Marciavamo lungo la strada. Fummo superati da un trio di figure in tuniche scure che cantilenavano qualcosa, i visi persi nell’estasi di qualche droga. Non parvero neppure vederci.
-Ci siamo quasi…-, dissi. Era parzialmente vero. Lei non rispose. Stringeva la pistola tanto da farmi temere che avrebbe fatto partire un colpo per sbaglio.
Davanti a me, vedevo la città. Qualcuno urlò, da qualche parte.
Certo, era la Notte dello Sfogo, no? Tutto era permesso!
Lode ai Nuovi Padri Fondatori e all’America rinata dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice…
Come no! Quella notte era semplicemente una distrazione, alla meglio. Permetteva a tutti, proprio a tutti, di non pensare a quanto il nostro paese fosse profondamente fottuto.
Io l’avevo visto. Sin troppo bene.
-Jhon…-, vidi. Prima ancora che lei parlasse. Movimento. In città. Ai margini. Bande di scalmanati. Con mazze e coltelli, machete e mazzotti. Mica tutti avevano le pistole.
Alzai la mitraglietta.
-Preparati.-, dissi. In quel momento non ero più Jhon, ero tornato quel che ero prima, durante il mio periodo nell’esecito e oltremare. Merda, forse alla fine ero solo quello?
No. Volevo credere di no.
-Non voglio ucciderli…-, mormorò lei. Mi voltai. La presi per le spalle.
-È o noi o loro. Per loro siamo prede. Questa notte loro non hanno nulla da perdere, e tutto da guadagnare. Non possiamo esitare, ok?-, lei mi fissò con stupore. E con paura.
-L’hai già fatto, vero?-, chiese.
-Sì.-, mi limitai a dire, -Ma non mi piace. Non mi è mai piaciuto.-.
Lei parve fissare il trio di figuri coi coltelli e le mazze che infierivano su un poveraccio che non era riuscito a raggiungere un rifugio per tempo.
-A loro sembra piacere… Dio, perdonaci!-, esclamò. Piangeva.
-Non noi. Loro. E Dio… Dio ha voltato le spalle.-, sussurrai, -Ma io no.-.
-Jhon…-, iniziò lei.
-Andiamo. Li oltrepassiamo. Se si avvicinanano mira al petto. Se non si fermano spara. Niente domande, niente parole.-, ordinai. Lei annuì. Mi seguì verso la follia e il ventre della notte più nera d’Armerica.
Naturalmente, uno dei tre ci guardò. Urlò qualcosa. Alzai il mitra. Sparai. Un solo colpo.
La caviglia destra del tizio che ci aveva visti esplose. L’uomo crollò di schiena, portandosi le mani alla gamba lesa.
-Ne ho abbastanza per tutti. Andatevene. Ora!-, ordinai, feroce. Accanto a me, la mia compagna puntava l’arma, l’espressione tetra, determinata anche se tremendamente tesa.
“Brava.”, pensai. Il trio raccattò il ferito e ci ricoprì di insulti, ma senza armi da fuoco e da una distanza di quindici metri, fecero la sola cosa sensata: fuggire.
Si lasciarono dietro il corpo del poveraccio che avevano pestato a morte.
La mia compagna lo vide. Si piegò sulle ginocchia e vomitò tutto quel che poté.
-Dio…-, mormorò scossa da tremiti. La strinsi a me, un conforto breve.
-Ora capisci perché ha voltato le spalle.-, dissi. Le presi la mano.
-Dobbiamo continuare a muoverci.-, esortai.
-Dove?-, chiese lei. Non ne avevo idea. Ma non potevo dirlo.
Com’era possibile? Come potevo essere stato così cieco e compiacente?
E soprattutto, come avevo potuto ignorare i segnali?
Semplice: avevo creduto, mi ero fidato. E alla fine, avevo pagato lo scotto del mio errore.
Ero stato stupidamente fiducioso, d’altronde chi non lo sarebbe stato?
Avevo avuto tutto, semplicemente tutto dalla vita. Ed avevo dimenticato quel che mi disse a suo tempo il vecchio Gregory, quando ancora eravamo in Iraq…
“L’universo pareggia sempre i conti”, aveva detto quel mio commilitone del Midwest.
Poi era morto. Non subito dopo, ma appena due giorni dopo. Un cecchino l’aveva centrato in pieno. Un colpo all’occhio sinistro, chirurgico.
Perché lui e non io?, mi ero chiesto all’epoca. Ora la risposta mi appariva stranamente chiara.
Perché io ero un bastardo impenitente, Gregory no. Ai miei occhi, quell’uomo era stato un santo. Per quanto sembrasse assurdo, credo che lui avesse finito.
Credo avesse espiato quel che doveva, o forse era semplicemente giunto a patti con il destino, fatto pace con Dio o chi per lui…
il succo era, io ero vivo. Lui no. Forse perché io non mi ero ancora sputtanato il Karma.
O forse perché un proiettile in testa era insufficiente per me…
Lo rifacemmo. Più volte, sempre stando attenti a trovarci fuori zona.
A volte era deciso, altre improvvisato, in ogni caso lungo le tre settimane successive ci trovammo circa cinque volte. E ogni incontro finiva con il sesso, bruciante, passionale, come un istinto primordiale che rivendicava la sua sovranità sull’ipocrita buonsenso.
Lo facemmo in un bosco, presi Louise da dietro mentre lei era appoggiata a una quercia, fuori dal sentiero battuto. Copulammo in una sauna a Danto, una piccola cittadina poco lontana.
Finimmo col masturbarci a vicenda in un cinema e scopammo nei bagni di un fast food.
Rientrando a casa non dicevo nulla. D’altro canto, mia moglie sapeva che ero al lavoro e quando così non era coprivo la mia infedeltà con impegni che avevo preso con alcuni amici, incastrando le scappatelle con Louise prima o dopo quegli impegni.
Una di quelle sere tornai che era già a letto. Mi sdraiai accanto a lei. Per la prima volta in anni, sentii qualcosa. Un senso di mancanza di qualcosa che m’impedì di reagire alle sue carezze mentre si facevano più insistenti.
-Andiamo Jhon…-, mormorò lei afferrandomi il sesso. Aveva voglia, ma io non ne avevo.
-Tesoro, vorrei ma… sono davvero distrutto.-, ecco fatto. Una scusa semplice, senza fronzoli, credibile. Vicky non aveva risposto. Poi aveva iniziato a toccarsi. Piano. Gemendo con la manifesta intenzione di guadagnare la mia attenzione. Le rivolsi un’espressione dispiaciuta.
Vicky forse arrivò all’orgasmo, ma la sua espressione mi fece capire che non l’aveva presa bene. Mi sentii in colpa: la stavo facendo soffrire per mero egoismo.
Nei giorni seguenti tentati di riavvicinarmi a lei. Riuscimmo a fare sesso, ma a ogni suo bacio vedevo Louise, a ogni affondo dentro di lei immaginavo la nera bellezza gemere sotto i miei colpi, a ogni leccata della sua vulva, notavo come il suo sapore fosse diverso da quello della mia amante. Non potevo negare la verità a me stesso. Era finita.
Poi accadde qualcosa. Vicky parlò di un’amica che la invitava fuori, a trascorrere tre giorni a New York. Mi limitai ad annuire, in fin dei conti almeno non avrei dovuto preoccuparmi.
