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Racconti di Dominazione

Storia di una schiava

By 17 Maggio 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

LA STORIA DI UNA SCHIAVA
(parte Prima)
Di Ashanti

Era ora. Era giunto il momento di fare il grande passo. I miei pensieri, le mie immagini corrono tutte alla prima volta che persi allo scarabeo.
‘Non ci posso credere’.accettare di diventare una schiava solo per aver perso in un gioco”Un sorriso mi sale alle labbra, chiudo gli occhi e scuoto la testa come per negare tutto, per dire che forse &egrave tutta immaginazione la mia, e che ora non mi trovo su quel treno che va diretto a Roma, che va verso il Padrone.
Mi si accavallano un mare di paure in un oceano di pensieri mentre il paesaggio fuori dal finestrino scorre rapido, forse troppo.
Il Padrone, il Signore’colui a cui ho obbedito, implorato, e supplicato, colui a cui sono rimasta fedele come cagna, come schiava, come oggetto.
Lui, il Padrone, unico essere che ha ogni diritto su di me, piccolo granello di sabbia sulla spiaggia.
E ora dopo mesi per la prima volta lo vedrò. Non sarò più una schiava semi-virtuale, varcherò quella soglia che ho varcato tante volte nella mia mente, e che si &egrave portata dietro mille paure con tutti i suoi se, i suoi ma.
Il paesaggio continua a scorrere velocemente insieme ai miei pensieri, ad un tratto sbarro gli occhi ad un pensiero che mi fa quasi paura dalla forza in cui si &egrave insinuato nella mia testa: ‘ma se non dovessi riuscirci? Se quando gli sono davanti e mi ordina di inginocchiarmi non lo facessi? E se dovessi scappare appena lo vedo? O anche solo’..ma se non fossi di suo gradimento per qualche motivo?’
Davanti a queste domande, chiudo gli occhi e li riapro guardando le mani giunte in grembo. Osservo le unghie, lunghe e ben curate, mi perdo nel guardarle assorta, e stranamente non penso a nulla, come se un forte vento avesse disperso ogni mio pensiero, ogni mia incertezza, ogni mia paura.
Senza rendermene conto sollevo una mano e mi tocco il collo, lo accarezzo ma ancora non mi basta, ho la necessità fisica e mentale di sentire la pelle e il cuoio sotto le dita. Mi allento il foulard, e inspiro appena i polpastrelli toccano il collare, avverto la sua forza, la sua fermezza sulla mia pelle come se mi volesse dire che lui &egrave lì al di là delle mie paure, lui &egrave lì fermo, saldo sul mio collo.
Con le unghiette picchietto sull’anello al centro, &egrave un rumore che mi rilassa, il suo picchiettio continuo mi calma.
L’altoparlante gracchia. Capisco solo che siamo arrivati a Roma. ‘Sono già arrivata, ma come? Così in fretta? Ma sono già trascorse quattro ore!? Perché ha fatto così in fretta?’ Mi riallaccio il foulard, e come una donna civettuola mi controllo allo specchio di essere in ordine. La mente &egrave vuota, non ho davvero più pensieri, sono lì, sono arrivata e in stazione ho il Padrone che mi attende. Basta questo, ed &egrave quello che importa. Il treno si &egrave fermato, mi metto in coda per scendere, il piazzale &egrave gremito di viaggiatori ‘Mamma mia quanta gente! Non lo troverò mai!’ Seguo la folla nell’unica direzione possibile, sembra assurdo ma sono concentrata sul ticchettio dei miei stivali che sento ad ogni passo, che si distingue dagli altri, suono che si modifica e diventano parole nella mia testa’!. ‘Tu chi sei? Cosa sei? Di chi sei?’ ‘..Sono una pazza ad avere in testa le sue domande che mi fa nei miei momenti di sconforto.
Controllo a destra e a sinistra, il Padrone mi aspetta al bar di fianco al giornalaio. Eccolo! Mi fermo solo per una frazione di secondo a qualche metro dal bar. Mi al liscio la camicetta con un mano, faccio un grosso sospiro ed entro.
Mi guardo intorno, c’&egrave troppa gente.. come da accordi ordino un succo di frutta alla pesca, non so dove appoggiare il bicchiere, non c’&egrave un tavolino vuoto, non un angolo in cui ci si possa stare un attimino, anche solo per cercare il cellulare e provare a chiamare. Appoggio il troller contro la parete, sento squillare il cellulare, mi assale il panico, ma &egrave possibile che non lo trovo in una borsa così piccola?? ‘Dove sei dai salta fuori, e muoviti! Ecco ha smesso di squillare, uff ma perché?’ Mentre sto maledicendo al fatto che inventano cellulari sempre più piccoli e leggeri, sento la sua inconfondibile voce ‘Ho fame ed &egrave tardi, e io non ho ancora pranzato, e so che nemmeno tu hai mangiato. Vieni andiamo’.
Come da risposta ad un richiamo inconfondibile rispondo ‘si Signore’ senza nemmeno alzare lo sguardo dalla borsetta. Sollevo il capo e vedo giusto in tempo la sua schiena che va verso l’uscita del bar. Afferro il troller e inseguo il Padrone a passo spedito, la signora a fianco a me mi guarda tra lo stupore e lo sdegno, ma cosa ho fatto? Mentre sono dietro di qualche passo al Padrone mi controllo che la camicetta sia abbottonata, e la gonna in ordine”si tutto bene, chissà cosa aveva da guardare in quel modo la signora’.mah.
Seguo la sua schiena, il cuore mi batte impazzito, che emozione incredibile’indicibile! Non si sembra vero, trattengo a stento un sorrisino da ebete, oddio sono qui. Basta essere una mezza schiava, affrontare ordini e punizioni accontentandomi solo della sua voce al cellulare, basta domandarsi se in fondo sono davvero una schiava o una sciocca che gioca a farlo, basta tutto ciò!
Sento nascere in me una sicurezza di quello che sono, una forza che nasce dal mio animo, dalla mia essenza, la consapevolezza che sono domande stupide quelle che mi pongo perché in sostanza posso solo mascherare per codardia la mia natura, la mia essenza’e io sono una schiava e nulla può modificare questo dato di fatto. Un suo sms mi salta dolcemente in mente: &egrave come un luna park, la maggior parte della gente si ferma al tiro al bersaglio, pensando di aver tutto solo perché hanno fatto centro’altri’ e sono pochi.. li guardano sorridendo recandosi verso l’ottovolante o le montagne russe, là dove il cuore batte forte e sembra arrivarti in gola. Tu e solo tu puoi sentire cosa essere e respirare la tua essenza’.
Si &egrave vero, io e solo io posso respirarla, ma posso anche condividerla e devo farlo se non voglio scivolare in un baratro.
Ops, siamo arrivati alla macchina, ma perché sono sempre avvolta da mille pensieri? Non &egrave possibile’.Sale in macchina senza degnarmi di uno sguardo, ‘muoviti Katia’, salgo immediatamente e appoggio il troller per terra tra le gambe. Il ginocchio sinistro &egrave schiacciato contro il cambio, e mentre sollevo lo sguardo rendendomi conto della cavolata fatta sento la sua voce severa: ‘allora sei proprio uno stupido animale! Metti la valigia nel portabagagli. Sbrigati’ Mi maledico mentalmente, ma come ho potuto fare un errore così grossolano, e poi così a gambe aperte come una donna di strada, con la gonna sollevata quasi del tutto dal manico del troller’stupida stupida stupida davvero!
Mi muovo il più in fretta possibile, scendo dalla macchina e metto il troller nel portabagagli e mentre risalgo sollevo il dietro della gonna mettendomi a sedere con le gambe leggermente aperte. Il suo atteggiamento cambia immediatamente, &egrave molto espansivo, mi fa domande sul viaggio, mi parla dicendomi che mi porterà a fare shopping nel nuovo ed immenso centro commerciale a Fiumicino, fa qualche battuta simpatica facendomi ridere di gusto e rilassare.
In cuor mio lo ringrazio per avermi tranquillizzata, mi sento molto più a mio agio; ma nonostante tutto non ho ancora avuto il coraggio o la forza di guardarlo in viso, di scrutargli gli occhi’.ma per cosa poi? Una schiava non può fissare in volto il suo Padrone, deve sempre tenere gli occhi bassi in segno di devozione. Katia non te ne dimenticare, &egrave importante non fare l’errore di prima’
Arriviamo al Mac Donald, parcheggia l’auto in un punto molto trafficato, la sua decisione di portarmi qui mi meraviglia molto anche perché da come lo conosco non &egrave persona che porta qualcuno a mangiare un hamburger, ovviamente non faccio parola dei miei pensieri.
Mi slaccio la cintura di sicurezza mentre rispondo ad una domanda che mi aveva fatto qualche secondo prima, ma vengo interrotta dal suo ‘tu stai qui, aspetta in macchina. Gli animali non possono entrare dal Mac Donald’
La sua voce &egrave cambiata, &egrave di nuovo severa e molto autoritaria; ne segue un breve scambio di battute. Al suo ordine rispondo con un sussurro di voce ‘si Padrone’.
