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Luigi

Proprio adesso dovevano bussare alla sua porta? Maledizione. Luigi scrisse a Francesca di aspettare un attimo e rimise il pene ormai duro nei pantaloni, cercando di occultare quanto possibile l’erezione appoggiandola in verticale sulla sua pancia.

Aprì la porta e vide Marta, l’infermiera. La scorsa volta, a una conferenza, lei ci aveva spudoratamente provato con lui; all’epoca Marta indossava un vestito con una scollatura provocante che non lasciava nulla all’immaginazione, stavolta invece il rozzo camice le rendeva poca giustizia.

Lei lo squadrò incuriosita e iniziò a parlare con un tono falsamente preoccupato: “tutto bene, Luigi? Ci stavamo preoccupando, ti sei assentato per più di un’ora”.

“Tutto bene, tranquilla, stavo.. leggendo dei documenti e non mi sono accorto che il tempo volava”.

Marta scese lentamente con lo sguardo verso la piccola tenda sul camice, malamente occultata, represse un sorriso mentre gli occhiali le scendevano leggermente sul naso e disse solo: ”capisco”.

Ci fu un momento di silenzio imbarazzante e Marta proseguì.

“Come vola il tempo quando ci si diverte..”

Luigi voleva solo chiudere quella conversazione, aveva le orecchie che gli ronzavano e non sentì cos’altro dicesse Marta che continuava a parlare, blaterare, cianciare senza che lui la ascoltasse, limitandosi ad annuire appena.

“Bla, bla, bla, bla, bla..”

Il mento leggermente sfuggente di Marta si muoveva come una piccola mitraglietta e spingeva la bocca ben truccata a dire cose su cose su cose, proprio adesso che lui aveva fretta di ricominciare la sua conversazione con Francesca: maledetta ochetta, non poteva semplicemente andarsene?

“Luigi, mi stai ascoltando?”

“..sì certo”.

“Allora ok?”

“Ok”.

“Perfetto Luigi, grazie!”

“Prego, ora scusami Marta ma devo finire di.. leggere, ti pregherei di dire a tutti di non disturbarmi salvo urgenze”.

Marta fece un sorrisino complice e aggiunse: “che noia leggere da soli, però.. buon proseguimento, Luigi.” E uscì.

Si diede uno schiaffetto sulla guancia per svegliarsi. Stupido. Razionalmente avrebbe dovuto evitare di aprire la porta e aspettare che l’erezione passasse ma non era granché lucido in quegli istanti.

Pazienza.

Scrisse a Francesca: “ci sei?”

Mena

“Hai più rivisto la povera Taissa dopo averla posseduta così brutalmente? Povera ragazza, solo perché era una prostituta non avresti dovuto trattarla così” disse Mena, ancora incerta su come inquadrare i sentimenti che aveva provato ascoltando il racconto del papy.

“Assolutamente mai più vista, Le gettai l’obolo e una corposa mancia sul comodino. La ragazzina tolse la testa dai cuscini e iniziò a fissarmi, ancora stravolta. Non disse nulla, forse vagamente sollevata che fosse tutto finito, secondo me temeva le volessi fare di peggio. Uscii da quella baracca immonda e feci per chiamare un taxi quando vidi di fronte a me cinque militari in mimetica”.

“Militari?”

“Da quelle parti, molte zone malfamate sono presidiate da militari e forze di polizia. Quattro di loro mi sembravano semplici soldati, per quanto ne potevo capire. Non sembravano particolarmente interessati a me, come se fossi un elemento del paesaggio. Forse non ero il primo cliente di Taissa che vedevano passare da lì. Quello che davvero mi spaventava era l’ufficiale, un panzone più largo che alto con un grosso paio di baffi che mi fissava ghignando con la bocca sdentata”.

“Che paura! Che voleva da te questo sergente Garcia?”

“Probabilmente il sergente Garcia non puzzava in quel modo, credimi. Palesemente sbronzo, aveva un grosso manganello legato alla cintura. D’un tratto si fermò di fronte a me e iniziò a biascicare qualcosa in portoghese. Sentivo il suo fiato fetido già da un metro di distanza”.

“Che diceva?”

“Non avevo idea di cosa dicesse e non sapendo il portoghese ero parecchio spaventato dalla situazione. I soldati gli dissero qualcosa, usarono la parola “turista” e vidi un lampo di crudeltà negli occhi piccoli e porcini del sergente Garcia che iniziò a parlare in inglese e finalmente riuscii spiegarsi. Voleva arrestarmi per aver pagato una minorenne per fare sesso e iniziò a insultarmi come turista interessato a fottere le loro donne. Ero terrorizzato, rischiavo di finire in una prigione brasiliana e di non veder più mia figlia. Taissa mi avrebbe venduto per un tozzo di pane, non potevo farci affidamento”.

“E che hai fatto?”

“Avrei voluto scappare per lo spavento ma trovai dentro di me le forze per rimanere fermo e imperturbabile”.

“Un pezzo di ghiaccio”.

“All’incirca. Iniziai a sorridere amichevolmente e a scuotere la testa, parlando in lingua inglese, negando di aver fatto sesso con minorenni e dicendo che mi ero solo perso durante una passeggiata turistica. Ebbi la faccia tosta di chiedergli informazioni sulle attrazioni della città. Vidi Garcia piuttosto interdetto, sembrava voler accettare il mio bluff e ne approfittai per dire incidentalmente che ero italiano. Iniziarono tutti a ridere, a parlare dell’Italia, del calcio, di mille luoghi comuni sul nostro Paese che ti farebbero sorridere in altre circostanze”.

