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– Ringrazio sentitamente quanti tra i lettori seguano il mio racconto, che per inciso è frutto di fantasia. –
– Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale. –
Ernesto divenne il suo amante fisso per un po’. Simona si vedeva anche altri uomini, ma con Ernesto condivideva il piacere di usarmi e umiliarmi nei modi più degradanti. Così capitava che fossimo in casa da soli e lui ne approfittava per farsi servire, non solo sessualmente.
Mi trattava come una schiava e come una puttana, umiliandomi e usandomi in tutti i modi, punendomi se non collaboravo.
A Simona non dispiaceva affatto, anzi. Mi domandava spesso cosa fosse successo in sua assenza, costringendomi a umiliantissime confessioni che pretendeva molto dettagliate.
Lui aveva una predilezione per il culo. Non che gli piacesse il mio, gli piaceva la sensazione di dominio che solo uno stupro anale può dare, e adorava sculacciare.
Di solito mi prendeva sulle ginocchia, mi abbassava le mutandine lentamente per godersi la mia vergogna e la mia paura, poi mi infliggeva lunghe e dolorose sculacciate fino a farmi il culo rosso come un pomodoro.
Io lo supplicavo disperatamente, a volte piangevo, ma non serviva a niente. Mi batteva con forza e veemenza a mani nude mandando le mie natiche letteralmente a fuoco.
Avevo imparato a temerlo anche più di Simona. Il potere che aveva su di me era assoluto e si eccitava molto a vedermi così sottomesso. Non era gay, semplicemente amava dominare e non faceva differenza tra donne e travesti.
Ad ogni modo divenni la loro schiava e oggetto di piacere. Mi tenevano ai loro piedi mentre facevano l’amore, a disposizione soprattutto di lui. Simona adorava quando Ernesto mi trattava come la sua cagna, e lo incitava a farlo. Mi leggeva la vergogna negli occhi e le piaceva moltissimo vedermi sottomesso alle sue angherie.
Era un sabato pomeriggio di primavera, ed ero indaffarata nelle pulizie di casa quando mi chiama per una novità:
S- Oggi pomeriggio alle 16 viene a prenderci Ernesto, andiamo in centro a fare shopping, sei contenta?
Non lo ero affatto, temevo nuove umiliazioni, soprattutto temevo per il tipo di abbigliamento che mi sarebbe stato imposto.
Poi mi tranquillizzai, pensando che di pomeriggio, in giro per negozi, in centro città, non lo avrebbe fatto.
No, non mi avrebbero fatto uscire en femme, troppo il rischio di essere riconosciuti.
Invece, verso le tre di pomeriggio Simona mi chiama:
S- Forza, devi prepararti, tra un’ora arriva Ernesto, se no facciamo tardi.
Ero impegnata a pulire il bagno di Simona, avevo ancora tempo e sul momento non capii il motivo di tutta quella fretta.
Quando arrivo in lavanderia la trovo ad aspettarmi: c’è una sedia davanti allo specchio e una trousse sul tavolo. Guardo il letto e precipito nella disperazione.
Accanto ad un ridottissimo vestitino di cotone color crema c’è un bustino bianco con la legatura dietro, un minuscolo perizoma e sul pavimento un paio di zoccoli in legno bianchi con almeno 13 centimetri di tacco a spillo.
Forse una ragazza di 19 anni in una discoteca avrebbe potuto azzardare un simile outfit, ma certo non in giro per negozi di sabato pomeriggio: facendolo, sarei passata sicuramente per una prostituta trans.
L- Ma… Simona, non vorrai davvero che esca vestita così?
S- Certo che voglio. Su sbrigati, c’è molto lavoro da fare.
Il mio peggiore incubo stà diventando realtà.
Comincio a spogliarmi lentamente mentre mi guarda divertita, percependo la mia disperazione.
Non voglio farlo, non posso. Uscire travestita da donna sarebbe già inaccettabile, ma quel genere di abbigliamento è davvero troppo.