E lui: ‘solleva la gonna’. Le mie mani scivolano lentamente sul tessuto, le dita afferrano l’orlo e lo spostano di qualche centimetro.
‘solleva ancora!’ continuo a sollevare la gonna, lentamente, molto lentamente aspettandomi un basta così da un momento all’altro”un basta che ancora non odo. Intravedo la fascia di pizzo dell’autoreggente e mi fermo”non ho detto di fermarti, solleva stupida cagna!”chiudo gli occhi e continuo ad alzare la gonna, tanto &egrave inutile aprirli, so perfettamente a che punto si trova.
‘Ora metti le mani dietro alla schiena. Brava la mia cagnolina. Adesso aspetta qui, e fai la brava.’ A quelle parole alzo il viso e apro gli occhi per guardarlo, lui legge tutta la mia frustrazione, la mia paura del passato.
Smetto di guardarlo nel momento in cui chiude la portiera, abbasso lo sguardo per confermare ciò che già so. La fascia di pizzo degli autoreggenti &egrave completamente scoperta, la gonna &egrave arricciata al limite delle cosce, sull’inguine, e le gambe leggermente divaricate sono in mostra sotto lo sguardo dei passanti.
Dentro di me la mia paura &egrave alta quanto la mia rabbia, ma porca paletta perché me lo ha ordinato sapendo che ho una paura incredibile di essere mostrata, anche se indirettamente ora mi sto mostrando’.’forza katia sei in chiusa in macchina e il Padrone torna subito, vedrai che &egrave questione di qualche minuto. Ti sta solo mettendo alla prova’.. Ma perché non sono mai stata brava ad autoconvincermi?! Osservo i passanti, hanno tutti fretta e non fanno caso a me, la maggior parte sono studenti appena usciti da scuola, ma anche adulti in pausa pranzo.
Sto fissando l’entrata del locale per vedere se sta uscendo il Padrone, ma nulla, non si vede ancora. Sussulto allo sbattere di una portiera, mi volto sulla mia destra’.il respiro rallenta.
Un ragazzo sulla trentina &egrave appena sceso dalla sua auto, sta osservando dentro la macchina, sul sedile anteriore…mi sta fissando le gambe.
Sento chiudersi un’altra portiera, il respiro diventa breve e profondo, sollevo più rapidamente il seno proteso all’infuori; seno che in questo momento &egrave sotto osservazione da due occhi sconosciuti.
‘Ciao, come mai sei in macchina tutta sola? Ti va di mangiare qualcosa insieme a noi?’ Viene chiamato dal suo amico, ma questo gli fa un cenno con la mano di raggiungerlo. ‘Allora che fai? Vieni? O stai aspettando qualcuno?’
Ti prego Padrone arriva, ti prego”.
‘No grazie, rimango qui’ ‘ ‘Come ti chiami? Io mi chiamo Alberto e lui &egrave Carlo’ Oddio mi manca l’aria’. ma perché non se ne vanno? Non hanno fame?
Non rispondo sperando che se ne vadano, e mi lascino in pace.
Il ragazzo che si chiama Carlo parla all’amico in modo che io possa sentire: ‘Dai andiamo a mangiare, lasciala perdere. Deve essere una puttana, non vedi come ha sollevata la gonna? Si vede che questa notte ci ha dato abbastanza se a quest’ora le fuma ancora’..’ Scoppia una risata. Fisso il cruscotto davanti a me senza vederlo. ‘Si dai andiamo a mangiare, ma se quando torniamo &egrave ancora qua, me la prendo e la ripasso per bene. Così non le basterà stare a gambe aperte per raffreddarsela..’ Un’altra risata, questa volta piena di commenti e di ipotesi, non mi accorgo che si stanno allontanando. Sono intenta a fissare il nulla, vedo il buio, tutto nero. Le risate che sentivo prima sono diventate sghignazzi di altri due ragazzi, ma questa volta giovani, appena maggiorenni.
Le mani, quante mani mi stanno toccando, mani che si infilano nella camicia, mi toccano, mi tengono ferma il viso”oddio non respiro la lingua mi sta soffocando, non riesco a respirare con il naso, il bacio mi fa mancare l’aria.
Mi agito, cerco di muovermi, di scalciare, di spostare il peso che mi tiene bloccata sull’altro ragazzo.
Le lacrime scendono calde sul viso, lo bagnano proprio come stanno facendo ora’ora che sono dentro quella macchina’.ora che sto scrivendo la mia storia.. per il semplice motivo che le vecchie paure si legano alle nuove, sono paure che si allacciano e danzano insieme sul pavimento dell’anima’..
Mi ridesto con un urlo spaventato appena sento sbattere nuovamente la portiera, riportandomi alla realtà, non mi sono nemmeno accorta che l’aveva aperta.
Lo guardo con gli occhi di una cerbiatta impaurita, occhi che lo ringraziano per essere tornato, occhi pieni di lacrime di dolore misto alla contentezza del suo ritorno. Mi osserva dritto negli occhi, non c’&egrave bisogno di dire nulla, come al solito mi sta leggendo l’anima e non posso nascondergli niente.
‘Tutto bene piccolina?’ Strascicando le parole ‘s-si Padrone. Ora si’
‘Ho davvero fame’ controlla l’ora sul cruscotto ‘sono quasi le due. E’ tardi andiamo’ Non dico nulla, vorrei solo asciugarmi il viso, ma non oso muovere un muscolo. Come se mi leggesse nel pensiero nuovamente..’mettiti pure comoda e abbassa la gonna. Sei stata brava, molto brava’ con un sussurro di voce ..’Grazie Padrone’. Apro la borsa e prendendo un fazzoletto mi asciugo le lacrime.
Il Padrone inizia a parlare, e a scherzare come se nulla fosse successo e in poco tempo mi ritrovo anche io a ridere alle sue battute.
Mi riempie di domande, non sono dirette ad un tema specifico ma sono generalizzate, ma che comunque hanno bisogno di una risposa articolata, facendomi rilassare. E’ da un po’ che siamo in macchina, mentre ascolto il Padrone osservo la città per quel poco che &egrave concesso di vedere per chi &egrave in auto, lui sempre presente se ne accorge, e inizia a dirmi i nomi dei monumenti che superiamo. Le case iniziano a diradarsi facendo spazio a ville nascoste da alberi o siepi molto alte, non nascondo la mia curiosità al Padrone ‘Signore, stiamo andando fuori Roma?’ ‘No, siamo ancora verso il centro della città. La strada che stiamo percorrendo &egrave l’Appia e tra qualche minuto siamo arrivati a destinazione. Ti porto a mangiare in un ristorante molto bello e di classe’. Non resisto nel fare la battuta ‘Signore, ma io posso entrare, oppure mangiamo fuori all’aperto?’ Lui ride ‘So che ti piacerebbe mangiare sul prato, ma pranzeremo dentro. Vengo spesso qui e vedrai che ti fanno entrare senza problema” ride nuovamente. Con una leggera punta rispondo ‘bene Padrone, perché sono un po’ stanchina per combattere con qualche cane solo per poter non divedere la ciotola’ ‘lo faccio solo perché non voglio che rovinano la mia cagna, altrimenti dopo io che faccio?’ ride di gusto alla sua battuta mentre io un tantino risentita arriccio il naso. In effetti siamo già a destinazione, superiamo un grandissimo cancello e ci addentriamo lungo il viale.
Il vialetto &egrave costeggiato da ambedue le parti da bellissime palme, e una volta terminato riusciamo a parcheggiare non lontano dall’entrata al ristorante.
La villa &egrave bellissima, e circondato da questo immenso parco ed &egrave molto suggestiva. Scendiamo dall’auto, non resisto nel non trattenermi ad osservarmi intorno’ ‘Katia vieni, andiamo’ senza rispondere lo raggiungo, saliamo qualche gradino e superiamo le colonne.
Rimango dietro di lui sempre di un passo o due, oltrepassiamo il vestibolo e rimango incantata nel vedere tanta arte e bellezza.
Entriamo. Il Padrone saluta con familiarità il proprietario del locale, il quale dopo aver detto che il tavolo prenotato &egrave pronto, ci fa accompagnare da un cameriere; ci dirigiamo in un lungo un corridoio, saliamo quasi una decina di gradini ed entriamo in una saletta.
Al centro si trova un braciere romano con un diametro di quasi due metri, i colori predominanti sono rosso e mattone ed insieme ad alcune colonne presenti nella sala creerebbe un’atmosfera d’altri tempi, se non fosse per i tre tavoli occupati da persone ben vestite. Entriamo nella saletta, il tavolo a noi riservato si trova sulla destra, vicino al muro; prima di sedermi riesco a vedere che non poco lontano dal tavolo in cui siamo seduti c’&egrave un piccolo corridoio che porta in un’altra e piccola saletta però questa volta privata, e davanti all’entrata ci sono due arazzi rossi tirati ai due lati per consentire il passaggio.
‘Si mangia molto bene qui, e ci vengo molto spesso per i pranzi di lavoro’sai un bel ristorante in alcuni casi fa colpo’, con un sorriso raggiante rispondo ‘Padrone ma &egrave bellissimo qui, grazie per avermici portata’.
