Giornata assolata, estiva, cielo terso, senza neanche una nuvola.
Il genere di giornata prototipo per antonomasia delle estati spenserate, quelle vere. Dei totali, assoluti, paradisiaci giorni passati a poltrire e divertirsi senza dover pensare al futuro. E anche ora, dopo tanti anni da quando a dieci vidi un eclisse in pieno giorno e lo interpretai come un segno quasi magico della bellezza del mondo, l’estate mi risveglia qualcosa.
Sarò io che sono un inguaribile idiota, o magari solo il rifiuto d’invecchiare a farmi pronunciare (anche ad alta voce) una frase che esprime l’epitome ultima dell’estate.
-Il caldo, il sole, i gelati, le vacanze…-, pausa studiata mentre sorrido come un demente all’ultimo stadio scendendo lungo il sentiero boschivo e infine, sorrisone a 360 gradi solo per concludere con -Le ragazze che si spogliano completamente!-.
Di fatto, è una frase idiota, oltre a farmi apparire un eterno bambinone troppo cresciuto mi ha pure visto tacciato di maleducazione e di diverse altre cose. Ma paradossalmente, a darmi contro sono stati più degli uomini che delle donne.
Chissà, forse un po’ a loro piace questa frase? Forse gli piace che qualcuno sia così avventato e stupidamente indelicato da dire chiaro cosa ama di questa stagione? O forse mi prendono per il culo mentre non ci sono.
Poco importa: la frase è stata, sin dai miei diciotto anni circa, una sorta di inno alla bellezza di questa stagione e lo rimarrà finanto che mi sentirò così. Poi chiaro: non me la tatuerò certamente in fronte, ma se devo dirla tutta, ho sensazione che mi accompagnerà ancora per un bel po’.
Cammino lungo il sentiero. Il fiume scorre, poco sotto rispetto a me.
È un paesaggio quieto, sereno, assolutamente piacevole. Di tanto in tanto il verso cristallino di qualche volatile spezza la routine ininterrotta dello scrosciare dell’acqua. Non ci sono quasi insetti e non c’é né troppa ombra né un sole eccessivo. Semplicemente stupendo.
Ultimamente passeggiare per i boschi mi è vitale, quasi fosse l’unico modo che ho per riconnettermi alla natura e a me stesso. Mentre procedo scendendo verso il greto del fiume, mi accorgo di aver bisogno di una pausa simile.
Il lavoro mi martella. E anche nel tempo libero non sono propriamente sereno. Solo camminando tra i boschi senza una reale meta posso dire di stare ritrovando un po’ del mio spazio sacro, di star finalmente sfuggendo alla morsa di pressioni che mi stritola. Qui, posso respirare davvero. Mi fermo poco prima che la vegetazione si diradi per lasciare spazio alla pietrosa riva del torrente. Penso che ho portato l’asciugamano, che ho il costume e che in fin dei conti, un bagno nel fiume non mi dispiace per niente.
Valuto il posto: tante rocce piccole, poche grandi. Non proprio comodissimo. Ma, fortunatamente, conosco altri posti.
Riprendo il sentiero, salendo all’inverso del senso della corrente. Il terreno prende pendenza. È ripido? No, solo più faticoso, ma va bene: è un piccolo prezzo da pagare, anzi, neanche un prezzo. Di fatto, in una giornata così, l’idea di camminare un po’ non mi da fastidio.
Sicché continuo il mio cammino verso una curva dove il sentiero svolta a sinistra. io invece esco: vado verso destra.
Se avessi sempre seguito la strada, non mi sarei trovato qui. Eppure eccomi. Sorrido.
È un po’ una metafora della vita: puoi seguire il sentiero battuto e non deviare mai da esso, rifugiandoti nel solco già scavato da molti altri, oppure… Oppure puoi scavare il tuo, di solco, uscendo dal seminato.
Io non ero mai stato a favore delle regole, specie quando non sono motivate se non da un generico “È così.”.
Abbandono il sentiero, scendendo cautamente lungo una discesa con una pendenza appena più accentuata, ogni passo calibrato con attenzione, consapevole che cadere sarebbe certamente doloroso.
Appoggio il piede, piano, saggio il terreno, mi muovo, poi ripeto. Infine ci arrivo. Alla bolla.