“Maddai, non ci credo”.

“Giuro!”

“E poi?”

“Non so se lo vuoi sapere..”

“Dai, sfogati”.

“Gli animi sembravano rasserenarsi. Garcia mi prese sottobraccio quasi con familiarità e pensai di svenire per la puzza. Sudore, alcol, tabacco, vomito e probabilmente sterco. Ridendo, parlammo come vecchi amici per una decina di minuti. Poi tornò terribilmente serio: “non ci credo per un cazzo che non eri qui per quella troietta. Tu lo sai che è piccola e lo so anche io. Se voglio la costringo a confessare il tuo crimine in dieci minuti e finisci in un carcere dei nostri. Un carcere brutto, non c’è la Torre di Pisa da guardare fuori. Non esci più”. Mi sorprese come passasse dall’allegria alla furia, era davvero uno psicopatico”.

“Oddio, e poi?” Rispose Mena.

“Restai impassibile, Garcia mi fissava con la sua espressione più seria. Poi scoppiò di nuovo a ridere, dandomi delle grosse pacche sulle spalle. I soldati dietro avevano le lacrime agli occhi dalle risate. Sorrisi: forse avevo capito dove voleva andare a parare e continuai la frase di Garcia: “ma.., credo ci sia un ma.. giusto?” Vidi Garcia asciugarsi le lacrime e tornare serio: “ma, sono stufo di avere una minorenne che si prostituisce indecorosamente nella mia zona e mi rispetta così poco da non pagare per la mia protezione. Apprezzo chi paga per la mia protezione”.

“Sembra più un mafioso che un poliziotto”.

“Già, ma non ero in vena di dibattiti. Gli chiesi pacatamente che sarebbe successo se avessi pagato per la sua protezione e tirò fuori un sorriso sinistro con quel paio di denti giallastri che gli rimanevano: “in quel caso potrei convincermi che la puttana ha cercato di adescarti e convincerti a fare sesso con lei dicendo che ha della droga in casa ma che tu bravo cittadino ti sei rifiutato, perché così è andata, vero?” disse, insinuante”.

Iniziava a capire perché il Papy non fosse fiero del suo comportamento, quella volta. Aveva condannato quella povera ragazza. D’altro canto, mors tua.. Nel frattempo, lui proseguiva il suo racconto.

“Annuii energicamente e diedi a Garcia tutto il denaro che avevo nel portafogli e la carta prepagata con il pin. Spiccioli. Poi mi fece firmare una dichiarazione che penso attestasse la versione di Garcia della storia perché lo vidi annuire soddisfatto e fissare la baracca di Taissa. Mi diede un’altra pacca affettuosa e lo vidi strofinarsi rudemente il pacco”.

Mena iniziò a capire l’antifona. Quel ciccione di Garcia le dava i brividi, riusciva quasi a sentire la sua puzza. Sudore, alcol, tabacco, vomito e probabilmente sterco.

“Che galantuomo..”.

“Non immagini. Ebbe una vistosa erezione in mia presenza e quasi me la indicò soddisfatto per poi accarezzare il grosso manganello alla cintura. A quel punto disse in inglese a uno dei soldati “vai a bussare alla porta della troietta e fatti aprire, è sospettata di avere droga in casa. E aspettate il mio arrivo prima di “perquisirla”, tanto faccio subito. Saluto il nostro “testimone” e vi raggiungo”.

Mena era rapita dalla situazione. Che le succedeva? Era una professionista (o almeno, avrebbe dovuto comportarsi come tale) e avrebbe dovuto mantenere un certo distacco. Fallo parlare, non vede l’ora di spendere altri soldi. E invece era accaldata, desiderosa di sapere il seguito; la sua camicia da notte era madida di sudore, i capezzoli le dolevano ma non doveva, non voleva interrompere quel racconto per cambiarsi.

“E poi che è successo?”

“Garcia chiamò un taxi e mi fece salire a bordo, quasi con deferenza. Prima di salutarmi, mi disse “tranquillo, italiano, ti capisco, cosa credi? Quella zoccoletta farebbe rizzare il cazzo anche a un santo con quell’aria di finta innocenza, crede di essere al di sopra della legge. Ci penseremo noi a lei”. Garcia si leccò le labbra, compiaciuto. Non avevo il coraggio di dire nulla e mi limitai ad annuire e a salutarlo, dopodiché il taxi ripartì lentamente”.

L’aveva abbandonata lì, pezzo di merda. Alle sevizie di quei maiali, alle attenzioni di quel grassone pervertito. Mena avrebbe voluto essere lì, provare a fermarli, urlare a quegli schifosi di non toccarla.

Le parole fluirono da sole, come le gocce che le imperlavano il corpo: “che ne è stato di quella povera ragazza?”

“Non.. non lo so. Non ho mai avuto il coraggio di informarmi”.

Forse non sarebbe stata una buona idea intervenire; probabilmente quei maniaci, dopo aver finito con Taissa, avrebbero stuprato anche Mena.

Cosa avrebbe fatto in quella situazione?

Forse, come il Papy, avrebbe cercato di salvare la pelle.

Ma.. a differenza sua, avrebbe voluto sapere.

Guardare negli occhi la cruda realtà.

Chiuse gli occhi e respirò a fondo.

Lo vide.

Garcia, schifosamente grasso, il bozzo dell’erezione sempre visibile dal pantalone dell’uniforme e il manganello che ondeggiava alla sua cinta.

Mena era lì, in quella baracca; nascosta in una “cabina armadio” che in realtà era solo una stanzetta piena di vestiti dozzinali.

