Skip to main content

Zia Fanny

By 20 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ inutile cercare di ricordarsi la prima volta che abbiamo scoperto di aver fame.
Uno non lo ha scoperto per caso.
E’ qualcosa di congenito, istintivo.
La prima azione che fa il neonato, appena venuto al mondo, e subito dopo aver cominciato a respirare, &egrave cercare la tetta della mamma. Ancora con gli occhi chiusi.
La tetta &egrave fatta per nutrire attraverso quella bocca che &egrave fatta per saziare quel tipo di fame.
E’ così che a un certo punto della vita, si manifestano altri appetiti.
Lo avevo immaginato, ma non compreso appieno, fin quando non lo provai.
Avevo letto i ‘Ragionamenti’ de l’Aretino, dove si parla della ‘bocca di sotto’ che anch’ella vuol ciucciar certi capezzoli lunghi e duri che la ingozzano del loro latte mieloso.
E non era del mio ditino che poteva accontentarsi la mia.
Ma l’ambiente, la descrizione del ‘diavolo’ rosso e sbuffante che vuol intrufolarsi nello infierno, e altre bubbole del genere, m’avevan fatto ricorrere a squallidi surrogati mentre intorno era tutto un fiorire di gagliardi ragazzetti ben dotati.
Ma era proprio indispensabile sfamarsi con i ‘ben dotati’?
Non ci si saziava anche coi biscottini, oltre che con i robusti filoni?
O che il sapore del salamino era da meno di quello della mortadella?
Insomma, avevo superato i diciotto e non m’ero ancora sfamata, come natura richiede, dal punto di vista sessuale.
Mi si ripeteva all’infinito che sexual desire e sexual morality eran nemici.
Si dice che non ci si vede per la fame, che i crampi della fame ci tormentano.
In effetti, a volte la mia vista si annebbiava, tanti punti neri passavano dinanzi ai miei occhi, i crampi mi assalivano, ma non proprio allo stomaco, un po’ più in basso. Si, proprio li, dove le gambe si riuniscono a non riescono a restare chiuse, i riccioli del pube si increspano, le grandi labbra si enfiano, e le piccole si muovono come se volessero ciucciare’ ma restano vacanti e beanti, frementi e imploranti’ inutilmente’ la mano cerca di calmarle, ma &egrave un ben meschino surrogato.
Non desideravo coccole, baci, tenere carezze, non avevo bisogno di aperitivi che stuzzicassero l’appetito. Ne avevo tanto che potevo regalarne. Non agognavo crostini, tartine, salatini.
Avevo bisogno di una consistente razione di sesso maschile.
Non ne avevo ancora gustato, ma sapevo che era quello che volevo.
Non cercavo la raffinatezza del servizio, lini ricamati e cristalli splendenti; né porcellane finissime.
Una bella ciotola di sostanziosa pasta e fagioli’ aaah’ era quello che mi ci voleva.
E dire che mi chiamavano Fanny! Che per loro era il diminutivo di Stephanie.
Che c’entra?
C’entra che al paese di mia madre fanny &egrave l’equivalente di fica, culo, e così via.
Quindi, c’era una fanny per casa, niente da buttar via, e veniva trascurata.
Non potevo trascurarla io, però.
Anche perché nello stesso appartamento c’era tutto il necessario per una bella scorpacciata.
Lo avevo visto Ted, mentre faceva la doccia.
Veramente un bel fusto.
Aggraziato in tutte le sue parti.
Non c’era tempo da perdere.
Sarebbe stata roba casereccia, semplice e naturale.
Avevo deciso che era per quella sera.
Quando tutti dormivano.
Non se ne sarebbe accorto nessuno.
Ed anche se se ne fossero accorti?
Che avrebbe potuto dire mio fratello, che aveva più del doppio della mia età, se avessi scopato con suo figlio?
Che forse gli rubavo qualcosa?
Da parte le ciance.
Non ne potevo più.
Del resto, Ted aveva la mia stessa età, anzi il nipote era di sei mesi più anziano della zia.