Vicky partì e io e Louise c’incontrammo nuovamente. Per i successivi tre giorni non fummo amanti, fummo una coppia.
Ovviamente passammo gran parte di quei tre giorni a fare sesso a casa sua, concedendoci roba da asporto come pasto e qualche volta un po’ di vino tra un rapporto e l’altro.
-Ti amo.-, sussurrai dopo l’ennesimo coito con lei che ci vide distesi tra le coltri.
-Ti amo anche io….-, sussurrò lei, -Ma tua moglie tornerà, vero?-, chiese.
Già. Ed era quello il problema. La fissai, deciso.
-Le parlerò. Le dirò la verità. La lascerò.-, dissi. Louise sorrise. Mi abbracciò fortissimo.
Ricominciammo ad amarci appena poté tornarmi duro. Ci spostammo nella doccia. La nera pareva una liana, mentre scivolava lungo il mio corpo per suggere il mio sesso.
Non durò molto: la sollevai e la impalai sul mio sesso con lei che mi stringeva come una naufraga aggrappata a un relitto in un mare in tempesta.
Le venni dentro mentre lei urlava il suo piacere.
Fu solo dopo che misi assieme i pezzi. Fu solo quando notai che il nostro conto bancario era diminuito in modo non indifferente che feci alcune domande a Vicky, la quale mi confidò che a NY si era concessa alcuni lussi, siccome l’amica (chiamata Gwen, nome che non ricordavo di averle mai sentito fare) aveva insistito per la SPA, cene in ristoranti di un certo livello, ecc…
Sul momento, non feci altre domande, ma la cosa mi parve davvero molto strana.
Io e Louise ci rivedemmo altre due volte, da lei.
Intanto la Notte dello Sfogo si avvicinava e, come ogni notte dall’inizio della tradizione inaugurata dai Nuovi Padri Fondatori, io e Vicky non avremmo partecipato.
Ma fu lì che accadde il fattaccio: Louise ci contattò, agitata e supplicante. Chiese se fosse stato possibile per lei venire a stare da noi durante la Notte dello Sfogo, siccome l’impianto anti intrusione di casa sua aveva presentato problemi all’ultimo. Sorprendentemente, Vicky accettò.
Non mi pareva avere riserve, dunque comunicai a Louise che l’avremmo ospitata al sicuro durante tutta la durata dell’infausta notte.
Pensai persino che la sua presenza in fin dei conti avrebbe permesso di chiarire tra noi…
Quando Louise entrò, Vicky la accolse con un sorriso che, sebbene non mi parve proprio l’epitome della felicità, almeno fu cortese.
-Grazie! Grazie mille! Dio, proprio oggi doveva guastarsi!-, esclamò Louise.
-Che persona sarei se non ti accogliessi in casa mia in una simile circostanza…-, disse mia moglie. Mi fissava e poi spostava lo sguardo sulla nera, la qualche pareva totalmente fiduciosa. Ancora, da me e a lei e da lei a me. Non era un buon segno.
-Tesoro, tutto bene?-, chiesi.
-Va tutto benissimo…-, disse lei. Sapevo quando stava mentendo, e quella era menzogna.
-Louise, dacci giusto un minuto, ok?-, chiesi.
Appena fummo soli, fissai Vicky.
-Lo so, lo so che avevamo detto di non rivederla…-, iniziai. Era difficile comunque.
-Non è importante, Jhon.-, disse lei. Mi baciò, -Lo sai che ti amo, vero?-.
-Victoria… Lo so. Ma dobbiamo parlare. Credo che avremmo dovuto farlo già molto tempo fa. Sai che le cose sono cambiate.-, replicai, fermo, saldo.
-È lei, vero?-, chiese Vicky. Io annuii. Il silenzio parve una cappa di fottuto piombo.
L’orologio batté le 19.00 in quel momento. E le serrande calarono. La porta si chiuse ermeticamente. Il comunicato preregistrato annunciò la sospensione di ogni servizio di pubblica utilità La Notte dello Sfogo era incominciata.
-Senti, Vikcy… Noi, io…-, mi fermai, -Siamo umani.-, mormorai.
-Siete stati… insieme, vero?-, chiese Vicky. Non risposi, ma il mio silenzio parlava per me.
-Quante volte?-, chiese lei. Mi strinse il braccio sino ad affondarmi le unghie nella carne.
-Quante?!-, chiese a voce appena più alta.
-Alcune.-, dissi io, -Vicky, senti, finita la Notte dello Sfogo ti lascerò la casa, e i tre quarti del conto condiviso. Se vuoi di più, ti darò di più. Possiamo accordarci come vuoi, ma…-.
-Ma va bene, Jhon. Non temere. Va benissimo.-, disse Victoria con un cenno del capo, -È una bellissima ragazza, no? Una così diversa da me… Era possibile che accadesse.-.
-Vicky…-, iniziai. Lei scosse il capo.
-Va bene. Facciamo passare questa notte e ne riparliamo domani. L’arrosto è in forno.-, disse.
Suonava come una conclusione. Annuii.
Tornammo in soggiorno. Louise era seduta sul divano, l’abito che aveva era abbastanza elegante, roba da serata fuori, ma l’aria della nera suggeriva tensione e un certo grado di paura. Fuori si udì qualcosa. Una raffica di mitra, no, di fucile. AK-47 forse. Dal suono era quello. La maledetta guerra era arrivata pure nel nostro paese… anche se solo per una notte.
“Fottuto Sfogo.”, pensai. Trovavo semplicemente folle che ci fossimo ridotti a rendere accettabile e non perseguibile ogni reato per dodici ore quando, per ricordare al mondo il valore della democrazia e dei diritti umani avevamo combattuto per mezzo mondo a partire dal 1917.
-Ho preparato dell’arrosto.-, disse Vicky con un sorriso, -Ci sono anche delle patate.-.
-Oh, scusate: non volevo obbligarti a cucinare per me…-, mormorò Louise, dispiaciuta.
-Nessun disturbo. È un piacere. Su, vieni.-, disse Vicky. Io mi alzai. Tagliai l’arrosto. Il coltello era ben affilato, affondava perfettamente nella carne.
-Buon appetito.-, disse Vicky. Mangiammo. Lentamente. Louise pareva quasi imbarazzata.
In effetti potevo capire: stava venendo ospitata dall’uomo e dalla donna con cui aveva fatto sesso, servita dalla moglie del suo amante e probabilmente presto avremmo dovuto parlare di separazione e quant’altro. Era ben comprensibile che non fosse a suo agio.
-È davvero squisito, Vicky!-, esclamò dopo alcuni bocconi.
-Sì… Mia madre mi ha insegnato a prepararlo. Molto piacevole al palato, vero?-, chiese mia moglie con un sorriso. Louise annuì, con un altro boccone.
-Si scioglie in bocca…-, disse con un sorriso
-Sì, davvero ottimo.-, dissi. C’era qualcosa che non andava. Qualcosa che non era corretto. L’intera scena aveva un che di surreale, persino per noi, che già avevamo vissuto ben due Sfoghi insieme. In una di quelle notti, io e Victoria avevamo fatto sesso per quasi sette ore, abbracciandoci con la paura di chi sa, con totale e assoluta chiarezza che la fine può giungere molto, molto, molto presto. Nella seconda, lei aveva preparato l’arrosto con le patate.