La voce del Papy, in sottofondo.

“L’ultima scena che ho in testa è il rumore di mobili che si rompevano e le grida di Taissa che urlava a squarciagola, mentre Garcia si accingeva ad entrare in casa, un sorriso sadico in volto”.

Mena era in quella casa. Sentiva le urla di Taissa, una lingua internazionale migliore dell’inglese.

Non avrebbe dovuto fare quella domanda al Papy, ma non le bastava sentire le urla, voleva socchiudere quella porta e vedere.

“Cosa credi che sia successo quella notte?”

“Me lo sono chiesto tante volte. Non lo so. Per quel poco che la conobbi, Taissa mi sembrò mansueta. Spero non si sia ribellata”.

Mena sentiva le risate dei militari, i mobili in mille pezzi.

Socchiuse la porta e li vide.

Taissa urlava mentre in due la tenevano ferma, distesa con la fronte sul pavimento.

La voltarono supina e le strapparono la sottoveste come dei bambini intenti a scartare un regalo, mentre Garcia rideva, si slacciava la cinta e cercava di baciarla.

La ragazzina ebbe un moto di orgoglio nel suo viso.

Non ti ribellare, scema.

Vide Taissa sputare in faccia a Garcia e sibilare qualcosa con disprezzo.

Pessima idea.

Lui la colpì con un manrovescio al volto che le fece sanguinare il naso e le labbra, poi riprese a spogliarsi.

Che schifo, Garcia era sudicio ovunque.

L’aria era pesante, il naso non riusciva ad abituarsi a quel tanfo penetrante.

A un cenno di Garcia, anche gli altri si spogliarono ridendo e toccandosi il cazzo: erano tutti nudi, pelosi, sporchi e con il cazzo duro.

Mena sentiva la loro lussuria animalesca e fu tentata di distogliere lo sguardo, ma non ci riusciva.

“Chi pensi che abbia iniziato?” Chiese Mena, meravigliandosi della sua stessa domanda.

Stava morendo di caldo e si spogliò del tutto. La vista allo specchio del suo bel corpo atletico e tornito la rassicurò e la turbò. Il seno era caldo, i capezzoli dritti le imploravano attenzioni.

I suoi occhi verdi erano scuri come due smeraldi e dilatati come due pozzanghere di piacere, mentre un’altra pozzanghera si stava formando tra le sue piccole labbra, rivoli di nettare sgorgavano dalla sua fica lucida e aperta.

Che le succedeva?

“Non.. non mi aspettavo questa tua domanda. Sei davvero una troia, lo sai? Probabilmente ha iniziato Garcia, era il loro capo, dopotutto.”

Rimasero in silenzio lunghi istanti, Mena era di nuovo lì, distogliere lo sguardo da quello stupro era impossibile.

Il cazzo di Garcia svettava sugli altri, lungo e storto come quello di un asino, ma ancora più lurido di quello di una bestia.

Lui ghignava e le afferrò il mento con una mano sudicia, mentre il suo pene turgido iniziò a premere bruscamente sulla sua fichetta, ancora asciutta; lei urlò quando lui le piantò tutta la nerchia dentro con una sola spinta, fino a far combaciare il pube della ragazza con la pancia pelosa del sudicio sergente.

Che le succedeva?

Doveva essere professionale, eppure il suo corpo stava reagendo a quelle immagini dandole una voglia di sesso incredibile.

Come diceva Deborah Caprioglio in Paprika, una prostituta non poteva avere un orgasmo con un cliente o sarebbe stata la fine.

Guardò il suo seno, simile per dimensioni a quello della Caprioglio e così spesso trascurato di recente.

Massì, non c’era nulla di male nel darsi un po’ di piacere mentre lavorava.

Iniziò ad accarezzarsi le cosce e ad ansimare piano, il piacere si diffondeva tra le sue gambe nervose ed il bacino di Mena iniziò a muoversi avanti e indietro mentre le sue mani accarezzavano piano il suo sesso gonfio e fradicio.

Vedeva Garcia pompare il suo cazzo dentro e fuori Taissa emettendo grugniti di soddisfazione.

“Ho avuto l’impressione che Garcia già desiderasse scoparsi Taissa da un po’ e cercasse solo un pretesto” aggiunse il Papy.

Le sembrava di vedere il cazzo equino di Garcia massacrare l’interno di quella giovane fica come se fosse fatto di carta vetrata, mentre lui si distendeva in avanti ghignando e la violentava; dal canto suo Taissa poteva solo restare esposta alle voglie di quel satiro peloso che la stringeva per la vita e appoggiava quel corpaccione sul suo corpicino indifeso.

Era una scena ipnotizzante e a Mena non bastavano più le dita per darsi sollievo. Prese la prima cosa che aveva sottomano, un deodorante stick che teneva in un cassetto e iniziò a muoverlo piano tra le sue piccole labbra vaginali mentre le scosse di piacere iniziavano a propagarsi sul suo corpo eccitato.

Taissa urlava mentre Garcia si muoveva dentro di lei, il dolore doveva essere tremendo e la faceva piangere e implorare pietà, senza che il grassone le prestasse il minimo ascolto.

Quella fantasia si stava rivelando così reale e tremenda che a Mena sembrò quasi di notare uno dei militari guardarsi attorno mentre il capo godeva dei privilegi del suo rango.

Provò un brivido di paura, prigioniera di quella sua stessa fantasia. Se l’avessero scoperta, nuda a spiarli dall’armadio, sarebbe finita stuprata accanto alla povera Taissa.