Io avevo pensato spesso a quella coincidenza, ed avevo concluso che mia madre, un po’ invidiosetta della pancia di sua nuora, s’era data alla pazza gioia, neppure immaginando di restare incinta alla sua età.
In effetti, mia madre doveva essere un bel tocco di donna allora, perché lo &egrave anche adesso coi suoi quasi sessantacinque anni. E credo che quando il vecchio &egrave in tiro, non se lo lasci scappare.
Una volta, ed ero ancora bambina, mentre stavamo nella casa al mare, dove le pareti sono più sottili del solito, avevo chiaramente sentito gemiti e respiri ansimanti, nell’altra camera, quella adiacente alla mia, che era la camera da letto dei genitori, e la voce di mio padre, un po’ strana per la verità, che le diceva che lei, Nancy, era sempre la sua golden cunt.
Anche io avevo una fica d’oro, con tutto quel ricciolume biondo che la circondava.
Fu così che poco prima di mezzanotte, scalza, con indosso la sola vestaglia, girai piano la maniglia della porta di Ted, lasciai cadere l’inutile vestito per terra, e mi infilai nel suo letto.
Non doveva dormire pesantemente, perché si svegliò subito e accese il lume sul tavolino.
‘Zia Fanny!’
Di solito mi chiamava Fanny, ma la sorpresa doveva essere stata tale che aveva voluto ripassarsi immediatamente i rapporti di parentela che ci legavano.
Ero un po’ preoccupata sul come si sarebbe comportato.
Spense di nuovo la luce, e senza perdere tempo, proprio come piace a me, si tolse i pantaloncini del pigiama, mi aprì ben bene la gambe, e poggiò il suo bel pisellone all’ingresso della mia vagina.
Non credeva di dover superare la piccola barriera della mia verginità, la prese per un momentaneo restringimento del meato, ma quando avvertì la lieve lacerazione mi guardò stupito.
Mi morsi il labbro inferiore, annuii, sorridendo.
Mi strinse con maggior impeto, e cominciò uno stantuffare che partendo lento divenne sempre più veloce, come in una locomotiva, impetuoso e travolgente.
Finalmente!
Era proprio quello che mi ci voleva!
Sobbalzavo come impazzita, e non capii più niente quando fui sconvolta da qualcosa di sconosciuto, di infinitamente voluttuoso: un orgasmo indescrivibile.
Sentii che stavo per rilassarmi, ma lui seguitava, instancabile, il mio grembo tornava a palpitare, e fu invaso, improvvisamente, dal pulsare del suo fallo e da un getto tepido che si sparse in me, meravigliosamente.
Solo in quel momento pensai che non avevo mai preso la pillola.
Ormai era fatta!
Era stata una ‘prima volta’ magnifica, ricordevole.
Si mise su un fianco e mi accolse tra le sue braccia.
‘La piccola zia Fanny, era vergine!’
Annuii senza parlare, vezzosamente.
Mise la mano tra le mie gambe, la ritirò, accese la luce, guardò.
‘Si, piccola Fanny, lo eri’ lo eri”
Altro pensiero.
E come evitare che gli altri si accorgessero dell’accaduto?
Come cancellare così evidenti tracce?
Ted doveva avermi letto il pensiero.
‘Metterò tutto nella lavatrice e avvierò il programma sbiancante, domani mi inventerò qualcosa.’
Sapevo che dovevo andarmene nella mia camera, nel mio letto, che avevo bisogno di una doccia.
Allungai una mano, il fallo di Ted era più gagliardo che mai.
Dovevo cogliere l’occasione, ed avemmo un ancora più soddisfacente e appagante bis.
Prima di lasciarlo.

Che stupida ad aver atteso tanto tempo!
Sarò una pansessuale (una volta mia madre disse che non bisognava essere pan-sexual) cio&egrave una che considera l’istinto sessuale origine e causa primaria del comportamento psichico, ma devo dire che quella scoperta, grazie a Ted, confermava il mio convincimento che meglio del sesso non c’&egrave nulla.