La bolla è un nome decisamente banale, ma chiamarla “Riposo di Rebis” suonerebbe eccessivamente pomposo e allo stesso tempo darle qualche nome tipo “Paradiso Nascosto” la farebbe apparire più di quello che è. E quindi, la bolla.
Senza punti né maiuscole. Perché magnificare ciò che già è stupendo?
La bolla altro non è che un bacino dove l’acqua del fiume si raccoglie per poi continuare la sua discesa a valle. Le rocce attorno sono grandi, lisciate dall’acqua, appiattite e tutt’altro che spiacevoli a usarle per distendervisi.
Insomma… Paradiso Nascosto non sarebbe un nome sbagliato: nessuno viene qui. Tutti seguono il sentiero. I più si contentano delle poche, note postazioni che a quest’ora saranno tipo sovraffollate e invivibili.
Nessuno viene qui, di solito. Ma oggi qualcuno c’é. Me ne accorgo mentre supero la vegetazione. Inquadro immediatamente il telo mare giallo con sopra una figura femminile dalla pelle scura, il viso piacevole, capelli sciolti, crespi e neri come l’inchiostro.
Improvvisamente mi accorgo che la cosa mi procura un mix di sensazioni. Da un lato, il mio posto peferito è stato violato…
Ma dall’altro… è stata una bellissima donna a violarlo.
D’altronde non c’é proprio alcun motivo di litigare: la bolla è grande. E tanto. C’é spazio per due persone.
Poco ma sicuro, una così poi non gradirà attenzioni. Mi piazzo. Noto appena che solleva il capo, gli occhiali da sole inforcati sul viso scuro che rendono impossibile leggere la sua espressione. Appena uno sguardo, poi torna interamente orizzontale, a crogiolarsi al sole.
È una bella donna, perché negarlo? Gli potrei dare circa un trentacinque, quarant’anni al massimo. Forse anche quarantacinque, ben portati. Il fisico non è totalmente asciutto e l’età ha lasciato qualche segno ma si vede che combatte con le unghie e coi denti per continuare a essere in forma. E, dettaglio a cui inizialmente non avevo badato, sta prendendo il sole in topless. Certo, ora è sulla schiena, ma appena si girerà…
Solo al pensiero avverto un guizzo al bassoventre, mentre il mio sesso mi ricorda che sono settimane, anzi mesi, che la mia mano destra è la sola consolazione.
“Al diavolo… che problema c’é? Al massimo mi manda a quel paese!”, penso con stizza e incoscienza. Intanto ho piazzato il telo mare a mia volta e mi ci sono sdraiaito. Estraggo la crema. Comincio a spalmarmela. Petto, spalle, cosce.
Non sono un Adone, anche se faccio parecchio movimento e vedo di non mangiare schifezze.
Ma con questa, ho già capito, che le possibilità stanno basse.
-Mi scuso per il disturbo.-, dico avvicinandomi di alcuni passi.
-Je né parle pas italian, desolé.-, risponde lei guardandomi ancora con un movimento che mi pare minimo, quasi stizzito. Le belle labbra mi ispirano pensieri tutt’altro che puri mentre pronunciano quelle parole.
Merda. Anzi, merdé! Il mio francese è pressoché inesistente.
Fine dell’approccio. Borbotto un “Je m’excuse” e ritorno al telo. Merda: questa bellezza che pare partorita dai miei sogni proibiti è a pochi metri da me ma la barriera linguistica è un abisso chilometrico. Potrei tentare con l’inglese, ma mi rendo conto che apparirei pedante. Mi distendo. Non voglio rovinarle questo posto. Già è un mezzo miracolo che una turista straniera ci sia arrivata, figurarsi se poi la suddetta fosse pure disposta a trombare con me.
La verità è che anche così mi potrebbe andar bene, in fin dei conti è discreta e non sta facendo casino (immaginatevi vossignori lo scazzo se si fosse trattato di una famiglia con bambini…).
Potrebbe, perché giustamente il mio membro non sembra curarsi dell’apparentemente insormontabile abisso linguisitico o delle probabilità scandalosamente basse e procede in una serie di esercitazioni che fanno pensare ai missili della Corea del Nord. Prego che la nera non se ne accorga. Di fatto, dopo qualche minuto guardo verso di lei, più per sincerarmi che non mi stia vedendo con l’alzabandiera.
“Cazzo!”.