Non appena sono nuda mi inginocchio ai suoi piedi nella speranza di impietosirla.
L- Ti prego Simona, non farmi questo, non farmi uscire così, ti supplico, sarò la tua schiava. lo giuro, ma non farmi questo.
S- Sbrigati sciocchina, non abbiamo tempo. Alzati subito e collabora o ti prendo a frustate.
Mi tira su con la forza, prende il bustino e mi aiuta a indossarlo, stringendolo con i laccetti da dietro.
Stringe fortissimo assottigliandomi notevolmente il giro vita, fermandosi ad osservare il risultato. Quel bustino disegna il mio corpo in una forma a clessidra, rendendolo davvero più femmineo e mettendo ancora di più in evidenza la gabbietta di castità, che fa bella mostra di sé, sotto il pube perfettamente depilato.
Lei sorride, poi mi porge il perizoma ridottissimo e mi ordina di indossarlo, soppesandomi e strizzandomi lo scroto.
Quel gesto disinvolto e apparentemente innocente scandisce nella mia mente quanto la mia virilità sia diventata inutile e superflua. Pur non volendo capisco che mi sto pian piano rassegnando alla castità permanente, da quando indosso la gabbietta non ho più avuto una piena erezione e, mi piaccia o no, la mia sessualità si sta’trasformando.
Con la mente occupata da questi pensieri, indosso l’abitino e calzo gli zoccoli, rassegnandomi a presentarmi al mondo vestita da puttana.
S- Ora siediti, che ti trucco.
Dopo circa 30 minuti abbiamo finito, ho anche una parrucca a caschetto, e mi porta davanti allo specchio.
L’abitino è aderente e segue la forma del corpo mortificato dal busto, dandomi una siluette davvero femminile con la vita stretta e i fianchi larghi. Le gambe perfettamente depilate, gli zoccoli e lo smalto rosso ai piedi mi fanno sembrare una femminella volgare e provocante, impossibile passare inosservata.
Ma è quello che voleva Simona.
Un occhio attento capirà che sono un travestito, ma ai più potrei sembrare una donna che va a giro vestita da troia.
Ernesto arriva puntuale e quando mi vede sorride maliziosamente e dice:
E- Con un pò di tette potresti passare davvero per una donna. Vedrai che ci divertiremo.
Ormai sono abituata alle sue battutine stronze, ma gli sorrido nella speranza di evitarmi punizioni.
Appena parcheggiamo l’auto e iniziamo a passeggiare precipito nell’incubo.
Mi stanno esibendo forzatamente e presto la vergogna prende il sopravvento. Sono sempre più a disagio, mi sembra che tutti guardino me.
Trovo difficile camminare sul marciapiede con quei tacchi così alti e sottili, guardo costantemente dove metto i piedi per paura di inciampare in qualche buca o tombino e mi rendo conto di quanto siano femminili ed attraenti con gli zoccoli e le unghie smaltate.
Infatti ricevo i primi apprezzamenti, alcuni gentili altri meno. Ernesto e Simona camminano qualche metro dietro di me godendosi il mio crescente imbarazzo, li sento ridere e scherzare su di me, sul mio culo quasi scoperto, sul mio girovita così ben assottigliato dal bustino, sulla mia camminata ancora incerta ma provocante, da vera troia.
Anche Simona calza scarpe con tacco alto, anche se meno alto del mio, ma il suo incedere è e naturale ed elegante, molto sensuale ma senza mai sfociare nel volgare.
Realizzo che la stò invidiando per la sua spontanea femminilità, mentre io mi sento ridicolo e patetico.
Penso sempre di più come una donna.
Per loro è tutto un gioco, ma io sono estremamente imbarazzata ad esibirmi in pubblico travestita così, la paura che qualcuno che conosco possa riconoscermi mi martella la testa, tenendomi costantemente in ansia.
Quando entrano in un negozio di intimo devo seguirli.
La commessa è molto carina, mia moglie sceglie un perizoma per lei, poi si avvicina ad uno stendino con degli abitini e con cattiveria assoluta mi dice:
S- Guarda che carino questo, perché non te lo provi ciccina?
