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Racconti di Dominazione

Le notti di Emma

By 6 Aprile 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Era seduta su una pesante sedia di legno scuro, con lo schienale alto ed i braccioli intarsiati.
Emma indossava solo una specie di saio, di stoffa rozza ed ispida, una volta probabilmente bianco, ma ora di un colore indefinito tra il grigio ed il marroncino, pieno di macchie e di strappi ed i suoi piedi nudi poggiavano sul pavimento freddo ed umido della grande sala.
Ai due lati stavano in piedi due uomini vestiti con una strana tunica verde, da cui spuntavano le gambe e le braccia muscolose.
Erano robusti e giganteschi e sembrava si trovassero lì solo per impedirle la fuga.
Il grande tavolo di legno scuro, li separava dal giudice, almeno lei aveva capito che quell’uomo vestito di nero, esile ma dall’aria spietata, fosse un giudice.
Parlava con una vocina fioca ed educata che le ricordava quella dei preti e ogni tanto la fissava attraverso degli occhiali dalla montatura dorata.
Era in corso un processo, di questo ne era certa.
Il giudice aveva parlato a lungo, ma Emma era riuscita a capire solo che l’imputata era lei.
Non aveva la minima idea di cosa fosse imputata, il giudice non l’aveva mai invitata a parlare e qualcosa le suggeriva che non sarebbe stato opportuno prendere la parola per chiedere spiegazioni.
Kafka?
Parecchi anni prima aveva letto un libro di questo autore che parlava appunto di un processo simile, almeno le sembrava di ricordare.
‘Sei stata riconosciuta colpevole.’
Le parole del giudice avevano interrotto i suoi pensieri.
Colpevole, ma di che cosa?
‘La sentenza sarà eseguita immediatamente, in questa sala, e se ne occuperanno i due carcerieri qui presenti.
Io mi accerterò di persona che tutto venga eseguito correttamente, in base alla sentenza che mi appresto a leggere.
Per prima cosa le tue mammelle saranno trapassate con uno spiedo.’
Spiedo? Ma che cavolo dice questo, non sono mica un pollo, pensò Emma, pentendosene subito perché il tono grave delle parole del giudice faceva pensare a qualcosa di terribile.
‘Nello spiedo sarà fatta passare una robusta catena e sarai sollevata, per mezzo di una carrucola, in modo da rimanere sospesa in aria.
Dovrai poi essere frustata, dalla vita in giù, a sangue.
Con le parole a sangue si intende che i tuoi carcerieri ti colpiranno finché la pelle non si spaccherà, finché la frusta non penetrerà nella tua carne viva ed il sangue non comincerà a scorrere.
Ogni parte del tuo corpo, dal ventre fino ai piedi, dovrà essere frustata, senza tralasciare neanche la più piccola porzione di pelle.
Infine, le tue ferite verranno ricoperte di sale, il più fino possibile, e sarai lasciata così, sempre sospesa, finché non sopraggiungerà la morte.
Ricordo ai due carcerieri che durante la somministrazione della pena, la condannata dovrà sempre essere sveglia e cosciente e, qualora dovesse perdere i sensi, essi dovranno fermarsi e rianimarla, prima di proseguire.
Il processo è terminato, si proceda con l’esecuzione della sentenza.’
Emma era rimasta sconvolta dalle parole del giudice, ma non c’era tempo per ragionare, perché i due carcerieri la sollevarono dalla sedia, prendendola sotto le ascelle, come se fosse una piuma, e la portarono via.
Le urla di Emma che agitava disperatamente le gambe nude sotto il saio, risuonavano sinistre nella grande sala, ma nessuno dei presenti sembrava impressionato.
La donna smise di gridare solo quando fu sbattuta violentemente, di schiena, su un duro tavolato di legno.
In un attimo si trovò con braccia e gambe allargate, legate con delle funi, poi udì dei rumori, come di ingranaggi in legno che giravano, e sentì le articolazioni che si tendevano.
I due carcerieri si avvicinarono. Erano entrambi enormi e con il cranio rasato, ma uno era chiaro di carnagione e con gli occhi azzurri, mentre l’altro era scurissimo.
Il primo prese un coltello e tagliò sul davanti il saio di Emma, denudandola completamente.
Vide per un attimo un bagliore strano nello sguardo dei carcerieri, sparito immediatamente quando il giudice si avvicinò a loro.
Il carceriere biondo le prese un seno tra le mani, circondandolo con le dita disposte a cerchio e ne spinse la carne verso l’alto, poi afferrò forte, tra pollice ed indice, il capezzolo e tirò.
Emma ripensò alla prima frase della sentenza e capì cosa le stava per accadere.
L’altro si avvicinò brandendo un grosso ferro nero a sezione quadrata.
Era lungo più di un metro ed appuntito ad una delle due estremità.
‘Cerca di infilarlo più in profondità che puoi, la donna ha le mammelle piccole e sarebbe un guaio se la carne si strappasse prima della fine del supplizio.’
L’uomo lo spinse di lato, contro il seno tenuto in tensione dal suo compagno, cercando di tenersi vicino al petto di Emma, e la carne si deformò in corrispondenza della punta, ma non riuscì a penetrare.
Evidentemente la punta non era abbastanza aguzza.
Spinse ancora e questa volta il metallo affondò nella carne della donna.
Stranamente il sangue usciva ma lei non sentiva alcun dolore.
Continuò a spingere ed a girare, in un senso e nell’altro.
Emma sentiva il ferro che si faceva strada nella carne del suo seno ma era come se non le appartenesse.
Il dolore, fortissimo ed insopportabile arrivò tutto insieme, quando la punta apparve dall’altra parte.
Ora il sangue usciva a fiotti ed il ferro, da nero, era diventato completamente rosso.
Fecero passare la punta dello spiedo attraverso l’ultimo anello di una grossa catena, poi si sentì prendere l’altro seno.
Avrebbe voluto far qualcosa, ma era totalmente immobilizzata e poté solo gridare, quando il ferro, questa volta spinto subito con la giusta energia, le entrò nella carne.
La punta uscì di nuovo ed il carceriere nero fece scorrere lo spiedo finché non fu sicuro che le parti che fuoriuscivano di lato fossero di identica lunghezza.
Le sciolsero i polsi e le caviglie e la fecero alzare in piedi.
Il dolore era terribile ed il sangue che le colava dai fori scendeva sul suo ventre per proseguire sulle gambe e finire a terra.
Guardò in basso verso i suoi poveri seni infilzati crudelmente da quel ferro, che, con il suo peso, unito a quello della catena, li tirava in basso.
La fecero camminare ed ogni passo era un tormento, perché il ferro si muoveva e le provocava delle fitte terribili.
La catena le sbatteva in mezzo alle gambe e sentiva il metallo freddo degli anelli strusciare sul suo ventre e sul suo sesso.
Per cercare di alleviare il dolore, visto che ora aveva le braccia libere, mise le mani a coppa sotto i suoi seni, cercando di sostenerli.
Non sapeva se questo le sarebbe stato permesso ma provò, ed i due carcerieri non le dissero nulla.
‘Basta così. Fermati.’
Dal soffitto pendeva un grosso gancio di ferro arrugginito, il nero alzò un braccio, afferrò il gancio e lo tirò verso il basso, mentre il suo compagno si chinava per prendere il capo libero della catena, tra le gambe di Emma.
‘Agganciato, comincia pure a issarla.’
Il nero si era messo all’opera, manovrando un rudimentale argano di legno ed Emma, tra mille rumori e cigolii, si sentì tirare verso l’alto.
Uno strappo terribile ai suoi seni e lei, in un disperato tentativo di salvarli, si aggrappò con le mani alla catena cercando di sollevarsi.
L’uomo all’argano si fermò e si volse verso il giudice.
‘Continua pure, non ti preoccupare, si stancherà presto, basterà qualche frustata per farle mollare la presa.’
La sollevarono ancora, poi bloccarono l’argano.
Era sospesa a meno di un metro da terra, aggrappata disperatamente con le mani agli anelli della catena.
Prima che iniziassero a frustarla, pensò che era meglio salire il più possibile verso l’alto e si arrampicò velocemente lungo la catena.
Le sue mani si erano aggrappate con forza agli anelli di metallo, avrebbe resistito fino alla fine, ne era convinta.
In basso, i due carcerieri avevano impugnato una frusta per uno e si erano messi uno avanti e l’altro dietro.
Il giudice prese uno sgabello e si sedette di fronte ad Emma, deciso a godersi lo spettacolo.
Le prime due frustate arrivarono quasi all’unisono, colpendola sul sedere e sulle caviglie.
Emma gridò per il dolore e si aggrappò più forte alla catena.
Continuarono a colpirla e lei vedeva le sue gambe, col passare del tempo ricoprirsi di segni rossi e violacei.
Il giudice aveva ragione: non avrebbe resistito a lungo.
Le sue dita stavano perdendo forza e la pelle sudata scivolava sul metallo della catena.
Perse un anello, poi un altro.
Stava scendendo lentamente e la curva che faceva la catena si riduceva sempre più.
Cedette di colpo quando una frustata, più forte delle altre, le attraversò la parte bassa della pancia, ferendole la vagina.
Sentì gli ultimi anelli scorrere velocemente tra le sue dita, ormai senza forza, poi uno strappo terribile.
I suoi seni erano proiettati verso l’alto ed il sangue, che ultimamente si era fermato, aveva ripreso a scorrere, dalle ferite causate dallo spiedo.
I fori, prima tondi e regolari ora si erano slabbrati ed allungati, la carne non avrebbe sostenuto il peso del suo corpo e si sarebbe irrimediabilmente strappata.
Avevano spento la luce.
Nel buio sentì una voce che diceva ‘l’aceto, datele l’aceto.’
L’odore forte e fastidioso le fece riaprire gli occhi.
Era svenuta e le avevano avvicinato al viso una lancia sulla cui punta avevano poggiato uno straccio bagnato nell’aceto.
Alzò le braccia ed impugnò nuovamente la catena con le mani, ma era troppo stanca per tirarsi su nuovamente.
Ripresero a frustarla e dopo un po’, come aveva predetto il giudice, la sua pelle iniziò a spaccarsi.
Le strisce di cuoio manovrate con energia dai due uomini, affondavano nella sua carne ed il sangue aveva iniziato a scorrerle sulle gambe.
Il nero le prese la caviglia sinistra e le spinse la gamba verso l’esterno, mentre l’altro faceva lo stesso con la destra.
Ora che le sue gambe non erano più strette l’una contro l’altra, cominciarono a colpirle la parte interna delle cosce.
Lì la pelle era più delicata e la sofferenza maggiore.
Di nuovo il buio, poi l’odore dell’aceto.
Quando il giudice alzò un braccio e disse che poteva bastare, Emma era allo stremo delle forze.
Negli ultimi minuti aveva tenuto gli occhi chiusi, ma ora li riaprì per un attimo.
Era come se indossasse un curioso collant fatto di tanti segni rossi e violacei, che seguivano una geometria complicata ed imprevedibile. Non un centimetro delle sua pelle era stato tralasciato.
Solo il suo sesso era stato in parte risparmiato nonostante il giudice, quando le frustate si avvicinavano a quel punto, si protendeva in avanti e, con quella vocina, diceva: ‘dappertutto, dappertutto.’
Ma i due carcerieri, ora diventati aguzzini, forse presi da un briciolo di pietà, colpivano sempre di lato alla sua vagina. Il giudice, distante qualche metro, anche a causa della semioscurità del salone e complice il sangue che colava dalle ferite di Emma, non se ne era accorto.
Portarono un barile pieno d’acqua e presero a strofinarle delle pezze bagnate sulle gambe.
L’acqua era fresca e le alleviava il dolore terribile e fu contenta di questa che le sembrò un’attenzione gentile, ma quando vide uno dei due uomini trascinare un secondo barile, ricordò le parole del giudice e comprese il motivo del loro gesto.
Il barile era pieno di sale, ora le avrebbero cosparso la pelle ferita con quei granelli fini e l’acqua avrebbe impedito che scivolassero via.
L’uomo dagli occhi azzurri le afferrò una caviglia.
Nell’altra mano aveva una manciata di sale.
Lo fece scendere lentamente sul dorso del piede e poi cominciò a strofinare.
L’altro, il negro, stava facendo la stessa cosa con l’altro piede di Emma.
Il dolore arrivò subito, fortissimo, avrebbe voluto scrollare via il sale dai suoi piedi, ma i due uomini le impedivano di muoversi.
Proseguirono con gli stinchi ed i polpacci. Il dolore la colpiva ad ondate, sempre più forte e ormai Emma era incapace di muoversi.
Quando arrivarono alle cosce, si fece di nuovo buio.
Riaprì nuovamente gli occhi solo dopo che furono costretti a strofinarle a lungo sulla faccia la pezza con l’aceto.
Guardò in basso, le sue gambe erano bianche fino a metà coscia, ma in alcuni punti il sale, mischiandosi con il sangue che non aveva mai smesso di uscire, aveva preso una strana colorazione rosa.
Ripresero il loro lavoro paziente ed accurato, mentre il giudice si era avvicinato per controllare meglio.
L’uomo lasciò il salone solo quando i carcerieri ebbero finito.
Emma era completamente ricoperta di sale dalla vita fino alle dita dei piedi.
Era sveglia, cosciente, ma non reagiva più, annichilita dal supplizio terribile.
‘Tornerò questa sera per vedere se è ancora viva, e voi comportatevi bene.
Ricordate, deve rimanere appesa e sveglia, e non vi azzardate a toccarla.’
Dopo cinque minuti uno dei due andò verso la porta del salone.
‘Dico alla guardia di avvertirci se torna quello stronzo del giudice.
Maledetto bastardo, non se ne andava più.’
‘Non sarà ridotta troppo male?’
‘Non credo. Certo è un peccato ridurre così una donna bella come questa.’
‘Mettila giù piano.’
L’avevano messa nuovamente sul tavolato dove, all’inizio del supplizio, le avevano trapassato i seni.
‘Toglile il sale intorno alla fica, non voglio farmi male.’
‘Senti Emma, ti chiami così, vero? Questa sera o al massimo domani mattina, sarai morta.
Hai la possibilità di farti un’ultima scopata, per chiudere in bellezza la tua vita. Che ne dici?’
‘Mi sa che non ci sente.’
‘Beh, noi, comunque, ce la facciamo lo stesso, non morirà certo per questo.’
Emma aprì gli occhi, i due carcerieri non indossavano più la tunica verde, ma erano completamente nudi.
Quello con gli occhi azzurri le allargò le cosce e si avvicinò.
Ha un cazzo enorme ed io sto per morire.
Devo farmi scopare prima di morire.
‘Avevi ragione ci sente, è tutta bagnata.’
I suoi occhi azzurri si fecero più grandi e più vicini, poi Emma sentì il pene dell’uomo entrarle dentro, mentre l’altro, carezzandosi l’arnese nero ed enorme, si prenotava per il suo culo.