Si è girata a pancia in su. I seni sono nudi, esposti. E lei pare addormentata, o comunque incurante dello spettacolo che offre. Mi soffermo a osservare quei due piacevolissimi promontori. Non sono giganteschi, ma neppure microscopici.
Insomma, sono dei seni che offrono una sana dose di svago. E continuare a guardarli mi sta facendo sembrare un fottuto pervertito. Mi impongo di smetterla. Torno a sdraiarmi. Il sole mi avvolge. Lentamente, arriva una breve sonnolenza.
Passano minuti, forse più di dieci, forse venti. Forse due. E poi mi giro. E nel girarmi, guardo.
È ancora lì, ma per un istante, brevissimo, stava guardando verso di me. Merda! Mi avrà notato? Non sembra, eppure…
Si è rimessa a pancia in giù. Fine dello spettacolo? No: non si é rimessa la parte superiore del costume, quindi non prevede di andarsene, per ora.
Mi chiedo se abbia con sé della crema solare. Certo, é nera, quindi più resistente al sole, ma questo sole picchia e anche tanto. Non è come in Africa, dove il sole picchia sì ma in modo meno secco e soprattutto non hai l’afa. Noto che ha con sé uno zainetto ma non sembra avere la crema. Di contro si é portata da bere.
Forse l’offerta di un po’ di crema solare sarebbe un gesto gradito. Eppure, ho come l’impressione di disturbarla. Non sono più l’impertinente ventenne che ero e ho capito che ad alcuni dà fastidio essere oggetto di generosità, quand’anche disinteressata, e specialmente in frangenti come questo.
È anche vero, che se non chiedo non lo saprò. Mi alzo.
-Est-ce-que vous avez besoin de la créme?-, chiedo ricorrendo alla forma più cortese che riesco a rievocare dai ricordi delle medie. “Maledetta professoressa di francese, razza di arpia femminista! È colpa tua se non posso corteggiarla!”, penso.
La donna alza lo sguardo. Gli occhiali le si abbassano, mostrando due occhi grandi ed espressivi. Color nocciola.
Merda, mi sta guardando.
Mi chiede qualcosa. Una frase che probabilmente è sulla crema. Non so come diavolo rispondere: non ho questa competenza. Le allungo il tubetto. Lei lo prende con le dita che terminano con unghie sobrie e senza troppe bizzarrie. Lo studia poi annuisce.
-Merci.-, dice. Io annuisco. Come cazzo si diceva “Prego”? Sto seriamente pensando di mollare il colpo: che senso ha insistere a cercare di far conversazione se per mettere in piedi una frase devo farmi venire un’emicrania e per decifrare quel che dice mi serve un fottuto traduttore?!
-C’est un plasir…-, riesco a proferire. Merda, forse qualche ripasso di francese mi aiuterebbe a far girare la ruota nel verso giusto, o meglio, mi avrebbe aiutato.
Lei intanto ha preso la crema e mi ingiunge una frase tipo “Tournez toi, s’il vous plais…”, girarmi. Ovvio. Non vuole che le veda le tette. Io annuisco. Mi giro. La sento alzarsi. Sento che schiaccia il tubetto della crema e immagino che comincerà a spalmarsela addosso. La sola immagine mi provoca una nuova ridda di eccitazione.
Se la spalmerà sulle cosce, sul seno, sul ventre e… Improvvisamente fui folgorato da un’idea illuminante!
La schiena! Ma lì non ci arriverà bene! Almeno, non da sola! Sorrido tra me. “Coraggio, come si diceva schiena in francese…?!”, penso mentre la sento canticchiare qualcosa tra sé e sé.
Dors! Dos?! Dors?! Dio, perché non me lo ricordo?!?!
-Est-ce-que vous avez bisoin d’aide avec le dorse?-, mi esce infine. Silenzio. Gelo. Merda. Me la sono bruciata.
-Si vous voulez, s’il vous plais…-, fa lei invece. HA APPENA ACCETTATO!!!!
Prendo la crema quando me la porge. Le scivolo a fianco. Ha scansato i capelli dalla schiena, per evitare di incremare pure quelli. Merda, ha un corpo da urlo.
La schiena è bella dritta e le natiche, lo noto solo ora, sono un filo grosse, ma è giusto. Sono meno che parzialmente celate dal costume. Sento il cazzo dritto, e bagnato.