La prospettiva la terrorizzava e le stava per scappare un urlo che avrebbe insospettito il soldato, pronto ad avvicinarsi.

Fu in quel momento che percepì nitidamente una presenza afferrarla da dietro e metterle una mano sulla bocca, facendole segno con l’altra mano di tacere.

Voltata e nel buio dell’armadio, non vedeva nulla di costui, salvo le mani che erano leggermente ruvide ma molto belle e proporzionate.

Mani maschili, poco pelose ma callose, belle, virili; sapeva benissimo doveva aveva visto mani del genere: al campetto, quando guardava le partite di Toni.

Mani giovani, da sportivo. Come i compagni di squadra di suo figlio, come suo figlio.

Chiunque fosse l’intruso, la stava proteggendo dalla sua stessa fantasia.

Sentiva il cuore in gola, mentre il soldato iniziò ad avvicinarsi sospettoso all’armadio, mezzo nudo, il cazzo barzotto.

Per fortuna, quella mano le impediva di urlare tutta la sua paura e di farli scoprire.

Furono attimi interminabili.

“Dopo sarà stato il turno del suo vice”, disse il Papy.

Poi tutti loro sentirono un rantolo suino, l’urlo di piacere di Garcia, che rovesciò nella passerina di Taissa quello che probabilmente era un litro di densa sborra puzzolente come lui.

Il soldato si voltò verso Garcia e, dopo altri lunghissimi secondi, venne chiamato dai commilitoni.

Era il suo turno.

Mena tirò un sospiro di sollievo e, grata dell’aiuto del suo salvatore, diede un bacio a quella mano possente che le stringeva la bocca.

Sorprendentemente, la mano la accarezzò in un modo che a Mena sembrò quasi affettuoso, familiare. Come se le volesse fare un massaggio al volto.

Poi quelle dita le sfiorarono le labbra e iniziarono a percorrerne il contorno piano, teneramente, in maniera molto rassicurante.

Però Mena non voleva essere calmata, voleva solo sfogare tutta quell’eccitazione accumulata fino a quel momento e iniziò piano a baciare quelle mani forti e ruvide.

Le dita non si fermarono e continuarono a scorrere sulle sue labbra, finché Mena non tirò fuori piano la lingua ad accarezzarle ed insalivarle piano.

Le sembrò di sentirne il sapore forte, ormoni maschili e un lievissimo sentore di terra, erano senza dubbio le mani di uno sportivo e infine accolse sensualmente quelle dita nella sua bocca frenetica e tremante.

Papy disse qualcosa ma lei non lo considerava più, persa in quella fantasia.

Il ragazzo iniziò a muovere le mani piano dentro la bocca di Mena, sempre più presa da quel momento di piacere e goduria: non sapeva chi fosse, erano solo un paio di mani, ma la stavano mandando in paradiso.

Sbavava, la saliva le bagnava le labbra rendendole lucide e accoglienti ma non poteva gemere né voltarsi e rimase ferma in quel pompino a un paio di dita, sentendo dopo pochi minuti il ragazzo tremare, partecipe di quell’eccitazione e non poté fare a meno di abbassare la mano destra per accarezzare il corpo del suo immaginario compagno d’avventura.

Sentì la forma e la rigidità del suo cazzo, duro come l’acciaio. Un bell’attrezzo, giovane e impaziente come il suo padrone che continuava a muovere le dita nella bocca ingorda di Mena.

Iniziò ad ansimare anche lui, trasportato dalla lussuria del momento e gli venne naturale stringere la propria mano sulle dita di Mena, inducendola a muovere quel bastone compatto, facendo scivolare la pelle del prepuzio per liberare una cappella rosso porpora e carnosa.

Avanti e indietro.

Le lasciò la mano, permettendole di segarlo con calma, dedicandosi con una mano ad accarezzare piano le grandi labbra di Mena, ormai zuppe di umori e a stuzzicare piano la clitoride.

L’altra mano, umida di saliva, scese sul seno olivastro e prosperoso, accarezzando e lubrificando i capezzoli sensibili, facendola impazzire di piacere.

Nel frattempo, anche il vice di Garcia sembrava gustarsi la sua preda, stuprandola a lungo e con cattiveria. Il soldato sembrava ossessionato dai piccoli seni di Taissa che continuava a stringere e a torturare brutalmente, godendo dei singhiozzi della ragazza, impotente e scossa; il porco la obbligava a guardarlo in volto e la brutalizzava. Ancora e ancora.

Alla fine, Taissa sentì di nuovo la sensazione calda e bagnata degli schizzi di sperma che le riempivano la vagina, umiliandola ancora di più.

Avanti il prossimo.

Mena non riusciva a smettere di guardare e il grosso cazzo che stringeva in mano non aiutava la sua concentrazione.

Sentiva gli occhi del suo “amico” sulle sue natiche atletiche, sode e profumate come una pesca vellutata. Mena aveva un bel culo e non rimase sorpresa quando lui le tolse dolcemente la mano dall’uccello e appoggiò il bacino alle natiche di Mena che notò il suo grosso glande paonazzo sbucare dal suo inguine e accarezzarle piano le labbra della fica.

Il petto muscoloso di lui si appoggiò deciso sulla schiena abbronzata e Mena sentì quel bastone nodoso e bollente strusciarsi ritmicamente sulla sua figa fica che si contraeva come se volesse mordere quella massa carnosa e venosa, mentre la cappella le stimolava implacabilmente la clitoride turgida.