Ma mai l’avevamo condiviso con qualcuno. Mai con qualcuno come Louise.
Era tutto così bizzarro da essere quasi un sogno. E forse lo era.
-Vicky… io credo che dovremmo parlare… insomma, so di aver infranto le regole e…-, iniziò Louise dopo un sorso d’acqua.
-Le regole non contemplavano certamente lo Sfogo, è vero.-, ammise Vicky, -Ma ora, scusate, devo andare al bagno.-.
Sentii i suoi passi. Andava di sopra, al piano superiore. Perché? Il bagno era anche al pianterreno, ci avrebbe messo meno…
-Lou…-, iniziai alzandomi.
-Tua moglie mi odia, vero, Jhon?-, chiese lei a bruciapelo.
Improvvisamente, le serrande si alzarono, di scatto.
-NO!-, esclamai.
-Sì!-, esclamò Victoria riapparendo. Tutto mi divenne chiaro, vedendola.
. Impugnava una pistola. Una Desert Eagle israeliana. Roba da caccia ai pachidermi. Sparò strappando. Louise urlò. Una finestra andò in frantumi.
Mi gettai oltre il tavolo, tenendo giù Louise di forza, strappandola alla traiettoria dei colpi.
-Credevi che non l’avessi capito? Credevi che Marla non mi avesse detto nulla del vostro appuntamentino alla sauna? Tu e quella puttanella nera ve la siete spassata, eh?!-, Vicky stava urlando. Urlando. E sparando. Non sembrava importarle di colpirci, solo di sfogarsi.
-Vicky, cazzo! Possiamo parlarne!-, gridai a mia volta. Louise stava singhiozzando.
-Parlare, certo! Proprio come una bella famigliola allargata?! Come no!-, blam! Altro sparo. La vetrata del soggiorno stava cedendo. Afferrai una delle sedie e gliela lanciai contro.
-Vai! Scappa!-, urlai a Louise mentre mi alzavo. Lanciai il bicchiere verso Vicky. Lei sparò, male. Un pezzo d’intonaco grosso come il palmo della mia mano cadde dal muro.
-È la Notte dello Sfogo, troietta nera!-, ringhiò Vicky sparando. Una zolla di terra esplose a pochi centimetri dai piedi di Louise mentre fuggiva verso il bosco.
Sfilai il coltello dall’arrosto mentre mia moglie puntava la Desert verso di me.
-Ti ammazzo!-, ringhiò. Strinsi il coltello, poi scartai, lateralmente. Lei cercò di seguire il mio movimento, ma ero già fuori dalla vetrata. Sentivo dolore, bruciore di tagli, marginale.
Presi a correre a zigzag, per spezzare la linea di tiro. Trucco classico che t’insegnano quando bisogna evitare i colpi dei cecchini. Un muretto parve disintegrarsi a pochi metri da me.
E fu lì che lo vidi. Un furgone. Parcheggiava. Stavano scendendo uomini in vest nere, truppe vere e proprie. Vicky rideva, esaltata. Urlava come se improvvisamente qualunque demone se ne fosse stato quieto sin lì in lei avesse deciso di farsi udire.
E io capii che la nostra notte era finita. Era iniziata la Notte della Resa dei Conti.
Fuggire era semplicemente un’arte. L’arte di dipingere la scena che il tuo nemico voleva vedere. Semplice. Mi concessi di riflettere dopo che io e Louise fummo entrati nell’androne di un edificio. Puzzava di urina e alcool dappoco. Ci fermammo all’interno. Fuori pioveva.
-Perché?-, mormorò la nera. Guardò la pistola che stringeva tra le dita con espressione persa.
-Perché questo è ciò che vuole. Purificarsi.-, risposi.
-Jhon… Io non… non credevo…-, iniziò lei.
-Neanche io.-, dissi, -Ma avrei dovuto immaginarlo.-.
-Chi erano quegli uomini? Quelli a cui hai preso… questo?-, chiese Louise indicando il giubbotto che indossava.
-Professionisti. Gente addestrata. Gente ben pagata. La Notte dello Sfogo è anche e soprattutto questo: affari. Hai una vaga idea di quanto costi quello che hai addosso? Mica è gratis. Qualcuno l’ha pagato. E anche caro. E qualcun altro ha sborsato perché fosse a sua disposizione.-, spiegai.
-Victoria… Ha pagato per… questi? Per ucciderci?-, chiese.
-Una sicurezza, credo. Sapeva che avrebbe potuto non riuscirci da sola.-, ragionai io.
-Ma quegli uomini…-, iniziò Louise.
-Mercenari. Forse ex Marines. Sicuramente, ti fa pensare. Insomma, ragionandoci, cosa ci guadagnano i ricconi se i poveri si ammazzano tra loro?-, chiesi. La nera mi fissò, con orrore.
-Nessuno si pone domande sul perché.-, disse, improvvisamente conscia.
-I Nuovi Padri Fondatori hanno fatto esattamente questo. Pane et circenses, intrattenimento a basso, bassissimo costo, e in più la possibilità di far fuori personaggi scomodi. Perfetto, no?-.
La mia domanda rimase sospesa nel silenzio.
-Dev’esserci qualcuno che l’ha capito.-, sussurrò Louise.
-C’è, sicuramente. Ma è folle pensare che lo troveremo prima che quelli, o qualcuno ancora più pazzo ci trovi.-, dissi.
Seconda regola: mai restare fermi troppo a lungo. Superammo un vicolo.
L’uomo che ci arrivò davanti e attaccò con un machete era seminudo dalla cinta in su, il petto pieno di tatuaggi a tema apocalittico, versetti dell’Apocalisse e altro ancora.
-Chi dovrà morire di spada, morirà di spada certamente!-, urlò lanciandomisi addosso.
Non persi tempo: scartai e sparai dall’anca. Due colpi al petto. Andò giù.
-E chi dovrà morire di mitra, morirà di mitra.-, risposi. Louise mi seguiva, la pistola in pungo.
-Le scarpe.-, dissi. Lei capì. Tolse le scarpe all’uomo. Le mise. Non erano il massimo ma le avrebbero protetto i piedi da ulteriori ferite. Era fuggita da casa mia senza le sue scarpe.
-Dobbiamo muoverci…-, dissi. Quanto mancava alla fottuta alba?
Diedi un occhio all’orologio. Erano le 02.01. Relativamente presto, cazzo.
E dov’erano i mercenari di Vicky? Uscimmo dal vicolo azzardandoci ad attraversare la strada. Un’auto con sopra una torma di barbari sparò. Colpi a vuoto. Louise urlò. La spinsi verso la salvezza. Sparai tre colpi. Qualcuno urlò. Impatti su vetro e metallo. Impossibile dire chi fosse stato colpito o chi no. Mi ritirai nell’angolo opposto.
-Merda…-, dissi. Braccio sinistro. Mi aveva preso di striscio.
-Jhon…-, sussurrò Louise. Stava già cercando nelle tesche del mio cinturone le garze sterili.
Bendare, assicurare e muoversi. Controllai le munizioni. Mezzo caricatore. Troppo fottutamente poco. Poi le udimmo. Altre scariche di mitra.
Erano arrivati: i mercenari ingaggiati da Vicky. Presi la trasmittente che avevo con me.