Il tavolo &egrave apparecchiato con molta cura e raffinatezza, sto osservando lo splendido candelabro in simil bronzo quando ritorna il cameriere a prendere l’ordinazione. Con fare sbrigativo ma sempre educato ‘come primo Risotto al tartufo, per secondo straccetti al tartufo e come contorno dell’insalata mista; il tutto per due. Da bere porta del Vinello di Montalcino e dell’acqua naturale. Ne basta una bottiglia’ controlla l’ora sul suo orologio e facendo una smorfia aggiunge ‘sono in ritardo &egrave ho poco tempo a disposizione, possiamo avere il tutto nel minor tempo possibile?’ il Padrone ringrazia dopo che il cameriere gli risponde di si. Continuo a guardarmi intorno, ma questa volta per cercare una toilette e non solo per darmi una rinfrescata, però non trovo nulla.
La mia attenzione si rivolge immediatamente al Padrone, non vorrei incorrere in un altro grossolano errore; lui prende il cellulare dalla tasca e si scusa perché deve fare urgentemente una telefonata di lavoro.
Colgo immediatamente l’occasione ‘Padrone vorrei chiederle il permesso per poter andare alla toilette’ ‘cosa devi fare?’ ‘vorrei darmi un sistemata Padrone, &egrave da questa mattina presto che sono in treno’ ‘stupida non volevo sapere il motivo per cui ci vai, ma voglio sapere se sai cosa devi fare una volta che ti sei chiusa in bagno!’ ‘scusi Padrone, mi perdoni. Si so cosa devo fare’
‘bene, molto bene’ ‘allora mi concede il permesso di andare Padrone?’
‘si, puoi andare. Trovi il bagno sulla destra dopo aver sceso le scale che hai fatto prima.’ Chino il capo toccando con il mento appena al di sotto del collo in segno di ringraziamento, e mi alzo dalla sedia prendendo la borsa.
Mi dirigo verso le scale, il suono dei miei tacchi sembra che rimbombino nella sala e sui gradini di marmo, li scendo con la massima calma anche se quello che vorrei &egrave poter camminare a passo spedito. Ecco, qui &egrave il bagno; abbasso la maniglia ed entro.
Il bagno come bellezza non &egrave da meno dal resto del ristorante, rimiro la mia immagine mentre avanzo e faccio un’urletto di spavento quando mi accorgo che non sono da sola nel bagno.
Ero talmente soprappensiero che non mi sono accorta della presenza della signora delle pulizie, lei si scusa immediatamente per avermi spaventata, ‘la prego sono io che dovrei scusarmi per aver urlato inutilmente ma ero soprappensiero e non mi sono accorta di non esser sola’ la signora della pulizie con un marcato accento dice che comunque ha appena finito il suo lavoro e mi saluta.
Ricambio il suo saluto, e una volta uscita mi guardo con attenzione di nuovo allo specchio. Si vede che ho l’aria stanca, mi passo le mani tra i capelli per ravvivarli un po’, ma &egrave solo un’inutile palliativo.
Apro la borsa e arriccio il naso, non ho molto ma almeno mi posso rifare il trucco dopo essermi data una lavata al viso’.lavata che confesso ne ho proprio bisogno.
Le mani giunte a cucchiaio sciacquano il viso varie volte, la sensazione dell’acqua fresca sulla pelle mi ridona un po’ di quell’ energia persa a causa della stanchezza. Me lo asciugo tamponando la pelle con i fazzoletti di carta che ho nella borsa, devo sbrigarmi! Non posso stare un’eternità nel bagno.
Mi trucco velocemente, sorrido appena penso che almeno ora non ho l’aria di una cagnolina randagia. Entro nella parte della toilette più riservata, chiudo a chiave e richiamo il numero del Padrone sul cellulare.
Sento uno, due, tre squilli ma lui non risponde, piego il cellulare in due chiudendolo e lo infilo nella borsa. Mi sollevo la gonna fino in vita, le dita afferrano la stoffa del perizoma e lo abbasso fino alle ginocchia, mi posiziono sopra al water e’.sento la canzone delle tatu, mi sta squillando il telefono.
Rispondo immediatamente senza nemmeno guardare il numero, non ho bisogno di sapere chi &egrave ‘hai già fatto pipì?’ ‘no Padrone’ ‘bene, allora falla senza togliere il peri’ alle sue parole perdo un battito ‘ma Padrone, io..’ ‘schiaffeggiati!’ chiudo gli occhi mi schiaffeggio sulla guancia destra ‘più forte, non ho sentito!’ lo rifaccio nuovamente, ma questa volta mi sfugge un piccolo lamento di dolore
‘se ti do un ordine, tu cosa devi fare?’ ‘obbedire Padrone’ ‘e allora obbedisci cagna! Senza replicare!’. Con il cellulare premuto contro l’orecchio dalla spalla, mi risollevo il perizoma lentamente rimettendolo a posto; soffro al solo pensiero di dover abbandonare il perizoma nel cestino, sigh proprio quel perizoma, &egrave uno dei miei preferiti, ma di certo non posso andare in giro tenendomelo nella borsetta bagnato di urina!
Mi siedo sulla carta che ho messo come protezione sul water e inizia la condanna a morte di quel bellissimo perizoma blu cobalto.
‘molto bene piccolina. Sbottona la camicia ora’ ‘Si, Padrone’.
Subito dopo la mano si porta sulla camicetta, slaccio il primo bottone, mostrando una scollatura generosa; il secondo, mettendo in evidenza le rotondità del seno; poi lentamente anche il terzo bottone scoprendo il reggiseno color cobalto, ed infine il quarto, liberando il pancino dall’indumento.
‘Fatto Padrone’ ‘toccati il seno, prendi il capezzolo tra le dita e tiralo’ eseguo ogni suo volere senza oppormi, sola in quel bagno, con lui che mi dice cosa devo fare a pochi metri da me, seduto ad un tavolo di un bellissimo ristorante in attesa delle portate. Non mi importa nulla, &egrave giusto che sia così, sono il suo oggetto e lui può fare ciò che desidera di me.
Chiudo la mente, incateno i miei pensieri dietro ad una portone e ne apro un altro liberando così le mie sensazioni, respirandole, toccandole.
La mano scivola sul seno morbido, si infila nel pizzo del reggiseno accarezzando tutta la rotondità, lo libero dalla costrizione del tessuto, abbasso lo sguardo, il capezzolo turgido e scuro si erige sulla carne morbida.
Pollice e indice lo afferrano e iniziano a tirarlo, il dolore &egrave sopportabile ma lui come se lo sapesse, come se lo sentisse ‘ti ho detto di tirare. Tira ancora’ mi mordo il labbro per trattenere il dolore ma non &egrave così per il gemito.
‘Bene, molto bene. Di chi sei?’ ‘Sua Padrone’ ‘Che cosa sei’ ‘Sono la sua schiava, una lurida cagna, una serva, una troia e un giocattolo da usare come lei desidera’ ‘Allora posso fare qualsiasi cosa di te?’ ‘si Padrone’ ‘e allora toccati, toccati il peri bagnato’.
Le dita tremanti scivolano sicure sul pancino, carezzano la gonna arricciata in vita e scendono incontrando il pizzo asciutto.
Senza nemmeno aspettare di ricevere l’ordine, passo il palmo della mano sull’intimo intriso di urina, non ho bisogno di sapere il volere del Padrone perché so come mi devo comportare, so cosa si aspetta da me e non voglio deluderlo.
‘Stai passando il palmo della mano vero?’ con gli occhi chiusi assaporo sensazioni conosciute, forti, sensazioni che preludono suoni di una musica che il mio essere conosce, che il mio corpo anela, che la parte passionale di me vuole liberare per volare in alto, sopra le cime delle sequoie come un aquilone stretto agli artigli di un’aquila. Aquila che la guida, che la conduce sopra ogni cosa, lasciando in basso il senso comune della vita, della quotidianità facendola sentire quasi un’eletta, un oggetto diverso dalla comune massa che ci circonda.
Rispondo con un leggero mugolio, le dita ora sicure sfregano contro la piccola perla del piacere ‘toccati. Fammi sentire come sei desiderosa. Katia ma sei così troia che ti tocchi nel bagno di un ristorante?’ ‘mmm s-si Padrone’
Mi alzo in piedi, appoggio la schiena contro il muro, sollevo un piede ponendolo sul water, il collo &egrave piegato sulla sinistra e tiene fermo il telefono sulla spalla, mi fa male, il collo mi fa tremendamente male, perché?
Da sola mi rendo conto che la visione che sto dando &egrave proprio quella di una troia in calore che si tocca nel bagno, arrido per questa immagine vista dal di fuori dal mio corpo. ‘Sbrigati troia, toccati.’ Continuo a toccarmi, il respiro si fa più lento e più profondo, non mi accorgo del cigolare della porta, mi blocco di colpo appena sento la maniglia che si abbassa e lo scatto della porta del bagno in cui mi trovo che si ferma perché bloccata. Il respiro &egrave mozzato in gola mentre le voci di due donne si fanno largo tra le nebbie del desiderio.