Mi verso la crema in mano, sfregandomi i palmi e poi, comincio.
Il primo tocco con la sua pelle è qualcosa di etereo, di estatico. Per un istante ho davvero paura di venire come un cazzo di adolescente alla prima esperienza. Respiro e mi muovo, piano. Dilemma: le spalmo semplicemente la crema, o….?
O la massaggio proprio? L’idea mi è balenata così, all’improvviso. Decido.
Prendo a fare ampi movimenti lungo le spalle. Non sono brutte: si vede che si allena. Stringo e rilascio i gruppi muscolari.
Mi aspetto subito un urlo e un ingiunzione a finirla, invece mi sento un verso di soddisfazione che mi fa capire che la pantera nera sta apprezzando.
Scendo lungo le scapole, massaggio e accarezzo. Le sfugge una “ouì…”, trasognato. Quel solo suono rischia di farmi venire.
Scendo ancora, sono appena sotto il seno. Improvvisamente mi accorgo che il mio sesso rischia di toccare il suo sedere, esteso come sono per andare a massaggiare e spalmare come devo.
Apro le mani usando i palmi per massaggiare la zona lombare. La nera emette un altro verso di soddisfazione.
Apre appena le gambe. Un centimetro. Quanto basta da farmi intravedere il costume tirato a corpire la vulva.
“L’ha fatto apposta? Vorrebbe che…?!”, mi chiedo. Non oso pensarci, ma…
Continuo a muovermi. Sono arrivato quasi in fondo. Mi schiarisco la voce.
-Tu veus, aussi… les jambes?-, chiedo. Lei emette appena un “oui”. Procedo. Prendo altra crema. Parto dalla coscia sinistra. E li accade. Un mio dito le sfiora la vulva. Per errore, per appena una frazione di secondo. Sopra il costume.
Lei emette un sibilo. Non lo interpretare, mi blocco. Ho cannato. Merda, stavolta sono fottuto per davvero.
Questa è da denuncia, sicuro. Lei improvvisamente emette una frase, stizzita.
La elaboro alla meglio. Tipo sei stanco? Già stanco? Da non credere: vuole che continui!
Le accarezzo la coscia. Sto spalmando la crema ma di fatto posso sentire il calore della sua pelle, l’odore della sua pelle, persino l’odore della sua vulva per certi versi. Merda…
Mi sta eccitando troppo. Dovrà farmi una sega se va avanti così, oppure finirò col incremarla con qualche altra cosa…
Passo all’altra gamba dopo aver finito la sinistra. Ha delle belle gambe. Muscolose ma senza esagerare.
Finisco. Lei annuisce appena. Mi alzo, piano. Improvvisamente muove il piede. Quasi casualmente, le dita del suo piede mi sfiorano il pene. Impossibile che non si sia accorta.
-Qui tu as ici?-, chiede con tono decisamente curioso.
-Rien, c’est… seulment…-, merda!!!! Due sono le possibilità. La prima è che mo’ si alza e mi denuncia. E la seconda…
La seconda è che le piace ciò che sente. Le dita mi sfiorano di nuovo, più a lungo.
-Seulment ta bite, c’est pas?-, il mio cosa? Il mio cazzo? È questo che intende?
-Je…-, inizio. Lei si alza. Di scatto. Mi fissa. Incurante del seno che espone. E del mio sguardo tutt’altro che indifferenta all’improvvisa esposizione di tale ben di dio.
-Tu as la bite dûr.-, dice.
-C’est vrai. Tu… est tres belle…-, confermo io. Ecco. Ci siamo. Queste sono le Colonne d’Ercole. Ora che le carte sono in tavola…
-Tu as quelque un, n’est pas?-, chiedo brutalmente. Impossibile che una così bella non sia sposata.
-Pas aujour’dui, pas ici.-, risponde lei. Il cuore mi rimbalza in bocca. Ma stai a vedere che…?
-Tu… je…-, cerco di non dire brutalmente la frase che vorrei ringhiarle in faccia perché non sarebbe assolutamente parte dell’amor cortese, per quanto possa essere adatta alla situazione. Forse dirle in faccia che voglio scoparla non è una buona idea… Anche se magari accetterebbe…
-Merci pour la creme.-, dice lei ridandomela. Si ridistende sul telo. A pancia in su.
