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Racconti di Dominazione

La mucca

By 15 Settembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Doveva essere mattina, anche se per Barbara era impossibile capire l’ora, visto che la finestrella posta in alto, nel muro che affacciava sull’intercapedine della cantina, non lasciava filtrare luce diretta.

Era rinchiusa in quel sotterraneo semibuio da più di otto mesi.
Era stata imprudente, avrebbe dovuto farsi gli affari suoi e tirare dritto.
Invece aveva risposto ai richiami di quell’anziano signore, ed aveva accostato l’auto.
Non sembrava esserci nessun pericolo: un’auto in panne, lungo una strada poco frequentata ed un vecchietto dall’aria innocua, che faceva cenno di fermarsi.
Avrebbe dovuto abbandonare lì quell’uomo, dall’aria distinta e con i capelli grigi, lasciato a terra dalla sua vecchia Panda, in mezzo alla campagna e con la notte che si avvicinava?
Naturalmente Barbara si era fermata. Avevano tentato di rimettere in moto la Panda, ma il motorino d’avviamento girava imperterrito senza che il motore desse il minimo segno di vita.
Alla fine il signore le aveva chiesto il favore di accompagnarlo a casa, per l’auto ci avrebbe pensato suo figlio il giorno dopo.
Abitava in una vecchia cascina a cinque chilometri di distanza e, per sdebitarsi del disturbo, aveva insistito per offrirle un caffè.
Barbara non amava particolarmente il caffè ma le era sembrato scortese rifiutare.
Quando aveva mandato giù il primo sorso si era subito pentita: una porcheria ignobile, uno dei peggiori caffè che avesse mai bevuto.
A quel punto i ricordi si facevano confusi: una strana sonnolenza che l’aveva costretta a restare seduta con i gomiti puntellati sul tavolo della cucina, mentre quell’uomo dai capelli grigi continuava a parlare, parlare. Cioè parlava ma lei non sentiva nulla, come se fosse un film senza audio.
Si era risvegliata in quella cantina. Una stanza minuscola, con soltanto una brandina, una sedia ed un piccolo tavolo.
Due porte, entrambe di ferro, una chiusa da fuori e l’altra che affacciava in un minuscolo bagno, dove c’erano soltanto un lavandino ed un cesso.
Quello che le era sembrato un innocuo vecchietto si era trasformato nel suo carceriere.
Infatti la sera stessa del suo rapimento era entrato nella stanza. Barbara era ancora intorpidita dal sonnifero e lui aveva potuto girarla, a pancia sotto, sul letto, senza che lei potesse opporsi.
Si era scossa solo quando l’uomo le aveva legato i polsi dietro la schiena, poi, quando le aveva sollevato la gonna ed abbassato lo slip, aveva iniziato a gridare, convinta che volesse violentarla.
Invece, con sua grande sorpresa, l’uomo le aveva fatto soltanto un’iniezione.
L’aveva lasciata sola e, dopo, cinque minuti, era rientrato con un vassoio con delle cose da mangiare. Finita la cena, le aveva fatto prendere una pillola e l’aveva lasciata di nuovo sola.
Era andata avanti così per una settimana: due iniezioni, una al mattino ed una alla sera, e tre pasti al giorno, sempre seguiti dalla pillola.
Dopo un paio di giorni aveva cominciato a sentirsi strana, ma non capiva se dipendeva dalle misteriose medicine che era costretta a prendere, oppure era colpa della prigionia.
Il cambiamento era avvenuto la mattina del settimo giorno.
Si sentiva i seni gonfi, come se, improvvisamente, le sue tette fossero cresciute di un paio di misure.
Il suo carceriere, quando era entrato, dopo averla osservata, aveva sorriso in maniera strana, poi le aveva sollevato la maglietta.
Barbara si era messa a gridare mentre l’uomo le tastava i seni e le toccava i capezzoli.
‘Bene, bene! Finalmente ci siamo. Oggi cominceremo.’
Quella mattina, dopo la colazione, la porta si era aperta nuovamente. L’uomo spingeva uno strano macchinario su ruote, con dei tubi trasparenti ed un grande vaso di vetro.