Sempre molto attento, il Padrone si accorge che qualcosa non va ‘non sei più sola vero?’ rispondo con un breve ‘mmh’ ‘ti ho detto di fermarti? Continua.’
La reazione &egrave immediata appena le dita ricominciano a muoversi, maledetto corpo recettivo! Mi accorgo che la piccola perla che stuzzicavo prima ora &egrave gonfia, dura e molto sensibile, e lo strofinare del pizzo mi fa impazzire.
Mordere il labbro inferiore non serve, mi porto l’altra mano alle labbra e inizio a mordere la carne tra il pollice e l’indice.
Da brava cagna mollo la presa, per poi riaffondare i dentini nella carne, stringendo con maggior forza solo per non ansimare, non gemere.
‘Fermati’ non lo sento ‘fermati troia, ti ho detto di smettere’ oramai persa nella ricerca della vetta continuo a non sentire la sua voce ‘smetti katia. Fermati subito. Ti ho detto di fermarti troia!’ come una freccia che ha superato uno sbarramento la sua voce, il suo ordine, fa breccia nella mia cortina di desiderio.
Il respiro a questo punto &egrave breve e irregolare, intervallo la respirazione della bocca con quella del naso, sperando di non farmi sentire e soprattutto di calmarmi. Ora avverto di nuovo le voci delle signore, che parlano del contratto molto probabilmente scucito al cliente, per un attimo faccio fatica a visualizzare il posto in cui mi trovo’.ma &egrave solo questione di un attimo.
La voce del Padrone mi scaraventa nella realtà ‘brava, molto brava la mia piccolina. Oltre che troia sei anche cagna vero? Una lurida cagna con una lurida lingua’ ‘mmh’ oddio che sforzo enorme per emettere un suono di gola.
Gola, collo ‘.perch&egrave mi fa male? ‘allora cagna lecca. Lecca la tua mano con quella lurida lingua’ &egrave un qualcosa che mi ha sempre fatto ribrezzo, ma che ho imparato a fare per desiderio del Padrone’.senza rispondere la lingua silenziosamente lappa il palmo della mano, si spinge verso il centro.
Si sposta sul dito medio, leccandolo partendo dalla base fino alla punta dell’unghia, il labbro superiore tocca l’unghia mentre quello inferiore il polpastrello, la punta della lingua tocca il dito, si muove su di esso.
La lingua contro il palato produce una specie di schiocchio basso e dolce, la breccia nella cortina di nebbia lentamente si richiude, e inavvertitamente inizio a mugolare come una cagna.
La bocca viene riempita dal dito che lo inizia a succhiare, mentre la lingua lo lambisce, metto la mano asciutta sul cellulare e premo contro l’orecchio, una fitta al collo mi fa emettere un mugolio di dolore; sollevo la testa, protendo il seno in fuori come se volesse essere toccato ma che in realtà vuole soltanto che si spenga il fuoco che mi sta bruciando.
‘ma che brava cagnolina che ho’ attimo di silenzio ‘grazie, appoggi pure’ ancora silenzio da parte sua, mentre io incurante di ciò che mi circonda continuo a leccare le dita intrise di me; ‘cagna fermati. Non farmi ripetere lo sai che non mi piace. Ti ho detto di fermarti cagna! Riprenditi e vieni al tavolo, hanno portato il risotto’. Stordita come da una doccia fredda, apro e chiudo gli occhi velocemente, il respiro &egrave ancora irregolare, il seno si solleva rapido.
Abbasso gli occhi e vedo un seno mezzo scoperto con il capezzolo ancora duro e dolente dall’eccitazione, la coscia fasciata dagli autoreggenti sollevata sul water; la mano bagnata dei miei umori scende fino ad entrare nella mia visuale, &egrave aperta con le dita leggermente piegate verso l’alto.
Sono proprio in questi momenti che mi accorgo di come sono, di chi sono, e soprattutto di quanto ne vada fiera.
Anche se ancora non del tutto lucida, mi asciugo la mano con della cartaigienica, rimetto il piede sollevato a terra e mi siedo sul water.
Ho bisogno di qualche secondo, devo cercare di riprendermi e andare il più in fretta possibile dal Padrone, se non voglio che si arrabbi.
Riesco a prendere la borsa, frugo al suo interno e prendo la scatolina delle salviette umidificate; ne prendo due e le metto ai lati del perizoma.
Allargo le gambe, porto le mani in vita ed afferro i lati del peri e lo faccio scorrere sulle cosce stando ben attenta che il bagnato non mi tocchi né le gambe né gli stivali. Lo lascio cadere a terra, sposto i piedi allargando ancora di più le gambe, prendo da un lato con le dita quella massa informe color cobalto e con un velo di tristezza lo getto nel pattume lì accanto. Mi pulisco con le salviette umide, mi abbasso la gonna, rimetto il seno nella sua coppa orlata di pizzo e mi riallaccio la camicetta, il tutto con gesti meccanici e cercando di impiegarci meno tempo possibile.
Una volta terminata di mettermi in ordine, prendo la borsa, sblocco la porta ed esco; mi lavo immediatamente le mani e mentre me le asciugo mi dò una controllata nello specchio’.. non &egrave possibile! Gli occhi sono lubrici come a voler testimoniare e dire a tutti quello che ho fatto nel bagno, il seno &egrave ancora gonfio anche se i capezzoli sono meno turgidi rimangono sempre dolenti.
Sono entrata in bagno che sembravo una cagnolina randagia e ora ne esco che sembro una cagnolina in calore”.sorrido da sola a queste parole sussurrate allo specchio. Sistemo il foulard’il collo, il dolore! Sollevo le braccia per allentare il nodo del foulard, il solo sollevare il collo mi provoca sofferenza, tolgo il tessuto leggero mettendo alla luce il collare di cuoio nero.
La parte sinistra alla base del collo e quella inferiore dello zigomo sono arrossati e dolenti, provo a massaggiarli con le dita ma non faccio che peggiorare ed aumentare il dolore. Non penso a nulla, gli occhi attraverso lo specchio sono incatenati al collare, segno indiscusso di appartenenza, e senza scostare lo sguardo mi riannodo il foulard.
Esco dal bagno e con il massimo controllo delle gambe riesco a tornare al tavolo’..ma hanno aumentato il numero dei grandini? Oppure sono più alti? Che fatica arrivare al tavolo’
Con fare indifferente ‘ben tornata piccolina, che cos’hai, va tutto bene?’ ridacchia compiaciuto ‘come sono i bagni? Li hai trovati di tuo gradimento?’ continua a sorridere mentre mi guarda, io abbozzo un mezzo sorriso e sgrano gli occhi
‘Dai mangiamo prima che si raffreddi’.
Mangio di gusto, il risotto &egrave a dir poco ottimo, la conversazione &egrave piacevole e tocca argomenti leggeri della nostra cerchia comune e non, conversazione che comunque &egrave toccata da alcune sue punzecchiature’.
Il pranzo si svolge in tranquillità, &egrave tutto eccellente; la chiacchierata si fa più spinta e guardandomi attorno mi rendo conto solo ora che siamo soli.
Mi osserva, mi scruta e sento che non &egrave per leggermi dentro, sembra quasi che sia indeciso su qualcosa. Controlla l’ora e riposa lo sguardo su me.
‘E’ molto tardi, vieni andiamo. Sei fortunata avevo in mente una cosa ma non ho tempo ora, sono molto in ritardo e alle quattro ho un appuntamento di lavoro’, scherzosamente rispondo ‘fiuuuuuu mi sono salvata in corner” ‘katia guarda che non ho detto che non te lo faccio fare, ho detto solo che ora non ho tempo’ mi blocco immediatamente, e guardandomi in viso inizia a ridere di gusto ‘ti ho detto che mi diverto quando ti blocchi o cambi il tono della voce?’ alle sue parole arriccio il naso seguito da un leggero mmmmmh.
Usciamo dal ristorante e ci dirigiamo alla macchina, una volta in auto ringrazio il Padrone per avermi portata in un così bel ristorante.
Il tragitto &egrave di breve durata e non ho bisogno che mi dica dove mi sta portando, ferma l’auto in un parcheggio condominiale ‘vieni siamo arrivati a casa mia’

Ashanti

Per le vostre impressioni ashanti_@virgilio.it
La storia di una schiava
(parte seconda)
di Ashanti

Mi inchino a lei Padrone

Sono a casa sua, a casa del Padrone, non posso scappare se cambio idea’.ma poi non voglio fuggire, voglio restare per sentire tutto sulla mia pelle, pelle che questa volta verrà segnata da lui e non da me stessa con il solo accompagnamento della sua voce al telefono.
Scendo dall’auto, apro il baule e prendo il mio troller, seguo il Padrone nell’entrata di questa casa a tre piani a faccia vista molto carina.
Superiamo un cancelletto in ferro battuto dell’entrata indipendente del suo appartamento al piano terra.
Il giardino &egrave molto grande non me lo immaginavo così ben curato, ci sono aiuole di ortensie nello splendore dei loro colori, piante che onestamente non conosco ma con bellissimi fiori carichi di profumi e tinte molto forti.