-DeToleani e Troudou sulla sinistra, Hacevedo e Grimaldi sulla destra.-, diceva una voce.
Aveva senso. Feci cenno a Louise di andare verso il fondo del vicolo. C’era un cassonetto. Lei si sarebbe potuta riparare lì. Provai una porta. Chiusa. Merda.
Non c’era verso di mimetizzarsi. Almeno non sarei morto da solo.
-Jhon…-, disse la nera. Guardai verso di lei. Un varco nella recinzione del vicolo. Piccolo, ma sufficiente. Lei lo attraversò. Io mi mossi.
-Perquisire i vicoli! Stanateli!-, esclamò la voce.
M’infilai nell’apertura. Louise urlò un avvertimento. Poi cadde all’indietro. Orripilato la vidi crollare a terra. Ringhiai qualcosa che neanche io capii. Sparai sei colpi. I due commando furono travolti come da un vento rovente, impiegarono troppo a riposizionarsi, caddero.
Mi chinai sulla mia compagna. Lei si rialzò a fatica. -Fa un male cane….-, lamentò.
Il fottuto giubbotto antiproiettile aveva evitato il peggio.
-Forza!-, dissi tirandola in piedi. Dovevamo correre. Attraversammo la strada successiva. Qualcuno sparò. Non su di noi. -Vai! Vai!-, le urlai mentre superavamo un ennesimo edificio.
La chiesa…. La chiesa della città doveva essere sicura, o no? Forse anche quella era in realtà un punto di raduno per aspiranti vittime dello Sfogo…
La verità era che non avevo molte idee. La radio m’informava sui movimenti di quei bastardi.
-Grimaldi e Hacevedo a terra. Sono i bersagli! Stanno scappando! Squadra due?-.
-In arrivo, cinque minuti lungo Jefferson Avenue.-, riferì l’altro.
Jefferson Avenue era la nostra strada. Ci sarebbero arrivati addosso…
-Jhon…-, mormorò Louise. Non sapevo cosa dire. Per un istante mi sentii davvero perduto.
Poi una porta, si aprì. Davanti a noi
-Ehi, voi due! Di qua, veloci!-, esclamò un nero barbuto e panciuto. Ci buttammo all’interno, senza pensare. Poteva essere un killer, uno stupratore o un drogato, ma in quel momento era la salvezza.
Buffo come a volte il passato ritorni. Improvvisamente e senza che te lo aspetti.
A volte è un viso familiare nel momento più buio della tua giornata.
Altre è un amico che non vedi da una vita. E altre ancora un vecchio avversario che vuol darti il benservito.
Ci sono volte in cui un simile incontro t’illumina su chi hai accanto.
Entrammo. Il nero richiuse la porta alle sue spalle, sbarrandola.
-Grazie.-, dissi. Controllai il bendaggio. Reggeva.
-Non l’ho fatto per te, amico.-, disse l’uomo. Fissava Louise. Mi preoccupai.
-Lui è con me.-, disse lei senza apparente timore. Il nero mi squadrò.
-Sorella, lo sai che non giudico…-, disse.
-Che cavolo significa?-, chiesi.
-Oh, niente che tu possa capire, amico.-, ribatté il nero. Ma chi cazzo si credeva questo? Snoop Dog? 50 Cent? Uno degli NWA?
-Louise, chi è questo stronzo?-, chiesi.
-Louise? Louise?!-, il nero la squadrò di nuovo, con uno sguardo allucinato.
-Sì, Howard. Io.-, disse lei. Compose con le mani, con le dita, una parola. Una sola.
BLOOD.
“Merda.”, pensai. La guardai. Mi guardò, improvvisamente ancora fragile a dispetto di tutto.i u
-Non ci sono peccatori senza futuro, né santi senza un passato. Sono cresciuta in una famiglia povera. E ho sempre odiato questa merda…-, sembrava nuovamente a un passo dalle lacrime, -Mio fratello era uno dei Blood. Morì durante la sparatoria di Kickbrook Avenue, avevo otto anni. La banda si prese cura di noi. E io… io crebbi.-.
-Merda Lou…-, mormorò il nero. Howard, -In che cazzo di casino ti sei ficcata?-.
-Quella troia psicopatica della mia ex moglie ha deciso di farci la festa.-, riassunsi.
-Uomo, questa è grossa.-, commentò lui.
-How, abbiamo bisogno di un posto dove stare, ok?-, chiese Louise.
-Merda, ragazzi. Mi casa es su casa, come dicono in mexico.-, rispose lui.
Ci scortò all’interno di un corridoio sino a un’abitazione. Aprì.
-Mettetevi comodi, come fosse casa vostra. C’è della pizza in cucina, forse è ancora calda, credo.-, disse mentre entravamo. Presi un paio di fette di quella che pareva pizza margherita. Roba semi-fredda. Mangiai ugualmente. Passarono diversi minuti nel più assoluto silenzio.
Dire che il posto era trasandato era un eufermismo. C’erano vestiti in giro. Individuai un tanga appeso a mo’ di trofeo a una parete. “Questo ha problemi, Blood o no.”, decisi.
Merda, neppure io durante i miei diciotto ero così dannatamente fuori.
-Ce l’hai dell’acqua?-, chiesi mentre Louise andava un attimo al bagno.
-Che cazzo, uomo, certo.-, disse lui lanciandomi una bottiglietta. Stappai. Passai a Louise, che intanto era tornata, lei bevve, poi io.
-Che cavolo ci fate là fuori nella notte più fuori dell’anno?-, chiese Howard.
-L’ho detto. Fuggiamo dalla mia ex.-, dissi.
-Uh. La gelosia, che brutta bestia. Ora…-, fu interrotto dal botto di qualcosa.
-Merda!-, esclamò. Andò a quello che pareva un computer. Attivò il monitor.
Figure in nero, entravano dalla porta, la stessa da cui eravamo entrati noi. L’avevano forzata, divelta, probabilmente con un ariete a mano.
-Merda…-, disse Howard. Si diresse verso la sua camera, lo seguimmo, giusto in tempo per vederlo estrarre un Uzi e qualche caricatore, -Questi stronzi hanno scelto di litigare col nero sbagliato!-, esclamò.
-Sono qui per noi, Howie. Non ha senso che tu muoia!-, esclamò Louise.
-Piccola, non lo faccio per te. Tuo fratello mi ucciderebbe se sapesse che non ti ho guadagnato qualche minuto di vantaggio. Prima che crepasse gli avevo promesso di tenerti al sicuro, se mai ne avessi avuto bisogno. Io mantengo le promesse.-, disse lui.
-Merda, Howie…-, mormorò Louise.
-Uscite. Dalla mia camera c’è una finestra che da sul cortile del palazzo. Io ve li tratterrò.-, disse Howard. Mi guardò, severamente.
-Vedi di tenerla al sicuro, amico.-, disse.
-Contaci.-, risposi. Lui annuì. Mi passò qualcosa. Una Mac-10.
-Ho un solo caricatore per questa.-, disse. Annuii.
-Basterà.-, dissi stringendogli la mano.
Uscimmo, rapidamente. Poi sentimmo i primi spari.
Sapevamo che non avrebbe guadagnato molto tempo, ma a giudicare dalle comunicazioni via radio, Howard ne aveva stesi almeno due, forse tre, prima di cadere.
