delle altre, l’uomo le aprì la bocca e glie lo infilò dentro di nuovo.
Era cresciuto ancora e lo sentiva duro e teso, come se dovesse scoppiare da un momento all’altro, mentre lui ansimava sempre più forte.
Il primo zampillo di sperma la colse di sorpresa. Certo sapeva benissimo quello che sarebbe successo, ma era così presa nello stuzzicare il pene di quell’uomo che non aveva preso in considerazione questo evento.
Istintivamente cercò di allontanarsi, ma l’uomo le bloccò la testa, e le sparò dritto in gola un secondo schizzo, forte e denso, poi un terzo, poi un altro ancora.
Ginevra, mezza soffocata, cercava di respirare con il naso, mentre inghiottiva una parte di quella roba calda.
Si stava abituando, prima aveva accettato di succhiare il cazzo ad un uomo ed ora stava addirittura ingoiandone lo sperma.
L’uomo aspettò pazientemente che lei, con la lingua, lo ripulisse per bene, si alzò dalla sedia e si richiuse i pantaloni, visibilmente soddisfatto, poi prese Ginevra tra le braccia e la posò in terra, sul parquet lucido.
Ora le stava arrivando addosso tutta la stanchezza, dovuta al lungo viaggio ed alle ore trascorse legata e sdraiata sul letto.
Era stanca, voleva dormire. Sicuramente si sarebbe risvegliata dopo molte ore, nella sua casa, piccola ed accogliente. accorgendosi di aver fatto solo un brutto sogno.
L’uomo le liberò le caviglie dallo spago e poi le strappò di dosso quello che restava del collant e delle mutandine.
La pesante gonna di lana che lui, prima, le aveva arrotolato intorno alla vita, ridiscese lungo il sedere e le gambe nude, sfregando dolorosamente sulla pelle irritata e ferita.
Entrarono degli uomini, uno arrotolò il materasso e lo portò via, mentre gli altri cominciarono a smontare il letto.
Avevano ripreso il loro lavoro, come all’inizio, senza minimamente occuparsi di lei.
Ginevra era rimasta immobile, accucciata in terra, con i capelli che le ricoprivano il viso.
Si sentì chiamare. Era una voce diversa.
Alzò il viso e vide in mezzo alla stanza, seduto sulla sedia, un altro di quegli uomini vestiti di blu.
Era alto e magro ed il suo cazzo, lungo e completamente eretto, spuntava fuori dai pantaloni calati.
Le faceva cenno di avvicinarsi e sorrideva.
Si rese conto che non sarebbe stata in grado di camminare, perché le cinghiate inferte sotto le piante non le permettevano di poggiare i piedi in terra e così percorse carponi lo spazio che la separava dall’uomo, camminando sulle mani e sulle ginocchia.
Prima era stata costretta, era completamente legata e posizionata esattamente sopra il cazzo di quell’uomo che l’aveva a lungo frustata, così aveva soltanto dovuto aprire la bocca.
Ora era diverso: lei si stava dirigendo, di sua spontanea volontà, verso uno sconosciuto, muovendosi carponi sul pavimento, con le braccia legate dietro la schiena.
Lo faceva per paura di una nuova e più crudele punizione? O semplicemente perché le era piaciuto ed aveva voglia di rifarlo?
Aveva scoperto, a quarantacinque anni suonati che le piaceva fare pompini?
Pensò per un attimo a quegli uomini vestiti di blu. Quanti erano? Cinque, dieci?
Avrebbe succhiato il cazzo ad ognuno di loro?
Possibile che all’improvviso avesse scoperto dentro di sé una Ginevra completamente diversa, desiderosa di rimettersi in pari, dominata da una voglia irresistibile di ‘ cazzo.
Questa parola volgare, estranea alla sua cultura ed alla sua educazione, continuava a risuonarle nella testa, come un’ossessione, mentre, a piccoli passi, avanzava sul parquet lucido.
Non c’era più tempo, il suo breve tragitto era terminato ed il suo viso era arrivato davanti alla sedia, dove quell’uomo, semi svestito e con le gambe divaricate, aspettava.