Apre la porta finestra ed entriamo nel salone, &egrave magnifico, i mobili sono scuri, ci sono molti oggetti tribali che mettono quasi soggezione; mentre osservo il salone lui scompare in un lungo corridoio.
Lascio il troller vicino al grande tavolo di forma ovale e mi dirigo verso un enorme specchio posto nell’entrata, &egrave incredibilmente bello.
Qui tutto dà l’idea del dominio, non solo il colore scuro dei mobili, dello specchio, ma anche del tappeto in bambù ai piedi del divano e della poltrona in pelle nera’il tutto &egrave molto sobrio e maschio, senza ninnoli o futilità simili.
– ‘katia’ al suo richiamo rispondo non distogliendo lo sguardo dalla mia immagine stanca riflessa dall’immenso specchio.
– ‘KATIA!!’ sgrano gli occhi e a passo velocissimo mi dirigo verso il corridoio, lui mi sta venendo incontro con in mano una catena.
Immediatamente mi inginocchio, chino il capo e tengo lo sguardo basso sulle mani appoggiate sulle cosce con il palmo rivolto verso l’alto.
La posizione bassa della testa mi procura di nuovo quel dolore al collo patito al ristorante, senza sollevare il capo slaccio il nodo del foulard e scopro il collare in cuoio alto tre dita, da lui donatomi poco tempo addietro.
Mi accarezza la testa con una mano senza proferire parola.
Non mi muovo, rimango immobile come quelle statue di ceramica colorata che rappresentano cani, ho quasi timore anche solo respirare.
Ad un tratto mi sento tirare i capelli, sollevo il viso soffocando un gemito di dolore, lui non perde l’occasione e immediatamente mi blocca il mento e il collo con l’altra mano.
Le dita stringono la mandibola, il suo viso &egrave di fronte al mio
– ‘katia guardami’ alle sue parole che non suonano come un ordine io obbedisco.
– ‘sei ancora in tempo, sicura che non vuoi scappare? Sei sicura di voler rimanere?’
Con un segno appena percettibile muovo la testa a conferma delle sue parole.
La mano sui capelli stringe maggiormente la presa, inarco la schiena e sollevo di più la testa, avvicina ancora il suo viso al mio, mi fissa negli occhi scrutandomi l’anima, non dice nulla, continua a fissarmi, a leggermi e ad un tratto quel silenzio finisce – ‘molto bene piccolina’.
Anche se questa posizione dura pochissimo, sono quasi stordita dal male che il collare mi procura. Le dita sulla mandibola allentano la presa fino a lasciarla e si spostano sull’anello al centro del collare, due dita afferrano l’anello e lo tengono ben saldo.
Mi tira, mi strattona, il collo &egrave sempre in tensione’ancora dolore.
Lo seguo a carponi lungo il corridoio, mi porta in una stanzetta che sembra un ampio sgabuzzino. Accende la luce, continua a tirarmi fino a condurmi alla parete, ho le lacrime agli occhi dal dolore che mi ha procurato quel breve tragitto, ma non voglio che scendano, non voglio che mi veda piangere solo perché mi ha strattonato un pochettino. Il dolore che provo al collo &egrave davvero lancinante, anche dopo che il Padrone mi ha lasciato andare rimango quasi inebetita, tanto che non mi accorgo delle manette che mi uniscono i polsi dietro alla schiena. Afferra la catena che aveva appoggiato sulla spalla e l’aggancia con il moschetto all’anello del collare mentre l’altra estremità la fissa all’anello di ferro nero che &egrave conficcato nel muro.
La catena &egrave molto lunga e per renderla più corta aggancia una specie di moschettone al primo anello che tocca terra accanto a me e lo blocca sempre all’anello fisso nel muro. Sono inginocchiata con le mani dietro alla schiena, appoggiata al muro con la possibilità di muovermi in uno spazio di appena un metro scarso. – ‘Ascoltami cagna, ora il tuo Padrone deve uscire, sarò qui tra un paio d’ore. Mi raccomando fai la brava’
l’ultima frase lo dice con un sorrisino.
Si dirige verso la porta, si volta e mi guarda’.guarda una cagna inginocchiata con i bottoni della camicetta tirati al limite e che stringono il seno mettendolo ben in evidenza, guarda la gonna sollevata e che mette in mostra il fascio di pizzo degli autoreggenti, guarda gli occhi di quella cagna, della sua cagna pieni di fiducia nei suoi confronti ma anche intimiditi e perché no, stupiti dell’effetto che ora prova tra il virtuale e il reale. Si volta ed esce, lasciandomi da sola nella stanzetta.
Sento i suoi passi sul parquet, la porta finestra si apre e poi si richiude, poi chiude l’anta dello scuro lasciando la casa in semioscurità.
Sono sola ora, sola con i miei pensieri, sola con le mie paure, sola con quei tanti perché che mi affollano la mente”.sola con la mia eccitazione.
&egrave uno schiaffo rendermi conto che sono eccitata solo perché sono incatenata al muro, &egrave tutto così diverso”così stupendamente reale, vero.
Dolore e piacere sono mischiati all’esaltazione della mente, alla felicità dell’anima nell’essere qui, inginocchiata a terra, ammanettata e legata ad una catena.
Non ho idea di quanto tempo sia trascorso, ma le ginocchia iniziano a dolermi, mi fanno male le braccia, la stanchezza del viaggio mi assale, sono spossata.
Tiro la catena per rendermi effettivamente conto di quanto posso muovere la testa, non molto; provo a mettermi sul fianco, ci rimango un po’, non so per quanto non ne ho idea, qui il tempo mi sembra in quantificabile ed interminabile.
L’oscurità nella stanza di certo non mi aiuta, sono davvero molto stanca e senza rendermene conto mi addormento facendo cadere la testa in avanti, il rumore della catena tesa, un urlo di dolore strozzato dal collare, e lo sbattere delle palpebre’tutto così veloce’.
Mi rendo conto che non posso rimanere così, provo a mettermi a sedere, solo che strattono la catena procurandomi ancora dolore al collo; ecco ora ci sono riuscita!
Guardo il pavimento in legno, per fortuna non &egrave freddo, ma &egrave lontano per potermi sdraiare e magari riposare, provo ad appoggiare la schiena al muro, il sollievo &egrave minimo, ma poco dopo anche quella posizione mi risulta difficile per le spalle.
Non so come mettermi, non so cosa fare per non addormentarmi o addormentarmi senza strattonare il guinzaglio.
Mi sposto verso il termosifone appoggiando la schiena tra il termo e il muro in modo che le mani non siano schiacciate dal peso.
In quella posizione sfioro la catena con le dita, &egrave fredda, gli anelli sono grandi e non sono completamente lisci. Cerco di pensare, di immaginare in modo da tenere la mente occupata e di non addormentarmi, perché ogni volta che accade lo strattone che deriva dello scatto della testa che cade in avanti mi fa un male tremendo. Chissà se avrò la possibilità di mettere del ghiaccio sulla parte dolente, devo ricordarmi di implorare questa richiesta.
Sono ancora persa in pensieri e ricordi del Padrone quando sento il rumore delle chiavi che aprono una serratura, ritorna la luce lungo il corridoio, sento i suoi passi sul parquet’..&egrave arrivato finalmente &egrave arrivato! Strattono il guinzaglio osservando l’entrata della porta, sono in subbuglio perché &egrave tornato, e poi la portafinestra si richiude di nuovo, come di nuovo il rumore delle chiave che mi rinchiude qui dentro. Mi affloscio contro il muro, le lacrime calde mi rigano il volto, e una frase che rimbomba nella testa continua come una nenia infinita ‘si &egrave scordato di me, si &egrave scordato di me, si &egrave scordato di me’
Appoggio la testa contro il muro, oramai non sento più il dolore, &egrave scomparso tutto, forse mi ci sono abituata tanto bene in questa posizione che non sento nulla oramai. Chiudo gli occhi sperando che con le lacrime mi scivoli via anche la spossatezza che impregna ogni fibra del corpo e della mente.
Mi accorgo solo ora del silenzio che regna, il tutto sarebbe perfetto se non fosse per quel continuo rumore che sento in lontananza, &egrave fastidioso!
Voglio rimanere così un altro po’ non tanto, ancora qualche minuto, ma il rumore dello sferragliamento della catena &egrave sempre più forte e mi sveglia.
Mi ero addormentata, mi sono addormentata e non me ne sono resa conto!
Il Padrone stacca il gancio del moschettone che tiene legato l’anello del collare alla catena, afferra l’anello con due dita e mi solleva di peso.
Non resisto oltre emetto un urlo di dolore basso, profondo, seguite dalle lacrime.
Mi afferra per i capelli, ma questa volta non mi strattona, ma attende che io lo segua docilmente. Entriamo nel bagno, lascia la presa sui capelli e con dita sapienti iniziano a tastare la pelle al di sopra e al di sotto del cuoio
– ‘dove ti fa male?’
– ‘il collo’..a sinistra, alla base del collo e alla mandibola’.