La ragazza mi guarda e subito abbasso gli occhi: devo essere arrossita e sebbene lei sia molto giovane, temo abbia capito la mia natura.
Perfettamente consapevole dello stato di enorme imbarazzo in cui mi trovo, Simona le porge l’abito e le dice:
S- Sia gentile, l’aiuti lei a provarlo, non ha ancora molta esperienza con queste cose, lei capisce.
La ragazza sorride un pò imbarazzata anche lei. Se non aveva capito, adesso lo sa.
Simona mi guarda con un sorrisetto crudele e mi dice.
S- Forza ciccina, va con lei a provarlo.
Seguo la commessa, entriamo nel minuscolo camerino e le chiude la tendina.
C- Si spogli così l’aiuto ad indossarlo.
Sono nel panico: dandole la schiena vedrà i segni delle punizioni che ho sulle natiche, ma se mi giro vedrebbe la gabbietta sotto il minuscolo triangolino di stoffa delle mie mutandine, purtroppo completamente trasparente.
Non so come fare, mi vergogno da morire ma devo spogliarmi per forza e senza pensarci troppo resto di schiena, mi sfilo l’abitino e indosso quello che devo provare più in fretta che posso.
La mutandina ha solo un filo che passa tra le natiche, le sto mostrando il culo con evidenti segni di bacchettate, inoltre il bustino e gli zoccoli che calzo rendono palesemente esplicita la mia condizione, ma cerco di non pensarci.
Nel frattempo Simona porta un altro abito da farmi provare e spalanca spudoratamente la tendina:
S- Guarda che carino anche questo, ciccina. Provalo.
La commessa sorride, probabilmente ha capito il gioco di Simona e sembra divertirsi a farmi spogliare e rivestire una seconda volta.
Poi torna ancora con un altro e poi un altro. E ogni volta apre la tenda tirandola, assolutamente incurante del fatto che io possa essere vista nuda da altri clienti che si avvicinano ai camerini per provare qualcosa.
Per fortuna c’è poca gente ma ormai la tendina è sempre aperta ed io non faccio altro che mettere e togliere vestiti, rimanendo continuamente nuda davanti alla commessa, che ormai ha visto ogni dettaglio del mio copro, sia dietro che davanti.
Essere esibito così spudoratamente ad una giovane ragazza è di una umiliazione devastante. Lei non dice niente, è visibilmente imbarazzata anche lei, così interviene Simona per metterla a suo agio.
S- Tranquilla cara, è ancora in transizione sai. Non essere a disagio, non è proprio il caso con lei, è completamente sottomessa. Come ti chiami?
C- Caterina signora – risponde lei abbozzando un sorriso.
C- Si, avevo capito qualcosa dai segni che ha sulle natiche, ma non sono a disagio, glielo assicuro. E che… non avevo mai visto…. mi scusi se glielo chiedo ma….. che cosa ha tra le gambe?
Chiede a Simona a non direttamente a me. Evidentemente ha capito che lei è la mia padrona, e Simona non perde l’occasione per mortificarmi ulteriormente.
S- Una cintura di castità, cara. La ciccina qui ha il pene chiuso in una gabbietta per impedirne l’erezione. Forza ciccina, togliti le mutandine e fai vedere a Caterina.
La situazione ha preso una piega inaspettata, la cattiveria di mia moglie sembra davvero sconfinata. La tendina è aperta, davanti a me ci sono Simona, Ernesto e la giovane commessa, e dietro di loro altre persone che girano per il negozio, ma Simona non se ne cura e pretende che mi tolga pubblicamente le mutandine per far vedere la gabbietta alla commessa.
Guardo Simona sgranando gli occhi, non posso credere che mi sta costringendo a fare una cosa simile, ma purtroppo la sua espressione è inequivocabile.
In questo momento non indosso un vestito, ho solo mutandine, bustino e zoccoli: togliendole rimarrò praticamente nuda. Solo l’idea mi fa impazzire, ma non ho scelta.
