Io e Sara ci siamo conosciute nel Luglio di quattro anni fa in Sicilia, sulla spiaggia di Mondello; mio padre era ripartito la sera prima per il nord, lasciandomi, con mia grande sorpresa, sola e libera.
Avevo una casa splendida a disposizione, il mare a due passi , il rovente sole siciliano -per me mai abbastanza caldo- e tanti ragazzi nuovi da conoscere, punto quest’ultimo di enorme interesse, visto che la sorveglianza paterna, per motivi legittimi, era sempre piuttosto marcata.
Il giorno in cui ci incontrammo me ne stavo sdraiata sotto il sole spietato di mezzogiorno ad arrostirmi ‘ la mia pelle olivastra non teme ustioni -mentre la gente sfollava,vista la calura che andava aumentando.
A un certo punto mi addormentai, come sempre mi succede,cosicché il solleone finisce di cuocermi a puntino.
All’improvviso una strana sensazione di freddo mi riportò alla realta e mi resi conto di essere rimasta sola -deserti ombrelloni e sdraie- mentre sul mio sedere gocciolava acqua fresca; alzai lo sguardo e al seguito di due lunghe gambe vicine al lettino vidi due seni incredibili, contenuti a stento in minuscoli triangoli verdi di stoffa lucente, mentre al di sopra,tra un arruffo di capelli castanodorati, splendeva amichevole un sorriso, accompagnato da un paio d’occhi color pervinca.
-Scusami-disse la ragazza- ti ho cercato appena arrivata, mi andava di fare un bagno, ma tu dormivi e non ho voluto svegliarti; sono la nipote della signora Tea, mi chiamo Sara e tu sei Fede, vero?-
-Sì, ben arrivata in Sicilia, Tea mi ha parlato di te, ma non ti aspettava, per ora-
-Già, le ho fatto un’improvvisata- e l’accento veneto, così dolce, tra le sue labbra per me fu subito musica.
Mentre chiaccherava gesticolando, seduta sul bordo del mio lettino,la osservavo: era molto bella, e io sono attirata inesorabilmente dalla bellezza, vivente o inanimata che sia.
Sara aveva la pelle bianca, setosa, spruzzata quà e là di efelidi, a rivestire un corpo morbido: i seni, due globi perfetti, parevano di panna; il ventre, un poco molle mi fece subito desiderare di appoggiarvi il viso mentre con le dita avrei voluto accarezzarla subito all’interno delle cosce, dove la pelle è più tenera.
Fu una vampata di desiderio, improvvisa, che mi fece avvampare il ventre, dove batte il cuore di femmina, e tremare le labbra che strinsi tra i denti fino a procurarmi dolore, per uscire da quello stato di ipnosi erotica.
Servì a farmi riacquistare l’autocontrollo il notare, mentre lei continuava a parlar di cose che non ascoltavo, quanto fossimo diverse.
Creavamo un bel contrasto, io asciutta, scattante, olivastra e bruciata dal sole di Sicilia ‘nivuranivura-mi chiamava mio cugino, lei bianca, burrosa, delicata.
Mi spiegò che non riusciva proprio ad abbronzarsi, si scottava:
-Beata te, come sei nera, e che bel corpo asciutto hai, io, se mi fermo in Sicilia per un po’, con tutti questi dolci divento un balenottero- diceva, e intanto rideva e le belle, rosse labbra carnose si lucidavano di saliva.
Ci sentimmo subito vicine e amiche, come se ci conoscessimo da una vita. Decidemmo di passare insieme la giornata e poi la serata.
Quel lampo di desiderio feroce che avevo provato pareva essersi dissolto nella complicità femminile.
Progettammo incursioni nelle discoteche locali , beveraggi a sfare, accompagnati, se possibile, da qualche canna, e uomini, naturalmente; cosi ci ritrovammo alla sera a casa mia pronte per uscire: eravamo una bella coppia, io in rosso ultracorto,la pelle lucida e scura, lei in bianco, top e gonna con spacco depilzero.
Ridendo ci abbracciammo e Sara osservò che di certo non avremmo litigato per gli uomini, visto che io ero ‘un campanile’ e lei una ‘bassotta’, di conseguenza le nostre necessità, almeno di rappresentanza, erano diverse.