Emma si svegliò zuppa di sudore.
Per prima cosa le sue mani, istintivamente, andarono ai seni.
Le sue tette erano salve, nessuno spiedo le aveva trapassate, erano ancora lì, integre, senza una scalfittura.
Scostò le lenzuola. Nessuno aveva frustato le sue lunghe gambe e meno che mai le aveva cosparse di sale.
Era stato un sogno, uno di quei terribili sogni che l’accompagnavano da quando aveva quindici anni. Ora ne aveva trentasette ma i suoi sogni erano sempre lì.
Aveva paura di quei sogni? Sì, perché la eccitavano da morire. Temeva il dolore fisico ma il solo pensiero le provocava una tale eccitazione da portarla spesso fino all’orgasmo.
Cercò a tastoni sul comodino gli occhiali e se li infilò.
Le apparve, riflesso nello specchio del comò, il suo viso magro, solcato dai capelli biondi ed ondulati.
L’orologio segnava le 7,02, aveva ventotto minuti di tempo, poi si sarebbe dovuta alzare, non voleva far tardi al consiglio di amministrazione.
Aprì il cassetto del comodino e cominciò a frugare. Trovò subito i due oggetti che le servivano.
Il secondo lo avrebbe usato per il carceriere negro, nel suo culo, dopo.
Questo, un po’ più piccolo, andava bene ora.
Anche in mezzo alle gambe era bagnata, ma non era certo sudore.
Spinse il dildo in profondità ed allargò le gambe. Un carceriere con gli occhi azzurri la stava scopando su un ruvido tavolato di legno. L’Aisha stava solcando le onde leggere, veloce e silenziosa.
Curioso, pensò Emma, ha lo stesso nome della mia barca.
Quest’Aisha era totalmente diversa dal bianco yacht a motore che Emma aveva comprato qualche anno prima: un bel caicco a due alberi, rivestito di legno scuro e lucido, con le vele latine gonfiate dal vento che lo colpiva di poppa, sui tre quarti.
Emma se ne stava tranquilla, con i gomiti poggiati sulla balaustra di legno, con i capelli biondi sciolti al vento, a guardare il baffo di schiuma bianca che si staccava dalla prua della nave.
‘Pirati!’
Quella semplice parola aveva immediatamente messo in agitazione equipaggio e passeggeri.
L’imbarcazione aveva virato di colpo ed erano state alzate tutte le vele disponibili, mentre il comandante si era messo personalmente al timone.
La nave dei pirati, un grosso tre alberi con le vele nere, nonostante gli sforzi dell’equipaggio dell’Aisha, continuava ad avvicinarsi.
Si prepararono a subire l’abbordaggio, il comandante aveva preso la sua pistola, unica arma da fuoco a bordo, il secondo impugnava la pistola per le segnalazioni, mentre gli altri si erano arrangiati con bastoni ed arpioni.
L’attacco fu rapido e devastante. Il comandante uccise con un colpo in fronte il primo pirata che era saltato sul ponte, prima di essere abbattuto da una scarica di pallettoni che lo fece cadere a terra con il viso orrendamente sfigurato, il secondo sparò il suo razzo nella pancia di un negro enorme, che cadde in ginocchio urlando per il dolore, poi fu il finimondo.
Nel giro di pochi minuti non c’era più una persona viva sulla barca, a parte i pirati.
A parte i pirati e le donne.
Oltre ad Emma, c’erano altre due donne, una signora francese sulla cinquantina, un po’ abbondante, ed una etiope giovanissima, alta e magra, con due gambe lunghe e snelle da sembrare una gazzella.
I pirati, a tutte e tre, misero una specie di gogna.
L’attrezzo era composto da due tavole di legno con tre incavi semicircolari, uno più grande al centro per il collo, e due più piccoli, ai lati per i polsi.
Le due tavole, una volta accostate tra di loro, furono bloccate con due grandi morsetti a vite.
Le tavole con l’aggiunta dei morsetti, pesavano, ma per fortuna, essendo poggiate sulle spalle non le davano troppo fastidio.
Le tre donne ora se ne stavano immobili e terrorizzate al centro del ponte, con le braccia sollevate in una posizione innaturale, impossibilitate ad usare le mani, circondate da una folla di pirati.
Un pirata si arrampicò sull’albero, rapido come una scimmia, legò delle cime ad un pennone e le fece calar giù.
Solo allora Emma notò che una delle tavole con cui l’avevano immobilizzata aveva altri due piccoli fori, più esterni a quelli per i polsi.
Poco dopo, le altre due donne erano sospese a mezzo metro da terra ed ondeggiavano un po’ per il moto delle onde, ma soprattutto perché scalciavano disperatamente, avendo capito quale fosse la loro sorte.
Il vestito della signora francese si lacerò in un attimo e lei rimase in mutandine e reggiseno.
Indossava un completo nero, pieno di pizzi ed in vita portava un reggicalze dello stesso colore, che sosteneva delle calze bianche, che le arrivavano a metà coscia.
La giovane etiope stava lottando come una leonessa, scalciava disperatamente ed emetteva dei versi che sembravano quasi dei ruggiti animaleschi.
I suoi jeans attillatissimi rendevano difficile l’opera degli assalitori, ma alla fine, uno di loro, aggrappandosi letteralmente ai suoi pantaloni riuscì ad abbassarli fino alle ginocchia.
Intanto erano riusciti a finire di spogliare la signora francese.
Il reggiseno penzolava, completamente strappato, dalle sue spalle e le sue grandi tette bianche oscillavano vistosamente ogni volta che il suo corpo si muoveva, sotto la spinta delle mani dei pirati.
Le calze bianche, strappate in più punti, erano arrotolate sotto le ginocchia, mentre le mutandine sventolavano in mano ad un pirata altissimo, che sovrastava tutti gli altri.
Solo il reggicalze era rimasto intorno alla sua vita, con le giarrettiere ormai libere ed inutili.
Quando uno dei pirati, dopo essersi abbassato i pantaloni, si avvicinò e le allargò a forza con le mani le cosce, la donna gridò.
Gridò ancora più forte quando un altro le se accostò da dietro.
Intanto erano riusciti a togliere i pantaloni all’altra e molte mani avevano afferrato e bloccato le sue lunghe gambe, mentre i più alti la aveva arrotolato la maglietta fin sotto le ascelle.
Aveva i seni piccoli con i capezzoli grandi e sporgenti.
La fecero girare di 180 gradi, le cime si attorcigliarono ed Emma vide per un attimo il suo sedere piccolo ma prominente.
Fu solo un attimo, perché arrivò un negro enorme, completamente nudo, che si teneva tra le mani il suo affare, spropositato quanto la sua corporatura.
Ora vedeva solo il corpo largo e muscoloso dell’uomo che nascondeva alla sua vista il corpo esile della ragazza, ma la grida, prima forti, poi sempre più fioche, non lasciavano dubbi su ciò che stava accadendo.
La violenza sulle sue due compagne di viaggio, durò parecchio tempo, mentre lei continuava a chiedersi quale sarebbe stata la sua sorte.
Si sentì prendere da dietro, in maniera rude, per i lunghi capelli.
‘Tu sei destinata al nostro capo.’
Fu portata al cospetto del comandante dei pirati. Sembrava uscito da un libro di avventure, con quel cappellaccio nero e la benda sull’occhio.
Doveva essere parecchio vecchio e nella sua bocca erano più i denti che mancavano che quelli rimasti.
Se ne stava seduto, a gambe larghe, su una delle sedie pieghevoli in dotazione alla barca.
‘Come ti chiami bella bionda?’
‘Emma.’
‘Apri la bocca.’
Lei ubbidì.
‘Hai una bella bocca. Sai cosa dovrai farci, vero?’
Si stava sbottonando i pantaloni, mentre i suoi uomini, intorno, ridevano rumorosamente.
‘No!’
‘Emma’, disse in tono quasi di dolce rimprovero, ‘lo sai che non puoi rifiutarti.’
Lei era in ginocchio, con la gogna poggiata su una grossa cassa di legno e la testa che sporgeva verso il capo dei pirati.
Si era aperto completamente i pantaloni e, in mezzo ad un ciuffo di peli bianchi, folto ed arruffato, aveva tirato fuori un cazzo enorme, curvo e completamente scappellato.
da quell’affare le arrivò una forte zaffata che la convinse a serrare ancora di più le labbra.
Il pirata prese a strofinarle la punta del suo cazzo sulle labbra, come se si fosse trattato di un rossetto, ma lei, con ostinazione, mantenne la bocca chiusa.
‘Peccato. Vorrà dire che lo succhierai dopo.’
Sentì una mano che le sollevava la gonna.
Il sole alto picchiava forte sulle sue cosce nude, ma il vento che spazzava il ponte dell’Aisha mitigava la sensazione di bruciore.
Sentì due mani che si infilavano sotto il bordo dello slip.
‘Non serve, puoi anche lasciarle le mutande, salteranno via dopo i primi colpi.’
Emma aveva chinato il capo in basso ma il vecchio pirata le sollevò il mento, costringendola a guardarlo.
‘Mia cara Emma, sarà molto divertente per noi trattare il tuo bel culetto con il nervo di bue, per te temo un po’ meno.
Sai cosa è un nervo di bue?’
Ne aveva solo un’idea vaga. Una specie di frusta, ma il nome faceva pensare a qualcosa di terribile.
‘Un nervo di bue, usato da un uomo robusto e che sa dove e come colpire, è in grado di distruggere un culetto piccolo e magro come il tuo, in pochi colpi.
Pensaci Emma, sono sicuro che alla fine aprirai la bocca e succhierai amorevolmente il mio cazzo, ma puoi farlo da subito, risparmiandoti inutili sofferenze.’
Emma restò con la bocca serrata e chiuse gli occhi, preparandosi a subire il terribile castigo.
Una ventata più forte delle altre si infilò in mezzo alle gambe e si rese conto che le sue mutandine erano zuppe.
Poi arrivò il primo colpo. I pirati tutti intorno gridarono per l’eccitazione, lei invece lanciò un terribile urlo di dolore.
Non poteva vedersi ma era sicura che quell’affare di bue, come cavolo si chiamava, le avesse spaccato la pelle delle natiche, affondando in profondità nella carne viva.
Aveva subito richiuso la bocca dopo il grido, per paura che il pirata ne approfittasse e sentiva le lacrime scenderle lungo le guance.
Arrivò un secondo colpo e gridò di nuovo, poi un terzo ed un quarto.
Anche se non lo vedeva, le sembrava di sentire il sangue che sgorgava copioso dalle ferite orribili che doveva avere.
Al quinto colpo gridò con meno energia e rimase con la bocca aperta.
Sentì il cazzo del vecchio pirata che entrava lentamente nella sua bocca ed iniziò a succhiarlo.
L’uomo si sporse verso di lei e prese a farle muovere la testa.
Era cresciuto ancora ed ora faticava a tenerlo in bocca, si sentiva quasi soffocare.
Aveva smesso di leccarlo e si limitava a tenere le labbra leggermente serrate contro l’asta che scorreva dentro la sua bocca.
Quando sentiva il contatto con il glande o con il frenulo, l’uomo aveva un sussulto ed il movimento si faceva più convulso.
All’improvviso aumentò il ritmo e poi la prese forte dietro la nuca.
Anche se avesse voluto, vista la presenza della gogna, Emma non si sarebbe potuta tirare indietro.
Un getto potente di sperma inondò la sua bocca, poi un altro ed un altro ancora.
Era dappertutto, prima le sbatteva sul palato, poi riscendeva sulla lingua, per finire tra i denti e le guance.
Una buona parte era sceso attraverso l’esofago mentre qualche goccia le stava sfuggendo dalla chiusura non ermetica tra le sue labbra ed il pene del vecchio.
Sembrava non finire più e per un attimo Emma temette di morire soffocata.
Alla fine il pirata tolse le mani dalla sua nuca e si tirò indietro.
Si sentiva la bocca completamente piena, le fu sufficiente restare con le labbra aperte, per vedere un fiotto biancastro, denso e continuo, uscire dalla sua bocca, colare lungo il mento e poi finire sul legno del ponte della barca.
I pirati eccitati gridavano e lanciavano in aria i loro cappellacci.
‘Una bella sborrata come non ne facevo da tempo’, disse il vecchio pirata mentre si alzava dalla sedia per risistemarsi i pantaloni.
‘Ora gli altri potranno divertirsi con te.
Per primo Dogo, che già conosci per il nervo di bue.’
Un negro gigantesco, che indossava solo una maglietta a righe, era apparso al suo fianco.
In mano teneva ancora il nervo di bue, macchiato di sangue, e fra le gambe muscolose un pene nero e così grande, che a confronto, quello del vecchio era una specie di giocattolo.
L’avrebbe sfondata, quel negro enorme, dopo averla massacrata con il nervo di bue, ora le avrebbe sfondato l’ano.
Fu attanagliata dalla paura, ma sentiva anche il suo sesso, completamente bagnato, pulsare forte.
Per prima cosa Dogo le allargò completamente le gambe, poi le infilò le dita nell’ano.
Le allargò l’orifizio gradualmente, senza che Emma quasi se ne accorgesse.
Anche se era sicura che si sarebbe trattato di un’esperienza terribile, stava trovando la cosa eccitante.
Ora le sue dita erano aggrappate ai lati dell’orifizio.
Tirò forte verso l’esterno con entrambe le mani ed Emma sentì uno strappo doloroso. Mentre Dogo infilava rapido la punta del suo pene, poi spinse forte aiutandosi con un colpo di reni ed Emma emise un gemito prolungato che si protrasse per diversi secondi, finché non sentì il corpo di Dogo a contatto con il suo.
Iniziò a muoversi, il suo movimento era lento ma potente. Lo sentiva entrare ed uscire dal suo corpo ed aveva la sensazione che il suo ano, ad ogni colpo, si allargasse un po’ di più.

Si svegliò di colpo.
Si passò una mano sulla bocca per cercare di ripulirsi dallo sperma del vecchio che poteva essere rimasto, ma le sue labbra erano perfettamente asciutte.
Il letto era pulito e non c’erano tracce di sangue, visto che nessuno aveva colpito il suo sedere con un nervo di bue.
Aprì il cassetto del comodino e prese le manette ed uno dei due vibratori.
Le aveva scelte a posta le manette, perché avevano una chiusura che lei avrebbe potuto aprire usando solo la bocca. Era necessario perché praticava sempre da sola i suoi giochi erotici.
Prese anche un vibratore, quello più grande, ed un tubetto di vasellina, infine, dopo essersi messa il vibratore nell’ano, si infilò le manette.
Aveva faticato un po’, certo se prima ci fosse passato Dogo, sarebbe entrato subito.
La chiusura delle manette fece un click leggero e bloccò i suoi polsi.
Era lo cosa più simile alla gogna dei pirati che lei avesse in quel cassetto.
Ora era in ginocchio sul letto, con le gambe aperte e le braccia imprigionate dalle manette in avanti.