Le sembrò naturale aprire la bocca, stringerlo leggermente tra le labbra, mentre lui le piazzava una mano dietro la nuca, per evitare che potesse ritrarsi.
E perché mai avrebbe dovuto ritrarsi?
Si stava eccitando e sentiva quel cazzo vibrare dentro la sua bocca, mentre lui, dopo averle infilato una mano sotto la gonna, aveva iniziato a carezzarle il sedere.
Ginevra ebbe un sussulto doloroso quando la mano toccò le ferite delle cinghiate.
‘Hai un gran bel culo. Lo sai vero?
Magari un’altra volta ripassiamo da te e ci facciamo un bel giretto in mezzo alle tue chiappe.’
Poi le dita scivolarono in mezzo alla gambe, affondando tra i peli del pube, alla ricerca del suo sesso.
‘Cosa troverò in mezzo a questa pelliccetta morbida? Uno spacco grande e un po’ slabbrato oppure ‘
‘ una bella fichetta piccola e stretta?’
Le sue dita stavano carezzando dolcemente da fuori il sesso di Ginevra che si apriva sempre di più.
‘Vedo che te la sei tenuta da conto. Fino ad ora l’hai data a pochi, vero?’
Lei aumentò il ritmo mentre l’uomo, che le aveva infilato due dita nella vagina, prese a stuzzicarle il clitoride.
Le venne in bocca, inondandola di sperma e quando infine rialzò la testa, Ginevra sentì quel liquido denso, che non era riuscita ad inghiottire completamente, scivolarle sul mento, proseguendo sul collo, per poi fermarsi sul maglione di lana.
Poi arrivarono tutti gli altri. Uno dopo l’altro si sedettero su quella sedia e lei, paziente e servizievole, soddisfò le loro voglie.
Succhiò i loro cazzi, grandi e piccoli, dritti e storti, alcuni durissimi, altri un po’ mosci, ed ognuno di loro scaricò lo sperma nella sua bocca o sul suo viso.
Quando alla fine si chiusero la porta alle loro spalle, dopo averle liberato le braccia, Ginevra poté finalmente riposarsi.
Se qualcuno, primo di quel giorno, le avesse detto che lei, una tranquilla quarantacinquenne, un po’ pudica e riservata, avrebbe passato ore a fare pompini ad un gruppo di sconosciuti, lo avrebbe preso per pazzo.
Invece aveva ancora in bocca il sapore del loro sperma.
Ne sentiva l’odore acre, avvertiva la pelle del viso tirare per tutta quella roba ormai essiccata, che le era rimasta appiccicata.
Era dappertutto, incrostava ed incollava i suoi lunghi capelli ed aveva riempito di macchie biancastre il suo delizioso maglioncino di lana.
Pensò che era venuto finalmente il momento di fare la doccia, quella doccia che era il suo primo pensiero, quando si era avvicinata alla porta di casa con la chiave in mano.
Rimase a lungo, accucciata nella cabina e, istintivamente, la mano le finì in mezzo alle cosce.
Il suo sesso, caldo e bagnato, stava aspettando.
Aveva appena fatto godere degli uomini sconosciuti, ora toccava a lei.
La mano cominciò, a muoversi, dapprima con cautela, poi sempre più velocemente.
Era l’unica cosa che le importava.
Il giorno dopo, con calma, avrebbe fatto la denuncia del furto.
Era passato diverso tempo dal giorno del trasloco.
Ginevra aveva denunciato il furto con rapina, ma aveva omesso di parlare delle cinghiate e di quello che era stata costretta a fare con gli uomini vestiti di blu.
Era stata anche poco precisa nella descrizione dei banditi ed aveva dichiarato di essere stata tenuta bendata per quasi tutto il tempo.
In questa maniera la polizia non avrebbe mai preso i colpevoli, che oltretutto erano dei professionisti, che avevano fatto molti colpi in giro, cambiando ogni volta città.
I segni sulle gambe e sul sedere erano scomparsi nel giro di un paio di settimane e lei aveva potuto riprendere ad indossare le minigonne che tanto le piacevano.
Era orgogliosa del suo corpo, le piaceva sentirsi addosso gli sguardi di ammirazione degli uomini, quando camminava per strada, ancheggiando leggermente.