Attraversammo il piazzale , rapidamente e senza fermarci.
I rifugi scarseggiavano. Superammo un tizio che vestiva una maschera da teschio intento a masturbarsi davanti a un chiosco in fiamme
-Brucia, figlio di puttana! BRUCIA!!!!-, urlò mentre sborrava.
Spari e urla in lontananza. Impossibile dire chi urlasse e cosa venisse fatto a chi.
-Jhon… il tuo braccio!-, esclamò Louise. La ferita si era riaperta. Sistemai il bendaggio con rabbia. Non avevo tempo di morire, non ancora.
-Dove… dove andiamo?-, chiese la nera Non avevo una risposta, ma dovevo fingere, almeno fingere di averla.
-Di qua! Verso Brookmare street!-, esclamai.
Non era un piano, ma era tutto quello che avevo.
-Abbiamo perso i bersagli! Squadra tre?-, chiese una voce.
-Impegnati con ostili. In arrivo.-, tagliò corto una voce di donna. Improvvisamente, un’altra voce si udì.
-Tutto questo è ridicolo! Avrebbe già dovuto essere finita!-.
Vicky. Strinsi la trasmittente sino a sentirla scricchiolare, sino a sentire male.
Mi calmai, respirando piano. Dovevo restare lucido. La rabbia ci avrebbe fatti uccidere.
Brookmare street era un quartiere di villette residenziali. La maggior parte di quella gente era passivamente pro-Sfogo, quindi potevo essere ragionevolmente certo che non ci avrebbero sparato addosso.
-Jhon… Tua moglie è con loro, vero?-, chiese Louise.
-È molto probabile.-, ammisi.
-La ucciderai?-, chiese lei. Era un’ottima domanda.
-Le impedirò di farti del male.-, dissi.
Lo avrei fatto. Ma non ero sicuro del “come”. Anche se, mi pareva evidente di non avere chissà quali opzioni…
Brookmare Street era tutto sommato indenne dalle devastazioni.
-Sono tutti barricati in casa…-, mormorò Louise.
-Sì. Ma non importa, entra nel vialetto del numero 6.-, dissi io.
-Che hai in mente?-, chiese la nera mentre avanzavamo.
-Dobbiamo cercare di depistarli.-, dissi.
Alla radio, voci continue di capisquadra in coordinamento.
Diamine, nemmeno in Iraq era stata così fottutamente brutta.
-E uscire dal vialetto qua dietro come ci aiuta?-, chiese Louise.
-Ci aiuta perché Vicky non sa che quando venivo qui a giocare, e non sa che il vialetto collega con un secondo giardino, quello dei Groovesome. Tagliamo attraverso quello e arriviamo al parco.-, spiegai.
-E una volta lì? Se ci seguono?-, chiese la nera. Appariva esausta, calzava scarpe non sue e il vestito che aveva addosso era fradicio di pioggia e sudore. Dal cielo continuava a piovere.
-Se lo faranno reagiremo. Noi sopravvivremo, Louise. Te lo prometto.-, dissi.
Ci muovemmo lungo i viali, senza incontrare resistenza. In compenso notai che un paio di nuovi graffiti tutt’altro che lusinghieri avevano fatto la loro comparsa sui muri dei Groovesome. Soppressi un sorrisetto. “Ho sempre detto ad Hank di essere meno stronzo coi suoi dipendenti…”, pensai. Tutto sommato gli era andata pure bene.
Ad altri era andata ben peggio.
Attraversammo il secondo vialetto, incalzati da spari in lontananza e urla. La radio parlò.
-Squadre tre e quattro, altri otto ostili eliminati. Procediamo su Bookmare Street.-.
Quella era sia una buona che una cattiva notizia. Raggiungemmo il parco.
-Squadra quattro, perquisite i cortili delle case. Squadra Tre, proseguire verso il parco.-, la voce dalla radio era quella di Vicky, stavolta.
Era lei a dirigerli? Il loro comandante era morto? Oppure aveva solo deciso di prendere in mano la situazione.
-Louise… Mi dispiace.-, dissi infine. Mi sentivo stanco, ma allo stesso tempo percepivo qualcosa. Quel senso di energia che mi pervadeva quando sentivo avvicinarsi un momento critico. Una sorta di riserva di energia proveniente da un luogo oscuro dentro di me.
-Per cosa, Jhon?-, chiese lei.
-Devo chiederti di correre un rischio.-, dissi.
Arrivarono in quattro. Squadra da quattro elementi, point-man, due ad aprire sui lati e retroguardia. Abili e capaci.
Strinsi la mitraglietta. Si avvicinarono alla giostra. Trovarono l’esca. Uno straccio intriso di sudore e pioggia. L’abito di Louise.
-Signora, abbiamo una traccia… Sembra un abito femminile. Come quello che ha descritto.-, disse uno dei fanti, -Credo che l’abbia lasciato qui per mettersi roba più asciutta.-.
-Non mi piace.-, disse un’altra soldatessa, quasi indistinguibile se non per la voce.
Alzò l’arma puntandola verso l’esterno.
-La puttanella si sarà resa conto che in una notte come questa essere ben vestiti non conta niente…-, ghignò il terzo elemento con tono sornione.
-Restate concentrati, idioti!-, grugnì la soldatessa.
Ora! Sparai. Due colpi al volto. La soldatessa non ebbe neppure la percezione della minaccia.
Incassò diretto. Panico tra gli altri. Si giravano per rispondere.
BLAM!
La pistola di Louise tuonò. Il tizio che aveva raccolto l’abito della nera s’inarcò cadendo con un ginocchio disgregato. Il colpo conclusivo fu il mio, al collo.
-Merda! Sono due!-, urlò uno dei mercenari, cercando copertura. Due colpi da parte mia e di Louise lo schiantarono contro un girello.
L’ultimo sparò una raffica verso la mia posizione. Nulla. Sparai a mia volta. Colpi al ventre, sotto il kevlar. Poi colpo conclusivo alla testa.
Louise emerse dal cespuglio, in slip e reggiseno, sporca di fango e bagnata. Tremava.
Lasciò cadere la pistola nell’erba e nel fango.
-Va tutto bene… Andrà tutto bene…-, sussurrai abbracciandola.
-Non avevo mai… Mai…-, sussurrò lei.
-Lo so.-, mormorai, -Non ci si abitua mai…-.
Ed era vero. Uccidere poteva diventare una droga proprio per quello. Perché era sempre come la prima fottuta volta. Però non bisognava cedere a quel canto della sirena.
Aprii la giacca della soldatessa. Ci avvolsi Louise. Era più o meno della sua taglia. Le misi il giubbotto in kevlar sopra la giacca. Presi una MP7 e tutti i caricatori che riuscii a trasportare.
-Non… volevo.-, riuscì a dire lei.
-Lo so. Neanche io. Vorrei ci fosse stato un altro modo.-, ammisi. Il braccio sinistro doleva. Controllai. Si era riaperta? No. Bene.
-Callhassee? Callhassee, mi senti? Dove diavolo sei? Dove sono i miei uomini?-, chiese Vicky.
Presi la trasmittente. Decisi.
-Nono cerchio.-, dissi. Silenzio improvviso. Totale. Statica.
-Jhon… Oh, povero, stupido, Jhon… Pensi davvero che tu e quella puttana ce la farete?-, chiese Vicky.