L’aveva fatta sedere sulla sedia e le aveva legato i polsi dietro la schiena.
Quella mattina Barbara aveva subito la sua prima mungitura. Sì, come se fosse una mucca, anzi l’uomo le spiegò che quella macchina veniva usata per pecore e capre, che avevano le tette più piccole rispetto alle mucche.
Barbara aveva gridato, lo aveva supplicato di non farlo, ma lui continuava a preparare il macchinario come se lei fosse realmente un animale, il cui compito fosse solo quello di produrre latte.
Si erano gonfiate anche di più, nel frattempo, ora le parevano enormi, una cosa strana per lei, che aveva un fisico minuto, con due seni piccoli ed aggraziati.
Lui le aveva passato un fazzolettino bagnato, probabilmente di disinfettante, sui capezzoli, gonfi e sporgenti, poi le aveva fissato due affari di metallo a cui erano attaccati dei tubi di plastica trasparente.
Le davano fastidio, avrebbe voluto strapparli via, ma le sua braccia erano immobilizzate.
La macchina si era avviata.
Era una sensazione strana e fastidiosa, per il rumore e le vibrazioni, ma non dolorosa.
Quella curiosa macchina la stava succhiando con forza e vedeva il latte, il suo latte, che zampillava dentro il vaso di vetro, mentre, contemporaneamente, sentiva i suoi seni sgonfiarsi.
L’avrebbe riempito tutto? No, non era possibile, quel vaso era enorme, sarebbe bastato per un intero gregge, almeno lei pensava.
Quando lui aveva staccato la macchina, in fondo al vaso di vetro c’erano solo due dita di liquido.
Aveva sentito l’uomo bofonchiare qualcosa riguardo alla produzione che sarebbe migliorata nel tempo.
Finalmente sola, si era guardata. I capezzoli, dove era attaccata la macchina, erano gonfi ed arrossati, mentre i suoi seni apparivano allargati e come sgonfiati.
Aveva pensato a quelle maledette iniezioni ed alle pasticche che era stata costretta a prendere.
Che roba era? Ormoni? Lei di queste cose non ne capiva molto, ma era certa che erano la causa di tutto ciò
Nei giorni successivi la terapia era stata alleggerita: niente pillole e solo una iniezione la sera.
Ora aveva molto più latte ed il vaso, quando terminava la mungitura, era pieno per un terzo.
Le sue giornate erano scandite in maniera assolutamente regolare: al mattino colazione e poi mungitura, a mezzogiorno il pranzo, la sera cena, seconda mungitura e, prima di andare a dormire, l’iniezione.
Aveva anche provato a ribellarsi, ma aveva scoperto che il vecchio era molto forte fisicamente, e non sarebbe mai riuscita a sopraffarlo. Inoltre, nel corridoio che portava alla sua cella, c’era un’altra porta in ferro, e lui la chiudeva sempre prima di entrare nella stanza, così, se pure fosse riuscita a sfuggirgli, non avrebbe potuto guadagnare la libertà.
Dopo qualche tempo, una sera, aveva provato a non farsi attaccare la macchina ai seni.
Si era messa a strepitare, aveva tentato di rovesciare il macchinario e di strappare i tubicini, finché il vecchio aveva desistito.
‘Ne riparliamo domani.’ Aveva detto accompagnando le parole con un sorriso enigmatico.
Era stata una brutta notte per Barbara, perché il suo organismo continuava a produrre latte, che non trovava la naturale via d’uscita. Si era svegliata verso le tre con la maglietta zuppa ed i seni così gonfi che le sembrava dovessero scoppiare da un momento all’altro. I capezzoli le facevano un male cane, così aveva cercato di spremersi ma erano uscite solo poche gocce di latte, mentre il dolore sembrava aumentare.
Aveva trascorso il resto della notte seduta sul letto, incapace di riaddormentarsi e, quando finalmente aveva sentito aprirsi la porta, aveva pensato che la cosa che più desiderava al mondo era essere munta, immediatamente.
Il vecchio doveva certamente conoscere il suo stato d’animo perché non era entrato con il vassoio della colazione, ma direttamente spingendo la mungitrice.