Aveva sempre avuto un bel fisico, snello ma con le forme giuste al posto giusto, e così, anche ora, che aveva passato i quaranta, riusciva ad attirare l’attenzione di tutti.
Era sempre stato per lei un gioco innocente, che la riempiva di orgoglio ma poi finiva lì, perché il suo carattere timido e riservato, le impediva di esagerare.
Ora però la situazione era cambiata. La dura punizione riservata al suo corpo e quello che era seguito, avevano provocato nell’animo di Ginevra dei cambiamenti profondi e permanenti.
Così quando alla scuola di tango era arrivato un nuovo maestro, proveniente direttamente dall’Argentina, lei aveva messo da parte la sua abituale timidezza ed aveva provato, per la prima volta in vita sua, ad esagerare, mostrando in maniera palese tutto il suo interesse per il nuovo venuto.
L’effetto era stato immediato e dirompente ed il bello e tenebroso Manuel, nonostante avesse quindici anni buoni meno di Ginevra, si era letteralmente catapultato sulla sua matura allieva.
Naturalmente aveva messo in pratica la lezione orale del giorno del trasloco, suscitando l’entusiasmo del suo nuovo partner.
Insomma, si vedevano in media una volta a settimana, ballavano a lungo, prima vestiti, poi si cominciavano a spogliare ed il ballo, lentamente, si trasformava in un amplesso selvaggio.
Manuel la scopava con foga, diverse volte di seguito, e quando era completamente esausto, per chiudere in bellezza, Ginevra gli faceva un pompino clamoroso, da lasciarlo sul letto senza fiato.
L’estate era finita e l’autunno stava facendo posto all’inverno ma Ginevra, a volte, ripensava a quella giornata terribile, ma allo stesso tempo eccitante, trascorsa in balia degli uomini blu.
Anche quel pomeriggio, davanti alla porta del suo appartamento, pensò un attimo alla possibilità che la porta si aprisse prima che lei riuscisse ad infilare la chiave nella serratura.
Possibilità remota ed assurda, lo sapeva bene, però non poteva fare a meno, magari solo per un istante, di pensare ad una cosa del genere.
La chiave girò dolcemente nella serratura e sentì lo scatto dell’apertura.
E le mandate?
Era sicurissima di aver chiuso quando era uscita la mattina.
Maria. Maria aveva dimenticato di chiudere bene.
Maria era la sua domestica, veniva tre volte a settimana per pulire ed aveva le chiavi di casa.
A quest’ora, però, doveva essere andata via da un pezzo.
‘Maria? ‘ sei ancora in casa?’
Maria se ne stava in soggiorno seduta sul divano e Ginevra capì subito che c’era qualcosa di strano.
‘Tutto bene?’
Diversi dettagli indicavano che non andava affatto bene.
Si capiva dallo sguardo fisso e spaventato, dalla bocca semi aperta in una smorfia di dolore.
Si intuiva la situazione anormale osservando la posizione della donna, seduta immobile con le braccia dietro la schiena.
Poi vide con la coda dell’occhio quelle sagome blu che passavano rapidamente dietro di lei e capì.
In un attimo tutte le tessere del puzzle, prima ammucchiate disordinatamente, erano andate a posto e lei vedeva chiaramente la situazione.
Ogni elemento aveva una sua spiegazione: i capelli neri lisci di Maria, completamente scompigliati, le macchie biancastre che costellavano il suo viso ed il suo collo, il grembiule celeste strappato sul davanti al punto da mostrare completamente un seno, che penzolava oltre la stoffa lacerata.
Lo stesso grembiule, in basso, era aperto, con i bottoni strappati, in modo da mostrare le gambe corte e grassocce della donna. Le calze strappate in più punti, le mutandine calate fin sotto le ginocchia e lo spago che le serrava strettamente le caviglie, completavano il quadro della situazione.
Erano tornati!
‘Ciao bella signora, sei contenta che siamo venuti a trovarti?’
L’aveva riconosciuto subito dalla voce, era quello alto e magro, il secondo, in quella calda giornata di agosto, a ficcargli il suo cazzo in bocca.