Mena sentiva che il piccolo deodorante stick non le bastava e fortunatamente trovò nel comò una bomboletta spray di deodorante e ne posizionò la parte arrotondata nella sua fica ormai incandescente, tornando a pensare al suo misterioso amante.

Ormai non resisteva più, voleva che lui la scopasse come una cagna in calore, mentre il terzo soldato finiva di sborrare dentro la fica di Taissa e il quarto ne prendeva il posto, tra l’ilarità dei suoi amici.

Con infinita voglia, Mena prese in mano quel giovane cazzo voglioso e lo accompagnò alla sua fica. La cappella entrò senza provocarle particolare dolore, complici tutti gli umori di Mena che avevano ben lubrificato l’asta e ne facilitarono l’ingresso.

Mena sentì le piccole labbra schiudersi e ricevere finalmente quel caldo oggetto del desiderio nelle sue carni. Il suo amico iniziò ad ansimare sempre più forte. Mena ebbe un moto d’orgoglio nel pensare di aver fatto arrapare fino a quel punto un ragazzo più giovane ma non ebbe il tempo di goderne perché fu sufficiente che lui le mordesse il collo mentre la penetrava e Mena sentì il primo, disperato, orgasmo.

“Gesù! Ahhhhhh Ahh” Urlò Mena, la bomboletta spray ben piantata nella fica.

Quella fantasia si stava rivelando incredibile e Mena sentì nuovamente quel giovane nerbo scivolare dentro di lei senza ostacoli, sinuoso e caldo come un serpente infuocato.

Per il godimento Mena inarcò il sedere verso il giovane che, in preda alla frenesia, spinse con tutta la sua forza il bacino verso di lei e la scopò con una forza incredibile.

Il ragazzo, silenzioso ma compiaciuto da quella passione reciproca, le afferrò con furia le grosse tette e stringendole con vigore, grugnendo appena, continuò a sbatterla forte e le scaricò nell’utero un denso e potentissimo carico di sborra e adrenalina, inondandole la fica già tormentata dall’orgasmo che fu tanto liberatorio quanto atteso.

Mena strinse la bomboletta così forte che le mani le dolevano e sentì il piacere esplodere in pochi secondi, travolgendo ogni sua resistenza e imporporandole le guance di un rosso acceso di piacere e lussuria.

“Francesca? Ci sei?”

Papy aveva continuato a parlare, ma lei non poteva ammettere di aver perso il filo del discorso.

Aprì gli occhi e rimase incerta se sfilare la bomboletta spray o tenerla dentro di sé.

Scelse di non toglierla, ancora.

“Certo, ti ascolto”.

“Come dicevo, credo che i soldati l’abbiano stuprata a turno e che Garcia abbia utilizzato quel grosso manganello per.. darle il colpo di grazia”.

“L’ha sodomizzata con quello?”

“Temo di sì”.

Mena aveva perso il conto di quanti orgasmi aveva avuto e di quanti soldati avevano stuprato Taissa. Forse aveva avuto un orgasmo per ogni soldato. Ma il merito era del suo misterioso “amico”.

Purtroppo, dopo averla riempita di piacere e sperma, sembrava essere di colpo evaporato, come le sue belle mani e il suo giovane membro.

Il colpo di grazia, così lo aveva chiamato Papy.

Vide Garcia prendere a schiaffi il volto rigato dalle lacrime di Taissa e forzare lo sfintere della giovane con quel manganello crudele, spaccandole il culo mentre la ragazza urlava e cercava di stringere freneticamente i muscoli per cercare invano di fermare quell’ennesimo stupro.

Fu tutto inutile, il bastone entrò inesorabile di fronte agli occhi allucinati di Mena.

Non ce la faceva più, quella bomboletta era ancora piantata dentro di Mena e la stava portando a un nuovo orgasmo.

Lo sentì arrivare, devastante e inaspettato, mentre la bomboletta vibrava e un rivolo di umori le colava dalla vagina inzuppata di dolce miele.

Nel frattempo, Garcia continuava a sodomizzare Taissa a lungo con colpi secchi, mentre i suoi soldati ridevano e la coprivano di insulti e di sputi.

Era abbastanza per Mena che decise di non proseguire la vista della terribile agonia di quella povera ragazza e volò lontana da quell’armadio immaginario, luogo in cui un bel giovane dalle mani sportive le aveva dato quello di cui aveva disperato bisogno.

Beata gioventù.

Luigi

Di nuovo silenzio. Luigi si accorse che nell’aria c’era solo l’odore del suo cazzo, il suono delle lampade al neon e il rumore della sua tastiera.

“E questo è davvero tutto. Tornai a casa, mia figlia dormiva ancora nel mio letto. Mi accucciai accanto a lei e la strinsi forte. Inutile direi che il giorno dopo vinse la gara. Ero fiero di lei e presi la decisione di non comportarmi più come quella notte. E da allora preferisco ammazzarmi di lavoro e dormire fuori casa, quando possibile, pur di non rimanere solo con lei, la notte”.

Silenzio.

“Francesca? Sei ancora lì?”

“Sì..”

“Ora sei l’unica persona che conosca il mio segreto peggiore e probabilmente proverai ribrezzo per me”.

“Non credo tu debba colpevolizzarti, avresti potuto fare ben poco per Taissa in quelle circostanze. Penso che quei soldati cercassero solo un pretesto per stuprarla, forse lo avrebbero fatto comunque. Avresti rischiato inutilmente”.

“Non pensi sia stato una carogna quella volta?”

“Penso tu sia stato schiavo dei tuoi demoni nel passato e sicuramente quello che lei hai inflitto non era bello. Però hai preso la decisione giusta”.