Il vibratore stava facendo il suo lavoro, si sentiva sempre più bagnata in mezzo alle gambe, quando suonò il citofono.
Accidenti, e chi era a quest’ora?
Quest’ora? Che ora era?
Si sporse in avanti per vedere l’orologio sul comò.
Le otto.
Accidenti, Marco, il suo autista, doveva passare a prenderla alle otto meno un quarto, perché dovevano andare a Firenze.
Scese dal letto per andare a rispondere.
Non è facile camminare con i polsi ammanettati ed un vibratore acceso nel culo, ma riuscì a raggiungere il citofono.
‘Pronto’
La sua voce era alterata, ma Marco non poteva saperne il motivo.
‘Tutto bene? Dobbiamo essere a Firenze tra due ore, ricordi?’
‘Sì Marco, scusa, dammi cinque minuti.’
Portò la mani alla bocca e fece scattare la chiusura delle manette, poi estrasse con un sospiro il vibratore.
Si mise al volo un paio di mutandine pulite senza lavarsi, perché non c’era tempo, si vestì con le prime cose che capitavano ed uscì.
Per il trucco avrebbe provveduto in macchina. Marco aveva ventotto anni ed era il suo autista personale da cinque.
Assunto giovanissimo come usciere, Emma lo aveva notato ed aveva pensato che quel giovane intelligente e distinto era proprio sprecato per un lavoro così banale.
Doveva ammettere che parte del suo interesse era dovuto al fatto che Marco era anche un gran bel ragazzo, alto ed atletico, ma l’idea di farlo diventare il suo autista era nata quando aveva saputo che prima di essere assunto aveva partecipato a delle gare automobilistiche.
‘Non è detto che uno che corre in macchina sia un buon autista per un dirigente d’azienda’, aveva ribattuto Antonio, il suo autista di allora, che stava per andare in pensione, ‘con una berlina di rappresentanza non si fanno le curve in controsterzo.’
Emma, con la sua cocciutaggine aveva insistito.
‘Provalo, se non ti convince come guida, accetterò il tuo giudizio.’
Marco aveva superato l’esame a pieni voti e ormai da cinque anni, scarrozzava Emma in giro per l’Italia.

Quella mattina era uscita frettolosamente di casa prendendo al volo la trousse con il trucco.
Appena seduta in macchina si era ricordata: aveva dimenticato la cartellina con i documenti.
‘Marco, scusami, ma oggi ho proprio la testa in disordine. Ho dimenticato i documenti per la riunione.
Fammi il favore, vai tu a prendermeli, mentre io mi trucco, sono in una cartellina rossa, in camera da letto, nel cassetto del comodino.’
L’autista si era avviato prendendo le chiavi che lei gli porgeva ed Emma, dopo aver abbassato l’aletta parasole del passeggero, si era dedicata alla cura del suo viso.
C’era qualcosa che non la convinceva, un pensiero che le ronzava in testa.
Oddio! Ho detto cassetto del comodino.
No! dovevo dire comò.
Ripensò a cosa c’era nel cassetto del comodino, a tutto l’armamentario necessario alle sue sfrenate pratiche sessuali solitarie e andò letteralmente in panico.
Devo fermarlo, assolutamente.
Prese il cellulare.
Rispondi, maledizione, rispondi.
‘Sì, pronto.’
‘Marco, scusami, la cartellina è nel cassetto del COMO’.’
Aveva finito la frase quasi gridando.
‘Va bene, te la porto subito.’
Marco arrivò dopo un paio di minuti e partirono.
Emma cercò di dedicarsi al trucco, ma non ci riusciva.
Avrà aperto o no il cassetto? Non posso certo chiederglielo.
Il rapporto che si crea tra una persona importante ed il suo autista è molto intimo, veramente unico a volte. Tra le due persone, a causa del molto tempo che trascorrono insieme, si crea una confidenza difficilmente riscontrabile in altri casi.
Emma dava del tu a Marco, ma non perché lo considerava un servitore di basso rango, entrambi si davano del tu e conoscevano molte cose l’uno dell’altro.
Si accorse che Marco ogni tanto annusava l’aria.
Senza farsi notare, chinò la testa verso destra e provò a sentire se la sua ascella puzzasse o meno, visto che non aveva fatto in tempo a lavarsi.
No, tutto sommato non puzzava di sudore.
Poi lo sentì.
Si era messa al volo uno slip pulito ma sotto era completamente fradicia ed i suoi umori erano continuati ad uscire inzuppandolo, come lo aveva sentito lei, poteva averlo notato anche il suo autista, che ora sembrava sorridere in maniera ironica.
Doveva sapere.
Basta, glie lo chiedo. Se non ha aperto il cassetto lascio morire la discussione, ma se l’ha aperto lo devo sapere.
Se l’ha aperto, ci ha trovato tre dildo di dimensioni diverse, due vibratori grandi più uno piccolo, da tenere tutto dentro e dotato di telecomando, due paia di manette, corde e catene, pinze da mettere sui capezzoli ed un ball gag, oltre ad un tubo gigante di vasellina.
Già, se ha frugato bene si sarà anche accorto che il vibratore bianco era ancora caldo e spalmato di vasellina.
Sono finita.
‘Marco, voglio che tu sia sincero. Lo avevi già aperto il cassetto del comodino, prima che ti chiamassi.’
Non rispose subito, perché impegnato nel sorpasso di un camion.
‘Sì Emma, mi dispiace.’
Si sentì mancare il respiro per un attimo, poi ebbe l’impressione che il vibratore fosse di nuovo dentro di lei ed il suo sesso avesse preso letteralmente a gocciolare.
L’odore si era fatto più forte?
Forse era solo un impressione.
‘Mi dispiace che una donna giovane e bella come te debba ricorrere a questo per provare un po’ di piacere.
Lo fai sempre da sola vero?’
Emma era imbarazzatissima e le sembrava che il sedile dell’auto fosse diventato incandescente.
Marco sapeva tutto della sua vita, era a conoscenza delle sue scarse frequentazioni al di fuori del lavoro.
Entrando nella sua camera da letto doveva aver capito che poco prima si stava ferocemente masturbando con un vibratore ed era talmente presa dall’operazione da aver dimenticato un importante appuntamento di lavoro.
Se poi il suo autista aveva effettivamente captato il suo odore era anche consapevole di quanto lei fosse ancora terribilmente arrapata.
‘Non ti preoccupare, Emma, resterà tra di noi, però ‘.’
‘Però cosa?’
‘Hai una gran bella collezione di quei giocattolini.’
Era scoppiata in una risata, più per allentare la tensione, che per reale convinzione.
Doveva vergognarsi, aver voglia di sprofondare sotto terra: il suo autista aveva appena scoperto la sua collezione di strumenti erotici e sado maso, era completamente nuda ed indifesa davanti a quel suo giovane dipendente.
E invece no, al senso di vergogna si stava sostituendo una eccitazione che non riusciva a giustificare.
Se fosse stata seduta di dietro (ma lei non amava il sedile posteriore dell’auto, perché le toglieva la visuale della strada e le sembrava una cosa da vecchi), avrebbe infilato una mano sotto la gonna e si sarebbe masturbata.
‘Emma.’
Marco aveva ripreso a parlare e l’aveva distolta dai suoi pensieri.
‘Io vorrei aiutarti.’
Emma si era voltata verso di lui fissandolo con aria interrogativa.
‘Non mi fraintendere. Io ho appena scoperto un tuo lato della personalità molto particolare, che probabilmente non conosce nessuno, neanche la tua migliore amica.
Quando sono entrato in camera da letto, ho sentito subito l’odore, il tuo odore.
Era quell’odore forte ed inconfondibile che solo una donna eccitata oltre ogni limite può lasciare dietro di sé.
Nel letto disfatto c’era una grande macchia ancora fresca che mi toglieva ogni dubbio.
Quando ho messo le mani nel cassetto ho toccato per primo il vibratore.
Era caldo, e quando l’ho annusato ho capito subito dove lo tenevi quando ti ho citofonato.
Ho aperto completamente il cassetto ed ho guardato tutto il suo contenuto.
è stato molto eccitante immaginarti mentre usavi quegli oggetti e ti muovevi nel letto gridando di piacere.
Scusa, ma non ho potuto proprio fare a meno di pensarti con quel coso bianco piantato in mezzo alle chiappe mentre godevi pazzamente, magari dopo esserti schiacciata i capezzoli con quelle pinzette di metallo ed esserti legata in qualche maniera.
Emma, se fossi il tipo di uomo che approfitta banalmente della situazione e si è accorto dello stato in cui ti trovi ora, ti infilerei una mano sotto la gonna e ‘
sono sicuro che sei uscita così in fretta che non hai neanche messo le mutandine.’
‘No, no, le ho messe.’
Accidenti la conversazione stava prendendo una piega sbagliata, doveva riportarla sui binari normali, sugli argomenti permessi ad una giovane manager in compagnia del suo autista.
‘Le hai messe? Complimenti allora!’
Lo sguardo di Marco si era abbassato verso il ventre di Emma, fasciato da una stretta gonna di lino grigio, lei aveva fatto lo stesso ed aveva visto una grande macchia scura che si stava allargando.
‘Emma se ti piace fare queste cose, io potrei aiutarti.
Aspetta, non mi interrompere, fammi spiegare bene.
Non ti sto proponendo di scopare con me.
Se ti piace essere legata, sottomessa, e magari subire anche qualcosa di un po’ doloroso, potrei aiutarti nella preparazione, visto che non è possibile legarsi per bene da soli, poi ti lascerei sola e tornerei in seguito a slegarti.
Pensaci bene Emma, non mi devi dare una risposta ora.

Emma, prima di entrare nella sala della riunione era andata in bagno.
A gambe larghe ed in punta di piedi di fronte al lavandino, dopo essersi tolta le mutandine completamente fradicie, aveva cercato di sciacquarsi il più possibile.
Lo slip era rimasto nel cestino del bagno, coperto da diverse salviette di carta, e la cucitura del collant le dava un po’ fastidio, ma almeno era riuscita ad eliminare in gran parte la fonte di quell’odore che non poteva certo portare dentro la sala della riunione.
Era entrata con dieci minuti di ritardo, scusandosi e tenendo la cartellina rossa davanti a sé, visto che la macchia non si era ancora asciugata.
Sarebbe bastato concentrarsi sull’argomento e non sarebbe accaduto niente di imbarazzante.
Nel viaggio di ritorno lei e Marco si scambiarono solo poche parole.
Al momento di scendere lei disse soltanto ‘Ti farò sapere presto per ‘ ciao, Marco.’
‘Ciao, Emma.’ Camminavano in fila indiana, lentamente perché le pesanti catene che portavano ai piedi non permettevano loro un’andatura veloce.
In testa un soldato, armato di una lancia teneva stretta nella mano l’estremità di una lunga catena.
La catena passava attraverso degli anelli di ferro attaccati al polso destro di ognuna di loro e terminava nel pugno di un altro soldato, vestito ed armato identicamente al primo, che chiudeva lo strano corteo.
Erano le donne che andavano al mercato, pensavano i passanti mentre si scansavano per lasciare loro il passo.
Sotto quegli abiti lunghi e neri, completi di cappuccio che lasciava intravedere solo una parte del viso, c’erano dieci donne che andavano incontro al loro triste destino.
L’ultima della fila era Emma.
Solo una piccola ciocca dei suoi lunghi capelli biondi usciva fuori dal cappuccio ed il suo colore chiaro risaltava sul nero del vestito.
Sotto quella specie di saio il suo corpo era nudo e la stoffa ruvida le sfregava fastidiosamente sulla pelle.
Passarono sotto un grande portone, sormontato da un arco moresco e poi le fecero entrare in un stanzone buio.
Il soldato di testa liberò dalla catena la prima della fila e l’affidò ad altri due uomini vestiti come lui.
Da una stretta apertura, collocata in alto arrivava un po’ di luce e le voci attenuate di molte persone.
Una ad una, le donne venivano sfilate dalla catena e la fila si accorciava.
Alla fine fu il turno di Emma e lei si incamminò lentamente facendo sferragliare le catene che portava ai piedi.
I ceppi erano pesanti e il metallo, lavorato in maniera grossolana, le feriva le caviglie ad ogni più piccolo movimento.
Aveva camminato a lungo nella terra mista a pietre aguzze ed i suoi piedi, abituati alla protezione di morbide e costose calzature, ora sanguinavano.
Imboccarono una ripida scala in pietra e l’uomo alle sue spalle cominciò a spingerla brutalmente, dopo averle piazzato una mano sul sedere.
All’improvviso si trovò all’aperto.
La luce abbagliante del sole la costrinse a serrare le palpebre.
I suoi piedi nudi poggiavano su una grande pedana di legno, di fronte una moltitudine di uomini che indossavano abiti di foggia strana e dai colori variopinti.
Sulla pedana, oltre a lei c’era un omino vestito di verde, con un gran turbante in testa dello stesso colore.
‘E per finire’, disse con una potente voce baritonale che contrastava con la sua esile figura, ‘una cagna cristiana.’
Un mormorio minaccioso si levò dalla folla disposta di fronte a loro, in quella che le sembrava una specie di piazza.
‘E’ un po’ magra ed ha anche i seni troppo piccoli, direte voi, ma ha i capelli del colore dell’oro, e poi è forte ed in buona salute.
Sono sicuro che farete delle buone offerte’
Si avvicinò ad Emma, che era rimasta stupita da questa presentazione, e le aprì il pesante saio nero.
Questa volta un mormorio di stupore e di ammirazione venne dal pubblico di quello strano banditore.
Il vestito era finito a terra, ai piedi di Emma ed ora lei era completamente nuda, di fronte a cento e più uomini che se la sarebbero contesa come se si fosse trattato di un vitello o un maialino in vendita in una fiera di campagna.
Il banditore prese una sottile bacchetta di legno e la puntò sul suo viso.
‘Apri bene la bocca, fai vedere i tuoi denti.’
Emma ubbidì.
‘Guardate, la sua dentatura è bianca e perfetta.’
Mise la bacchetta sotto i suoi seni, tenendola ai lati con entrambe le mani, e la mosse diverse volte in su ed in giù.
‘Come ho detto prima, i suoi seni sono piccoli, ma osservate come sono sodi.’
Le infilò la bacchetta in mezzo alle cosce.
‘Apri le gambe, cagna.’
Emma si rifiutò e lui la cominciò a colpirla.
‘Ahi, ahi.’ gridò lei saltellando nel tentativo di scansare i colpi, poi allargò le gambe.
L’uomo ne approfittò subito per infilare la bacchetta in orizzontale e sollevarla, fino a farla sparire tra le labbra della sua vagina.
‘Guardate il suo sesso, è fresco come una rosa annaffiata da poco tempo, non vi sto certo proponendo una prostituta appena uscita da un lupanare.’
Quel termine così strano ed desueto, aveva scosso per un attimo Emma, ma le grida e gli schiamazzi del pubblico di fronte a lei, l’avevano subito riportata alla realtà.