‘Stai tranquilla, siamo venuti solo per te, senza il camion. Questa volta non ti faremo il trasloco.
Mentre ti aspettavamo, ci siamo un po’ intrattenuti con la tua filippina, ma purtroppo non ha il tuo temperamento. Diciamo che è molto più brava a stirare camicie piuttosto che a succhiare cazzi.
Maria, sempre seduta sul divano, la guardava con occhi disperati, ma Ginevra non era in grado di aiutare nessuno, in quel momento.
Si sentì prendere da dietro. L’uomo che aveva appena parlato le afferrò forte i seni, stringendoli nelle mani, mentre con il bacino si accostava al suo sedere.
‘Siamo tornati per il tuo bel culetto. Oggi te lo sfonderemo per bene.’
Ginevra fu percorsa da un brivido. Paura? Certamente, ma anche una strana e torbida eccitazione, per l’avvicinarsi di una nuova avventura in un mondo, fino ad ora, per lei quasi inesplorato .
E poi sapeva già che non sarebbe servito a nulla supplicare quegli uomini, perché le avrebbe fatto tutto ciò che volevano, incuranti di pianti e preghiere.
Entrò quello grosso, che l’altra volta l’aveva a lungo colpita con la cinghia dei pantaloni, trascinandosi dietro l’asse da stiro.
Era un vecchio asse, di legno pesante ed un po’ sgangherato, che Maria usava una volta a settimana per stirare i vestiti di Ginevra.
Dopo averlo piazzato al centro del soggiorno, ci poggiò saldamente le mani per evitare che si ribaltasse, mentre l’altro, dopo averla sollevata di peso, mise Ginevra a cavalcioni dell’altra estremità, proprio in pizzo..
Fu in quel momento che la donna si rese conto che quel giorno era vestita esattamente come l’altra volta: stesso maglione e stessa gonna di lana. Non le era più capitato di indossare contemporaneamente quei due capi ed ora, strano scherzo del destino, si sarebbe ripetuto tutto più o meno uguale, a distanza di mesi.
Quello magro le mise le mani sotto le cosce sollevandole le gambe, in modo che rimanessero in orizzontale, ai lati dell’asse da stiro, mentre l’altro, rapidamente, fece fare diversi giri ad un rotolo di nastro adesivo da imballo, facendolo passare intorno le cosce, subito dietro le ginocchia. Ora le sue gambe erano un tutt’uno con l’asse da stiro, con la parte superiore in orizzontale e quella inferiore in verticale, con i piedi, riparati dai morbidi stivali di pelle nera, che penzolavano ad un palmo da terra.
Quello magro la costrinse a piegarsi in avanti, finché il busto di Ginevra non fu orizzontale, quasi a contatto con il piano da stiro.
A questo punto l’altro, sempre con il nastro, legò insieme il polso sinistro con la caviglia sinistra, poi fece lo stesso dall’altra parte.
Ora Ginevra era in una posizione assurda ed innaturale, con il sedere proteso in aria pronta ‘
Sapeva benissimo a cosa doveva essere pronta.
Fu presa dal panico. L’altra volta, a parte il dolore delle cinghiate, non era stata un’esperienza spiacevole, ma ora aveva paura.
Paura di farsi male, paura di riportare conseguenze permanenti.
Era sempre stata restia a farsi penetrare di dietro, ricordava le confessioni di alcune sue amiche, che l’avevano finita di spaventare ed ora sarebbe stata costretta a farlo con una decina di uomini, per di più legata in una posizione scomodissima.
Le arrotolarono, come l’altra volta, la gonna fino all’altezza della vita. Sentiva le dita dell’uomo che stava dietro di lei, carezzarle le natiche attraverso la stoffa delle mutandine e del collant, mentre diceva frasi tipo: ‘non vedo l’ora di ficcarlo in mezzo a queste chiappette morbide. Te lo voglio spingere dentro fino a fartelo sanguinare. Quando avremo finito, avrai il culo così sfondato che nelle giornate di vento rischierai di prendere freddo …’
l’altro, quello grosso, si avvicinò tenendo in mano un paio di lunghe forbici.