Senza dire una parola, mi slaccia il collare ed esamina il rossore; sussulto ogni volta che le sue dita mi toccano le parti dolenti.
Si volta e prende dal mobiletto un vasetto di unguento, ci immerge le dita e inizia a massaggiarmi il collo facendo assorbire la crema alla pelle.
Cerco di rimanere immobile, impassibile anche se dentro di me sto urlando dal male, la sua voce mi suona particolarmente fredda
– ‘ti sei scordata ciò che sei? Sei un mio oggetto, il tuo corpo &egrave un mio giocattolo, e tu stupida me lo hai segnato!
I segni che porterai non saranno dovuti dal tuo Padrone ma dalla tua stupidità e questo mi delude molto. Per oggi non potrai mettere questo collare, ma ciò non toglie quello che sei e ricorda bene’..verrai punita per ciò che hai fatto!!’
Mi riprende per i capelli e appoggia la testa contro il muro strofinandomi il viso contro’..mi afferra per le manette e mi spinge davanti al water facendomi inginocchiare.
– ‘Lecca lurida! Fammi vedere come una lurida cagna lecca’forza sbrigati!’
Senza farmelo ripetere una seconda volta, inizio a leccare la tavoletta, sento la sua mano sulla testa che mi tiene ferma per i capelli.
Piego la testa di lato per leccare meglio e lo faccio con maggiore enfasi, mi rendo conto che mi piace ancora di più di quando lo facevo da sola e in men che non si dica inizio a mugolare come una cagna.
Avverto la sua mano sul fianco, scende e mi percorre la parte esterna delle cosce per poi risalire, toccare le natiche, pizzicarle.
Lui mi &egrave di lato, mi sovrasta mentre io china a quattro zampe lecco sempre più vogliosa ed eccitata. Sento le sue dita che mi accarezzano il sesso, si fanno strada tra le pieghe umide,
– ‘sei già bagnata, troia! Cosa sei?’ sollevando appena il viso dalla tavoletta rispondo
– ‘sono una lurida cagna, una troia da usare per il suo piacere, Padrone’
– ‘e allora lecca lurida cagna!’
Continuo a leccare mentre sento le sue dita che mi penetrano fino in fondo, mi interrompo per emettere un profondo mugolio di piacere e inizio a muovere i fianchi, all’improvviso si abbatte sul sedere una poderosa sberla.
– ‘Sei così cagna katia? O sei più troia che cagna?’
Non rispondo, perché non ho il coraggio di rispondere, perché nemmeno io so con certezza quale sono di più.
Lascia la presa sui capelli, si abbassa e con entrambe le mani mi allarga le natiche, le solleva, le stringe, le riallarga di nuovo’..la sua mano si riabbassa sulla carne già arrossata, una volta, due volte, tre’.ogni colpo &egrave un sussulto.
Mi rinfila le dita nella fighetta bagnata, anzi lurida figa bagnata, e di nuovo le sfila, poi con il medio mi accarezza il buchetto, sento la pressione della falange, spinge per farla entrare e all’improvviso me lo infila tutto, tutto dentro.
Inarco la schiena e stringo i denti per quell’intrusione forzata, lo spinge, lo ruota per poi ritirarlo fuori, rientrare nella fighetta intingendo le dita e per poi rimetterle di nuovo nel buchetto.
L’altra mano ricomincia a darmi sonore sberle sulle natiche.
Trattengo gli urletti che mi vengono naturali ad ogni colpo sul sedere, non riesco a capire se provo più dolore o piacere, so solo che non riesco a stare immobile, muovo il bacino su quelle dita che ora sono interessate al clitoride.
Come fuori di senno spingo il sedere all’indietro dando dei leggeri colpetti sulla mano del Padrone, come ad incitarlo’.come una troia’.
&egrave un attimo. Lui si alza, mi afferra per i capelli in malo modo, e appoggia la guancia a terra, al lato del water a cui mi ero appoggiata prima.
Come una bambola di pezza il mio corpo si muove inerme ai suoi voleri, non riuscendo a realizzare per bene cosa &egrave accaduto perché si &egrave arrabbiato in quel modo. Squilla il cellulare, il suo cellulare e prima di andare a rispondere mi ordina di non muovere nemmeno un muscolo.
Rimango ferma come ordinato e intanto cerco di riandare al motivo per cui si &egrave arrabbiato’..ci sono delle volte in cui non lo capisco, ma proverò a domandarlo appena sarà possibile, cio&egrave quando il suo umore mi darà la possibilità di porgli questa domanda. Ritorna in bagno, non sento nulla, né una parola né un movimento, io rimango ancora ferma nella mia posizione, con il sedere sotto al suo sguardo.
– ‘Alzati’ la sua voce non &egrave autoritaria, anzi &egrave molto dolce.
Sollevo il viso dal pavimento e mi metto in ginocchio davanti a lui, e ascolto le sue parole
– ‘Piccola &egrave tardi per me, non sai quanto vorrei rimanere ma devo andare’
– ‘mi lascia qui da sola?’
– ‘si, non posso rimanere. Ma &egrave meglio così, hai la casa a tua completa
disposizione. Per la cena non ti preoccupare ti farò mandare qualcosa a casa dal ristorante in cui andrò. Come devi mangiare piccolina?’
– ‘come una cagna, Signore’
– ‘bene, brava. Tornerò molto tardi. Ciao piccolina e riposati.’
Mi fa qualche carezza sulla testa, si abbassa e mi da un bacio sulla fronte ed esce dal bagno.
Mentre si allontana i passi risuonano sul parquet, con la voce di qualche tono più alto
– ‘ah kati’. Non ti toccare. Non farlo assolutamente, intesi?’
(e che diamine ora mi legge anche nel pensiero?)
– ‘non ho sentito la risposta, hai capito katia?’
– ‘uffa! Si Padrone ho capito!’ i passi si riavvicinano, sta ritornando qui… si affaccia nuovamente davanti la porta del bagno
– ‘ah giusto’visto che hai detto uffa dovrai essere punita. Ricordamelo domani mattina, non si sa mai che me ne dimentichi. Sai l’età”
Rido -‘certo Padrone lo metto come pro-memoria nel cell. Ci scrivo ricordare al Padrone che devo essere punita perché ho detto uffa’
– ‘ridi, ridi. Fallo finch&egrave puoi”
smetto di ridere immediatamente e divento seria.
Lui inizia a ridere di gusto
– ‘adoro quando cambi espressione nel tono della voce, ma vedere il cambiamento nel viso &egrave impagabile’ ride di nuovo.
Per dispetto come una bimba capricciosa arriccio il naso in una smorfia, lui riprende a ridere.
– ‘vado piccolina e fai la brava. Non mi distruggere casa mi raccomando’ ride di nuovo.
La porta finestra si apre e si chiude, e cala il silenzio.
Mi alzo, esco dal bagno. Sono curiosa e vado in giro per l’appartamento entrando ed uscendo dalle varie stanze.
&egrave una casa molto grande per una persona che vive da sola, e confesso che &egrave arredata con gusto anche se in modo molto mascolino.
Ci sono due camere matrimoniali e una mezza camera, entro nella mezza camera apro un’anta dell’armadio, &egrave vuoto.
Apro dei cassetti, per la maggior parte sono vuoti, tranne l’ultimo dove si trovano le lenzuola per il letto singolo.
Vado a prendere il troller che ho lasciato nell’ingresso, ritorno in camera e disfo la valigia occupando meno spazio possibile con la mia roba e appoggio sul letto l’occorrente per farmi il bagno e per la notte.
Sono indecisa se farmi il bagno ora o attendere che mi portino da mangiare, ma poi opto per quest’ultima così mi riposo prima della cena.
Trascorre meno di un’ora che suonano alla porta, almeno così mi sembra, visto che mi sono addormentata sul divano.
Sono affamata e divoro tutto con gusto piegata a quattro zampe sotto il tavolo, il riso agli asparagi &egrave a dir poco ottimo; terminato di mangiare lavo quello che ho usato e poi vado a preparare la vasca per il bagno.
Mi spoglio di quei vestiti che indossavo dal mattino presto, da quando sono partita e il piacere di sfilarmi gli stivali &egrave incredibile.
Ritorno in bagno, la vasca non si &egrave ancora riempita, nel frattempo lavo a mano i miei vestiti e li appendo nella doccia per farli asciugare.
Ecco la vasca &egrave pronta, chiudo il rubinetto dell’acqua ma prima di immergermi vado nuda nel salone e controllo nella torre dei cd i vari titoli.
Ho un brivido lungo la schiena, di certo le sue preferenze musicali sono lontane anni luce dalle mie, (deduco che sia l’età) so che abbiamo la passione per un gruppo che suona musica celtica e continuo a cercare”eccolo trovato.
Regolo il volume in modo che sia un sottofondo gradevole.
Ritorno in bagno, e mi immergo nella vasca lentamente gustando ogni piacevole secondo a contatto con l’acqua tiepida, non ci sono parole per descrivere il piacere sublime che provo nel semi-sdraiarmi in quella vasca.
