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Racconti di DominazioneRacconti Erotici

Club Sebastian: Raffaella

By 14 Ottobre 2024No Comments

Il posto di lavoro me lo hanno dato perché ho un cazzo abbastanza grosso. O meglio, non proprio per quello. Ci sono molti che ce l’hanno abbastanza grosso. La differenza è che non a tutti il cazzo si rizza praticamente a comando. Al mio cazzo non importa se ha davanti donne o uomini, giovani o vecchie, travestiti o ragazzi che non hanno ancora deciso se gli piace più darlo o prenderlo. Il mio cazzo se ne frega. Se mi serve duro diventa duro. Pronto da usare. Ed è una cosa che molti dei clienti apprezzano.
Non fraintendete. Usare il cazzo quando serve è solo una piccola parte del mio lavoro. Io comincio presto la mattina, preparando e pulendo. Stando attento a che tutto sia a posto, le scorte di preservativi e lubrificanti, le creme anestetiche, gli aghi, gli strumenti, le maschere e i costumi. Collaudando i movimenti delle macchine, Accertandomi che le funi scorrano nelle pulegge, e che i verricelli girino sciolti, scatto dopo scatto. Controllando che i vibratori e i cazzi finti siano esposti nel giusto ordine. Come anche i cunei per le penetrazioni, i divaricatori. E le guaine dei pali, da quelle con i rigonfiamenti “artistici” a quelle con gli aculei, più o meno rigidi, più o meno lunghi.
Della preparazione giornaliera fa parte anche lucidare i pali naturalmente, quelli di legno e quelli d’acciaio, quelli lisci e quelli istoriati, quelli anali e quelli vaginali.
Curo da solo questo posto. Se avessi manie di grandezza direi che ne sono l’anima e invece no, sono solo un impiegato con molte mansioni. Altri hanno pensato e costruito tutto quello che si vede all’interno di questo capannone. Gente a cui non dareste un soldo di considerazione. Gente a cui la vostra considerazione non interessa. Gli basta capire di che cosa avete voglia.

Finisco le ultima incombenze. Tra poco arriverà il primo cliente della giornata. Pulisco il vetro delle stampe attaccate alle pareti fino ad arrivare a quella che se ne sta centrale in fondo alla navata. Un San Sebastiano trafitto e dolente. Una elaborazione grafica di uno dei nostri clienti, un efebo che a volte si presenta in gonna e golfino a volte come un ragazzino che sta andando a lezione di musica. Un genio dell’arte digitale che ha osato scherzare con i santi, come si dice.
Il suo San Sebastiano ha qualche aggiunta rispetto alla tradizione. Non è legato a una colonna, in effetti c’è un palo infisso per terra ma l’altra estremità del palo gli sparisce in culo. Il santo è un ragazzo molto bello e delicato, un corpo tonico, i muscoli che ti aspetteresti di vedere in un combattente. Se ne sta con con le mani legate dietro la schiena, ritto sulle punte dei piedi, gli occhi rivoltati leggermente all’indietro e in primo piano esibisce un magnifico cazzo, gonfio e turgido, con una cappella bella rossa. Guardando bene si vede un piccolo rivolo di gocce bianche scendere dalla fessura del glande. Un’anticipazione di quello che succederà quando i piedi si stancheranno e il palo finirà il suo lavoro.
È un’opera che ha avuto molto successo, tanto da finire sul rovescio di qualche cartoncino che pubblicizza il “Club Sebastian, spazio discreto dedicato ai vostri desideri”. Non è un caso quel San Sebastiano: il nostro servizio più richiesto è proprio quello, l’impalamento. Sareste stupiti di sapere quanto la fantasia di essere impalati sia diffusa e quanto la gente sia disposta a spendere per provarne in qualche maniera il brivido. Ormai riceviamo solo su appuntamento, quattro, massimo cinque clienti al giorno. A volte il capannone viene affittato per qualche festa. Roba di classe, niente più affitti a set di porno bdsm. Quelli brutti dove qualcuno per pochi spiccioli finge che gli piaccia farsi torturare. Quello era prima. Adesso le feste sono per gente che può spendere per evitare il fastidio di qualsiasi spiegazione.
Se pensate che i padroni di questo posto siano dei farabutti che lavorano ai margini e che prima o poi qualcuno chiuderà questa baracca, beh, siete fuori strada. Parecchio fuori strada. Chi dovrebbe eventualmente chiuderci è assiduo frequentatore del nostro club e delle sue feste. E conversa amabilmente con i supposti farabutti.

Il primo cliente della di oggi è in realtà una donna. Qualcuno mi ha assicurato che lavora in tribunale. Un giudice. Sono dettagli, qui lei è solo Raffaella come io per lei sono solo Gennaro. Per altri clienti ho altri nomi.
Raffaella è una donna mediterranea, non molto alta, dalle forme opulente. Ha un viso ancora gradevole e un reticolo di piccole rughe che ne denunciano l’età. Sicuramente oltre i cinquanta. Lei non se ne cura. Entra sicura, è una cliente abituale che sa quello che vuole. Anche per lei è il primo appuntamento della giornata. Ufficialmente è in uno dei bar trendy del centro a fare colazione con le sue amiche. Brioche dagli aromi esotici, spremute di frutti dai nomi sconosciuti, cose così. Le sue amiche di colazione la coprono volentieri, Nei prossimi giorni anche loro verranno a trovarci e avranno bisogno dello stesso favore.
Raffaella mi si ferma davanti e si toglie il morbido cappotto. Rimane con un corpetto che le schiaccia il ventre e le tiene sollevati i seni. Belli, pesanti e penduli il giusto, con grandi aureole e capezzoli già diritti. Non ha nient’altro addosso. Dal ciuffo tra le gambe vedo uscire le sue grandi labbra. Intuisco che è già bagnata. Si volta e si china su una scrivania per consultare uno dei tablet con i programmi del giorno. Nel chinarsi il taglio tra le natiche si apre e fa capolino un gioiello, mi sembra sia un plug decorato da un quadrifoglio. Mi dice “Oggi scelgo un 10”.
Perbacco direte, il Club Sebastian funziona come un qualsiasi ristorante cinese? Esatto, è così. Con il tempo abbiamo realizzato che è molto più semplice e sbrigativo sintetizzare tutto con numero. “10” vuol dire “Penetrazione vaginale XXL con palo meccanico. Coadiuvata a richiesta da penetrazione anale da parte dell’assistente.” L’assistente sarei io.