Ma non andammo mai in discoteca: non so come ci trovammo a passeggiare sul lungomare, tenendoci per mano, parlando di tante e tante cose, inseguite dagli sguardi allupati dei maschi; poi comprammo un gigantesco gelato e lo andammo a mangiare in spiaggia; infine decidemmo di trovare un posticino isolato per il bagno di mezzanotte.
E fu bellissimo: ricorderò per sempre quel mare scuro come l’inchiostro, il velluto della notte senza luna e le nostre risate.
Quando uscimmo dall’acqua,ci rivestimmo alla meglio e fu logico, visto che eravamo vicinissime a casa mia, invitare Sara a fermarsi da me a dormire, dopo tutto ero sola.
L’intrigo saturava l’aria, tutte e due lo respiravamo insieme all’odore della notte siciliana.
Lei, fatta una telefonata per avvisare che non sarebbe rientrata, accettò con entusiamo.
Ci ritrovammo nella mia camera, con il balcone spalancato sul giardino incolto da cui saliva il dolciastro profume delle zagare e quello persistente dei gelsomini in fiore.
Sara si tolse i sandali e si abbandonò sul letto, mormorando:
-Dio che sonno, sdraiati anche tu qui, è un lettone, mica vorrai dormire sul divano..-
Infatti proprio sul divano mi accingevo a prepararmi il giaciglio; mi voltai e la vidi, abbandonata e con gli occhi chiusi: pareva dormisse; come era bella, morbida, bianca, sembrava fatta di panna: mi venne la voglia di assaggiare quella dolce prelibatezza.
Subito. Non sapevo che cosa avrei fatto, dopo.
Così mi sdraiai vicino a lei: mi arrivò alle narici uno ‘sciauro’ di albicocche, l’odore incantevole della sua pelle, così forte da farmi girare la testa.
-Ci sono ‘certe albicocche’si spaccano a metà, si premono con due dita, per lungo’ come due labbra succhiose’-
dice una canzoncina siciliana.
Sara allungò una mano, prese la mia e la strinse forte, poi se la portò alle labbra e la baciò; allora io mi avvicinai di più a lei, le abbassai il top e feci quello che avevo desiderato fare per tutta la sera, ora lo sapevo: passai la lingua su quel seno di panna, giocherellai con il capezzolo eretto e mi persi del tutto in quel profumo di albicocche che diventava sapore nella mia bocca; lei gemeva, mormorando parole incomprensibili sottovoce; dai seni passai con la lingua al ventre morbido, mi fermai sull’ombelico, poi le scostai la gonna e con dita ansiose sfilai gli slip.
Lei, consenziente, aprì un poco le cosce e io vidi le rosee labbra del suo sesso tra l’oro dei riccioletti pubici; le abbracciai i fianchi e premetti la guancia su quelle labbra d’orchidea carnosa.
Fu così che mi arrivò alle narici quell’altro suo odore, più intimo, più eccitante, come di riccio marino dischiuso.
Con un sospiro affondai il viso tra le morbide cosce e comincai a leccarla, mordicchiandole il clitoride, penetrandola con la lingua, mentre con le mani golose risalivo fino ai seni e al ventre; aveva un sapore buonissimo, dolce e salmastro.
I gemiti di Sara aumentavano, finché con un grido arrivò al piacere, chiamandomi per nome.
E fu allora che mi accorsi di quanto ero eccitata anch’io: mi fu sufficiente accarezzarmi appena per venire, le labbra strette intorno a un suo capezzolo.
Dopo entrammo insieme in un giardino incantato e proibito, da Mille e una notte,
in cui, lo sapevamo tutte e due, non ci sarebbe più stato concesso ritornare.
Quando ci addormentammo abbracciate era l’alba; al nostro risveglio decidemmo che non avremmo mai parlato di quella notte, e ancora oggi il divieto è valido.
Fingiamo di aver dimenticato, ma io so che non è vero: a volte è sufficente uno sguardo, lo sfiorarci per caso, un colore a farci ricordare tutto.
O un odore: quando Sara mi viene più vicina e il profumo di albicocche si fa più intenso, la testa prende a girami leggermente, e risento quella canzoncina:
-Ci sono ‘certe albicocche’si spaccano a metà, si premono con due dita,per lungo’ come due labbra succhiose’-
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Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
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