Le abbasso con una mano e, sorreggendomi alla parete per non cadere, le sfilo prima da un piede poi dall’altro, cercando di non perdere l’equilibrio, che anche il bustino così stretto contribuisce a rendere precario. Rimango immobile a farmi guardare da quella giovanissima ragazza, non avrei mai pensato di arrivare ad esibirmi pubblicamente in quel modo così osceno e degradante.
C- Oh mi dio…. ma non si vergogna ad andare in giro così? – chiede la ragazza tappandosi la bocca con le mani e strabuzzando gli occhi per lo stupore.
S- Credo proprio di si – risponde Simona sorridendole.
S- Ma te l’ho detto, come vedi è completamente sottomessa.
C- Beh, si, lo vedo- dice ridendo
Poi si rivolge a me, ormai l’iniziale imbarazzo è svanito e sembra più a suo agio.
C- Adesso è meglio se ti rivesti se no qualche maschiaccio ti salta addosso.
E mentre lo dice mi passa il mio abitino coprendosi ancora la bocca con la mano, questa volta per nascondere una risatina maliziosa.
Mi accorgo che è passata dal lei al tu. Piena di vergogna la ringrazio e indosso l’abito più in fretta che posso, sperando che gli altri clienti non mi abbiano vista completamente nuda, e fortunatamente quella esibizione forzata giunge alla fine.
Dopo poco siamo alla cassa e mentre mia moglie paga, Caterina mi lancia una serie di occhiate maliziose.
Io abbasso gli occhi rimanendo immobile al fianco di Simona, in silenzio, ma bricio ancora di vergogna.
Fatto lo scontrino mi consegna un grosso bustone e sorridendomi mi saluta:
C- Ciao ciccina.
Purtroppo per me lo shopping non è finito. Ci fermiamo davanti ad un negozio specializzato in abbigliamento per cubiste ed entriamo. Tutti i capi e le scarpe in vendita sono disegnati ad un solo scopo: rendere super sexy la ragazza che li indossa. Prevedendo nuove umiliazioni vorrei scappare via il più lontano possibile, ma non lo faccio.
Ci sono due commesse molto giovani ed un uomo di circa 50 anni con una grossa pancia. Simona si rivolge ad una delle ragazze chiedendole un sandalo di vernice rossa con tacco 12.
S- E’ per lei, porta il 39 – le dice indicandomi.
Ernesto girella per il negozio, che è molto grande, mentre la ragazza prende un paio di sandaletti dallo scaffale e me lo porge.
In realtà porto il 41, Simona lo sa benissimo, ma non faccio alcuna obiezione, so che devo provarlo punto e basta. Mi siedo e con molte difficoltà li calzo, riuscendo a stento ad allacciarli alle caviglie tanto sono stretti.
S- Forza, che aspetti, alzati e cammina.
Il mio passo è incerto, li sento terribilmente stretti e nella posizione in cui sono costretti i miei piedi è davvero come camminare sulle punte delle dita che risaltano volgarmente mettendo in evidenza lo smalto delle unghie.
Tutti mi guardano i piedi, anche l’uomo, che intanto si è avvicinato.
G- Buongiorno, mi chiamo Giorgio, sono il titolare. Credo che serva almeno un numero in più, non crede?
Si è rivolto a me mentre provo a camminarci muovendo qualche passo, so di essere ridicola e con i piedi strizzati in quelle calzature lo sono ancora di più.
Provo tantissima vergogna, è una continua umiliazione alla quale mi è impossibile abituarmi, mi sembra tutto così assurdo e crudele, ma Simona è raggiante, si stà divertendo un sacco a vedermi così in difficoltà e piena di vergogna.
S- No, non credo signor Giorgio. Lei non è ancora abituata ai tacchi, meglio prenderli un po più strettini.
Simona risponde al posto mio, rendendo palese la mia dipendenza da lei, cosa che non sfugge all’uomo, sempre più interessato alla situazione.