‘Ed ora uno sguardo al dietro.
Voltati, cagna.’
Aveva impugnato di nuovo la bacchetta ma Emma questa volta fu pronta ad ubbidire prima di essere colpita.
Commenti di delusione le giunsero dagli uomini che affollavano la piazza, non capiva cosa ci fosse di sbagliato nel suo posteriore.
‘Lo so, questo è un piccolo difetto, però sapete come sono i predoni del deserto, non hanno resistito alla tentazione di rifilarle una buona dose di scudisciate, ma sono sicuro che la sua schiena tornerà più o meno come prima.’
In quel preciso momento Emma si rese conto che le spalle e la schiena le dolevano da impazzire.
Fino ad ora non aveva sentito nulla, poi le parole del banditore, unite forse al sole che picchiava duro sulla sua pelle chiara, avevano fatto arrivare al suo cervello quelle spiacevoli sensazioni.
‘Ma io voglio sottolineare, per concludere, questa piccola meraviglia.
No, non è troppo piccolo, è perfettamente adeguato alla sua corporatura.
Osservate la perfetta rotondità dei suoi glutei, e poi ‘
chinati cagna, e allarga le gambe.
Vi farò vedere che i predoni non hanno sciupato irrimediabilmente il suo ano.
Scusatemi, illustri signori, ma, solo per un attimo, dovrò toccare il corpo di questa donna.’
Si mise di lato, per lasciare libera la visuale, e con le mani allargò delicatamente le natiche di Emma.
‘Osservate bene l’orifizio, chi è lontano, se vuole, può avvicinarsi.
Ferma cagna, non ti muovere, ferma così.
I predoni non l’hanno sciupato, il suo ano è ancora praticamente nuovo.’
Emma piegata in due, con il banditore che le teneva le natiche allargate, sentiva distintamente i commenti degli uomini che si erano avvicinati per vedere meglio.
‘Bene, credo che possa bastare. Ora diamo inizio all’asta.’
Fu un’asta lunga e combattuta.
Lei di nuovo in piedi, con le braccia stese lungo i fianchi, assistette ad una lunga battaglia di numeri, che salivano continuamente.
Non aveva idea a che moneta facessero riferimento, ma, dalle espressioni, capì che sarebbe stata aggiudicata ad una cifra considerevole.
Il sole, che aveva raggiunto il punto più alto, picchiava duramente sul suo corpo nudo, specialmente sulle spalle e sulla schiena, che dovevano avere delle vere e proprie piaghe.
Alla fine il banditore si mise al centro della pedana e sbracciandosi disse: ‘Bene, per oggi abbiamo finito, questa era l’ultima, potete andare.’
Poi, rivolto ed Emma, aggiunse, ‘Sei stata fortunata, cagna dai capelli d’oro, sei stata comprata dallo sceicco.’
Due soldati, dopo che il banditore le ebbe fatto indossare nuovamente il vestito nero le fecero fare lo stesso tragitto a ritroso.
Emma notò che, pur sorvegliandola, si tenevano a distanza, facendo attenzione a non toccarla.
Nello stanzone dove prima aveva atteso il suo turno, le tolsero le catene ed i ceppi e l’affidarono a due uomini vestiti di rosso, che dovevano essere evidentemente guardie dello sceicco.
Il viaggio verso la residenza del suo futuro padrone lo fece dentro ad un carro chiuso, legata mani e piedi con delle robuste funi.

Era vestita completamente di rosso, una camicia di seta a maniche lunghe, morbida e fresca, ed un paio di pantaloni larghi, che le ricordavano le immagini delle odalische, come le aveva viste a volte sui libri.
‘E’ pronta, è stata lavata e profumata, il suo sesso è stato completamente depilato, puoi affidarla agli eunuchi per quell’ultima cosa, e poi sarà pronta per il nostro signore.’
La donna anziana che si era occupata di lei se ne andò mentre l’altra aprì il cancello di metallo dorato e fece avvicinare i due uomini di guardia in fondo al corridoio.
Quando Emma comprese cosa fosse quell’ultima cosa da fare prima di essere portata al cospetto dello sceicco, era troppo tardi per reagire, ammesso che avrebbe potuto tentare qualcosa contro quei due, che, anche se privati di un attributo importante, sembravano per altro ben dotati di muscoli.
Era accovacciata su un tavolo, con un panchetto sistemato sotto la pancia, per evitare che si potesse sdraiare.
Le avevano tolto le pantofole di seta ricamata e le avevano immobilizzato le caviglie con delle fasce di seta, morbide ma resistenti. Alla stessa maniera le avevano bloccato i polsi.
Era immobilizzata, in maniera assolutamente indolore e il ricordo fastidioso dei ceppi e delle catene era lontanissimo.
Uno dei due le slacciò la sottile cintura dei pantaloni e li abbassò fino alle ginocchia, poggiate sul tavolo.
Un grande braciere, davanti a lei, mandava delle piacevoli ondate di tepore, che arrivavano fino alle parti denudate del suo corpo.
L’altro eunuco iniziò ad azionare un grande mantice e la brace si ravvivò immediatamente.
Ora il calore era aumentato, le vampate di calore che le arrivavano cominciavano ad essere molto meno piacevoli.
‘Apri la bocca e stringi questa tra i denti.’
Emma si trovò a mordere una larga striscia di cuoio, poi l’eunuco le passò una cintura di pelle intorno alla testa, in verticale, stringendola forte sotto il mento.
Cominciava a capire cosa le sarebbe accaduto ed il sudore, cominciò a scenderle lungo il viso.
‘Emma questa servirà a non farti mordere la lingua quando ‘
Hai capito cosa ti faremo?
Tu ora sei proprietà dello sceicco e dovrai essere marchiata a fuoco con il suo simbolo.’
Emma si agitò ed emise un gemito soffocato.
‘Premerò il ferro rovente qui’, Emma si sentì toccare sulla natica sinistra ed ebbe un sussulto, ‘e qui’, la toccò anche dall’altra parte.
‘Sarà molto doloroso e dovrò tenere premuto il marchio per un po’ di tempo, in modo che il segno del tuo padrone rimanga per sempre sulla tua carne.
Se dovessi riuscire a fuggire da qui, chiunque ti trovasse, vedendo il simbolo del nostro sceicco, ti riporterebbe immediatamente da lui.
Ora il mio compagno ti terrà ferma, ma tu devi collaborare, perché se ti muovi e la marchiatura viene male, sarò costretto a rifarla in un altro punto, anche più volte, finché non sarà perfetta.
Non vuoi essere marchiata dappertutto, vero Emma?’
Fece cenno di no con la testa poi vide che l’eunuco, che nel frattempo si era avvicinato al braciere, stava tornando con un lungo ferro in mano.
All’estremità c’era applicato uno strano disco di metallo, traforato con strani disegni tipo arabeschi e decori geometrici, grande quanto il il pugno serrato di Emma.
Era completamente rosso e fumava.
Emma si divincolò ma le fasce di seta, serrate strettamente, non le permisero un gran movimento. Poi si ricordò della minaccia di ripetere l’operazione più volte e si immobilizzò.
L’altro eunuco doveva aver preso posizione perché si sentì premere dietro la schiena e schiacciare contro lo sgabello sottostante.
Sentì il contatto del marchio rovente con il suo corpo. Lo sentì affondare nella carne morbida, mentre i suoi denti affondavano nella striscia di cuoio e lei cercava invano di gridare attraverso la bocca che non poteva aprire.
Le sembrò che fosse passata un’eternità prima che l’eunuco togliesse il ferro dalla sua carne.
Posò il ferro sopra il braciere e ne prese un altro identico.
Il dolore era atroce, mille volte più forte di quelle causato dalle frustate dei predoni, giorni prima, con il passare dei secondi sembrava aumentare, ed ora glie lo avrebbero fatto di nuovo dall’altra parte.
Per fortuna, come il ferro rovente tornò a morderle la carne, Emma perse i sensi.
Quando rinvenne era sdraiata sullo stesso tavolo, l’avevano liberata dalla fasce di seta ed avevano tolto lo sgabello per farla stare distesa.
Aveva ancora i pantaloni abbassati ed un dolore sordo e pulsante le ricordò cosa aveva appena subito.
‘Emma ora dobbiamo andare dallo sceicco, ti aspetta.’
La misero in piedi e le si piegarono le ginocchia.
‘Non posso non ci riesco.’
‘Devi Emma, non si può far aspettare lo sceicco.’
Uno dei due le tirò su i pantaloni mentre l’altro le faceva calzare la pantofole.
Camminava lentamente, più piano di quando, incatenata, era stata portata al mercato, le sue gambe erano libere di muoversi, ma il dolore atroce che attanagliava le sue natiche ustionate quasi le impediva di avanzare.
‘Lo sceicco è a letto, non si può alzare da mesi, perché la sua schiena, in seguito ad una caduta da cavallo, ha subito seri danni, ed anche il più piccolo movimento, potrebbe finire di spezzarla.
Dovrai muoverti tu, Emma, sopra di lui, per procurare piacere al tuo padrone.
Per questo sei qui, solo per questo.
Ricordati, solo lui deve provare piacere, se si accorge che tu ti ecciti quando sei con lui, ti punirà, e si tratterà di una punizione terribile.
‘Eccola mio signore, quella nuova con i capelli d’oro di cui ti avevo parlato.
Fresca fresca di marchiatura e pronta ad iniziare.’
‘Meglio così, oggi non mi sento molto bene e se è stata appena marchiata, sarà sicuramente più tranquilla.
‘Beh, Emma, cosa aspetti a toglierti i vestiti? E voi, dopo averle legato le braccia dietro la schiena, potete andare.’
Lo sceicco era un uomo enorme, con una lunga barba nera, affondato in un letto pieno di cuscini di ogni colore.
‘Fatti avanti ed apri le tende,così entrerà più luce e potrò vederti meglio.’
La luce del sole invase la stanza ed Emma si vide riflessa nello specchio di un grande armadio intarsiato.
Il suo sedere era orrendamente sfigurato, non avrebbe lontanamente immaginato che potesse stare in piedi un’ora dopo aver subito una cosa simile.
‘Girati, fatti vedere anche dietro.
Oh, vedo che hanno fatto un ottimo lavoro.
Ora vieni qui, ma fai piano quando sali sul letto.’
Lo sceicco indossava una grande tunica bianca e quando lei fu sul letto, sopra di lui a cavalcioni, si accorse che l’indumento aveva un grande spacco sul davanti.
‘Ti ho fatto legare le braccia perché non dovrai mai usare le mani su di me. Ora, utilizzando le labbra e la lingua, dovrai far crescere il mio pene e quando sarà sufficientemente duro ed eretto, potrai abbassarti e lasciarlo entrare nel tuo corpo.’
Emma si chinò verso la spaccatura della tunica.
Il corpo ed i vestiti dello sceicco avevano un odore curioso ma piacevole, un qualcosa che le ricordava un misto di fiori e di spezie.
Le sue labbra raggiunsero la punta del pene e lei notò un piccolo fremito.
Cominciò a leccarlo dolcemente e lo vide ergersi, uscendo fuori dall’apertura della tunica, quasi subito.
Pensò che sarebbe stato piacevole farlo con lo sceicco, allora, aprì le labbra e si abbassò.
Cresceva ancora e lo sentiva farsi sempre più duro.
Lo sceicco le posò dolcemente una mano sulla nuca, carezzandole i lunghi capelli biondi.
‘Brava, Emma, ora è pronto per entrare dentro di te. Ricordati che io, per la mia malattia, non posso far prendere scossoni alla schiena, quindi dovrai muoverti tu, sopra di me, facendo attenzione a non scuotere troppo il letto.
Emma staccò la bocca dal suo pene e si spostò per farlo entrare nella sua vagina.
Non poteva usare le mani, ma lo sceicco, quando le si trovò nel punto esatto, lo tenne fermo con una mano e la donna si abbassò.
Cominciò a muoversi con un movimento lento e dolce, aumentando solo leggermente quando avvertì che lo sceicco si stava evitando maggiormente.
Anche a lei stava piacendo, poi sentì le mani dell’uomo sopra i suoi fianchi, attirarla a sé.
Allora aumentò ancora, il letto si muoveva leggermente, ma pensò che non dovesse dar fastidio alla schiena del suo padrone.
Lo sceicco venne all’improvviso. Fu una cosa lunga e potente, come si addiceva ad una persona importante.
In quella posizione, lo sperma iniziò ad uscire subito dalla sua vagina dilatata, anche perché Emma aveva continuato a muoversi.
Le stava piacendo e le mancava poco, a raggiungere l’orgasmo.
Uno spintone potente la fece finire in fondo al letto, seduta e con le gambe larghe.
‘Cosa fai?’
La voce dello sceicco era dura e piena d’ira.
‘Non ti hanno spiegato che non devi godere in mia presenza.’
‘Sì, mio signore, chiedo perdono, mi sono lasciata prendere da ‘, non succederà più, lo prometto.’
‘Oh, lo credo bene che non succederà più, dopo la tua punizione, non potrà succedere più.’
Allungò una mano verso una fascia di velluto rosso che pendeva dal soffitto e la tirò verso il basso.
Il suono sordo e prolungato di un gong lasciò Emma come paralizzata.
Si aprì la porta e rientrarono i due eunuchi.
‘Preparate la poltrona, perché questa cagna non ha ben capito quale è il suo compito.’
Poi, rivolto ad Emma, ‘per questa volta, subirai solo la punizione più leggera.
Verrai legata sulla poltrona ed avrai un’ultima possibilità di apprezzare appieno i piaceri del sesso, poi ti verrà tolta la principale fonte di godimento.
I miei uomini di toccheranno fino a provocarti l’orgasmo e allora, solo allora, ti estirperanno il clitoride.
Sono certo che quando tornerai in questa stanza saprai tenere a freno la tua esuberanza.
L’altra soluzione era molto più drastica.
Se dovessi sbagliare ancora, in futuro, il chirurgo provvederà ad eliminare completamente le piccole labbra ed a ridurre le dimensioni delle grandi labbra, cauterizzando poi le ferite.
E’ un intervento che si pratica a volte in certe tribù delle mie terre.
Ti assicuro che è molto spiacevole, ma io sono sicuro che non sarà necessario.’
La poltrona era uno strano sedile, con due supporti, sistemati sopra i braccioli, per accogliere le cosce della disgraziata che doveva subire l’intervento.
Emma si trovò con le gambe divaricate, sollevate dal piano del sedile, e la schiena poggiata alla schienale di legno.
La bloccarono le cosce con delle cinghie di cuoio e le misero sotto un grande catino di metallo smaltato.
Lo sceicco si era messo a sedere sul letto, con dei cuscini dietro la schiena, perché, evidentemente, non voleva perdersi lo spettacolo.
Uno dei due eunuchi si avvicinò ad Emma ed infilò le mani in mezzo alle sue gambe.
Cominciò a carezzarla e la sua vagina, ancora eccitata per il rapporto avuto con lo sceicco, reagì subito.