“Davvero?”

“Anzi, forse al posto tuo avrei voluto vedere quella scena. Non per goderne, solo per curiosità”.

“Curiosità morbosa, direi”.

“Dimmi la verità, eri tentato di spiarli. Volevi vedere la piccola Taissa violentata da quei cinque maiali. Non mentire. Mi sembra di vederlo, quel porco di Garcia mentre tirava fuori il grosso cazzo puzzolente e la stuprava fino a schizzarle litri di sborra maleodorante, per poi passare al manganello”.

“Non ho intenzione di mentire. In un altro contesto sarei rimasto, ma avevo fretta di andarmene”.

“Mi sembra quasi di essere nella tua mente, così lucida, così fredda. Avrai pensato che dopotutto lo facessi per me. Se ti avessero arrestato, mi avresti persa per sempre. Mors tua, Vita Mea. Giusto?”

“Chi sei tu e cosa mi stai facendo?”

“Non mi riconosci? Sono tua figlia, papino”.

“Cosa..”

“Hai visto che bella vittoria? Me lo sono proprio meritato, quel trofeo, non credi?”

“Sì.. è vero”.

“Pensi che non ti avessi visto, quella sera? Ho sentito chiaramente la tua mano che mi spingeva verso il tuo pisellone, cosa credi?”

“Piccola mia, scusami..”

“Dovresti scusarti per esserti fermato, semmai”.

“Cosa?”

“Non mi avevi mai portato nel tuo ufficio e ora capisco il motivo. Stai sempre col coso duro sotto al tavolo?”

“Non sempre.. solo quando..”

“Quando ti masturbi pensandomi?”

“Cosa vuoi fare..”

“Fammelo vedere, dai”.

“Vuoi..”

“Sì!”

“Ma smettila..”

“Ho capito, devo fare tutto io.. Fammi accucciare sotto questa scrivania. Accidenti, quell’affare è teso allo spasimo, vibra da solo!”

“Sì.. è così per te”.

“Posso farti una domanda, papino?”

“Certo..”

“Sono più bella io o quella puttanella?”

Gli sembrava quasi di sentire il fiato di Anna sulla sua cappella, come se quella domanda fosse stata davvero pronunciata da sua figlia accucciata sotto la sua scrivania, china sul suo sesso.

“Non devi nemmeno chiederlo, piccola mia. Tu sei la più bella e lo sarai sempre”.

“Non me la bevo, voglio accertarmene. Lei usava la bocca per succhiartelo? Prendeva in bocca la punta.. così?”

“Oddio, no, non lo ha fatto”.

Luigi non capiva più nulla e iniziò a masturbarsi, scappellandolo avanti e indietro freneticamente. Ogni movimento gli provocava scosse di piacere, piccoli terremoti. L’immagine della piccola Anna che gli imboccava il glande gli era entrata nelle sinapsi e non voleva uscire.

“Sai, penso di aver capito come si fa. Bisogna trattenerlo nella boccuccia e frizionarlo come faccio con la cannuccia del succo di frutta, giusto? E ogni tanto dare delle piccole leccatine con la linguetta, giusto?”

“Giu-giusto..”

“E poi fare su e giù con la testolina, stando attenta a non usare i dentini per non farti male, vero papino?”

“Papà sta venendo, amore mio, togliti da lì, togliti dalla mia mente o faccio un casino”.

“Va tutto bene, vai”.

Gli sembrava di vedere Anna da piccola, mentre lo fissava divertita senza smettere di lavorare di bocca, continuando la sua dolce e morbosa suzione sul suo bastone incandescente mentre con la mano accarezzava le sue palle in sintonia con la succhiata.

Era troppo, vide chiaramente la scena: bloccò la testa della piccola Anna e glielo spinse con foga tutto in fondo alla gola per sborrarle copiosamente nella piccola boccuccia avida di piacere; sentì l’orgasmo salire e fece appena in tempo a bloccare con la mano quel torrente di sperma, inzaccherandosi il camice, sfogando finalmente e completamente l’eccitazione accumulata nelle palle durante quella tremenda rievocazione del suo passato.

Ci mise più di qualche minuto a riprendersi. Sperma ovunque, aveva combinato un disastro.

“Sei ancora lì, papino? Sei venuto, finalmente?”

“Sì.. grazie Francesca”.

“È stato bello! Molto intenso, non male come prima volta”.

“Sì.. non male. Non so cosa mi hai fatto, ma forse era quello che mi serviva”.

“Forse serviva ad entrambi”.

“Adesso ti devo salutare, sarà meglio che torni a casa. Continua così, sarai una splendida “creatrice di contenuti”, molto più puttana delle puttane qui dentro”.

“Ti ringrazio, papino. Se vorrai riprendere l’argomento, saprai dove trovarmi. Un bacio”.

Toni

I loro primi giorni da soli in casa erano stati devastanti senza suo padre, sofferenza e paura allo stato puro. Eppure, aveva visto sua madre Mena provare a uscire da quel vortice di tristezza e aveva fatto quel che poteva per starle vicina, a costo di sacrificare il tempo per sé. Non che Anna mostrasse molta comprensione per questi suoi tentativi, era stata ben lieta di uscire da sola con Lia e non si era fatta minimamente sentire da allora. Nemmeno un messaggio. Poi si lamentava che lui la trattasse male, cos’altro poteva aspettarsi?

Poco male, l’importante era rassicurare sua madre. Si era accorto che da qualche giorno mamma passava sempre un paio di orette al computer prima di mettersi a letto, probabilmente guardava le ricette di cucina e i tutorial di make-up. Sicuramente non passava le giornate a masturbarsi come lui, ci mancherebbe.