-Fin qui mi pare che tu abbia perso parecchia gente. Non credo che il loro budget copra così tante perdite.-, dissi, -Ma magari mi sbaglio. Forse ne hai altri da mandare. E se non li hai tu, ci penseranno i Nuovi Padri Fondatori, vero? Perché lo Sfogo è questo: un’eliminazione sistematica dei poveri e degli indigenti. Una mascherata indegna di ogni stato civile. Merda, persino l’Iraq prima che ci arrivassimo noi era più civile di questo schifo!-.
-Lo Sfogo è sacrosanto, Jhon. Serve a sistemare i conti in sospeso, tipo quello tra noi tre.-, sibilò Vicky.
-Non c’era bisogno di aspettare lo Sfogo. Era finita, Vicky. Ti avrei lasciato tutto.-, dissi mentre facevo cenno a Louise di muoversi, -Volevo solo poter chiudere un capitolo della mia vita che sapevo essere chiuso.-.
-È c’è voluta la figa nera di quella troietta per farti capire che era chiuso?! Sei un tale ipocrita, Jhon! Non mi parevi disgustato da me, prima di conoscere lei!-, sputò venefica Victoria.
-Prima di lei m’illudevo ancora di poter ricostruire qualcosa di noi.-, ribattei a muso duro, -Ma vedo che qualunque cosa siamo stati, qualunque cosa potremmo essere è morta prima di nascere. Non è morta quando ho baciato Louise, né quando ci abbiamo fatto sesso, è morta molto prima. E oggi, è solo la notte in cui il nostro matrimonio smette di fingersi vivo.-.
Tagliai la comunicazione. Non avevo motivo di attendere risposta.
-Che facciamo?-, chiese Louise. Anche intabarrata nel vest con la giacca camo nera, stava tremando. Io ricaricai. Presi le granate, solo tre.
-Fin qui, siamo scappati. Ora… Ora dobbiamo contrattaccare.-, dissi.
-Jhon, è una pazzia… Ci faranno a pezzi!-, esclamò la nera.
-No. L’hai visto. Non sono invincibili.-, dissi io. La aiutai a sistemare il visore notturno sul viso.
-Anche così, sono più di noi.-, dise lei. Io le sorrisi prima di calare il mio visore. Era nuovo, preso dai nemici abbattuti.
-E da quando il numero è potenza?-, chiesi.
Avevo un piano. Un piano semplice.
Tagliammo attraverso il bosco, riemergendo verso la strada. Lavorai di frequenze sulla radio, cercando quella dei nostri nemici. La trovai. Controllai l’orario.
Le 02.05. Osservai la boscaglia. M’inoltrai in essa. Trovata la frequenza di Vicky, parlai.
-Vi dirò esattamente cosa sta per succedere. Non m’interessa se lavorate per i Nuovi Padri o solo per la mia ex moglie, ma sappiate che chiunque mi sbarrerà la strada morirà.-, dissi con tono pacato, calmo.
-Fottuto idiota! Non funzionerà! Sei uno solo, e noi siamo un esercito!-, esclamò Vicky.
Stava per scoprire quanto la sua percezione fosse sbagliata.
Passai a Louise uno degli MP7 spiegandole in breve il funzionamento.
Lei annuì. Non dovemmo attendere molto: marciammo nella foresta sino a un avvallamento.
Bevvi da una delle borracce dei commandos morti. Bevve anche Louise.
-Una notte del cazzo.-, mormorò, -Perché, Jhon? Perché l’hanno fatto?-, chiese.
-Potere. Potere e l’illusione di poterlo conseervare, Lou. Solo per questo.-, sussurrai.
-Jhon… io…-, iniziò lei. Le misi un dito sulle labbra. Poi la baciai. Piano. Lentamente.
Se c’era un solo lato positivo nello Sfogo, era che aveva smascherato l’ipocrisia di Vicky.
-Squadre uno e due, a ottanta metri dalla sua ultima posizione. Stare attenti: il bastardo è bravo. Sparate per uccidere. Entrambi sono da considerare come abbattibili.-.
-Arrivano…-, sussurrò Louise. Stringeva il mitra.
-Sì.-, dissi io. Poi le spiegai come avremmo agito.
La guerra si basa sull’inganno aveva detto uno stratega cinese.
La guerra si basa sulla ferocia, avrebbe detto un vichingo.
La guerra si basa sull’abilità, avrebbe asserito un qualche cavaliere medievale.
Tutto falso.
La guerra si basava solo su una cosa. Consapevolezza e fato.
L’avevo imparato in Iraq, e me lo trovavo confermato quella notte.
La guerra era caos puro, dove a vincere non è il più forte o il più abile, ma il più adattabile, quello che comprendere per primo, che per primo riesce a decifrare i segnali che ha attorno. Quello che per primo intuisce come muoversi, come agire. E come prevalere.
Quando arrivarono parvero una falange alla carica, mastini dall’inferno per punire i peccatori.
O più precisamente, esaltati di guerra e morte atrocemente ben finanziati.
Ma non si aspettavano ciò che gli sarebbe arrivato addosso.
Perlustrarono l’avvallamento con assoluta, totale cura. Attesi che arrivassero vicino al punto dove avevo situato la trasmittente.
Poi tirai il cavo. L’esplosione della granata arrivò cinque secondi dopo. Louise sparò a sua volta.
Quelli che non furono falciati dallo shrapnel, vennero abbattuti dalle nostre raffiche.
-Squadra due! Squadra due, mi ricevete?!-, voce maschile, non più troppo sicura.
-Merda! Li ha uccisi tutti!-, esclamò un’altra voce.
-Le frag! Ha preso le fottute frag!-, imprecò un altro.
Corremmo lungo la foresta, incespicando ma senza fermarci. Persino la pioggia aveva lasciato il posto al vento.
-Qui Rutherdorf, ho contatto visivo!-, esclamò qualcuno. Sparò. La raffica ci passò sopra.
-Non mollarli, uomo!-, esclamò qualcun altro.
Correvamo. Non importava nient’altro. Poi ci gettammo a terra. E io lanciai una cosa, verso la direzione da cui erano venuti i colpi.
-Granata!-, urlò qualcuno. Si buttarono a terra. Istitno. Non era una granata: era un sasso.
Ci guadagnò i secondi necessari: mentre la squadra stava rialzandosi, sparammo. Due furono schiantati a terra. Il terzo riuscì a sparare, ma mancò clamorosamente e fu abbattuto da una raffica di Louise. Il quarto imprecò quando il suo mitra fece un rumore d’inceppamento. Lo finii con un colpo alla testa.
-Anche la squadra uno è andata.-, dissi al trasmettitore. Stavolta ci fu solo silenzio.
Non mi curai della risposta. Controllai il crono. Le 03.34.
-Solo tre ore e mezza…-, dissi. Louise sorrise appena, affaticata, stanca, tesa.
Ma non spezzata.
-Portami via da qui, Jhon…-, mi pregò. La guidai.
Le comunicazioni erano un casino. C’erano diversi pareri contrastanti.
-Questa merda ci sta costando una fortuna!-, ruggì una voce
-È quasi finita. Ormai avranno finito le munizioni e le granate, no?-, chiese Vicky.