Aveva un tocco piacevole, le sembrava di sentirci la forza virile dell’uomo, unita alla grazia della donna.
Chissà, forse la mutilazione che aveva subito da bambino, aveva sortito questo strano effetto.
Mutilazione.
La parola le ricordò quello che sarebbe successo alla fine.
Doveva resistere, non doveva eccitarsi, era questa l’unica speranza di salvezza.
Ma l’eunuco sapeva il fatto suo. Il suo tocco si faceva più preciso, più insistente, finché non arrivò ad isolare il clitoride di Emma.
‘Mio signore, ha un clitoride molto grande, qualcuno dice che le donne così abbiano la tendenza a godere troppo.’
Aveva cominciato a stuzzicarlo e lei capì che non avrebbe potuto resistere.
Emise prima un sospiro, poi cominciò a gemere, con le labbra semi aperte.
L’eunuco continuava, ormai era concentrato solo lì ed Emma sentiva il clitoride sempre più duro e sempre più gonfio.
Iniziò a gridare di piacere, senza ritengo, mentre i fianchi e le spalle si muovevano ritmicamente.
I capezzoli si erano fatti duri e scuri ed i suoi seni oscillavano dietro la spinta del suo movimento.
L’eunuco prese il clitoride tra le dita e lo strizzò delicatamente.
Emma raggiunse l’orgasmo in quel preciso momento, poi vide l’altro eunuco che si avvicinava e capì.
Teneva in mano un piccolo astuccio di pelle bianca.
Quando lo aprì vide che l’interno era foderato di velluto rosso e dentro c’era un piccolo attrezzo luccicante.
Si trattava di una cesoia, identica a quelle che si usano per il giardinaggio, ma molto più piccola e di argento lucidissimo.
Il primo eunuco teneva il suo clitoride ancora gonfio per la punta mentre l’altro si avvicinava con le cesoie in mano.

Emma si svegliò con un grido terribile, completamente nuda in mezzo al letto, a cosce larghe e con le mani serrate in mezzo alle gambe, nel tentativo disperato di proteggere il suo sesso.
Un sogno, ancora uno di quegli incredibili sogni.
Respirò a fondo diverse volte, poi aprì il cassetto del comodino. Emma non aveva mai parlato a nessuno dei suoi sogni, aveva paura a discutere di quelle terribili fantasie, che la spaventavano e, allo stesso tempo, l’attiravano da morire.
Stranamente, l’unica persona con cui era riuscita a confidarsi, in tanti anni, era proprio Marco, il suo giovane autista.
Era molto interessato alle sue fantasie, al punto che aveva detto ad Emma che sarebbe stato meglio che lei le scrivesse subito, con tutti i particolari, per evitare che qualcosa andasse perduto.
Erano tornati diverse volte sull’offerta di collaborazione che Marco le aveva fatto.
‘Senti Emma, sia ben chiaro, non è possibile mettere in scena le tue fantasie così come sono, perché, ti renderai conto da te, che non sono applicabili.
Se tu provassi a vivere realmente quello che ti accade nei sogni, nella migliore delle ipotesi rimarresti sfregiata e menomata, rischiando anche la vita.
Però, è possibile studiare delle situazioni, delle punizioni, che ti facciano soffrire senza procurarti dei danni permanenti, in modo che tu possa godere a sufficienza e ‘ anche io.
Sì, Emma, tu sei stata sincera con me ed io lo sarò altrettanto con te: mi piacerebbe da impazzire farti qualcosa tipo quello che ti accade nei sogni, naturalmente senza oltrepassare certi limiti.’
Ora stavano andando a Milano, per un convegno di tre giorni e Marco era riuscito a strapparle una mezza promessa.
Erano arrivati in albergo nel tardo pomeriggio e, dopo aver lasciato i bagagli nelle stanze, lui l’aveva portata a cena in un piccolo ristorante nella zona dei Navigli.
A ritorno Marco l’aveva seguita nella stanza da letto.
‘Emma, hai portato i tuoi giochini?’
‘Sì.’
Aveva risposto subito ma si vedeva che era tesa.
‘Sono nel borsone.’
Marco aveva aperto la lampo ed aveva tirato fuori le manette.
‘Girati.’
Emma aveva ubbidito e lui le aveva subito fatte scattare ai suoi polsi, dopo averle messo le braccia dietro la schiena.
‘Ora io ti preparerò, vedrai che sarà una notte molto eccitante.
Non ti preoccupare, se avessi bisogno di assistenza io sono nella stanza accanto e mi sono fatto dare dalla portineria la chiave della porta di comunicazione tra le due stanze.’
‘No, Marco, dai, facciamo un’altra volta. Aprimi le manette.’
‘No, questa volta faremo a modo mio.’
Emma cercò di opporre resistenza, ma Marco la spinse sul letto.
La donna si trovò con la schiena sul letto e lui le fu subito addosso.
Nella breve lotta aveva perso le scarpe ed ora, a piedi nudi, cercava di tenerlo lontano, tirando dei calci non troppo convinti.
‘Ora ti spiego come procede la serata. Io adesso ti finisco di spogliare e ti preparo. Useremo alcuni dei tuoi giochini ma ho anche qualche sorpresa che ho preso apposta per te.’
Emma si fece sfilare le calze, poi lui le arrotolò la gonna fino alla vita.
‘Ora dovremo sistemare i tuoi buchetti. Ho una piccola sorpresa per te.’
Da uno zaino che si era portato appresso tirò fuori un dildo enorme, nero.
‘Oddio, Marco, non vorrai mica usare quello? è troppo grande, me la sciuperà.’
‘Ma non ci penso per niente, ho ben altre idee per la tua fichetta. Questo è per il tuo culetto, sono sicuro che è preciso a quello del pirata negro che ti ha inculato sulla nave, durante uno dei tuoi sogni. Dai girati.’
‘Marco per favore, è troppo grande, prendi uno dei miei.’
Ma il giovane neanche la stava a sentire, aveva preso il tubetto di vasellina e stava spalmando con grande attenzione quell’affare enorme.
La girò mettendola a pancia in giù, le fece allargare le gambe, le abbassò le mutandine e le sparò un bel po’ di vasellina in mezzo alle chiappe.
‘Marco, se non smetti subito, mi metto a gridare.’
Lui non disse nulla, prese dal borsone di Emma il ball gag e le ficcò in bocca la pallina rossa.
‘Non credo che griderai molto, con questa in bocca.’ Disse mentre legava il laccio dietro la nuca della donna.
Riprese a spalmare il suo sedere di vasellina, facendola penetrare nell’orifizio, che teneva largo, aiutandosi con le mani.
‘Ora comincerò a spingertelo dentro, cercherò di far piano, ma sarebbe il caso che tu avessi la bocca libera per avvertirmi se ti faccio troppo male. Se prometti di star buona ti tolgo la pallina, va bene?’
Emma fece cenno di sì con la testa.
Ci mise un altro bel po’ di vasellina, proprio sulla punta e poi cominciò ad infilarlo.
‘Ti piace”
‘Si, ma fa molto male ed ho paura. Non potrò tenerlo dentro a lungo.’
‘Solo fino a domani mattina.’
‘Cosa? Ahi, aspetta, fa troppo male. Non ce la farò mai tutta la notte.’
‘E’ questione di abitudine, però devi stare ferma, sennò ti fai male. Guarda ne è entrato già più di metà. Ti lascio riposare due minuti e poi ricominciamo, va bene?
Intanto ti anticipo cosa ho in mente per l’altro tuo bel buchino.
Ci metterò dentro quel gioiellino di mini vibratore con il telecomando, che ho già visto tra i tuoi giocattoli, così potrò starmene comodamente sdraiato nel mio letto, nell’altra stanza, dandoti ogni tanto qualche piacevole stimolo.
Questa notte sarò io a decidere quando potrai provare piacere.
E ora finiamo di infilare questo affare.
Il tuo bel pirata negrone te lo ha piantato nel culo solo in parte, trattieni il respiro che ora, te lo ficcherà tutto dentro fino alle palle.
‘No, no, aspetta per favore.’
Marco, dopo averle piazzato una mano davanti alla bocca, lo spinse dentro con forza.
Emma si lamentava e dovette tenerle per un po’ la mano premuta.
Allora, tutto bene?’
‘Non tanto, fa un male terribile, mi hai sfondato.’
‘Vedrai che fra un po’ passa, è solo questione di abitudine. Ora piano piano, rigirati, che ti sistemo il vibratore.
Ecco, brava così, allarga le gambe.
Però, di la verità, ti piace, guarda come sei bagnata.’
Le passò un dito tutto intorno al suo sesso, ed Emma cominciò a gemere di piacere.
‘La tua fica è già una specie di laghetto gocciolante, se ti muovi, rischieresti di sparar fuori il vibratore, dovrai tenere per forza le mutandine.’
Il piccolo involucro bianco sparì nella carne di Emma come una pietra inghiottita dal mare, spinto dentro dalle dita dell’uomo, poi Marco risistemò lo slip nero semitrasparente.
‘Così il dildo resterà in posizione fino alla fine ed il vibratore non uscirà neanche se ti metterai a fare le capriole.
Ora sistemiamo le gambe.’
Le allargò le gambe e le legò le caviglie alle zampe del letto, una per parte.
‘Tutto bene, Emma?’
‘Un po’ meglio, fa meno male, ma non riesco a tirarmi su.’
‘Infatti non devi tirarti su, devi rimanere sdraiata. Adesso pensiamo alle tue tette.’
Marco le aprì la camicetta e poi fece salire il reggiseno.
‘Su questi cosini ci mettiamo due belle pinzette, ma prima li facciamo un pochino crescere.’
Cominciò a pizzicarle i capezzoli. Li tirava, li torceva.
‘Oh, fa male!’
‘Certo che fa male, e sentirai quando ci applicherò le pinzette.’
Emma aveva la voce affannosa, si sentiva che cominciava ad eccitarsi.
‘Dai, facciamo una piccola prova con il vibratore.’
Si mise la mano in tasca ed Emma udì un ronzio leggero, che le sembrava provenire da dentro il suo corpo. Poi arrivò forte un’ondata di sensazioni, e cominciò a gemere ed a muovere le anche.
‘Oddio, ti prego, non farlo.’
‘E perché? Non ti piace?’
‘Si mi piace, non non mi posso muovere, il dildo, per favore, toglimelo.’
Ora i suoi capezzoli erano diventati duri e prominenti, Marco tirò fuori le pinze dalla tasca della giacca.
‘Ma non sono le mie pinzette?’
‘Queste sono molto meglio, hanno la molla molto più robusta e poi guarda, vedi queste punte sottili ed aguzze? Quando le stringerò bene, ti entreranno nella carne.’
Sistemò la prima pinza sul capezzolo destro ed Emma non seppe trattenere un grido di dolore. Non disse nulla, ma fece solo una smorfia quando piazzò l’altra.
‘Non mi dire che proprio tu, che hai sopportato punizioni terribili nei sogni, fai tante storie per due stupide pinzette, neanche strette a dovere.’
Strinse le mani intorno alle pinze e schiacciò forte.
Emma fece un salto sul letto e gridò.
Quando Marco tolse la mani Emma vide alcune gocce di sangue che uscite da sotto le pinze, solcavano i suoi seni, per poi scendere di lato, lungo il suo petto magro, per finire la loro corsa sul lenzuolo bianco.
‘Buonanotte Emma, ti lascio un po’ tranquilla, ti sveglierò più tardi, piacevolmente, con questo.’ Disse mostrandole il piccolo telecomando.
Ora era sola, in una stanza d’albergo semibuia, illuminata solo dalla luce fioca del comodino, legata al letto e piena di dubbi.
Quel coso enorme, piantato nel suo ano, le mandava delle fitte dolorose anche se ora il fastidio si era un po’ attenuato. Doveva evitare di muoversi, perché anche il più piccolo spostamento le dava l’impressione che qualcuno (il pirata o magari qualche altro personaggio che popolava le sue fantasie notturne) la stesse inculando violentemente.
Certo, ora era relativamente facile stare ferma, ma quando Marco avrebbe azionato il telecomando?
Si guardò i seni, il sangue si era fermato, non usciva più, ma il dolore era ancora forte.
Quelle piccole punte aguzze le erano penetrate nella carne quasi a contatto dell’areola che circondava i capezzoli e, quando provò a tirarsi un po’ su, cercando di puntellarsi con le braccia ammanettate dietro la schiena, le pinze, a causa del peso dell’impugnatura, si piegarono in basso.
Emma gridò di dolore, le punte si erano mosse ed una goccia di sangue aveva ripreso ad uscire dal suo seno destro.
E poi era arrivato il segnale più forte: sembrava quasi che il dildo si fosse mosso ed allargato dentro di lei.
Era rimasta senza fiato, a bocca aperta e, lentamente era tornata nella posizione iniziale, poggiando la schiena sul materasso.
Non poteva far nulla, al massimo, poteva cercare di dormire un po’, visto cosa doveva aspettarsi da quella notte.
Fu risvegliata da una strana vibrazione. Veniva da lontano ed era piacevole.
La porta di comunicazione tra le due stanze era accostata e dalla fessura filtrava un po’ di luce.
Marco era sveglio ed aveva azionato il telecomando.
Il dildo non le faceva male, c’era solo la sensazione di un corpo estraneo, un grande intruso che si era impadronito del suo ano e della parte finale dell’intestino.
La vibrazione ora sembrava più forte e poteva anche sentire il rumore, leggero e persistente, mentre lei si svegliava del tutto.
Anche la mia cosina, si sta svegliando pensò, mentre una prima ondata di sensazioni piacevoli, percorreva il suo sesso, smorzandosi poi nella pancia nuda, lasciata scoperta dalla gonna rimasta arrotolata.
Una nuova ondata, più forte e più profonda e ad Emma sfuggì un gemito di piacere.
Poi fu un continuo, sembrava che il vibratore scavasse dentro di lei, sentiva il suo sesso rilassarsi, le labbra gonfiarsi ed aprirsi mentre gli umori cominciavano a bagnare la stoffa delle mutandine.
Ora si stava muovendo, il suo bacino aveva preso un movimento leggero, in su ed in giù e sentiva il clitoride farsi gonfio e duro.
Ahi! Si era mossa troppo ed il dildo le aveva mandato un altro avvertimento. Doveva stare ferma.
No! avrebbe sopportato il dolore.
Riprese a muoversi. Tutto il suo corpo ora si muoveva, incurante dell’intruso che sembrava volesse spaccarla in due, cercando di non far caso alle fitte causate dalle pinze che oscillavano insieme ai suoi seni.
Respirava a bocca aperta e gemeva disperatamente, completamente sopraffatta dal piacere e dal dolore.
Avvertì l’orgasmo che si avvicinava, per poi sentirlo esplodere dentro di lei.
Rimase immobile, spossata, sdraiata sul letto.
Allora guardò verso la porta di comunicazione. Era aperta e Marco se ne stava in piedi, appoggiato allo stipite, con il telecomando in mano.