Beh, non è mica andata male. Certo, non ha nessuno, e si é accorta che ce l’ho duro, ma non riesco a leggere i suoi pensieri. Magari un mio ulteriore approccio potrebbe non piacerle.
Fa un caldo immane. Mi avvicino all’acqua. Entro. Freddo. Boia. Le terminazioni nervose urlano. Il mio pene tiene coraggiosamente botta contro il freddo dell’acqua. L’erezione non stenta a calare. Pondero l’idea di una sega. In fondo sono relativamente lontano e c’é una nicchia che può fare da poltrona…
Mi allontanai appena dalla zona.
Forse dovrei solo andare lì e segarmi fino a venire. O magari dovrei uscire dall’acqua, tornare dalla nera e metterglielo davanti nudo e crudo. O forse… Forse dovrei solo approcciarmici per gradi.
In fin dei conti però, sono già stato fortunato. Vale la pena rischiare di forzare la buona sorte?
Anche sì, in effetti. Come diceva quel saggio, ogni lasciata è persa.
Vero. E questa lasciata lo sarà indubbiamente.
Certo, potrei anche fregarmene e andare a propormi. Educatamente. Al meglio delle mie possibilità.
Mi alzo dopo un buon cinque, dieci minuti in ammollo misto a uscita e rientro. Non sentivo più freddo, e il corpo si era abituato. Uscire mi da un senso di refrigerio non indifferente.
Sto meglio. E noto subito che l’asciugamano della nera è vuoto. Mi guardo attorno. Dov’é?
Un pensiero mi funesta la mente. Mi getto verso il mio posto. Cos’ho di valore con me. Nulla, solo il cellulare.
Ma è anche possibile che sia proprio quello ad essere sparito. Arrivo al posto. Mi chino introducendo la mano nello zaino.
Ecco l’Iphone. La mente si placa dal suo turbamento… ma la nera dove…?
Improvvisamente una mano mi si appoggia sulla coscia, ghermendo il mio sesso. Sento il suo odore quasi prima della voce.
L’erezione ritorna, due volte più turgida e tosta.
-Ne t’inquiète pas, je ne suis pas un voleur, je n’ai rien pris… dans ton sac, du moins.-, fa la voce della pantera.
-Comme tu t’appelle?-, chiesi.
-Pas important. Je veux ta bite. Mais pas de prenome. Je ne te connais pas, demain je vais partir.-, disse lei.
Chiaro. Una scopata anonima. Libera da legami. Mi rialzo. Lei mi abbassa il costume. Il membro svetta per volontà propria.
La vedo che si morde il labbro. Niente più occhiali da sole. E gli occhi sono fuoco puro.
-Bien dûr….-, dice mentre me lo prende in mano. Si china. Niente baci. Lo accoglie nella sua bocca. È uno strazio meraviglioso, rischio di venire. Lei si toglie, mi fa respirare, poi riprende. Lo affonda fino alla gola.
-Merde… tu…-, inizio io. Lei sorride. Si alza. Si toglie il sotto del costume, mostrando una vulva stupenda, e un pube glabro.
-Touché moi chatte…-, sibila lei. Non ho bisogno di incoraggiamenti: le bacio i seni e una mia mano scende verso la figa nera. È aperta, e sta colando nettare. C’introduco un dito, piano. La sento gemere. La sto masturbando piano. Le rocce sotto di lei si bagnano dei suoi umori. E lei mi sega. Non resisterò a lungo e mi pare che lei lo capisca. Sta ansimando.
Mi spinge a terra, sul telo. S’inerpica su di me e bloccandomi a terra con le mani sul petto prende a cavalcarmi impalandosi a fondo. Detta sapientemente il ritmo.
Emette versi che sembrano animaleschi, pare una pantera intenta a divorare la preda e a me va bene. Sto facendo versi anche io. Le nostre bocche si trovano, si perdono, si ritrovano. Le stringo i seni. Sto per godere e lo so. Lo sente anche lei, la sua vulva mi stringe il cazzo come fosse una mano. Improvvisamente si alza su di me, sfilandosi e si tocca appena.
-Aaah!-, esclama con un ruggito di liberatorio godimento. M’inzuppa dei suoi succhi più intimi, battezza il mio sesso col suo piacere. Ha goduto come nessuna femmina che ho mai avuto è mai stata in grado di fare.