E’ proprio vero, ‘gaudeamus igitur juvenes dum sumus’, che possiamo tradurre realisticamente in ‘godiamo fin quando ce la facciamo’!
Come la cosa sia trapelata non me lo sono spiegato mai, ma &egrave certo che mio fratello, Mario, aveva preso a guardarmi in un certo modo che non riuscivo a comprendere.
Ora sembrava rimproverarmi, altre volte invece, mi ispezionava da capo a piedi, insistentemente, e rimaneva a fissarmi, chissà pensando cosa.
Abitavamo tutti nel grande appartamento di sempre, che occupava l’intero piano, con tre entrate, una ampia cucina, retrocucina abitabile e servizio annesso. Adiacente, la ‘sala da pranzo, dove consumavamo i pasti tutti i giorni. Poi una sfilza di camere da letto che ti pareva di stare in un albergo, interrotta dai bagni. Nell’altra ala, un bel salotto, un vasto soggiorno che noi chiamavamo salone, dove si tenevano i pranzi di un certo tono, ancora un tinello, e due studi. Al piano superiore, che serviva anche da ripostiglio, e da sala hobby, mai frequentata, anche le camere per il personale di servizio che, al momento, consisteva in una cameriera fissa e un paio di extracomunitarie in aiuto.
In effetti, tenere la casa pulita e in ordine, richiedeva molto lavoro.
Noi si usciva tutti al mattino.
Il genitore se ne andava a studio, poco discosto da casa; ‘golden cunt’ insisteva ad insegnare perché il regolamento le consentiva di restare in servizio fino a settanta anni, e lei non abbandonava i suoi allievi. Del resto i suoi corsi di Storia e Letteratura Inglese, erano molto frequentati e stimati.
Mio fratello e la sua sculettante moglie facevano parte dello studio paterno, di progettazioni civili e industriali.
Ted, un po’ secchione, aveva già superato il primo anno di ingegneria.
Io stavo per iscrivermi al primo anno di una facoltà non ancora selezionata.
Avrei scelto volentieri ‘Love-making Faculty’ ma, almeno ufficialmente, non c’era.
Torniamo a mio fratello.
Sembrava girarmi intorno sempre più insistentemente.
Quella domenica mattina, mentre poltrivo languidamente nel letto, facendo mille pensieri lascivi, e quando tutti erano usciti per ragioni varie: giornale, Messa, appuntamenti’ entrò da me, senza bussare, in veste da camera.
Andò a sedere sulla poltroncina a fianco al letto.
Mi guardò.
‘E così, piccola Fanny, ti sei fatta scopare da Ted!’
Ebbi un moto di stizza.
‘Non &egrave esatto.
Non mi sono fatta scopare da Ted.
Sono andata da Ted, io, per scopare con lui!’
‘Ti sembra azione della quale vantarsi?’
‘Infatti non mi vanto, come non mi vanto se mangio o bevo.’
Nella foga del discorso, m’ero messa a sedere, con la velata camiciola da notte aperta, e le tette bene in vista, spavaldamente.
Mio fratello le guardava, insistentemente.
Io cominciavo ad arraparmi.
Anche lui era un maschio, dopo tutto, ed anche un bel esemplare.
Decisi di cambiare registro.
Misi le gambe fuori del letto, sedendo sulla sponda e’ distrattamente allontanai la leggera coperta.
Si, c’era dell’esibizionismo, non lo posso negare, ma non ne traevo, poi, un vero piacere, era soprattutto per provocarlo.
Il mio fratellone aveva gli occhi sbarrati.
Ed eccomi in piedi, camicia aperta, tette e riccioli bene al vento.
Cercai un tono dolce, carezzevole, della voce.
‘Credi che Ted ci sia andato male?’
Deglutì.
‘Non dico questo’ ma’ scusa’ proprio con tuo nipote’ col quale siete cresciuti insieme”
‘Neanche lui &egrave da buttare, fratellino, anzi’ del resto ha preso tutto dal padre. Vero che ha preso tutto, proprio tutto, dal padre?’