Ginevra lo sentì incidere la stoffa proprio in mezzo alle natiche, poi lui infilò le mani nel punto in cui aveva tagliato e, dopo aver preso i lembi di tessuto tra le dita, tirò con forza verso l’esterno.
Lei sentì un rumore forte, di stoffa strappata e si ritrovò con il sedere completamente denudato.
Si accorse che l’uomo si stava togliendo la cinta dei pantaloni.
‘Sei sicuro che sia il caso?’ Disse quello magro.
‘Stai tranquillo, glie ne darò meno dell’altra volta, ma un po’ di cinghiate sul culetto le faranno bene, vedrai che dopo si farà sfondare senza fare troppe storie.’
Ginevra si accorse subito che in quella posizione, con le chiappe protese e la pelle bella tirata, la punizione sarebbe stata terribilmente efficace.
Gridò e pianse disperatamente, senza potersi minimamente muovere, mentre Maria, di fronte a lei, sempre seduta sul divano, continuava a guardarla terrorizzata.
Intanto quello magro si era abbassato i pantaloni e si stava accuratamente ungendo il suo arnese con un tubo pieno di una sostanza untuosa, forse vaselina.
Sembrava stessero seguendo un cerimoniale preciso e ben collaudato e lei poteva soltanto aspettare.
Ora si era piazzato dietro di lei e le stava carezzando la pelle irritata e ferita dalle cinghiate. Prese ad allargarle leggermente le natiche, poi le infilò un dito nell’orifizio.
Ginevra sussultò spaventata ma lui continuò tranquillo.
‘Culetto bello stretto a quanto pare. Direi vergine.
Ci vorrà parecchio lavoro, ma alla fine rimarrai soddisfatta.’
Intanto il dito era andato più in profondità.
Poi se ne era aggiunto un secondo e lei aveva gridato per il dolore, ma lui aveva continuato, cercando di allargare l’ano di Ginevra e allo stesso tempo di lubrificarlo con la crema che si era spalmato anche sulle mani.
Lei ora era senza fiato, con gli occhi pieni di lacrime. Si era aggiunto un terzo dito ed infine un quarto. Tutta la mano, a parte il pollice, era entrata profondamente nel culo di Ginevra, che ormai piangeva senza ritegno, muovendosi avanti ed indietro.
Il cambio avvenne in un attimo, cogliendola di sorpresa: l’uomo tolse le dita e, svelto, prima che l’orifizio si stringesse, le sostituì con il suo cazzo.
Ginevra gridò mentre l’uomo, allargandole le natiche con le mani, cercava di andare più in profondità.
Quando fu certo di essere entrato abbastanza, cominciò a muoversi ritmicamente.
Ginevra sentiva il suo cazzo, duro e ben lubrificato entrare ed uscire dentro di lei sempre più liberamente, segno che il suo ano stava iniziando a cedere.
Solo il dolore, un bruciore forte e sordo, restava sempre uguale.
Lo spinse ancora più dentro e lei cominciò a sentire un’eccitazione strana, come se da dietro, fosse riuscito in qualche maniera ad entrare nel suo sesso.
Stava avvicinandosi il momento dell’orgasmo, un orgasmo tutto di testa, causato solo dal pensiero che un uomo la stesse penetrando violentemente di dietro.
Così Ginevra fece una nuova scoperta: non solo le piaceva fare pompini, ma si eccitava terribilmente a prenderlo in culo.
Dapprima fu sorpresa da questi pensieri così volgari, ma dopo un po’ si lasciò andare completamente e cominciò ad emettere dei mugolii di gioia che mandarono letteralmente fuori giri l’uomo dietro di lei.
Cominciò a spingerlo in mezzo alle chiappe della donna con così tanta foga, che l’asse prese ad oscillare pericolosamente, finché con una spinta più forte delle altre, le venne dentro.
Ginevra era in preda a sensazioni contrastanti: il bruciore delle cinghiate sulla pelle nuda delle natiche disperatamente protese in aria, il dolore forte proveniente dal suo ano dilatato ed irritato, appena mitigato dalla sperma che ora defluiva lentamente dall’orifizio rimasto parzialmente allargato, il tutto bilanciato dal piacere dell’orgasmo appena raggiunto.