Si toglie e mi succhia, di nuovo. Le premo la testa sul membro, tirandole i capelli per dettare il ritmo, con cattiveria. Voglio sentirla implorare. Non lo fa.
Mi fissa con libidine e sfida. Mi schiaffa la figa rorirda in faccia cavalcandomi il capo. Lecco. Ha un sapore forte, ma buonissimo. Sento l’inizio dell’orgasmo che monta. Lei si toglie. Si tocca, da sola, di nuovo. Poi quando vengo le esplodo in bocca, e poi di nuovo sul viso. Emette un ennesimo ringhio di godimento mentre il mio seme la lorda, quasi fosse quello il banchetto che la pantera voleva. Nel post-orgasmo, tra le nebbie del pensiero, sommerso dalla quiete, appena riesco parlo.
-Le chaud, glaces…-, penso ripensando a quella frase che alla fine sintetizza l’estate.
-…Baiser avec un inconnu dans les bois…-, fa lei. Sorrido, poi ridiamo, entrambi.
-C’est etas encroiable.-, dico riuscendo a ricordare più o meno come dire. Lei annuisce, concorde. Si protende e mi bacia. Il suo bacio sa di me. Sorridiamo. Poi lentamente, mi appisolo.
Quando mi sveglio, noto che ormai se n’é andata. Controllai l’ora. Le cinque e qualcosa.
Solo le pietre bagnate del suo piacere e il mio costume abbandonato poco in là mi danno modo di capire che non era stato un sogno.
Da allora, sono tornato alla bolla più volte, ma, come già sapevo, della pantera nera non ho più ritrovato traccia.
(Racconto di fantasia).



Ottimo racconto: si sente l’estate che gli hai infuso; ho apprezzato la dinamica dell’avvicinamento e dell’allontanamento dalla ragazza, con quel momento di insicurezza, qualcosa di più realistico dei soliti personaggi che sembrano Fonzie a cui tutte cadono ai loro piedi con uno sguardo.
Ma la bolla esiste davvero o è solo un luogo immaginario? Sembra davvero piacevole, come luogo.
Rebis, spero vorrai condividere altri racconti, sia come questo che come Pax. Tarocs (spero di averlo scritto correttamente).
PS: dalla descrizione, ho idea che abbiamo avuto la stessa professoressa di francese. Ma, a differenza tua, io non ricordo nulla se non contare fino a cinque (e il numero 90).
Grazie mille! L’estate si sente e ho voluto cercare di magnificarla e renderla al meglio, senza ricadere nel cliché classico del mare e da qui l’idea di un racconto forse un po’ atipico.
Sono felice che l’intero scambio sia stato apprezzato, onestamente io, anche irl, non sono chissà quale sciupafemmine e per una volta ho voluto concedermi di interpretare proprio questo, uno insicuro, incerto, che osa pur conscio delle probabilità contrarie e quasi certo del fallimento.
La bolla esiste, specificatamente è in zona Breggia, in Ticino, Svizzera, ma come arrivarci è piuttosto articolato. Diciamo che me la fece scoprire un caro amico e da allora sto bene attento a quando andarci ed eventualmente con chi.
È un posto molto, molto bello, di fatto l’averla inserita in questo racconto è stato molto interessante anche per via dell’effettivo valore che essa ha per me (non mentivo quando ne parlavo come di un posto privato, quasi un rifugio).
Naturalmente pubblicherò altro, oltre a alla serie di Pax (che volge al termine perché di fatto è una preparazione all’arco successivo) e a questo racconto, e spero siano testi altrettanto apprezzati!
Riguardo alla prof di francese, la mia era un’arpia che pareva avermi preso di mira. Era pure bella, ma aveva uno sguardo quasi crudele, come quello di una predatrice, e anche i modi erano quelli di chi esigeva. Diciamo che passai due anni con lei e alla fine decisi che andare a studiare latino per i successivi due era molto più congeniale a me e molto più positivo per ambedue.
Inizio a credere che arpia è gnocca siano due prerequisiti per essere insegnante di francese.
Sto finendo anch’io un racconto estivo, pure il mio atipico, e non nel senso buono come il tuo. Spero di riuscire a pubblicarlo in contemporanea con gli ultimi capitoli de “La supplente”. Premetto subito che è molto cupo.