Dopo cena, era il loro piccolo momento assieme. Si metteva nel lettone con lei a guardare la televisione fino a tardi. Guardavano di tutto, dagli horror ai film d’amore, anche se spesso non si curavano minimamente della trama. In quei momenti Toni amava coccolarla come se fosse una ragazzina.

In particolare, a Toni piaceva farle le carezze sul viso mentre la stringeva da dietro, distesi sul letto. Si era accorto che la madre le trovava rilassanti e spesso si addormentava mentre lui le accarezzava piano il naso, la fronte, gli occhi. Le labbra, il mento, le orecchie. Prendeva sonno così, serenamente. Il domani era già abbastanza dubbio, quello che contava era il presente. Quando lei si addormentava, lui si alzava e andava in bagno a segarsi, tremendamente eccitato. Ogni volta che si scappellava impazziva, sentendo sulle mani l’odore della pelle di sua madre, un odore femminile acuto, intenso, penetrante, un misto di creme e odori. Leccava le sue mani, nella sua mente leccava la pelle di lei.

Eppure, quella mattina doveva essere successo qualcosa. Nonostante i suoi massaggi, lei rimaneva sveglia, a volte quasi tremava, mugolava nel gustarsi quelle carezze e Toni continuò a fargliele per un bel pezzo, prima che finalmente si addormentasse.

“Tutto bene, Mà?”

“Tutto bene, tesoro. Oggi ho letto.. un bel romanzo d’amore e sono ancora un po’ scossa”.

“Sei sempre così sensibile, ho una madre che è una vera romanticona, tra poco trasmetteranno “love actually” in televisione, sarà meglio che non lo guardi o potresti allagare casa di lacrime!”

“Scemo!” Disse Mena e si voltò per dare un buffetto sulla guancia a suo figlio Toni. Gli sorrise e lui lesse qualcosa nel suo sguardo per una frazione di secondo, poi lei si volto.

Non è possibile. Gli sembrò di leggere eccitazione nello sguardo di sua madre. Odorò meglio l’aria e gli parve davvero di sentirla. Anche Anna si bagnava parecchio e lui non era un novellino. Sentì quell’inconfondibile odore di femmina, di miele, di frenesia, di liquido vaginale.

Sua madre era eccitata? Che era successo?

Per un attimo fu combattuto. Era eccitata per lui? Fuori discussione. Non poteva essere così. Forse aveva una storia con qualcuno? Anche questo gli sembrò irrealistico, non avrebbe mai tradito suo padre Roberto.

Dopotutto la fisiologia era fatta così, lui ne sapeva qualcosa: siamo tutti fatti di carne e abbiamo dei bisogni, anche lei, non per questo aveva un amante.

Però sua madre era eccitata. Sua madre era bagnata. Sua madre aveva voglia di fottere. Come lui.

Quella sera gli ci vollero diverse seghe prima di calmarsi e, quando finalmente ravvisò la stanchezza, il sonno calò su di lui come una coperta, una stola ricamata ed elaborata come uno dei reggiseni di pizzo che vedeva sempre nell’armadio di mamma, un tessuto ingarbugliato che lo avvolgeva, lo legava come se fossero tentacoli bagnati, lo stesso odore acre di fica nelle narici a perseguitarlo, ancora e ancora.

Teodora

Era di nuovo lì, maledizione. Di nuovo. Sembrava un film dell’orrore dalla trama schifosa, il demone persecutore delle sb.. degli schizzi di seme.

Guardò il suo ampio reggiseno, totalmente inzaccherato da roba bianca, calda, odorosa. Lo aveva comprato pochi mesi prima, un modello nero senza ferretto (un po’ antiquato, ma comodo), ed era già profanato.

Quale idrante poteva buttare fuori tutta quella roba?

“Luca, piccolo segaiolo bastardo”, sibilò furibonda.

Gliel’avrebbe fatta pagare, quanto è vero Iddio.

Un velo di furia le calò sugli occhi e tutto intorno a lei si colorò dello stesso verde della bile.

Luca

Era felice, così felice da tremare o quasi. Per Luca sarebbe stato difficile spiegare a qualcuno le ragioni della sua gioia; nessuno al mondo poteva capirlo.

Finalmente, dopo un’estenuante ricerca durata almeno otto anni, aveva trovato la perfetta sosia di sua sorella Lia.

Sydney Sweeney era incantevole, identica a lei.

L’aveva scoperta da poco e da quel momento si era masturbato incessantemente.

Non gli importava nulla delle ridicole accuse di sua madre, lui era un tipo discreto che usava i fazzoletti di carta per raccogliere lo sperma. Probabilmente era solo un modo creativo di quell’arpia per maltrattarlo.

Segnò mentalmente di comprare un altro pacco di fazzoletti: li stava finendo.

Poco importa, Sydney lo aspettava.

Si accucciò sotto le coperte, mise le cuffie e iniziò a guardare dal telefonino un video con delle scene di nudo della sua dea dell’amore.

Identica, in ogni parte del suo corpo.

Le bocce candide, le labbra ben definite, i capelli biondi, gli occhi azzurri, l’espressione furbetta ma leggermente malinconica.

Per fortuna la Sweeney aveva recitato in diverse scene di sesso ed era esattamente come lui immaginava fosse Lia da nuda.

Il seno prosperoso, tondo, morbido, diafano. I fianchi morbidi e voluttuosi.