G- Vai pure Tatiana, penso io a loro. – dice alla commessa
G- Va bene signora, capisco: se è così allora vadano benissimo.
I piedi mi fanno male da morire ma non oso fiatare.
E- Quanto vengono? – interviene Ernesto, rimasto in disparte fino a quel momento.
G- 130 Euro.
S- Non ci può fare un piccolo sconto? – gli chiede Simona
G- Vede, i prezzi sono già scontati, davvero non posso.
Ernesto gli si avvicina sorridendo, e appoggiandogli la mano sul braccio gli dice:
E- Via, sia gentile con noi. Solo un piccolo sconto e…. la ragazza qua, sarà gentile con lei. – e gli strizza l’occhio.
L’uomo mi guarda perplesso, non ha ancora capito bene cosa gli stà offrendo Ernesto, che non esita ad essere più esplicito.
E- Facciamo così: 120 euro e lei le sarà riconoscente. Con la bocca è molto brava, e ingoia tutto. E se non sarà soddisfatto, niente sconto. Ci sta? Immagino che ci sia un angolino riservato dove potrebbe appartarsi con lei.
Io rimango muta, in piedi su quei sandali impossibili da calzare, ascoltando quella assurda conversazione. Mi ha appena offerta a lui per un pompino, per 10 euro di sconto.
L’uomo sorride, ormai ha capito.
G- E va bene, come dirle di no. – e si danno la mano sorridendo.
G- Voi intanto fatevi pure un giro per il negozio – poi si rivolge a me – e tu vieni con me.
Lo seguo in silenzio, il cuore mi batte a mille, cerco di non pensare a quello che devo fare, mi sento peggio di una prostituta, devo fargli un pompino in cambio di uno sconto ridicolo, praticamente mi stanno facendo prostituire.
Scendiamo una scala fino ad un magazzino, ho ancora quei maledetti sandaletti rossi ai piedi e non riesco a camminarci, ma non importa, ormai non penso ad altro che all’umiliazione che sto subendo.
L’uomo chiude la porta, si siede su una sedia e mi ordina di spogliarmi.
G- Togliti il vestito e inginocchiati tra le mie gambe.
Solo in quel momento realizzo che non indosso più le mutandine. Sono nel panico, inizio a tremare, consapevole che devo accontentarlo.
Non voglio, non posso abbassarmi a fare una cosa simile: invece mi spoglio davanti all’uomo quasi senza esitazione. È vergogna allo stato puro.
Lui ride, prende la gabbietta tra le dita, la solleva, la tira, mi strizza i testicoli facendomi genere di dolore. Io resto immobile e subisco tutto, anche quando mi strattona con forza lo scoto facendomi accucciare tra le sue cosce.
G- Sei la loro schiava, non è così?
Non rispondo, ho troppa vergogna, ma lui mi torce dolorosamente i genitali e li tira con maggior forza.
L- hhhhaiiiiiii, si, si, signore, sono la loro… schiavaaaaaaa. Piiianoooo, pp … per favore.
G- Giù in ginocchio. Tiramelo fuori e succhialo.
Ormai sono con la faccia all’altezza della sua patta e timidamente abbasso la cerniera per infilare la mano nelle sue mutande e tirarlo fuori.
Ce l’ha già duro. E’ tozzo e molto largo. So che devo usare solo la bocca perchè agli uomini piace di più. Così uso le dita solo per scoprire l’enorme glande che emana un odore forte e pungente, un odore di cazzo che ormai conosco bene.
Una spiacevolezza che amplifica la mia umiliazione, ma devo prenderlo in bocca a prescindere che sia pulito o meno. Sentirne l’odore e il sapore è terribilmente degradante, ma lo imbocco ugualmente, spalancando al massimo la mascella e spingendomi verso il pube peloso. Ho me mani sulle sue cosce mentre le sue mi prendono la testa per spingermi e forzarmi ad ingoiarlo tutto. E’ la cappella più grossa che ho visto fino ad ora, mi riempie completamente la bocca premendo sul palato e l’esofago, causandomi conati di vomito, ma non posso fermarmi, devo soddisfare la sua voglia.