S’era alzato.
Non so cosa indossasse sotto la veste da camera, ma la protuberanza che s’era formata la diceva lunga.
Si era avvicinato a me, mi aveva messo le mani sulle spalle.
‘Piccola Fanny, sei bellissima e seducente, ma”
‘Credi che ci debbano essere dei ‘ma” in queste cose?
Non mi sembra che di fronte a me, al mio corpo, tu rimanga’ indifferente.’
Scostai il lembo della sua veste, un robusto pisellone era prepotentemente eretto.
La mia camiciola e la sua veste caddero contemporaneamente sul tappeto.
Mi abbracciò.
Mi avvinghiai a lui, sorreggendomi con le braccia al suo collo, mi sollevai, lo cinsi con le gambe.
Sentivo il suo poderoso batacchio bussare alla mia porta.
Mi tirai un po’ indietro.
Lo prese con due dita e lo portò all’ingresso della mia rorida vagina, che lo attendeva, palpitante, e lo accolse golosa.
Spingeva robustamente il fratellone, con consumata esperienza, e sapeva carezzarmi le chiappe, mordicchiarmi le tette, i capezzoli, i lobi delle orecchie. Mi stava portando and altezze sconosciute.
Era resistentissimo, un perfetto tempista, sapeva come, quando, quanto, e attese il mio forsennato orgasmo per scaricarsi in me.
Fenomenale.
Non si era piegato nemmeno d’un centimetro, né sulle ginocchia, né nella mia vagina che ora colava il tepido seme fraterno.
Mi gettò sul letto, senza uscire da me, e tornò a pompare con maggior foga.
Ero meravigliata e gradevolmente sorpresa per la sua potenza, anche perché lui, per me era un ‘maturo’.
Ma ce la mise tutta per farmi godere, e ci riuscì egregiamente, facendomi passare da un orgasmo all’altro fin quando non persi conto di quello che mi circondava, ero in trance estatico, meravigliosamente.
Mi baciò con dolcezza, mi carezzò, lungamente.
Mi dette un lungo bacio’ linguoso’ che però non era appagante come il suo pisello, perché io preferisco sopra ogni cosa una vigorosa penetrazione, e solo con quella mi sfamo.
Per un po’!
Devo dire che nel confronto, tra padre e figlio, propendevo più per il primo, senza abbandonare, però, focosi ulteriori incontri col secondo.
Avevo una miniera, in casa, e non ne avevo profittato.

Il succedersi degli eventi mi chiarirono che, a ben pensarci, la miniera, la fonte inesauribile, ero io!
Improvvisamente, anche nel bel mezzo della notte, un minatore s’intrufolava nel mio letto e, zitto zitto, dava mano al suo trapano e cominciava penetrare sempre più a fondo e sempre più gagliardamente nei recessi delle mie viscere alla ricerca di un fondo che non avrebbe mai individuato.
E la mia vagina era una vena inesauribile. Che godeva a sentirsi frugare, fino a quando la punta del trapano non si esauriva e’ andava cambiata.
Al cambio ci pensavano loro, Ted e il fratellone.
Il più assiduo era Ted, anche perché il fratellone era sotto stretto controllo coniugale e poteva scendere in miniera solo quando riusciva a evaderlo, con stratagemmi vari.
Comunque, devo riconoscere che un ‘senjor’ ha sempre da insegnarti qualcosa, ed &egrave sempre alla ricerca di nuove strade da aprire.
In effetti, non potevo dire che scarseggiasse l’alimento per il mio appetito sessuale, ma &egrave naturale, istintivo, che, anche se a casa non manca nulla, ci sia sempre la curiosità per qualcosa di nuovo.
Anche chi &egrave avvezzo a ostriche e caviale può sentirsi attratto da pane e frittata.
In un certo senso fu proprio il ‘pane’ a provocare l’occasione.
Ogni tanto ci passavo davanti, specie quando adoperavo i mezzi per andare all’università o tornare a casa. Visto che avevo deciso per biologia.