Barbara si era prontamente seduta sulla sedia e si era arrotolata la maglietta fin sotto le ascelle, scoprendo i suoi seni gonfi e bagnati.
‘Ma che belle tettone piene di latte! Sicura che non vuoi fare prima colazione?’
‘No per favore, mi attacchi quei tubi, subito, non ce la faccio più.’
‘Non è che poi mi fai le bizze di nuovo, come ieri? Credo sia meglio aspettare fino a questa sera.’
‘No, no! Per favore, lo prometto, sarò buona.’ Aveva detto proprio così, come se fosse stata una bambina e non una donna di venticinque anni.
Piangeva disperatamente e, con le mani piazzate sotto i seni gonfi, protendeva in avanti i capezzoli arrossati, sperando che lui si decidesse ad attaccarli alla macchina.
Quando la mungitrice era partita, era stata una vera e propria liberazione. Il latte defluiva nel vaso di vetro e la pressione sulle sue mammelle si alleggeriva gradualmente.
Il vecchio aveva spento la macchina quando il contenitore di vetro era pieno per metà e i suoi seni così ammosciati ed appiattiti sul petto, da sembrare due otri sgonfi.
Nei lunghi momenti di solitudine Barbara si era chiesta spesso perché.
Tutto ciò non aveva senso.
Avrebbe potuto capire una prigionia finalizzata alla violenza, alla tortura.
Aveva letto spesso di donne rapite, segregate e violentate, da maniaci, in altri casi, persone dalla mente malata, si erano spinte a sevizie orribili, fino ad uccidere la loro preda, ma pensare che un uomo potesse rapire una giovane donna soltanto per mungerla due volte al giorno, era una vera e propria assurdità.
Delle volte immaginava quel vecchio mentre da solo, nella cucina della sua casa, cenava con una bella tazza di latte con dentro il pane rotto a pezzetti.
Uno zuppone di latte e pane raffermo, fatto proprio con il suo latte, appena munto.
Era un’immagine fastidiosa, mortificante, poi però pensava che era molto meglio di essere violentata o magari torturata.
In quei mesi l’aspetto di Barbara era cambiato decisamente.
I suoi capelli ricci e biondi, in mancanza delle attenzioni di un buon parrucchiere, sembravano un cespuglio incolto, visto anche che, per la mancanza di acqua calda, di una doccia e di un buon phon, venivano lavati molto di rado.
L’immobilità a la mancanza della luce del sole avevano influito negativamente sulla pelle e sulla forma fisica della donna.
Barbara si sentiva moscia e flaccida quando si guardava allo specchio del piccolo bagno della sua cella.
Il suo viso era stanco ed invecchiato ed i suoi seni, dopo quel trattamento prolungato, avevano perduto la forma originaria. Ora apparivano esageratamente grandi, larghi e pendenti verso il basso, al punto che si poggiavano sul suo ventre. I capezzoli, dopo essere stati attaccati alla macchina centinaia di volte, risultavano segnati e deformati.
A volte pensava che fossero veramente diventati come quelli di una mucca.

Così quella mattina, come ogni mattina, Barbara si svegliò e si preparò alla nuova giornata.
Si mise a sedere sulla brandina ed osservò, sulla maglietta grigia e ormai stinta che le ricopriva i seni, le due macchie bagnate in corrispondenza dei suoi capezzoli.
Era pronta. Le sue tette, che durante la notte si erano completamente riempite di latte, erano pronte per essere munte.
La porta si aprì ed entrò il vecchio con il vassoio della colazione.
Barbara mangiò in fretta, mentre l’uomo preparava la macchina.
Finita la colazione, semplicemente scostò la sedia dal tavolo e si sollevò la maglietta, arrotolandola per bene. Fece quel gesto che aveva fatto per otto mesi, mattina e sera, e che avrebbe continuato a fare, finché lui lo avrebbe voluto.
I tubi erano stati attaccati e la macchina iniziò ad aspirare.
Dopo sarebbe stata a posto, fino alla sera.

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