L’orizzonte che mi si apre davanti, attraverso il vano della finestra aperta, è insopportabilmente famigliare.
Il corso rischiarato dall’algida illuminazione stradale, le case dirimpetto, gli alberi, sono gli stessi di ieri e dell’altro ieri, gli stessi di tutta la vita.
Sento freddo, richiudo le ante e mi volgo verso la stanza alle mie spalle.
I miei genitori si ostinano ancora a chiamarla “la cameretta”.
La definizione è obsoleta, legata all’età della sottoscritta piuttosto che alle reali dimensioni del locale, impietosamente vezzeggiativa, pertanto stucchevole.
Mi fa arrabbiare, non perché io mi sento piccola, ma perché loro, imperturbabilmente, continuano a ritenermi tale. Da lungo tempo, ormai, persisto nel ripetermi che si tratta di un loro problema: non vogliono lasciarsi sfuggire la mia infanzia dalle mani, quindi hanno bisogno di non vedermi crescere. La stessa infanzia, invece pesa sulle mie spalle come un macigno. Inutilmente cerco di convincermi che sono quasi una donna e che, come tale, posso sorvolare, illesa, sui tanti deboli soprusi, la loro reiterazione quotidiana mi ferisce.
So di apparire pedante, ma, in realtà, l’odiato vocabolo è lo specchio del nostro rapporto. Da sempre vivo in una sorta di limbo dorato, dove attingo senza difficoltà, spesso anche senza richiederlo, al fiume dell’esperienza adulta. Mi ritrovo all’interno di un orto puerile, ricco di frutti nutrienti dai quali trarre energia e sono grata ai miei genitori di averlo coltivato con amore, ma, purtroppo, da questo metaforico giardino non c’è verso di uscire. Ecco, una volta per tutte, voglio uscire. Credo sia giunto il momento.
Per questo motivo ho spalancato la finestra in una rigida notte invernale, perché vorrei volare via, verso il mondo vero, quello esterno, dove le case di fronte sono diverse, abitate da persone che non ho mai visto, ma che vorrei conoscere; dove le foglie degli alberi hanno un verde più intenso. Un universo esuberante popolato dall’umanità cosmopolita e positiva. Voglio vivere intensamente ogni situazione, voglio provare quello che dentro di me sta premendo per emergere, voglio nutrirmi di sensazioni, voglio abbattere quel cancello che ogni sera si chiude con clamore dietro le mie spalle. Voglio passare il confine di questo orizzonte. Voglio il mio futuro felice.
Chissà quali saranno le prove mi aspettano al di là di questa finestra, quali esperienze e quanti tentativi mi aiuteranno ad uscire da questo bozzolo di incertezze, che gli adulti chiamano spensieratezza.
Mai termine fu più improprio; nella mia mente corrono migliaia di pensieri, si affollano in un punto e sembrano quasi prendere forma, per poi dissolversi nel nulla, lasciandomi più insicura di prima.
Forse non ambisco lasciare il giardino una volta per tutte, sinceramente, mi spaventa il punto di non ritorno. Mi piacerebbe avere la chiave del cancello per uscire indisturbata dall’orto fatato ed imparare a catturare i miei sogni plasmandoli in circostanze reali, ma so che per tutta la vita desidererò ritornarvi. Mio malgrado un’irreversibile impulso mi spinge a sognare il futuro. Ora sono costretta a vivere nell’immaginario, voglio che qualcuno mi aiuti ad afferrare il filo conduttore che guiderà i miei movimenti all’interno della vita.
Voglio chiudere gli occhi e vedere con chiarezza.
Voglio l’isolachenonc’è.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…