Negozio a tre porte: due per la vendita e una che corrispondeva al laboratorio, col forno, l’impastatrice, una macchina che faceva i panini, i sacchi di farina, la porticina che dava allo spogliatoio e, credo, alla doccia.
Quella sera era più tardi del solito.
Il laboratorio mi aveva fatto perdere la cognizione del tempo.
Telefonai, col cellulare, che sarei rincasata verso le ventidue.
La saracinesche del reparto vendita erano abbassate, rimaneva aperto il forno, la porta era socchiusa.
Non avevo mai visto dove e come si faceva il pane.
Feci capolino.
Non c’era nessuno.
M’intrufolai, curiosa.
Mi misi a guardare attentamente l’impastatrice e non mi accorsi che qualcuno era uscito dallo spogliatoio ed era dietro alle mie spalle. Ne sentii il respiro. Mi voltai. Era un giovane, alto e muscoloso, col torso scoperto e solo un asciugamano intorno alla vita. Evidentemente era uscito dalla doccia.
Mi guardò con un sorriso compiaciuto.
‘E tu, cosa fai qui?’
Io ero col sedere poggiato sulla macchina, e lui mi era quasi addosso, sovrastandomi col suo personale atletico.
Alzai le spalle.
‘Niente’ stavo curiosando.’
Si era avvicinato ancora di più.
Ormai sentivo chiaramente il suo pisellone sulla mia pancia.
E si andava rapidamente ingrossando.
Potete immaginare la mia reazione: sapore di pane fresco, e un grosso filoncino a disposizione.
Credo che la mia espressione cominciasse a manifestare la mia eccitazione.
Lui ampliò il suo sorriso, e senza parlare mise una mano sotto la mia gonna, decisamente, nelle mutandine, tra le grandi labbra, nel caldo umido del mio sesso.
Si allontanò quel tanto che gli consentì di chiudere la porta, a chiave.
Poi, sempre con la mano che ben m’agguantava riccioli e carne, mi spostò verso l’angolo dove erano i sacchi.
Mi fece voltare, senza parlare, in men che si dica mi aveva spogliata completamente, e il panno che lo cingeva era già sul pavimento.
Mi spinse dolcemente, fino a quando i miei gomiti non furono su un sacco, mi dilatò le natiche e con un colpo secco entrò nella mia vagina.
‘Ecco’ adesso sì che sta bene’ le mancava proprio un bel salame a questa pagnottella calda calda”
Quel salame entrava e usciva, sempre più in fretta, e la pagnottella se ne beava.’
Quando si accorse che ormai ero distrutta e sazia, mi cosparse del suo balsamo e uscì da me, mi dette una sonora pacca sul sedere e si allontanò, verso lo spogliatoio.
Ancora stordita, confusa, mi rivestii alla meglio e raggiunsi casa.

Mi sentivo sempre più ‘normale’.
Era chiaro che ci si nascondeva dietro frasi fatte, luoghi comuni, perbenismo da strapazzo, ma ognuno cercava di soddisfare come poteva i propri appetiti sessuali.
Mi sentivo sollevata.
I maschi mi interessavano per il loro sesso.
Io destavo il loro interesse per lo stesso motivo.
Ted ed io scopavamo freneticamente, e mentre gemevo voluttuosamente, lui mi diceva che ero la sua zietta, la sua auntie Fanny, ed io ricordavo bene cosa volesse dire, fanny, nell’idioma gergale del paese di mia madre.
Per il mio fratellone, sempre più interessato al piccolo buchetto che mi titillava insistentemente tra le chiappe, ero la sua sorellina, la sua fannina, la sua pussy-cat, ripeteva che ero a bit of crumpet, insomma, gira e rigira, per lui ero un gran bel pezzo di fica. E ci dava dentro a tutto spiano, mentre mi tormentava deliziosamente tette e chiappe.
Con mio enorme sollazzo.
Del resto, anche il fornaio, quando mi vedeva passare usciva sulla porta e mi sussurrava: ‘a bella topa, quanno te la fai imbottì ‘n’antra vorta?’ Ed eloquentemente afferrava il suo sesso, sotto il grembiule, e lo scuoteva.