-Le aveva finite già quando abbiamo iniziato, stupida!-, eruppe la voce maschile di prima, -Ci avevi detto che sarebbe stato semplice. Un uomo e una donna, lui ex-Marine e lei una modella… Che ci voleva? Beh, ora lo sappiamo: ci vuole parecchio più di questo!-.
-Burgsetin, non dirmi che pensi di mollare il colpo, vero?-, chiese Vicky con rabbia.
-Quel figlio di puttana e la sua zoccoletta ci stanno decimando! Il grande capo ha accettato perché pensava sarebbe stato un lavoretto facile facile. Roba pulita. Ma qui è peggio che a Fallujah!-, esplose Burgstein.
-Vi pagherò… in persona. Un extra…-, disse lei.
-Io ci sto, fanculo!-, esclamò uno.
-Burgstein…-, dissi al trasmettitore, -Ricordati che i morti non se ne fanno molto dei soldi.-.
Silenzio poi Vicky.
-Jhon, brutto bastardo! Tanto lo so che sei alla frutta! Non ce la farete a uscirne vivi e…-, improvvisamente la voce di Victoria fu sostituita.
-Davvero notevole, marine.-, disse una voce maschile. Non Burgstein.
-Con chi parlo?-, chiesi.
-Puoi chiamarmi Jackson.-, rispose la voce, -E ancora, i miei complimenti. Le mie squadre di Purificatori si sono rivelate quantomeno inefficaci contro di te. Sei stato mostruosamente abile.-.
-Suggerisco che i tuoi uomini se ne vadano. Ora, finché ancora possono.-, dissi.
Con mia sorpresa, Jackson non rispose subito. Stava davvero considerando la cosa?
-Vede, Jhon, il suo dossier non mentiva. Lei è un marine, certo. Ce ne sono molti, ma come lei nessuno. O crede che non sappiamo di Rawadi al-Harsu?-, chiese.
-Rawadi?-, chiese Louise. A voce abbastanza alta da essere sentita.
-Ah, vedo che la sua compagna di sventura ne è all’oscuro. Anche sua moglie lo è? Ci dica, Jhon, ne ha mai palrato a qualcuno? Ha mai detto qualcuno delle sacche per cadaveri che riempì quel giorno in Iraq? Ne ha mai parlato? No? Un vero peccato. Anche perché non tutti sono in grado di capire. Il qui presente Jhon Piercewood, 33esimo Marines, è stato l’unico e il solo soldato americano a uscire vivo da solo da una delle prigioni irachene, non solo: lui ha ucciso ogni singolo ostile nella struttura. E poi ha eliminato una pattuglia di inseguitori, fino a venire recuperato quarantasette chilometri più in là dai nostri.-, spiegò Jackson.
Strinsi la trasmittente con tutte le mie forze, lacrime mute che mi scivolavano lungo le guance mentre i ricordi di quel giorno terribile si facevano largo dentro di me.
-Jhon…-, Louise mi mise una mano sulla spalla. Il tocco di una farfalla.
-Ci hanno circondati, Louise. Erano a centinaia. Noi dentro le rovine di un mausoleo, in una quarantina, loro fuori, a centinaiai. Nessun evac, troppa contraerea. Ci hanno… sopraffatti.-, mormorai, -Pensai che non volevo morire ma… quello che fecero dopo fu anche peggio.-.
-Oh, Jhon…-, sussurrò la nera abbracciandomi. Singhiozzai, prigioniero di quell’incubo.
-Li ho uccisi tutti. Tutti. Uno dopo l’altro. Non riuscivo a fermarmi, non riuscivo a pensare. Volevo solo vederlo finire. E alla fine…-, sussurrai, -Alla fine sono tornato qui. E ho scelto di dimenticare.-.
-Peccato che non sia possibile, vero, Jhon? È per quelli come lei che esiste lo Sfogo! Per non dovervi sempre nascondere! Per abbracciare una sola volta il lato oscuro, piuttosto che cedervi incontrollatamente dopo.-, martellò Jackson.
-No!-, esclamai, -No! Io non sono così! Sono migliore! Non sono solo un macellaio!-, ringhiai.
-Ma davvero? E durante questa serata cosa saresti stato?-, chiese Vicky, secca.
-Un protettore.-, sussurrai guardando Louise. Lei sorrise, timidamente.
Voleva che io sapessi che lei si sentiva al sicuro. E da quella consapevolezza trassi la mia verità. Louise amava me. Il me di adesso, non il marine indemoniato di quel giorno in Iraq.
Per lei, ero in grado di essere migliore.
-Un traditore! Ecco cosa sei. Un fottuto bugiardo ipocrita della peggior specie!-, replicò Vicky.
-Questo non è un caso isolato. Ce ne sono molti come lui. Ma mi dica, Jhon… Non si sente purificato? Non ha provato una ridda di liberazione nell’abbattere i miei uomini?-, chiese Jackson. Fissai la trasmittente. L’avevo provata?
-No. No… Non l’ho provata. Solo un sadico l’avrebbe provata. Io non sono così. È per questo che il vostro Sfogo non funziona con la gente normale. Attira solo i pazzi e i repressi.-, sibilai.
-Un vero peccato che lei non capisca. Ma non dev’essere per forza così: lei ha del potenziale. Enorme potenziale grezzo. Mi dica, Jhon, non le andrebbe di passare da questa parte? Di diventare uno dei Purificatori?-, chiese l’uomo.
Vicky imprecò pesantemente in sottofondo. Rumori di lotta all’altro capo della linea.
-Ci pensi, Jhon. Non le chiedo di uccidere la sua amante, anzi sono pronto a offrirle un salario di tutto rispetto, una nuova identità e una nuova casa, per entrambi. Tutto quello che dovrà fare, sarà uscire la Notte dello Sfogo a purgare l’America dalle sue debolezze e in cambio sarà ricompensato lautamente per il suo patriottico servizio alla Nazione.-, continuò Jackson.
Fissai Louise. Eccola. Quella era la prova finale. Se accettavo, io e lei ci saremmo rifatti una vita, ma quella notte per me sarebbe stata tutto ciò che avrei dovuto fare.
Vita, sulla morte di altri. Sconosciuti e innocenti altri.
Se avessi rifiutato, la caccia sarebbe finita tra poche ore, ma dubitavo che Jackson e la sua cricca avrebbero atteso sino all’anno prossimo per farmi secco.
-Tu sei uno dei Nuovi Padri, vero?-, chiesi.
-Questa è un informazione secretata. Sua moglie ha pagato molto generosamente per il mio coinvolgimento, ma ora la sua pretesa ha perso d’importanza e darle la caccia sta sperperando risorse utili ai miei piani. Quindi, Jhon, perché non la risolviamo da uomini? Io e lei, faccia a faccia, e mi dirà ciò che ha deciso.-, disse Jackson.
Fissai Louise, preoccupato. Chi mi diceva che non fosse una trappola?
-Se stessi cercando di prenderla in trappola, adesso sarebbe già stato abbattuto. Ho avuto sufficiente tempo per tracciare la sua trasmittente, ma come vede, le mie forze non l’hanno raggiunta. Non si sono mosse, per essere precisi.-, continuò l’uomo del potere.
-Voglio la sua parola che io e Louise la potremo raggiungere incolumi.-, dissi.
-Ovviamente ce l’ha. Attualmente il nostro centro operativo è casa sua.-, disse Jackson.
-Stiamo arrivando.-, dissi.