Lo rimise in tasca e le fece un piccolo applauso.
‘Tutto bene Emma? Hai visto che riesci a sopportarlo.’
‘Ti prego, fammi riposare un po’.’
‘Veramente ho altri progetti, per te.’
Le rimise a posto la gonna, facendola scendere lungo le gambe, poi aprì la lampo laterale e cominciò a tirarla verso il basso.
La abbassò quel tanto che bastava a scoprire il pube e parte dello slip, poi arrotolò leggermente le mutandine completamente zuppe.
Ora il ventre di Emma era completamente scoperto.
‘Guarda che bel pancino morbido. Scommetto che non vedi l’ora di assaggiare un po’ di frusta?’
‘No aspetta, questo forse è troppo. Mi farà male, resteranno i segni.’
‘Beh, male farà sicuramente, ma stai tranquilla, ci andrò piano, solo un po’ di arrossamento, sparirà tutto nel giro di pochi giorni.’
‘No, veramente, non farlo, mi metterò a gridare, ci siamo spinti troppo in là.’
Marco le rimise il ball gag e, per essere sicuro che non facesse troppo rumore, ci aggiunse sopra un bel bavaglio di stoffa.
Emma riusciva soltanto ad emettere dei flebili lamenti, che non avrebbero superato le mura di quella stanza.
La lasciò qualche minuto sola, poi tornò tenendo in mano un frustino.
‘Eccomi, Emma.
Sei pronta?’
Lei fece con la testa, disperatamente cenno di no.
‘E’ solo un frustino. Uno stupido frustino, di quelli che si usano per spronare i cavalli.
Lascerà solo qualche segno rosso sul tuo pancino morbido.
Cercherò di non procurarti delle ferite.’
Marco cominciò a colpirla metodicamente sulla pancia.
All’inizio Emma, per la paura, tenne i muscoli dell’addome in tensione, ma poi si rese conto che così il dolore era maggiore. E provò a rilassarsi.
L’attrezzo si abbatteva sul suo ventre con un rumore leggero e sordo.
La sua pelle si arrossava. Vedeva i segni farsi gradualmente più scuri, con il passare dei minuti.
La colpiva con precisione dall’inizio della pancia, subito dopo il punto in cui terminavano le costole, fine alla fine del ventre, dove c’era il ciuffo dei peli pubici, lasciato scoperto dallo slip arrotolato.
Quando i colpi si avvicinavano il suo sesso, Emma sobbalzava e gemeva attraverso il bavaglio.
‘Che c’è? Hai paura che colpisca la tua fichetta calda calda?’
No, non aveva paura, si stava eccitando, avrebbe voluto che lui azionasse ancora il vibratore, invece Marco continuava imperterrito a colpirla, una miriade di colpi leggeri che le lasciavano tanti segni ed una sensazione di dolore e sensibilizzazione diffusi.
In qualsiasi punto il frustino la colpisse, Emma sentiva il dolore ripercuotersi su tutto il suo ventre.
‘Beh, ora può bastare, la tua pelle sta iniziando a cedere.’
Emma, che aveva chiuso gli occhi, li riaprì in tempo per vedere la sua pancia completamente arrossata, solcata da una miriade di strisce più scure, dove in qualche punto la pelle iniziava a sollevarsi.
Il vibratore ripartì e Marco le tolse il bavaglio ed il ball gag.
Il tempo di prendere aria un paio di volte e di nuovo si trovò a gemere di piacere.
Scoprì, con sorpresa, che il dildo non le faceva più male, certo, c’era sempre quella sensazione di un qualcosa di opprimente ed invasivo all’interno del suo corpo, ma le fitte dolorose erano scomparse.
Marco tornò nella sua stanza, lasciandola sola, libera di raggiungere nuovamente l’orgasmo.
Venne subito, gridando e gemendo di gioia, Ora il suo compagno di avventure, avrebbe fermato il vibratore e l’avrebbe fatta riposare un po’.
Continuava.
‘Marco, per favore, spegnilo.’
Nessuna risposta.
‘Marco.’ Gridò più forte, doveva essersi addormentato.
Le stava succedendo di nuovo, il vibratore, implacabile, continuava a stimolarla.
Si stava avviando nuovamente verso l’orgasmo e non poteva farci nulla, legata ed ammanettata come era.
Sarebbe rimasta tutta la notte con quell’affare che l’avrebbe costretta a godere di continuo per ore?
Emma si muoveva, incapace di trattenersi, il suo bacino segnato dai colpi del frustino, si contraeva ritmicamente mentre le pinzette attaccate ai capezzoli oscillavano in su ed in giù.
L’orgasmo arrivò di nuovo, incontrollabile e liberatorio.
‘Marco, aiuto!’
Ora iniziava ad aver paura. Forse si era sentito male. Pensò che sarebbe dovuta rimanere lì, con quest’affare dentro di lei, che le stava succhiando ogni energia, fino all’arrivo della cameriera che doveva rifare la stanza.
Pensò alla vergogna di farsi trovare in quelle condizioni, sempre che l’avessero trovata viva.
Ormai le risultava difficile pensare, il vibratore continuava implacabile il lavoro per cui era stato progettato e lei aveva l’impressione di trovarsi in una condizione di orgasmo continuo.
‘Ahh, Marcooo, ahh, Marco, aiutooo!’
Aveva gridato con tutta la voce che le era rimasta, tra un gemito e l’altro.
Il vibratore, come per miracolo, si spense.
Le sembrò che nella stanza fosse piombato un silenzio irreale.
‘Scusami, mi ero addormentato. è molto che va?’
Il viso stanco e sfatto, con i capelli scompigliati, gli fece capire che Emma era rimasta per un bel pezzo con il vibratore acceso dentro di lei.
‘Va bene, adesso ti faccio riposare fino a domani mattina presto. Sai già come ti sveglierò’, disse ridendo mentre brandiva il telecomando.
Emma lo supplicò di liberarlo ma lui neanche le rispose, tornò nella sua stanza e chiuse la porta.
Si addormentò quasi subito, pensando che questa volta non avrebbe fatto sogni, visto che il sogno era divento la realtà.
Fu risvegliata all’alba dal ronzio del vibratore.
Marco era in piedi di fronte a lei.
‘Solo un’ultima volta, poi ti libero.’
Emma aspettò pazientemente che il vibratore facesse effetto su di lei, per l’ennesima volta.
Era stanca, sentiva dolore dappertutto ed il pensiero che tra qualche ora sarebbe dovuta salire su un palco, davanti a centinaia di persone, per fare un intervento, la terrorizzava.
Si lasciò andare.
Marco, mentre si eccitava e si muoveva sempre più, la osservava con aria di approvazione.
Quando Emma dopo un ultimo grande sospiro, rimase immobile sul letto, il vibratore fu spento definitivamente.
Sentì le mani del suo giovane autista che le liberavano le caviglie.
La chiusura delle manette scattò e Marco le mise le braccia distese, a fianco del corpo.
La sensazione fastidiosa ed allo stesso tempo liberatoria, di quando ti tolgono una spina conficcata nella carne: le pinzette erano state rimosse, lasciando solo dei buchini rossi intorno ai capezzoli.
Le sfilò la gonna e, subito dopo, le mutandine così bagnate che avrebbe potuto strizzarle.
‘Aspetta, per questo faccio da me.’
Non voleva che Marco le infilasse le mani nella vagina.
Tolse il vibratore.
Rimaneva solo una cosa.
‘Per il dildo, però, lasciati aiutare.’
Si girò a fatica, le fitte all’ano erano tornate forti come all’inizio.
‘Stai tranquilla, per fortuna ne è rimasto un pezzo che sporge, non sarà difficile estrarlo.’
Marco lo tirò via lentamente, con molta cautela, ma nonostante questo, Emma gridò di dolore diverse volte, costringendolo a fermarsi quando i lamenti erano più forti..
Alla fine rimase sdraiata a pancia in giù, esausta.
Aveva la sensazione che il suo ano fosse rimasto completamente aperto e non si sarebbe richiuso più.
‘Ti lascio riposare un’oretta, poi però dobbiamo andare al convegno.’
Quando Emma riuscì ad alzarsi per andare in bagno, le girava la testa ed aveva la vista annebbiata.
Si guardò allo specchio: due occhiaie profondissime ed i capelli aggrovigliati ed arruffati.
Era nuda a parte la camicetta sbottonata ed il reggiseno slacciato.
Si passò un dito in torno ai capezzoli, i segni delle pinze non sarebbero rimasti a lungo.
Poi le sue mani andarono alla pancia, avrebbe fatto bene a disinfettare le escoriazioni, nel punto in cui la pelle aveva ceduto ai colpi del frustino.
Prese la trousse del trucco e si mise al lavoro. Quel giorno al convegno doveva essere impeccabile come sempre.
Fino alla sera, poi … Marco l’aveva accompagnata al convegno.
‘Allora, come ti senti?’
‘Bene, bene’, aveva risposto Emma, ma non era vero, si sentiva uno schifo, stanca, debole e piena di dolori.
Aveva faticato mezz’ora con il trucco, solo per cercare di nascondere le occhiaie e alla fine aveva deciso di tenere gli occhiali da sole per la maggior parte del tempo, togliendoli solo durante il suo intervento.
A pranzo era stata invitata da alcuni suoi colleghi imprenditori e Marco si era limitato a portarla al ristorante con l’auto, senza trattenersi.
Il convegno era finito dopo le 17 e, quando erano rientrati in albergo, erano ormai passate le sei di sera.
Emma aveva fatto appena in tempo a togliersi le scarpe, che era crollata di schianto sul letto, ancora vestita.

Un sogno, ancora uno dei suoi incredibili e terribili sogni.
Era seduta sul letto, con la schiena poggiata contro la spalliera di legno imbottito.
Le sue braccia erano allargate e tese, tenute verso il basso da delle robuste corde, probabilmente fissate alle zampe del letto.
Anche le sue gambe erano allargate, legate intorno alla ginocchia da corde simili, anch’esse legate al letto.
Qualcuno doveva averle sollevato la gonna di lino blu scuro e poi, con delle forbici o con un coltello, aveva aperto una grande asola nel suo collant velato, proprio in corrispondenza delle sue mutandine.
Anche lo slip nero era stato tagliato, subito sotto l’elastico in vita, e la parte di stoffa che avrebbe dovuto coprire il suo sesso era ora poggiata sulle lenzuola.
Indossava anche una giacca scura e sotto una camicetta bianca, ma erano entrambe completamente sbottonate, mentre il reggiseno, con le spalline recise che pendevano verso il basso, le era arrivato fino alla vita.
Ora sarebbe comparso il suo aguzzino. Chi sarebbe stato questa volta? Un maniaco che l’avrebbe seviziata a lungo con un coltello, prima di violentarla, oppure un negro enorme, come quel pirata?
‘Marco?’
Era apparso all’improvviso, dalla porta che separava le loro due stanze.
Non era un altro sogno, si trattava della realtà, oppure, per una volta tanto, nelle sue fantasie si era materializzata una persona conosciuta.
Lo sguardo le andò in basso. I suoi seni portavano ancora i segni di dove le punte delle pinzette avevano ferito la sua carne, mentre più giù, sulla pancia, i solchi lasciati dal frustino erano così evidenti, da fugare ogni dubbio: era sveglia e Marco si apprestava a sottoporla nuovamente a quel trattamento.
‘Dovevi essere stanca, hai dormito parecchio, sono quasi le nove. Dai che riprendiamo.’
‘No, ti prego, per favore, sono troppo affaticata stasera. Liberami.’
‘Non se ne parla nemmeno, ora ti finisco di preparare e poi cominciamo.’
Aveva in mano le pinzette e ne stava saggiando la durezza delle molle.
‘Non me le attaccare di nuovo ai capezzoli, fa troppo male.’
‘Te le potrei mettere sulla fica, hai ragione.’
Emma lo aveva guardato impaurita, aveva cominciato a supplicarlo, non avrebbe sopportato quelle punte aguzze che le bucavano la carne, proprio lì.
Alla fine Marco, con un gesto rapido, le fece scattare entrambe sui capezzoli di Emma che gridò.
Teneva i manici delle pinze e li muoveva in su ed in giù, sbatacchiando i suoi seni magri.
‘Ahi, basta per favore.’
‘Ora gli diamo una bella tirata alle tue tette.’
Aveva in mano un pezzo di catenella sottile e ne fece passare un capo nel foro del manico di una pinza e tirò verso l’alto. Il seno si allungò arrivando quasi all’altezza della spalla.
Fece passare la catenella dietro il collo di Emma per farla poi entrare nel foro dell’altra pinza.
Tirò forte il capo libero, finché non vide entrambi i seni tesi e tirati verso l’alto, allora legò la catenella bloccandola.
Due lacrime scendevano lungo il viso di Emma, mentre qualche goccia di sangue colava lungo i suoi seni, come il giorno precedente.
Aveva preso in mano il frustino e la donna impallidì.
‘No Marco, sei impazzito? Non puoi colpirmi lì con quello, ti prego.’
‘E invece sono sicuro che sarà una cosa molto stimolante, non ti preoccupare, farò abbastanza piano. Piuttosto, forse sarà meglio dargli un’altra tiratina.’
Strinse forte le pinze con le mani facendola gridare di dolore, poi sciolse il nodo della catenella e tirò ancora.
‘Basta, basta, così me le strappi.’
Le passò il frustino sulla pelle tesa ed Emma emise un gemito.
‘E invece ti piace, guardati, sei già tutta bagnata.’
La toccò in mezzo alle gambe, carezzandole i peli del pube e lei non riuscì a nascondere il suo piacere.
‘E va bene, mi piace, però non farmi troppo male, non mi rovinare il seno.’
La risposta fu un colpo di frustino leggero ma efficace, che le arrivò come uno schiaffo.
Emma si contorse, per quanto permesso dalle corde che la tenevano stretta e lui la colpì di nuovo.
Due segni rossi, che si andavano rapidamente scurendo, erano apparsi sui suoi seni, sotto le pinze appese ai capezzoli.
Le diede solo una decina di frustate, abbondantemente sufficienti a lasciare una traccia adeguata sui suoi piccoli seni, poi sciolse la catenella.
‘Ora che le tue tette sono tornate in posizione normale, gli diamo una bella tiratina in basso e le lavoriamo anche nella parte di sopra.’
Questa volta usò una corda sottile, che fece poi passare in mezzo alle gambe di Emma.
Recuperò il cavo da dietro e tirò.
Lo spago le entrò profondamente nella vagina per poi sfregare sull’orifizio dell’ano, ancora irritato ed allargato dalla notte prima.
Marco prese a muovere lo spago mentre Emma eccitata, gemeva e gridava.
Diede uno strattone più forte e legò il capo libero dello spago ai lunghi capelli della donna.
Ora i seni di Emma erano fortemente tirati verso il basso e dalle pinze affondate nella carne aveva ripreso ad uscire un po’ di sangue.
La frustò di nuovo.