Afferro l’asciugamano dietro di me, lo piego, lo appoggio sulla nuca e piego la testa all’indietro posandola sul bordo vasca”sublime!
Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare in un oblio di sensazioni rilassanti che sento ampliate prima sulla pelle poi nella mente, &egrave tutto così soave così morbido, la musica mi accompagna in questo viaggio e lentamente scivolo in un sonno placido e sereno. Cosa c’entrano le Tatu? Perché sento le Tatu?
Il cell sta suonando il cell!!. Mi sveglio di scatto e mi guardo intorno per ricordarmi dove ho appoggiato il telefono, ne seguo la musica, eccolo, trovato!
E’ il Padrone. – ‘E’ arrivata la cena? Hai mangiato? Come mai ci hai messo tanto tempo a rispondere?’ con la voce un po’ impastata dal sonno rispondo
– ‘Si Padrone, grazie era tutto molto buono. Mi scusi ma mi ero addormentata
nella vasca da bagno e non ho sentito subito squillare il telefonino’
– ‘Tra non molto sono a casa, aspettami come ti ho insegnato’
mmmm non può parlare al telefono
– ‘Scusi Padrone ma come di preciso?’ fa una breve risatina
– ‘katiaa’.’
– ‘No Padrone davvero, lei mi ha insegnato tante cose, come desidera che l’attenda ‘
– ‘Piccola ti ricordo che in questo momento sei nella MIA vasca da bagno, nella MIA casa”
realizzo immediatamente che la mossa &egrave stata stupidissima e la sua pausa non mi piace per nulla
– ‘e’io tra poco sarò di ritorno. Quindi fai la brava e attendimi come sai.’ Panico, non dovevo giocare visto che sono a casa sua.
Esco dalla vasca e cerco di prepararmi il più in fretta possibile, mentre mi asciugo i capelli noto la parte violacea sotto la mandibola e alla base del collo e ci spalmo un po’ di quell’unguento che il Padrone mi aveva messo nel tardo pomeriggio.
Terminata di prepararmi vado alla ricerca di un catino, di un ospite e delle sue ciabatte, le metto vicino al tavolino che si trova a fianco della poltrona.
Prendo anche la copertina che c’&egrave sul letto singolo, l’appoggio a terra, mi ci metto sopra, mi copro e rimango in attesa del suo arrivo.
Mi addormento di nuovo e non lo sento arrivare’

Cena lunga e noiosa, e non ho nessuna voglia di rimanere.
Ho solo voglia di tornarmene a casa, nella mia casa dove mi attende la mia schiava’sorrido al suo pensiero.
Non credevo che oggi al ristorante avesse il coraggio di obbedire e di andare fino in fondo, &egrave stata proprio brava la mia cagnolina.
Velocemente trovo una scusa, e riesco a defilarmi da quella cena.
In auto la mente vola ancora a lei, a quello che &egrave accaduto nel bagno e di quanto &egrave ancora più adorabile il pensiero averla ora a casa.
Devo stare attento. Devo andarci piano, &egrave la sua prima volta nel reale, e voglio che stia bene’.chissà se mi attende come le ho insegnato’
Sorrido, ne sono certo! E’ sempre stata molto obbediente anche se avvolte un po’ ribelle, ma il bello &egrave proprio strattonare il guinzaglio e riportarla all’ordine.
Entro in casa, la luce nel salone &egrave accesa. La vedo immediatamente.
E’ a terra in posizione fetale, mi sembra un bozzolo da come si &egrave rannicchiata in quella coperta. La chiamo ma nulla. Ha proprio il sonno pesante!!
Scosto la coperta, &egrave completamente nuda. Al collo ha la catena con cui l’ho legata nel pomeriggio e con il moschettone l’ha bloccata per farne un collare, l’altra estremità che funge da guinzaglio &egrave appoggiata sulla poltrona.
Sorrido’.&egrave ora che la mia cagnolina si svegli”..

Sorrido nel sonno, c’&egrave qualcosa che mi fa il solletico, cerco di scacciarlo con la mano ma nulla, continua a scendere trascinandosi lenta sulla pelle, prima la spalla poi sul costato, sulla vita, &egrave risalito sul fianco”bene se ne &egrave andato.
– ‘ahiiii’ il dolore improvviso, il bruciore’ mi alzo di soprassalto sfregandomi la mano sulla natica.
Sollevo lo sguardo non molto contenta del risveglio, di certo non me lo aspettavo in questo modo
– ‘Ben svegliata piccolina’ ed agita il frustino di salice divertito.
Si mette a sedere e prende in mano la catena che funge da guinzaglio e lo strattona per farmi muovere.
Come se compissi quel gesto da sempre, mi inginocchio ai piedi del Padrone, gli slaccio la scarpa, gli abbasso il calzino e appoggio il piede sul mio ginocchio.
Faccio la stessa operazione anche con l’altro piede, poi li sollevo entrambi tenendoli appoggiati sul braccio così posso avvicinare il catino con l’acqua tiepida, glieli immergo, li lavo delicatamente e dopo un breve massaggio glieli asciugo. – ‘Puliscili bene cagna!’
Prendo il cuscino del divano che avevo messo a portata di mano e ci appoggio i piedi del Padrone, poi mi chino e senza osare toccarli li pulisco con la lingua.
La lingua lecca il dorso del piede, poi si sposta sulla parte esterna leccando anche caviglia e tallone, ritorna sul dorso e poi va verso l’interno.
Ripeto il tutto con l’altro piede, leccando minuziosamente, mi rendo conto che immagine potrei dare dalla visuale del Padrone’..con le spalle quasi a terra, il sedere in alto che si muove ad ogni mio piccolo spostamento per leccare i suoi piedi’mi piace molto l’idea. La sua voce risuona all’improvviso
– ‘Le ciabatte’
A carponi mi muovo di lato, abbasso la testa, prendo con la bocca una ciabatta e ritornando davanti a lui, l’appoggio a terra, e poi vado a prendere l’altra.
Una volta finito faccio qualche passo indietro, resto in ginocchio qualche secondo, poi mi piego in avanti fino a toccare la fronte per terra, allungo le braccia in avanti con i palmi delle mani rivolte verso l’alto e rimango prostrata dinanzi a lui in attesa di un suo cenno. Silenzio, odioso silenzio.
Rimango ferma il più possibile, ma lui continua a non proferire parola, l’attesa &egrave snervante perché iniziano a far male le braccia e la fronte, ma non oso dire nulla, nemmeno chiedere il permesso di potermi alzare’.
Sento lo spostamento della catena sul pavimento ‘.si deve essere alzato.
Ad un tratto lo strattonamento del guinzaglio mi fa sollevare la testa, vedo il suo viso davanti al mio, mi guarda negli occhi’.., oltre agli occhi, arrivando fin dentro di me. Continua a tenere ben salda il pezzo di catena che mi tiene alta la testa, il resto della catena l’appoggia sulla schiena e la fa scivolare tra le natiche.
Una mano la posa sul seno, dapprima lo accarezza, ne saggia la morbidezza e la rotondità, sofferma le dita sul capezzolo, i polpastrelli lo sfiorano facendolo indurire, e inizia a tirarlo verso il basso.
Emetto un suono di gola strozzato. Continua a tirarlo.
Strattono per quanto mi &egrave possibile il guinzaglio per sottrarmi a quel dolore, ma si abbatte sul sedere una poderosa sberla che mi spinge in avanti, facendomi quasi strozzare con la catena.
Mi solleva da terra afferrandomi per i capelli, poi prende l’altra estremità della catena, la rifà ripassare tra le natiche, tra le labbra della vagina e la porta al collo e lo ferma con esso tramite moschettone.
La catena &egrave molto tirata e per sentire un minimo di sollievo sono costretta a ingobbirmi, ma appena lo faccio si abbatte sulla natica un’altra sberla.
Rimango a quattro zampe, con il capo chino le gambe leggermente divaricate e con la mano del Padrone che mi accarezza la schiena e la testa.
– ‘Brava la mia cagna, così buona ed ubbidiente. Sei proprio brava’
Mi riafferra per i capelli, e mi porta in giro per il salone come se fossi al guinzaglio. Ad ogni passo la catena sfrega tra le natiche e la vagina creandomi una specie di dolore mischiato ad una sensazione di piacere, percezione questa che mi fa rallentare il passo per assaporare meglio queste impressioni. ‘ ‘Muoviti cagna!’
Sollevo lo sguardo su di lui, con occhi velati”..
‘ ‘Rimani in ginocchio e allarga le cosce. Dritta con la schiena!’
Eseguo l’ordine, ma appena mi raddrizzo con la schiena sento la pressione della catena che mi divide in due.
Il Padrone si sposta verso la parete attrezzata, apre l’anta e prende qualcosa dall’armadio. Ritorna davanti a me con due morsetti per i capezzoli e un morso. Apro la bocca e afferro tra i denti questo morso mentre il Padrone mi allaccia le cinghie dietro alla testa.
Afferra un morsetto, lo posa al centro di un seno e stringe le viti a forma di farfalline fino a quando il capezzolo non rimane schiacciato dal morso.
Gemo dal dolore. Fa la stessa identica cosa con l’altro capezzolo.