Da come ‘big brother’, (che &egrave vero che significa fratello maggiore ma io mi riferivo anche alla sua dotazione virile), mi palpava il sedere, e vi indugiava, capivo che era la sua idea fissa. Cominciai a pensare che la moglie non gli aveva mai consentito di togliersi quello sfizio. Che stupida!
Perché doveva tormentarsi tanto?
Non volevo, però, prendere l’iniziativa, anche perché la cosa mi destava qualche preoccupazione, come dire, dolorifica.
E se quel palo nel di dietro mi avesse fatto male?
Comunque, conclusi col vecchio proverbio: ‘se son rose fioriranno’!
Guarda caso, eravamo proprio a metà maggio, il mese delle rose.
Big brother ed io eravamo in ascensore, uscivamo, lui andava al lavoro, io in Facoltà.
Mi cinse la vita, mi carezzò le natiche.
‘Pussy cat, credo che ci sia un lavoretto da fare nella nostra casa al mare. Ci andrei più tardi. Mi accompagni? Potremmo mangiare qualcosa lungo la strada.’
‘Ti accompagno volentieri, ma ho laboratorio fino alle quattordici, e mangio un tramezzino al bar.’
‘Allora passo a prenderti alle due?’
‘OK’
Poderosa strizzata al mio culetto, un bacetto sulla guancia e mi fece salire in auto, mi avrebbe accompagnata all’università.’
Quando uscii, era ad attendermi.
Strada abbastanza libera, e giungemmo rapidamente a destinazione.
Entrammo nella villetta.
Accese la luce.
Mi tese la mano.
‘Vieni?’
Io lo sapevo a che genere di ‘lavoretto’ si riferiva, il marpione, ma la cosa mi attraeva.
Inoltre, eravamo soli, in santa pace, senza tema che qualcuno rincasasse all’improvviso.
Eravamo nel gran letto, nella sua camera, nudi come vermi, e non avevamo bisogno di preludi. Mi infilai sul suo svettante campanile, e cercai di far durare il sollazzo più a lungo possibile. Quando mi abbattei su lui, sentii che mi riempiva voluttuosamente del suo seme. Tanto. Più delle altre volte, e dopo poco cominciò a colare fuori.
Lo raccolse con le dita e lo sparse abbondantemente nel solco delle mie natiche, intorno al buchetto, nel buchetto, spalmandolo tutto intorno col dito che penetrava sempre più.
Quando ritenne che fossi pronta, mi fece porre bocconi, mi alzò il sedere, si mise dietro me, in ginocchio, dilatò dolcemente le mie chiappe e poggiò il suo glande bollente all’ingresso del mio buchetto che attendeva, trepidante, di sapere se sarebbe stato capace di accoglierlo, senza essere dilaniata.
Non spinse più di tanto, e con una mano prese a carezzarmi tra le gambe, a titillarmi il clitoride, a ficcare dolcemente le dita nella mia vagina, a ispezionarla espertamente.
Mi piacevano quelle carezze.
Il mio bacino cominciò a muoversi, a spingersi verso lui.
Sentivo il mio sfintere dilatarsi, avvolgere il glande, poi cedere di colpo e ingurgitarlo tutto, e quando prese a pompare vigorosamente avevo già dimenticato il piccolo fastidio iniziale, e godetti voluttuosamente, dimenandomi sempre più inebriantemente, venendo come non mai, e assaporando sensazioni sconosciute, ingigantite dall’effusione tiepida, in me, del suo miracoloso balsamo del paradiso.
Aveva ragione, il mio fratellone, il ‘secondo canale’ poteva essere compreso e apprezzato solo dai buongustai.
Un vero bocconcino delizioso.
Ora sapevo quasi tutto, sul sesso, ma ero sempre incerta nella scelta.
Nei miei numerosi festini erotici, alternai spesso le portate, perché nessuna parte di me rimanesse insoddisfatta.

Leave a Reply