Inizio a spompinarlo e quindi a lacrimare e sbavare. Si dimostra subito molto esigente, spinge e mi fa accelerare il ritmo, totalmente incurante dei sofferti rumori gutturali che emetto producendo una quantità enorme di saliva che mi cola dai lati della bocca. Ormai non penso ad altro al cazzo che ho in bocca, devo farlo sborrare prima possibile o mi soffocherà. Così abbandono pudore e reticenza e lo pompino con tutto l’impegno e la devozione di cui sono capace, consapevole che mi sto trasformando in una troia succhia cazzo, una vera puttana.
Quando comincia ad ansimare più forte sento che si avvicina al piacere, mi tiene ancora la testa per impormi il ritmo e mi spinge sua verga completamente in gola, prima di ritirarsi.
Non riesco più prendere aria, ma non importa, devo assolutamente farlo godere o mi soffocherà nella mia saliva che ormai cola ovunque.
E fortunatamente arriva il suo l’orgasmo. Brutale e violento, sento lo sperma che mi invade la gola e mi riempie, mentre mi tiene giù con le mani. Non credevo di poter fare simili cose, ho il naso schiacciato sul suo pube foltissimo e ispido mentre eiacula nelle mie tonsille, a fiotti, grugnendo come un porco.
Ernesto gli ha detto che ingoio tutto e non posso che obbedire. E’ orribile doverlo fare, stringo le labbra sull’asta e aspetto la fine dei suoi spasmi, poi sempre stringendo le labbra mi sfilo lentamente. Mi ritrovo con la bocca piena, completamente colma dello sperma di un uomo che nemmeno conosco e che mi ha usata peggio di una troia da strada. Mi solleva il mento con un dito, soddisfatto anche dal mio disgusto nel doverlo compiacere, e aspetta.
So di doverlo fare, ma non ci riesco.
E lui aspetta, aspetta e mi fissa. Vuole vedermi ingoiare il suo seme.
Sento il sapore dello sperma come farsi strada nel cervello, mi sembra di impazzire. Non ci riesco, vorrei sputare tutto, vorrei urlare, vorrei scappare, ma quello che voglio è molto diverso da quello che devo. Stringo gli occhi e mando giù tutto. Lui mi guarda e sorride in modico sarcastico. L’ho fatto godere ma percepisco il suo disprezzo, so di essere solo una schiava troia per lui, ma gli do comunque la soddisfazione di omaggiarlo con la mia sottomissione. Apro la bocca e gli faccio vedere che ho ingoiato tutto il suo seme, come la brava troietta che sono diventata.
Lui apprezza e ride, mentre si ricompone e si riveste.
G- Sei proprio una puttana.
Non dice altro, ma ha detto tutto.
Alla cassa Simona paga le scarpe, che per fortuna mi ha fatto togliere per rimettere gli zoccoli da troia con cui sono entrata. Mi guarda con un sorrisetto maligno, poi guarda l’uomo muovendo la testa come per dire… Allora?
Lui sorride a Simona, poi guarda me facendo una smorfia con la bocca. Io sono li, in piedi accanto a Simona, bruciando di vergogna per ciò che ho fatto e per come l’ho fatto, in trepidante attesa del suo giudizio. Se vale o no i 10 euro di sconto.
Non avrei mai creduto di poter sperimentare un tale livello di degrado, ma come scoprirò più avanti, non ho ancora toccato il fondo.
Finalmente l’uomo si pronuncia:
G- Si, devo ammetterlo. Si è meritata lo sconto concordato. Sono 120 euro, signora. Tornate pure quando volete, e riportate anche lei, vi farò ancora un prezzo speciale.
Tutti e tre ridono, io invece sento ancora il sapore acidulo del suo sperma in bocca, e ho solo voglia di piangere. E in cuor mio, spero di non rivedere mai più quell’uomo.

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