Gemo nuovamente. Il Padrone si dirige verso la poltrona e si mette a sedere, prende il frustino di salice e lo accarezza. Sorride
‘ ‘muovi il bacino ora’si così’non ti fermare cagna! Muovi il bacino!’
Faccio come mi ordina ma ho il clitoride racchiuso in un anello della catena ed ogni volta che sposto il bacino lo sento che si struscia contro l’anello.
Mi fermo, poi riprendo, mi rifermo. Si rialza e in pochi passi &egrave di nuovo davanti a me, mi tira nuovamente per i capelli e mi guarda negli occhi, un leggero sorriso gli solleva gli angoli della bocca.
– ‘Stai godendo senza permesso? Tu schiava puoi prenderti il tuo piacere senza il permesso? Rispondi!!’
Scuoto la testa, oramai mezza intontita dall’oceano di sensazioni che sento in ogni fibra del corpo, e tutte portano in un’unica strada che per ora mi &egrave vietato percorrere. Mi guarda negli occhi ormai persi in un mondo tutto loro, non riesco più a mandare giù la saliva, &egrave troppa.
Anche se non voglio inizia a colarmi dalla bocca, i rivoletti colano sul mento, sul collo fino a scendermi sul seno.
Mi piega la testa in avanti costringendomi a rimettermi a quattro zampe, gemo di nuovo per questo cambio così rapido.
Il frustino si abbatte sul sedere una volta, una seconda ed una terza volta, intervallate tutte da una decina di secondi.
Inizio a piangere dal dolore, ad ogni colpo urlo per quel che il morso mi concede.
Cavolo che malee!!!
– ‘adesso vediamo se muovi il bacino. Muovilo!’
Rimanendo a carponi muovo i fianchi lentamente, ma tra lo sfregare dell’anello della catena contro il clitoride e i capezzoli schiacciati a terra, non riesco a continuare, il piacere che provo &egrave troppo forte.
Il Padrone si porta dietro di me, non dice nulla, appoggia due dita sulla catena e l’accarezza con fare pesante.
Appoggio la testa a terra e mi ingobbisco per cercare un minimo di sollievo alla pressione della catena sulle parti intime.
Ora che &egrave allentata di poco il Padrone la sposta e mi controlla con due dita’.
– ‘E’ così troia la mia cagna? Così in calore?’
La fronte &egrave appoggiata a terra, sto iniziando a perdere il lume della ragione, ciò che vorrei &egrave riuscire a liberarmi di questo fuoco che mi brucia dentro.
Emetto un basso e lungo mugolio quando il Padrone mi infila due dita per controllare, d’istinto allargo le ginocchia., a malapena mi rendo conto che sto sbavando a terra’. Il Padrone si allunga su di me e sgancia il moschettone che mi tiene tirata la catena che pone una divisoria sul mio corpo.
Mmmmh non ci sono parole per descrivere il sollievo che provo, subito dopo mi stacca anche il morso che mi tiene aperta la bocca.
Apro e chiudo la bocca per riprendere il controllo delle mandibole, ma subito la voce del Padrone si fa sentire:
– ‘Lecca per terra, muoviti! E pulisci tutto!’
Tiro fuori la lingua e abbasso il viso sulla saliva che ho perso prima e inizio a leccare
– ‘Ti ho insegnato a leccare in quel modo?’ due colpi di frustino uno dietro l’altro mi fanno singhiozzare e piangere.
– ‘No Signore, chiedo perdono’
– ‘Allora lecca come un lurida, perch&egrave cosa sei?’
– ‘Sono una lurida cagna Padrone’ un altro colpo di frustino sulle natiche
– ‘Dillo mentre lecchi cosa sei’
– ‘Sono’..una’..lurida’.cagna’..Padrone’
Riavvicino il viso al pavimento, riprendo a leccarlo e questa volta muovo i fianchi e inizio a scodinzolare come piace a lui.
Avverto le sue dita che mi accarezzano nell’intimità, che entrano, spingono, ruotano dentro di me, alternandosi nelle due entrate.
Sollevo il sedere al suo ordine seguito da una sonora pacca.
Faccio fatica a capire, ciò che vorrei &egrave liberare il mio piacere, mugolare e ansimare liberamente, gemere per ogni cosa che mi fa perché non fa altro che alimentare il fuoco che brucia dentro.
Mi afferra per i capelli sollevando il busto e mi stacca i morsetti ai capezzoli, poi riprende nuovamente i capelli e quasi trascinandomi mi fa appoggiare sul tavolino davanti al divano, mi fa allargare le ginocchia con un ordine perentorio.
Si allontana o rimane fermo immobile a guardarmi, non so, ma non passa molto tempo dal momento in cui sento le sue mani che mi legano prima una coscia e poi l’altra alle gambe del tavolino.
Afferra le braccia, le porta dietro alla schiena e lega i polsi e gomiti in modo da tenermeli ben uniti da una morsa fatta di corde.
Mi fanno male le spalle, le braccia e senza collegare il cervello alla bocca oso dire che mi fa male, di slegarmi perché non voglio.
La sua risposta &egrave immediata e tremenda:
– ‘ osi rifiutare qualcosa al tuo Padrone? Di chi sei?’
– ‘ Sua Padrone, ma non voglio essere legata”..la prego’
– ‘ Tu puoi dirmi cosa devo fare con il mio giocattolo? Tu puoi volere cagna?’
Chiudo gli occhi e non rispondo, cerco di pensare, di trovare qualcosa che possa impedirgli di legarmi. Il suo piede mi schiaccia il volto sul tavolino.
– ‘ Allora!! Tu puoi dirmi cosa devo fare? Tu puoi volere cagna? Rispondi!’
Spinge e muove il piede come se stesse schiacciando un mozzicone di sigaretta.
Mi viene da piangere”.non riesco a trattenere le lacrime.
– ‘La imploro Padrone, non mi leghi. Non sono nulla, ma la prego, la imploro’non mi leghi’
Sposta il piede dal viso, ho gli occhi chiusi, le ciglia bagnate dalle lacrime e con la voce bassa lieve come un sussurro continuo a ripetere la stessa frase:
– ‘ Ti prego non mi legare, ti prego non mi legare, ti prego non mi legare’..’

Mi rendo conto dall’implorazione che qualcosa non va, non &egrave la katia che mi implora per non avere la punizione o per schivarsi un ordine, c’&egrave qualcosa che non va. Non strattona le corde, &egrave ferma immobile sul quel tavolino.
Sposto il piede. La osservo bene, mi arriva un colpo allo stomaco appena mi rendo conto di ciò che sta succedendo.
&egrave lì ferma immobile, con il viso appoggiato di lato, le lacrime hanno formato una piccola pozza e non smettono di scendere, le labbra si muovono ma non riesco a capire cosa stia dicendo. Mi avvicino chinandomi, parla talmente piano che mi devo abbassare il più possibile.
‘ti prego non mi legare, ti prego non mi legare” e continua, continua’.sempre la stessa frase, le stesse parole che non dice a me, ma a qualcun altro, a un ricordo, orribile ricordo.
Provo un pena straziante per lei, piccola dolce katia.
Le slego le braccia, i polsi, e le gambe il tutto senza che lei apra gli occhi o smetta di ripetere questa litania.
Mi siedo per terra, sul tappeto in bamboo davanti al tavolino.
Non si &egrave ancora mossa nonostante sia slegata.
La prendo di lato, e me la porto accanto, appoggio la testa sul grembo ed inizio ad accarezzarle il viso e i capelli, mi viene naturale cullarla, parlarle, cercarla di tranquillizzarla.
Sposto lo sguardo sul corpo nudo disteso sul tappeto, la linea delle gambe, del sedere, ma poi lo riporto su sul volto’..ha smesso di parlare, si &egrave addormentata.
Afferro un cuscino dal divano, le sollevo la testa e glielo appoggio sotto, poi vado a prendere una coperta per coprirla. Dorme tranquilla ora.
Come un’automa rimetto, corde, frustini e quant’altro nell’armadio, chiudo le ante e vado a prendere il pacchetto di sigarette appoggiato sulla mensola ed esco in giardino. Mi siedo sulla sdraio e incrociando le gambe mi accendo una sigaretta.
Solo in quel momento, come se la nicotina mi avesse sbloccato la mente, ripercorro la giornata di oggi.
Dal suo arrivo, al ristorante, al momento in cui l’ho portata a casa e sono tornato a casa dalla cena fuori.
Mi ha obbedito in tutto, senza obiettare, &egrave stata brava.
Ovvio che mi rammarica che la serata sia finita in questo modo, ma come primo giorno mi ritengo soddisfatto della mia schiava.
Terminato di fumare rientro in casa, controllo katia che dorme tranquilla ai piedi del divano, me ne vado in camera e mi preparo per la notte.
Nonostante tutto sono proprio soddisfatto della giornata, e ”..ma si ”.domani in tarda mattinata la porto a fare shopping.
E, per il resto ho altri tre giorni da trascorrere insieme a lei, insieme alla mia schiava.

Per ogni commento ashanti_@virgilio.it

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