Prendo Raffaella per mano, le bacio i seni, le carezzo le natiche. Sono piccole attenzioni che so che a lei piacciono molto. Prima delle violenze che arriveranno. Le piacciono soprattutto le carezze sul sedere. Raffaella ama il suo culo e ne trae tutti i piaceri possibili. A volte lei chiama il suo culo “la mia groppa”. So che sta già partendo con una delle sue fantasie preferite: è l’era delle invasioni barbariche e nella sua mente lei è la madre che si sacrifica per salvare i suoi figli, di più, l’intero villaggio, offrendosi ai guerrieri stranieri e lasciando che dopo loro la lascino alle loro cavalcature. Perché la calpestino, perché la rovinino.
Le chiedo “Posso?” Lei mi risponde “Certo!” io abbasso la mano e le infilo due dita nella fica, a fondo. Avevo ragione, è già molto bagnata. Avanzo prepotente dentro di lei, arrivo a sfiorarle la cervice. Poi estraggo le dita, le annuso con soddisfazione e gliele porgo da succhiare. Ha una bella bocca Raffaella, sensuale, esperta. Con una delle sue mani mi blocca il polso, poi mi succhia le dita, si china in avanti, se le porta fino il fondo della gola.
È il momento di cambiare spartito. Estraggo le dita dalla sua bocca e poi le tiro un manrovescio senza preavviso. La violenza del colpo le fa voltare il viso, il caschetto dei capelli si scompiglia, la guancia si arrossa. Lei non volta il viso. Le chiedo di farlo. E le tiro un secondo manrovescio. Le dico di inginocchiarsi, con le gambe divaricate, le mani posate sulle cosce, palmi in alto. “Guarda il soffitto e apri la bocca.” Esegue docile. Nella sua fantasia è una donna inerme, rassegnata al peggio di fronte ai guerrieri stranieri, è l’inizio del suo tormento.

Io comincio ad infilare le dita nella sua bocca aperta, due dita, poi tre, le esploro la bocca, la superficie interna delle guance, le gengive, la lingua. La umilio. Sono bravo anche in quello. Sono credibile.
Le dico che ormai è una cosa da poco, che non vale più una chiavata, che si farebbe fatica anche solo a farselo segare per sborrarle addosso, figuriamoci la fatica di infilarlo in uno dei suoi buchi. Una volta sì, ne sarebbe valsa la pena, adesso no. Le dico che ha il culo pesante, i seni flosci, la pelle vizza dove dovrebbe essere più morbida. Che è una femmina che ormai può essere utile forse solo come latrina. Che per il resto fa bene a venire da noi e a pagare per essere trattata da troia. Mentre le parlo ogni tanto estraggo le dita dalla sua bocca e la schiaffeggio di nuovo. Colpi sonori, portati senza forza eccessiva, dall’alto verso il basso. Sulle guance ma anche sui seni. Ripetutamente.
Le prendo i capezzoli e li tiro verso l’alto. Le dico che c’è un’unica maniera perché i suoi seni si possano di nuovo guardare senza disgusto. Prendo due aghi con un occhiello e li infilo nei suoi capezzoli, lentamente, bucandoli. Poi fisso agli occhielli una catenella corta che le passo dietro in collo. Le dico “Ecco, finalmente, non ne potevo più di vedere penzolare quei sacchi ridicoli.”

Le dico di guardarmi bene. Raccolgo la saliva e le sputo in pieno viso. Lei respira forte. Tra le gambe aperte vedo filtrare qualcosa di vischioso, Un filo sottile, che scende lento. Le accarezzo la lingua con due dita, seguo il filetto centrale, affondo, lei si agita, affondo ancora, non credo che riesca a respirare bene adesso, muovo le dita come se avessi perso qualcosa in fondo alla sua gola, ha dei conati, io insisto. Lei vomita. È quasi solo muco. Dopo le prime volte ha imparato che è meglio venire qua digiuna. Le dico che quello che ha vomitato non deve andare sprecato. Lei lo spalma sul viso arrossato dagli schiaffi, sulle tette con i capezzoli forati, lo spalma sulla fica. Nonostante il plug inserito si forza un paio di dita viscide in culo. È solo un piccolo aperitivo.

Tirando la catenella la accompagno al cavalletto, lei si toglie anche il corpetto e si sdraia, completamente nuda, docile, la pancia ben aderente al cuoio, i seni martoriati dagli aghi. Le lego polsi e caviglie. Passo le larghe cinghie sulla sua vita e sulla sua nuca. La lego stretta, le deve essere impossibile ogni movimento. È qua per un supplizio. È qua perché alla fine del suo appuntamento possa andar via appagata, gli occhi brillanti e il passo incerto, nascondendo sotto il cappotto le tracce della sessione, i suoi buchi che rimarranno aperti per tutta la giornata. Cosparsi di secrezioni. Lei non li laverà. Mi ha detto che gli piace fare marinare i suoi succhi, almeno finché l’odore che le sale da culo e fica non diventi avvertibile anche dagli altri.

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aspergo

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