Emma si muoveva disordinatamente, con la testa piegata all’indietro perché lo spago che la tirava per i capelli la costringeva a questa posizione innaturale.
Quando posò il frustino Emma era cotta a puntino: ansimava disperatamente e lo pregava di farla venire.
Sciolse lo spago e la testa di lei riassunse una postura normale.
‘Io ho fame, vado a mangiare un boccone, ci vediamo tra un’oretta.’
Uscì dalla stanza insensibile alle sue suppliche.
Emma sentiva un bruciore insopportabile sui suoi seni.
La pelle tenuta in tensione dalle pinzette, si era particolarmente sensibilizzata, le sembrava quasi che qualcuno ci avesse passato sopra della carta vetrata.
Faceva male eppure era eccitata da morire.
Se solo avesse avuto una mano libera, si sarebbe toccata furiosamente fino a raggiungere l’orgasmo, invece Marco l’aveva lasciata sola.
Alla fine si addormentò, nonostante la posizione scomoda.

La risvegliò un ronzio strano.
Marco aveva montato uno dei suoi vibratori su un lungo bastone, forse un appendiabiti trovato nell’armadio, e la stava stuzzicando in mezzo alle gambe.
‘Sì, dai così, ancora.’
Erano bastate poche toccatine ed il suo sesso aveva ripreso vita immediatamente.
A Marco bastò tenerlo poggiato per qualche secondo, perché le sue labbra si schiudessero, gonfie e bagnate di umori.
Emma si torceva e gli gridava di metterlo dentro ma lui esitava, continuava a toccarla da fuori senza affondare, aumentando il suo desiderio, ma badando bene a non farle raggiungere l’orgasmo.
‘C’è tempo Emma, abbiamo tutta la notte. Ieri era la prima volta e sono stato più buono, ma questa sera, il tuo orgasmo te lo farò sudare.
Ci vediamo dopo.’
Sentì chiudersi la porta tra le due stanze e fu presa dalla rabbia, l’aveva lasciata sola di nuovo, quando le mancava tanto così’.
Questa volta non si addormentò, era stanca ed indolenzita ma rimase sveglia ad aspettare.
Eccolo di nuovo, era tornato, sorrideva e teneva sempre in mano il bastone con il vibratore.
Ricominciò.
Questa volta glie lo ficcò subito dentro. Lo muoveva lentamente, dentro e fuori e lei, per quanto glie lo permettevano le corde che la tenevano legata, cercava di seguirne l’andamento con il bacino.
Gemeva, ansimava e il bruciore al seno si stava fondendo con il piacere che le stava invadendo il corpo.
Il vibratore si arrestò di nuovo.
‘Marco, ti prego, vuoi farmi impazzire?’
Lo aveva estratto e stava osservandone, interessato, la superficie liscia e bagnata.
‘Apri la bocca Emma e succhialo bene.’
Il vibratore si incuneò tra le sue labbra dischiuse e Marco iniziò a muoverlo, mimando un pompino.
Emma prese a succhiarlo disperatamente, cercando così di raggiungere il tanto agognato orgasmo, ma quando lui si accorse delle intenzioni della donna, lo tirò via di colpo.
‘Troppo presto, non è ancora il momento.’
Emma si mise a piangere per la rabbia e per la frustrazione, vedendo che Marco la lasciava di nuovo sola.
Quando tornò, teneva in mano il dildo enorme che aveva usato la notte precedente.
‘Oh no, per favore, non ficcarmi di nuovo quell’affare, mi fa ancora troppo male.’
Le sciolse le braccia e le gambe ed Emma rimase seduta sul letto a massaggiarsi polsi e caviglie indolenziti.
‘Vieni qui.’
Aveva preso una sedia e l’aveva messa al centro della stanza.
Emma scese dal letto ed ubbidì.
‘Mettiti sopra la sedia ma non sederti.
Ecco così, sposta un attimo i piedi, perfetto.’
Si sentì legare nuovamente le caviglie, questa volta alle zampe anteriori della sedia.
‘Bene. Ora metti le braccia dietro e piegati.
Ancora, non ti preoccupare, non cadi.
Ecco, basta così.
Ferma solo un attimo.
Perfetto.’
Ora stava con le gambe piegate, come se si stesse sedendo, ma il suo sedere era staccato di un palmo buono dalla sedia, mentre le braccia, legate ai lati della spalliera, le impedivano di rialzarsi.
Praticamente era sospesa sulla sedia, almeno finché i muscoli delle gambe avrebbero resistito, poi avrebbe potuto soltanto sedersi.
Marco prese il dildo e lo incastrò tra il sedile e le chiappe di Emma.
‘Non sarò io a ficcartelo, sarai tu a decidere quando questo delizioso affarino ti entrerà nel culo.’
‘Maledizione, sei un bastardo, togli quell’accidente da lì, o almeno mettici un po’ di vasellina, come ieri.’
‘Vedrai che non sarà necessario, prima, quando dormivi, ho dato un’occhiata al tuo buchetto, è ancora bello allargato, vedrai che ti calzerà come un guanto.
Piuttosto, non hai detto che volevi godere?
Ti accontento subito.’
Il vibratore tornò in azione e questa volta Marco lo affondò subito dentro.
Emma inarcò la testa indietro e cominciò a respirare rumorosamente, a bocca aperta.
‘Allora Emma, riuscirai ad avere il tuo tanto sospirato orgasmo, prima di sederti?’
Si vedeva nettamente che era stanca, i muscoli delle gambe erano tesi nello sforzo di resistere, ma il vibratore, che continuava a rovistare nella sua vagina, le toglieva forza e concentrazione.’
‘Aspetta, fermati.’
‘Ma come, prima mi pregavi tanto di non smettere? Non mi dire che non ti va più?’
‘Ti prego, non mi ficcare ancora quel coso enorme, di dietro.’
‘Ma io non faccio nulla, dipende solo da te.
Oh, vedo che finalmente ti stai abbassando.’
Era vero, se ne era accorta, in maniera impercettibile, le sue gambe si stavano piegando, e quel affare spropositato si era incuneato più profondamente tra le sue natiche.
Cercò con uno scatto di reni di risalire, ma riuscì solo ad affaticarsi di più.
Intanto il vibratore continuava, implacabile.
Scese di colpo di qualche centimetro e lo sentì entrare dentro.
Gridò forte, al punto che Marco le mise una mano sulla bocca.
‘Ti devo mettere di nuovo la pallina?’
Fece cenno di no e Marco tolse la mano.
‘Ti prego, tirami su, mi sta spaccando.’
‘Tieni duro, manca poco.’
Tolse il vibratore e si avvicinò.
La sua mano cominciò a carezzare delicatamente la sua carne calda, bagnata e palpitante. Emma ormai incapace di parlare, si limitava a gemere disperatamente, finché lui mise fine all’attesa: le sue dita presero il clitoride gonfio e lo strinsero.
Emma cacciò un grido di gioia e cedette completamente.
Sentì il dildo che le entrava profondamente nell’ano e al piacere dell’orgasmo, si aggiunse il dolore dell’improvvisa penetrazione.
Marco non mollò la presa e le sue dita continuarono a strizzarle il clitoride, finché lei non si abbandonò con la testa sulla spalla ed i capelli davanti al viso.
‘Allora, visto che ti è piaciuto?’
‘Sì, sì, ma adesso tirami su. Fammi alzare da questa sedia.’
‘Quanta fretta. Goditi ancora questi momenti, anzi, visto che sei stata così brava, voglio farti un bel regalo.’
‘Marco, il miglior regalo che puoi farmi ora è farmi alzare da questa maledetta sedia e sfilarmi quest’affare, prima che mi spacchi l’intestino.’
Marco non la stava minimamente a sentire, fece un passo indietro e si sbottonò i pantaloni.
Solo allora Emma si ricordò che il suo giovane autista era sempre rimasto vestito in sua presenza, come se non fosse interessato minimamente a fare sesso con lei, al punto che aveva anche sospettato che fosse impotente.
‘Questa notte ti sei guadagnata la possibilità di farmi un bel pompino.’
Emma aprì la bocca ed eseguì, come aveva fatto tante volte nei suoi strani sogni.
Ma sì, era un sogno anche questa volta, lei non era affatto legata ad una sedia con un coso enorme piantato nel culo e non stava facendo nessun pompino.
Si sarebbe svegliata sul più bello, sudata ed eccitata, nel suo letto, ne era sicura.
Sentì lo sperma caldo che le riempiva la bocca ed aspettò il risveglio.
Invece Marco era ancora lì e la guardava con aria soddisfatta.
Dietro le faceva un male cane, mentre lui la liberava dalle corde e l’aiutava a rialzarsi. Il carro procedeva lentamente lungo la strada principale del paese e le sue robuste ruote di legno saltellavano sul selciato sconnesso.
Emma osservava le case, le insegne delle botteghe e le persone che si scansavano al passaggio del pesante mezzo, da dentro la gabbia.
La gabbia era un cubo di circa un metro e mezzo di lato, in cui la donna poteva muoversi liberamente, ma da cui non poteva uscire, visto che tra una sbarra e l’altra la distanza era di circa 10 cm e l’unica apertura, una porticina situata su una delle pareti laterali, era bloccata da un robusto lucchetto.
Un torsolo di mela, lanciato abilmente da un bambino, la colpì sul sedere, un uovo si spiaccicò sul tavolato proprio vicino ai suoi piedi, poi il carro superò la porta nelle mura ed il conducente spronò il robusto cavallo da tiro, facendo schioccare la frusta.
Ora andava più veloce, sulla strada sterrata che costeggiava i boschi, mentre il sole scendeva dietro le montagne.
La temperatura si stava facendo rigida, ma Emma, protetta dal vestito a quadri, di stoffa pesante e lungo fino ai piedi, non sentiva affatto freddo.
I due uomini a cassetta parlavano tra di loro e fumavano la pipa, incuranti della loro passeggera. Ogni tanto una zaffata di fumo denso e fastidioso arrivava fino alle narici di Emma.
Cominciò a piovere. Una pioggia leggera ma fitta, di quelle che non si notano ma, alla lunga, ti inzuppano completamente.
I due avanti avevano aperto un ombrello enorme, pieno di toppe, ma lei era totalmente esposta all’acqua.
Venne la salita ed il cavallo rallentò il passo, si vedeva il fumo che usciva dalle sue narici, mentre affrontava i tratti più ripidi.
Emma ora aveva freddo, il vestito completamente inzuppato le si era appiccicato al corpo, mentre la gabbia non offriva alcun riparo alle folate di vento gelido.
‘Ecco siamo arrivati alla vecchia quercia’, sentì dire mentre il carro si arrestava.
La fecero scendere.
L’erba era umida e scivolosa, per lei che era costretta a camminare scalza, ma non c’era pericolo di scivolare, perché i suoi due accompagnatori la tenevano saldamente per i polsi.
Poteva essere solo quella: la vecchia quercia era un albero enorme, con un gran buco, da parte a parte, nel tronco, a circa un metro da terra.
Il fusto proseguiva ancora per un paio di metri, poi terminava in maniera irregolare, frastagliata, come se un gigante furioso lo avesse schiantato con le sue mani enormi..
Un grande albero, probabilmente stroncato molti anni prima da un fulmine e rimasto lì, senza foglie e senza vita.
Le fecero infilare il capo ed il busto nel foro e lei si ritrovò con la pancia poggiata nella parte inferiore della cavità, con le gambe penzoloni e la testa libera, oltre l’apertura sul lato opposto.
‘Fai uscire le braccia che la blocchiamo.’
Le presero le braccia, le tirarono fuori dal buco e le lasciarono penzolare lungo il tronco.
Emma sentì qualcosa che si chiudeva intorno ai suoi polsi e si rese conto di essere imprigionata.
Probabilmente al tronco erano attaccati dei ceppi o qualcosa di simile, utili ad incatenare i condannati e lei, senza l’aiuto delle braccia, non sarebbe mai riuscita a liberarsi da quella strana posizione.
‘Dai, inchioda il cartello al tronco, che ce ne andiamo.’
Sentì dei colpi sordi e poi il rumore del carro che si allontanava.
Non aveva la minima idea di quale sarebbe stata la sua sorte, sola, immobilizzata in un luogo isolato e sicuramente pericoloso, alla mercé degli animali feroci o del primo malintenzionato che fosse passato.

‘Antonio, guarda, cosa c’è laggiù?’
‘Dove babbo?’
‘Lì sulla destra, un po’ fuori della strada.’
‘Sembra un vestito da donna, infilato nel buco della vecchia quercia.’
‘Aspetta, ma allora ‘ ieri sera, alla locanda, ho sentito dire che avevano portato lì una giovane donna. Andiamo a vedere.’
‘Hai ragione, nel vestito dovrebbe esserci una donna, e c’è anche un cartello, inchiodato sopra di lei.’
‘Cosa c’è scritto?’
‘ E che ne so io, babbo, lo sai che non so leggere.’
‘Aspetta, vengo io.’
‘Allora?’
‘Un attimo, figliolo, non riesco a capire tutte le parole, a scuola non ero molto bravo, però il senso è abbastanza chiaro.’
Emma intorpidita ed intirizzita, non si era mossa, però aveva drizzato le orecchie, pensando che quello che era scritto sul cartello sarebbe stato importante, per capire il motivo per cui si trovava in quel posto.
‘Allora, Antonio, a questa donna, che sembra si chiami Emma, piace il cazzo.’
‘Beh, più o meno a tutte le donne dovrebbe piacere.’
‘Sì, ma a questa sembra che piaccia molto, anzi, troppo.
Deve essersi ficcata nel letto sbagliato e così è stata punita.’
Non è vero. Emma avrebbe voluto gridarlo, ma era troppo infreddolita per parlare.
‘E’ stata portata qui in modo che tutti coloro che passano abbiamo la possibilità di ristorarsi e, allo stesso tempo, provare a saziare la sua inarrestabile voglia di cazzo.’
No, per favore, questo no.
Un crampo di paura aveva attanagliato la pancia di Emma, poi era arrivata un’altra sensazione, piacevole e diametralmente opposta alla prima.
‘A proposito di saziare, nel cartello si raccomanda di darle qualcosa da bere e da mangiare, prima di proseguire il viaggio, per mantenerla in buone condizioni, per quelli che seguiranno.’
‘Allora possiamo approfittare?’
‘Naturalmente.’
‘Ma non si muove. Forse è morta.’
‘Ma no, è solo addormentata.’
Le mollò una potente sculacciata ed Emma si scosse, gridando sorpresa, per il colpo improvviso.
‘Comincia tu figliolo, intanto.’
Emma si sentì sollevare completamente il vestito ed il vento, che aveva ripreso a soffiare forte, la colpì direttamente sul sedere.
Solo allora si rese conto di essere completamente, nuda, sotto il vestito bagnato.
‘Signori per favore, non lo fate. Quello che è scritto sul cartello è falso. Io non ho fatto niente di male, non so perché mi trovo qui.