Abbassò l’elastico del pigiama e tirò fuori il pene barzotto dalle mutande, iniziando una lenta sega dopo aver spalmato un piccolo sputo sul glande per lubrificarlo.

Si spogliò del tutto, voleva stare comodo e al calduccio con la sua amata sorellina.

Quanto era bella, così porca. Luca passò a vedere la scena di un film in cui la Sweeney faceva uno spogliarello per un bell’attore biondo e muscoloso che la fotografava, pronta a impalarsi sul suo membro.

Cosa aveva più di lui?

Mise il video in pausa. Aumentò il ritmo, sentiva sotto le coperte l’odore del suo cazzo duro e già in procinto di sborrare, ancora sporco dei residui dell’ultima sega.

Lia, finalmente ti vedo nuda, sei mia. Hai visto quanto sono bello, virile, deciso? Ti amo sorellina, spogliati per me.

Era così eccitato, pronto a darle tutto l’amore che sentiva dentro, da non accorgersi che sua madre era entrata in stanza, ringhiando.

Sentì improvvisamente la coperta del letto alzarsi e la luce del lampadario accecarlo; un ceffone lo colpì sul volto con una forza incredibile, facendogli sbattere la testa sullo spigolo della testiera.

“Piccolo pervertito, ti avevo avvertito e hai continuato. Porco schifoso. Adesso me la paghi, ti faccio vedere io”. E afferrò il telefonino di Luca gettandolo per terra.

“C-c-cosa?”

“Zitto, maniaco!” urlò Teodora e tirò fuori una cintura in pelle con delle borchie di metallo, minacciose ed affilate.

“No, mamma!”

“Schifoso!!” e lo colpì con la cintura, forte.

“Così.” Frustata

“Ti.” Altra frustata.

“Impari”. Frustata.

“Noooo!!!” urlò Luca e una frustata gli lacerò le labbra e lo zittì.

Le borchie, quelle maledette borchie incidevano la sua pelle come lame nel burro.

Un colpo, ben assestato, finì sul suo membro eretto e gli graffiò il glande, facendolo sanguinare anche lì sotto.

Si rannicchiò sul materasso per proteggere l’inguine dolorante mentre teneva gli occhi chiusi e, inspiegabilmente, il suo membro non ne voleva sapere di ammosciarsi, nonostante i colpi di Teodora fossero brutali, ferocissimi.

Non riconosceva sua madre, sembrava volesse scorticarlo vivo.

Debolmente, cercò di dire: “Non..”

Frustata.

“Hai fatto, hai fatto. Lo so che hai fatto”, strepitò sua madre.

Frustata.

Lo stava massacrando.

Luca provò a rannicchiarsi in una posizione fetale ma non avrebbe mai immaginato il dolore tremendo che provò quando la cintura gli ferì le natiche.

L’aria sibilava ad ogni colpo e sua madre non accennava a smettere di colpirlo ovunque sulla carne nuda e a strepitare: “lo faccio per te! Ti punisco per il tuo bene!”

Perse il conto delle scudisciate. Doveva essere la decima volta che lo colpiva e Luca passò le mani sulle natiche e sentì il dolore propagarsi ovunque come strisce di fuoco mentre lei continuava a frustarlo, implacabile, feroce, sommando pena e dolore in quella striscia di pelle e borchie.

Dopo altre dieci frustate la sentì rallentare il ritmo dei colpi e sperò che si stesse stancando. Le ferite gli bruciavano ovunque mentre il sangue macchiava le lenzuola e il cuscino.

Ci fu un attimo di silenzio e calma. Aveva smesso?

Aprì timidamente gli occhi e vide sua madre che lo fissava, gli occhi iniettati di sangue come quelli di un lupo che guarda un cervo ferito.

Teodora teneva in mano un barattolo che Luca aveva già vista in cucina e parlava a scatti. “Lo faccio per te, figlio mio. Devo purificarti dal male. Il dolore ti aiuterà a ricordare la lezione”.

Ecco cos’era. Il barattolo del sale fino.

“Che..”

Sua madre aprì il barattolo e ne versò il contenuto sul suo corpo nudo, pieno zeppo di tagli e abrasioni.

“Nooo! Ti prego! Aaaaaaah”.

Luca urlò, le ferite bruciavano tutte insieme come se si fossero accordate per sommare in una sola sinfonia di dolore tutta la sofferenza di quei tagli.

Si contorceva digrignando i denti, ricoperto di sale bollente su tutto il corpo mentre sua madre riprendeva a frustarlo con quella dannata cintura.

Un paio di colpi, ben piazzati, sulla sua schiena.

Il bruciore era insopportabile.

Lo stava torturando.

Poi sua madre smise di nuovo.

Voleva ucciderlo? Aveva un coltello?

Sentì un urlo femminile. Lia.

Aprì un solo occhio, appannato dalle lacrime, l’altro gli bruciava a causa del sale.

Vide sua sorella mentre bloccava sua madre e le urlava di lasciarlo stare.

“Basta! Mamma! Che cazzo stai facendo? Sei pazza? Smettila subito!!!” Ruggì Lia. Doveva essere tornata da poco. Dov’era stata tutta la notte?

Non era così che sognava di mostrarsi nudo a sua sorella. La parodia macabra di un momento tanto sognato. Prima che uno svenimento mettesse fine alla sua vergogna per essere stato salvato da Lei, Luca realizzò che quella era la differenza tra lui e l’attore che si scopava Sydney.

Nella vita c’erano comparse e protagonisti: ai figuranti inutili come lui spettava solo l’amaro sapore di lacrime salmastre e un dolore bruciante.

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