Fu poi la volta di quello grosso che prima volle darle un’altra razione di cinghiate, per ammorbidirla, disse lui.
Arrivò meno in profondità perché l’aveva più corto dell’altro, ma in compenso era molto più largo, e quando lo spinse dentro, di colpo, Ginevra sentì un dolore lancinante seguito dalla sensazione che qualcosa che si fosse strappato.
L’uomo sogghignava.
‘Bene così, ci siamo quasi. Ancora un piccolo sforzo ”
Si fermò un attimo e poi lo spinse ancora più dentro, allargandole a forza le chiappe e Ginevra sentì un altro strappo, più forte e più doloroso del primo, poi ebbe la sensazione che il cazzo dell’uomo, si muovesse molto più liberamente di prima.
Di nuovo lo sperma che invadeva il suo corpo, poi l’uomo si tolse e lei ebbe la spiacevole sensazione che, questa volta, il suo ano fosse rimasto completamente dilatato.
Filò tutto liscio con il resto della compagnia.
Gli uomini vestiti di blu, si alternarono ordinatamente, facendo commenti sul suo culo, bello, rotondo e finalmente sfondato come si doveva.
Uno dopo l’altro, le scaricarono dentro il loro sperma mentre Ginevra, che quasi non sentiva più il bruciore, passava da un orgasmo all’altro, gridando di gioia.
‘Ed ora un ultimo regalino. La ciliegina sulla torta.
Abbiamo tenuto in serbo, per il gran finale, una bella sorpresa.
Vieni George, ora tocca a te.’
Comparve un negro enorme, con il cranio completamente calvo.
Indossava soltanto una canottiera blu e, fra le gambe nude, lunghe e muscolose, aveva un arnese smisurato.
Lo teneva tra le mani e lo stava carezzando e toccando con l’evidente scopo farlo drizzare.
Ci mise soltanto pochi secondi a fargli raggiungere la completa erezione, che ne aumentò ulteriormente le dimensioni già spropositate.
Questa volta Ginevra ebbe realmente paura. Il piacere che aveva provato fino a quel momento scomparve di colpo, lasciandola sola con il dolore, che sembrava di colpo essersi fatto più forte, quasi insopportabile.
Quel negro enorme, l’avrebbe sventrata. Si immaginava rovinata per sempre, in un lago di sangue.
Non poteva permettere questo.
Gridò, poi cominciò a dimenarsi ed un paio di loro furono costretti a tenere fermo l’asse da stiro, per evitare che si ribaltasse.
George, il negro enorme, continuava a gingillarsi con quel mostruoso aggeggio tra le mani e rideva. Sembrava non avere nessuna fretta ed i suoi denti bianchi contrastavano fortemente con la pelle nerissima e lucida.
Poi non lo vide più. Doveva essere alle sue spalle, pronto ad infilare quella specie di palo in mezzo alle sue chiappe.
Sentiva le sue mani grandi e callose carezzarle il sedere nudo, mentre nella stanza si era fatto un silenzio irreale.
Tutti aspettavano.
Maria, sempre sdraiata sul divano aveva una sguardo più attento e gli uomini blu, disposti a semicerchio, dietro il divano, erano pronti ad assistere allo spettacolo.
Quando lo appoggiò e poi iniziò a spingere, Ginevra era talmente paralizzata dal terrore, che non riuscì neanche a gridare.
Era durissimo e l’uomo spingeva con forza, aiutandosi con i muscoli del bacino.
Lo sentì farsi strada facilmente, nei suoi tessuti stanchi ed allentati. Aveva la netta sensazione che la stesse letteralmente spaccando in due, e non poteva far nulla, doveva rimanere immobile, perché aveva paura che il minimo movimento avrebbe potuto aggravare la situazione.
Cominciò a muoversi dentro di lei. Si muoveva lentamente, aveva un qualcosa di maestoso il suo fare avanti ed indietro dentro di lei.
Ora le aveva piazzato le manone sui fianchi per aiutarsi nella spinta.