Vi prego liberatemi, è tutta la notte che sto in questa posizione scomodissima, sono bagnata, ho freddo, per favore.’
‘Vuoi sostenere che non ti piace il cazzo in maniera smodata.’
‘Assolutamente no, signore.’
‘Benissimo, ti metteremo alla prova.
Ora mio figliò ti toccherà ed io controllerò le tue reazioni.
Se hai detto il vero ti libereremo, ma se ti ecciterai solo un po’, ti scoperemo fino a sfondarti e poi ti lasceremo qui.’
Emma si sentì sollevare i capelli dal viso.
‘Ora lego questi bei capelli biondi dietro al tuo collo, in modo da poterti osservare bene, mentre mio figlio esplorerà il tuo corpo.
Guarda, Emma, io mi siedo qui, di fronte a te su questa pietra.’
Era un vecchio, alto e magro, intabarrato in un lungo cappotto, e quando i suoi occhi scuri e vivaci la fissarono, Emma capì che era perduta e non sarebbe riuscita ad ingannarlo.
‘Comincia pure figliolo.’
‘Babbo, ma è già tutta bagnata prima di cominciare.’
Disse il giovane, dopo aver infilato una mano in mezzo alle gambe della donna
‘No, no, è la pioggia e l’umidità della notte’, gridò Emma disperata, mentre sentiva le dita dell’uomo che carezzavano la sua vagina, che aveva cominciato a bagnarsi appena aveva sentito le intenzioni dei due.
‘Ma quale pioggia, fammi sentire meglio.’
La mano era entrata dentro ed Emma, dopo aver sgranato gli occhi ed aperto leggermente la bocca, si era prodotta in un sospiro lungo ed inequivocabile.
‘Allora, Emma. Sei una brava ragazza che non pensa minimamente al cazzo, vero.’
Il giovane aveva raggiunto il suo clitoride e lo stava stropicciando con le dita.
‘No ‘ non mi ‘ interessa, ahhh!’
Aveva spalancato completamente la bocca mentre il vecchio rideva.
‘Babbo, le ho preso il pisellino, quello che hanno le donne, sai, è duro duro, lo tengo stretto tra le dita e guarda come le piace, sono sicuro che muore dalla voglia di sentirsi tutto dentro il mio uccello, glie lo voglio ficcare fino alle palle.’
Emma muoveva la testa e si stava esibendo in un repertorio completo, di gemiti, sospiri e mugolii.
‘Allora Emma’, riprese il vecchio sollevandole il mento, ‘ho paura che non hai superato la prova.’
In quel preciso momento, il figlio, piazzato dall’altra parte, tolse la mano e la sostituì con qualcos’altro.
Emma gridò forte poi prese ad ansimare rumorosamente, mentre il vecchio si sbottonava i pantaloni.
‘Beh, ragazza penso che dovresti essere in grado di fare due cose contemporaneamente’, e provò a piazzarle nella bocca aperta il suo pene.
Emma cercò di spostarsi, ma non aveva alcuna possibilità di movimento ed il vecchio la teneva forte per i capelli, così si limitò a chiudere la bocca
‘Beh, godi a farti sfondare la fica, ma non ti piace succhiare?’
Intanto l’altro, dietro, le aveva allargato le gambe e cercava di spingerlo sempre più in fondo.
Lei cercava di resistere ma le stava piacendo sempre di più e, quando sentì lo sperma che invadeva prepotentemente il suo sesso, riaprì la bocca.
Il vecchio fu prontissimo questa volta a ficcarglielo dentro e venne anche lui in pochi colpi.
La lasciarono tranquilla qualche minuto, così avrebbe scolato bene, disse ironicamente il vecchio.
Ed aveva ragione, visto che sentiva lo sperma che usciva lentamente dalla sua vagina dilatata, come pure dalla bocca rimasta aperta.
Si scambiarono di posto ed il vecchio si dedicò al suo bel culetto, come proclamò ad alta voce.
Non adottò particolari cautele nei confronti della donna ed Emma grido diverse volte mentre lui cercava di infilarglielo dentro.
‘Vedrai ragazza mia, che fra una settimana, quando ripasseremo di qui, sarà una faccenda molto più facile, sono sicuro che il tuo culo non potrà che trarre giovamento dall’esercizio a cui ti sottoporranno i viandanti che verranno dopo di noi’, le disse mentre vinceva l’ultima resistenza spingendolo dentro con decisione.
Emma per un po’ pianse, ma alla fine si abituò al movimento dentro di sé e si mise tranquilla, poi però, quando il figlio, un giovane di aspetto robusto le mise davanti il suo uccello bello duro, non seppe resistere e prese a succhiarlo con gran gusto.
La lasciarono scolare una seconda volta.
Dietro le bruciava forte e le sembrava che il vento gelido, che non aveva cessato un momento di soffiare, arrivasse direttamente all’intestino attraverso il suo orifizio rimasto dilatato.
Anche il figlio volle provare il suo culo, mentre il vecchio, dicendo di essere stanco, si occupò di farla mangiare.
‘Emma, sul cartello c’è scritto di farti bere e mangiare, e noi manterremo la promessa.
Ti piace la frittata di carciofi?”
Sì, le piaceva, ma era una follia pensare di addentare due fette di pane con dentro una frittata, mentre un’altra persona, da dietro, ti allargava il sedere e ti infilava il pene dentro il tuo ano dolorante.
Comunque la frittata non era cattiva, anche se era fredda ed aveva uno strano sapore.
Pensò a quello che aveva fatto nell’ultima ora con la bocca e capì che il sapore non era certo colpa della frittata.
I due la salutarono e se ne andarono dopo aver rimesso a posto il vestito, ricoprendole le gambe ed il sedere.
Per ora era viva, ma quanto avrebbe resistito in quella posizione?
Se non fosse passato nessuno per qualche giorno sarebbe morta di fame e di sete, per non parlare del pericolo degli animali feroci.
Ce n’erano in quella foresta?
Tigri e leoni sicuramente no, però poteva essere assalita da un orso.
E’ feroce l’orso? Forse non troppo, però e grande.
I lupi. I lupi si sono feroci e pericolosi. Se fossero arrivati l’avrebbero sbranata e lei non avrebbe potuto far nulla per difendersi.
Intanto la temperatura si era alzata ed il solo aveva un po’ asciugato il suo vestito bagnato.
Di giorno, comunque i lupi non sarebbero venuti, aveva letto che cacciavano di notte.
Un rumore, come di passi leggeri, doveva trattarsi di un animale.
Emma trasalì quando si sentì toccare le caviglie.
Qualcosa di caldo e peloso si stava infilando sotto la gonna del vestito.
Sentiva il respiro della bestia che la stava annusando ed ora il suo muso risaliva lentamente lungo le sue gambe.
Se si trattava di un lupo era spacciata.
L’animale spinse con il muso in mezzo alle sue cosce e lei allargò leggermente le gambe.
Ora la stava annusando rumorosamente proprio lì in mezzo, doveva aver sentito l’odore, quello suo e quello dei due uomini.
Una leccata, lunga, calda e bagnata sulle labbra del suo sesso chiuse ed impiastricciate di sperma, la risvegliò completamente dal torpore in cui era caduta.
Un’altra leccata in mezzo al sedere, sull’ano dilatato ed indolenzito, poi l’animale si drizzò.
Sentì le unghie delle zampe anteriori sulla schiena ed il peso della bestia su di lei.
Oddio! Questo no! Non voglio essere scopata da un animale.
‘Buck! Maledetto bastardo, torna qui.
Non esiste cane più disubbidiente di te.’
La voce lontana del padrone dell’animale, la tranquillizzò: l’uomo lo avrebbe richiamato e lei si sarebbe salvata.
Ma doveva proprio aver ragione, quel tipo, riguardo alla disobbedienza di Buck, perché il cane aveva continuato imperterrito, cercando di accostarsi di più a lei.
Aveva visto diverse volte come lo facevano i cani e il pensiero che un affare con la punta rossa, spuntato improvvisamente in mezzo al ventre peloso della bestia, entrasse dentro di lei, le dava il voltastomaco.
‘Aiuto!’
‘Via, va via, Buck!’
Il cane ora le stava appiccicato addosso e stava cercando di infilarlo in uno dei suoi buchi. Sentiva bene la punta del pene che sbatteva contro il suo corpo.
Un tonfo sordo, come di una pietra che colpiva qualcosa, seguito da un guaito di dolore.
Emma ora non avvertiva più il peso del cane sulla sua schiena.
‘Vediamo cosa c’è scritto qui.’
La voce era vicina e l’uomo sicuramente si era messo a leggere il cartello.
‘Emma.’
Sollevò la testa e si trovò davanti un uomo alto e grasso, completamente calvo, con indosso un saio marrone.
Un frate, se non altro non avrebbe approfittato di lei.
‘Allora abbiamo qui una peccatrice.
Tranquilla ragazza, siamo tutti peccatori, ed io ti aiuterò a fare penitenza.’
Teneva in mano un bastone lungo e nodoso e cominciò a colpirla sulla testa.
‘Ahi, ahi! Basta per favore.’
Non erano colpi forti, ma comunque risultavano fastidiosi.
‘Vedrai che quando avrò finito con te, la tua anima si sarà un po’ ripulita dai peccati commessi dal tuo corpo.’
Sparì alla sua vista.
La prima bastonata la colpì sul sedere rimasto scoperto dopo l’assalto del cane.
‘Pentiti, Emma!’
‘Aiuto, per favore, no, mi pento, mi pento!’
Ma il frate continuava imperterrito a colpirla sulle chiappe e sulle cosce.
Quando si fermò Emma era talmente piena di dolori da pensare che sarebbe stato meglio farsi scopare dal cane piuttosto che subire una simile punizione.
‘Ed ora vediamo di estirpare il peccato che è ancora in te.’
Le allargò la vagina con le mani e poi iniziò ad infilarci dentro qualcosa.
‘Cosa mi sta facendo?’
‘E’ soltanto il cordone che porto alla vita, lo tirerò fuori piano piano ed i nodi, uscendo, si porteranno appresso i tuoi peccati.’
Ora si sentiva piena e la corda arrotolata stava cominciando a fare effetto su di lei.
Un effetto che non doveva fare, perché se il frate si fosse accorto che lei si eccitava, avrebbe ripreso a bastonarla.
Cominciò a tirare un capo del cordone, facendo in modo che uscendo sfregasse bene sulla carne di Emma.
Lei stava tesa, cercando di non palesare l’eccitazione che cresceva dentro di lei.
Il primo nodo si incastrò un attimo ed il frate tirò un po’ di più.
Emma non riuscì a trattenere un gemito.
Si sentiva fradicia e la corda usciva lentamente, pezzetto dopo pezzetto.
Passò il secondo nodo e poi anche il terzo, ormai Emma respirava rumorosamente a bocca aperta, ma il frate non mostrava alcuna reazione.
Lei stava muovendo il bacino e gemeva senza ritegno, mentre il frate continuava a tirare il cordone, come un pescatore che recupera la sua rete.
Venne via anche l’ultimo pezzo di corda.
‘Bene, ragazza, ora che il peccato è stato stanato non resta che dargli il colpo di grazia.’
‘Ahi! Ma che fa, lei è un frate, non può.’
‘Lo devo fare per estirpare il peccato dal tuo corpo, poi comunque mi confesserò, ma il mio è un peccato a fin di bene, e poi, cosa vuoi che sia una piccola e stupida inculata, rispetto al male che affligge questo mondo.’
La pancia enorme del frate, appiccicata alla schiena di Emma, la faceva sbattere contro il bordo del foro del tronco, lei si lamentava ma lui continuava tranquillo, incurante delle proteste della donna.
Ad un certo punto si fermò, lo sfilò e decise di continuare in altra maniera.
‘Ora Emma finirò di purificare il tuo sesso che ha accolto tanti, troppi peccatori.’
Emma gemeva, disperatamente ormai vicina all’orgasmo.
‘Ecco, sento che il peccato sta per uscire dal tuo corpo, ora …’
Emma gemette ancora più forte ed il frate si aggrappò forte alla sua schiena mentre scaricava lo sperma dentro di lei.
Di nuovo, sola, il frate se ne era andato lasciandola piena di sperma e con la gonna sollevata, senza neanche farle bere un sorso d’acqua.
Aveva detto ridendo che il digiuno avrebbe reso più proficua la sua penitenza.
‘Eccola, è lì, avevi ragione.’
‘E adesso che facciamo?’
‘Come che facciamo, cosa ci vuoi fare con una donna?’
‘Non l’ho mai fatto io.’
‘Io si, con mia cugina più grande, ma solo di dietro perché sennò rimaneva incinta.’
Un gruppo di ragazzini, avranno avuto in media quattordici o quindici anni. Anche loro erano venuti a divertirsi.
‘Adesso vi faccio vedere come si fa.
Questo qui è il buco del culo, mentre questa, più sotto, è la fica.’
Ci passò sopra due dita ed Emma fece un subito un bel gemito.
‘Sta male?’
‘Ma no, cretino, le piace, e vedrai quando la scoperemo.’
‘E’ grande! Quella di mia sorella è molto più piccola.’
‘Ma sei stupido? Tua sorella ha sei anni, una donna adulta ce l’ha molto più grande, e poi devono essere passate parecchie persone prima di noi, che gli hanno dato una bella allargata.’
‘Ma è tutta sporca, a me fa un po’ schifo.’
‘A me no, solo un po’ di sborra, ci aggiungeremo anche la nostra.’
Quello che doveva essere il capo, gli lo mise subito nel culo.
Aveva pensato che essendo poco più che un ragazzino, ce l’avesse piccolo, invece quando lo spinse dentro la fece gridare di dolore.
‘Molto meglio di mia cugina, che è grassa ed ha le gambe pelose.’
‘Ciao.’
Emma alzò la testa e si trovò davanti un biondino con le lentiggini ed i pantaloni corti.
‘E tu chi sei?’
‘Io sono Gianni, dicono che sono troppo piccolo per scopare.’
Gianni aveva tirato fuori l’uccello dai pantaloni ed aveva cominciato a masturbarsi.
La mano si muoveva veloce ed il pene del ragazzino era a pochi centimetri dal suo viso.
Quello dietro a lei che continuava nella sua allegra cavalcata, le infilò una mano dentro la fica e cominciò a farla scorrere avanti ed indietro, al punto che Emma prese a respirare rumorosamente con la bocca aperta.
Il ragazzino, che sembrava letteralmente in estasi, aumentò il ritmo.
Sapeva benissimo quello che stava per accadere, ma era incapace di chiudere la bocca.
L’apertura al centro della punta del pene del ragazzo si era fatta rossa e lui aveva chiuso gli occhi.
Si fermò un attimo, poi il primo schizzo le entrò diritto in bocca mentre l’altro dietro veniva nel suo culo.

Emma si svegliò come al solito, bagnata ed eccitata , nel suo letto.
La luce, stranamente, era accesa.
‘E tu che ci fai qui?’
Marco sorrise e si avvicinò.

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