Si stava eccitando, mano mano che procedeva ed anche lei, nonostante la paura ed il dolore fortissimo, si accorse che, tutto sommato, le stava piacendo. Non le sarebbe successo nulla di grave, doveva rilassarsi e godere.
Il movimento si fece più veloce, quasi convulso, poi dopo un attimo di pausa, arrivò una spinta più forte delle altre e Ginevra si sentì inondare.
Continuò per un po’, sembrava inesauribile e, quando alla fine si fermò, lei ebbe l’impressione di essere piena.
L’ano, la pancia e l’intestino erano pieni del suo sperma, almeno aveva quest’impressione.
Lo tirò fuori. Era finita.
Gli uomini blu, rimasti immobili per tutto il tempo si sparsero per l’appartamento commentando ad alta voce quanto era accaduto, mentre Maria chiuse gli occhi e reclinò il capo da un lato.
‘Prima di andar via, devi fare un lavoretto a George. L’altra volta non era presente e gli abbiamo detto meraviglie dei tuoi pompini.’
George si era piazzato davanti a lei, ed il suo enorme cazzo, perduta l’erezione, sembrava quasi la proboscide di un elefante.
Non era più nero.
Era un misto di roba bianca e rossa.
Ginevra rabbrividì: sapeva benissimo a cosa appartenesse il bianco, ma il rosso poteva essere solo sangue, il suo sangue, che sicuramente continuava ad uscirle dall’ano irrimediabilmente sfondato.
‘Su, bella signora, fai la brava, un ultimo sforzo, per ringraziare il nostro George. Se ora in mezzo alle chiappe hai una bella autostrada, lo devi a lui.’
E così fece il pompino al gigante nero davanti allo sguardo esterrefatto di Maria.
Cominciò a leccarlo, e la proboscide prontamente si rialzò.
Non riusciva a tenerlo in bocca e così lo prese tra le labbra, di lato, e cominciò, muovendosi con la testa in su ed in giù, come se la sua bocca fossa una mano che lo masturbava.
Quando lo senti quasi pronto se ne infilò la punta nella bocca e cominciò a succhiarlo.
Le labbra stringevano il glande proprio alla base, dove la pelle spessa riprendeva a coprirlo.
Lo sentiva muoversi e pulsare e non pensava più al suo culo sfondato ma solo a finire per bene il lavoro che stava facendo.
Lo sperma, uscito all’improvviso, le colpì con forza la parte superiore del palato poi, nella concitazione, si spostò indietro e continuò a schizzarla sul viso.
Ginevra aveva la faccia ed i capelli pieni di sperma e non riusciva quasi a vedere, ma scorse gli uomini blu che se ne stavano andando, soddisfatti.
L’ultimo prima di uscire, liberò Maria dallo spago che le imprigionava braccia e caviglie, poi Ginevra sentì sbattere la porta di casa.
Era finita.
Maria la liberò dal nastro adesivo e la fece scendere dalla tavola da stiro.

Questa volta non fu fatta nessuna denuncia.
In fin dei conti non avevano rubato nulla, e poi Maria non era in regola con il permesso di soggiorno ed avrebbe rischiato l’espulsione.
In quanto a Ginevra, le ci vollero un paio di settimane per riprendersi, in cui si tenne alla larga dalla scuola di tango.
Quando si incontrò nuovamente con Manuel, lui fu molto stupito della sua nuova disponibilità a fare certe cose.
Fin dal loro primo incontro aveva desiderato metterglielo nel culo, ma lei si era sempre opposta fieramente, dicendo che quelle schifezze non era disposta a farle con nessuno.
Ora invece si era piazzata sul letto e si era sollevata completamente la gonna sul di dietro.
Non indossava biancheria intima e muoveva in maniera inequivocabile le sue chiappe rotonde.
Sembrava voler dire ‘inculami! Inculami!’, e Manuel non si fece pregare.
La penetrò con facilità sorprendente e per un attimo pensò che Ginevra forse non gli aveva raccontato tutto di lei, ma fu solo un attimo.
Quella donna gli piaceva ed aveva un culo fantastico e che fosse vergine o stra usato, faceva poca differenza per lui.

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