Arriva un momento in cui tutto ciò che sei, tutto ciò che sei stato e tutto ciò che potresti diventare ti appare con lancinante chiarezza.
Diventa molto semplice capire cosa potresti essere, e come diventarlo.
È una consapevolezza talmente lancinante da far male. Molti attraversano quella linea senza darsene quasi pensiero. Forse per loro è solo più facile non pensarci.
Non prendersi la responsabilità di ciò che divengono.
Camminammo nella foresta. Senza reale fretta. Un uomo e una donna vestiti con gli abiti dei morti, spettri tra gli spettri della notte più fottuta d’America.
Arrivammo al cortile di casa alle 06.15. Avevo volutamente preso tempo. Via i visori notturni. Dentro la luce non mancava. Entrare fu strano. Mi sentii straniero, totalmente estraneo a casa mia. C’era Vicky in soggiorno, trattenuta da uno degli uomini in nero.
E un uomo in completo elegante, soprabito nero, camicia bianca, cravatta, spilla dei NPF.
-Jackson.-, dissi. Avevo il mitra in mano, ma il braccio disteso lungo il fianco.
-In persona. Lieto di vedere che è un uomo di parola.-, disse lui.
Louise fissò Vicky per un istante, poi si concentrò su Jackson.
-Che cosa vuole da noi?-, chiese infine.
-Da lei, madame Proudfoot, non voglio niente.-, disse, -Salvo congratularmi per la sua bellezza e per la sua sopravvivenza a questa nottata.-.
-È da me che vuoi.-, dissi io, -E vuoi che io diventi uno dei tuoi, come Burgstein.-.
Al suono del nome, il tizio che teneva Vicky mi puntò gli occhi addosso. Era lui.
-Precisamente, Jhon. In fin dei conti non è poi un gran sacrificio, no?-, chiese Jackson, -Si tratta solo di fare ciò che le riesce meglio, con la totale impunità garantitale dallo Stato e in linea con gli ideali dei Nuovi Padri Fondatori d’America, nel nome della patria per cui già ha versato sangue e con l’auspicio di garantirle una sempre maggiore prosperità futura.-.
-E in cambio lei fornirà a me e a Louise nuove identità, un posto dove stare e magari anche una rendita?-, chiesi.
-Sì.-, rispose Jackson. Vicky imprecò sommossamente. La sua vendetta le stava venendo strappata di mano, nel peggiore dei modi.
-Ovviamente anche la cara Victoria qui, avrà qualcosa. Parliamo di una rendita mensile notevole, a cui vanno a sommarsi gli alimenti… Insomma, una compensazione a mio avviso più che sufficiente a garantirle la sicurezza economica.-, continuò l’uomo del potere.
-Fanculo! Non è per questo che te l’ho succhiato, stronzo!-, ringhiò Vicky.
La fissai, stupito. A questo si era abbassata.
-No. Tu me l’hai succhiato solo perché io ho il potere e il potere ti eccita, vero? Alla fine è per questo che il tuo matrimonio stava andando a rotoli. Ti sei sposata con Jhon poco dopo il suo ritorno dall’Iraq, e c’era ancora quel qualcosa, un eco di quell’ira… E ora non c’è più. È questo che tu non sopporti. Perché quella follia ce l’hai dentro anche tu, mia cara. L’hai dimostrato alla grande stanotte.-, sibilò Jackson, per la prima volta sinceramente irritato. Vicky sussultò, come se fosse stata fisicamente presa a schiaffi. L’uomo non perse altro tempo.
-Quindi, Jhon… cosa risponde?-, chiese rivolgendosi a me.
Eccola lì. La scelta finale. Tutto ciò che potevo essere mi apparve davanti.
Inspirai ed espirai. Un lungo, lunghissimo istante. Dilatato nel tempo e nello spazio.
Poi decisi.
-Sa, Jackson, sono sempre stato contrario allo Sfogo. Mi sono sempre chiesto quanto in basso siamo caduti per dover permettere questa vaccata. Ma ora lo so, quanto in basso.-, fissai quel bastardo, -Sufficentemente in basso da permettere a figlio di puttana sanguinario come lei di governare…-.
L’espressione di Jackson cambiò. Rabbia sostituì la compostezza. Sfilò una pistola dalla cintura. Sparò. Louise cadde all’indietro, rovinando a terra.
Urlai. Mi gettai sul bastardo mentre con la coda dell’occhio, vidi Vicky divincolarsi fino a riuscire a rompere la presa di Burgstein.
Sfilai il coltello dal fodero. K-bar dell’esercito. Un attrezzo fedele. Lo impugnai con destrezza. Jackson riprese distanza. Inutile sparare a quella distanza. Sfilò il proprio coltello dalla cintola. Andava bene. Lama contro lama. Sarebbe stato breve.
Espirai e attaccai. Il mondo esterno si dissolse. Tutto perse di significato.
Fendenti e schivate, affondi e finte. Il mondo intero parve dissolversi.
Bruciore al petto quando mi tagliò, poi al fianco. Era bravo. Più di quanto avessi creduto.
Ma non potevo perdere. Non così. Non lì. Non ero arrivato così lontano per perdere!
Grugniti e rumori di lotta. Un urlo di un uomo. Burgstein. Vicky doveva averlo colpito parecchio bene. Inutile distrarsi. Fintai. Jackson abboccò. Fesi. Si preparò a parare.
E trasformai il fendente in una stoccata. Affondai il K-bar nel fianco del politico sino all’impugnatura. Jackson emise un verso a metà tra un gemito e un urlo mentre crollava a terra. Sfilai la lama mentre bloccavo la sua mano armata con la mia libera. Affondai di nuovo, più in su. Lui mi fissò, pallido e con le labbra esangui.
-Per…chè?-, chiese.
-Non ci arrivi? Io non sono come te. Non sono un cazzo di mostro. Sono un uomo. I mostri siete voi. Quelli al potere.-, dissi. Mi alzai. Intraviidi Burgstein a terra, morto. Anche Vicky si alzò, e Louise. Per un istinto, estrassi l’arma. La pistola. Puntai su Vicky. Anche Lou lo fece.
E Victoria estrasse doppio. Mano destra, Desert Eagle, su di me. Mano sinistra, Browning HP di Burgstein, su Louise. Stallo alla messicana. L’incubo di ogni pistolero.
-È finita, Vicky.-, dissi. Avevo la voce rauca. Ero esausto.
Doveva finire in fretta. Doveva finire alla svelta o sarei crollato.
-Non finché vivo, Jhon…-, sibilò lei.
-Davvero?-, chiesi, -Hai davvero la forza di farlo?-.
-Ci puoi giurare. Faccio saltare il cervello a lei e a te!-, esclamò Vicky.
-E a cosa ti servirà? Ti renderà migliore?-, chiese Louise, la stanchezza che permeava anche la sua voce. Era una scena surreale. Eravamo nel mio salotto a puntarci le armi addosso.
E realisticamente, non ne saremmo usciti vivi. Ma l’idea di quell’ultimo atto, di quell’ultimo eccidio, mi faceva schifo, mi nauseava oltremisura.
-Mi serve… Devo purificarmi!-, esclamò Victoria. Nel suo tono c’era qualcosa di stonato.
-Davvero?-, chiesi, -Ma quanti altri devono soffrire? Quante altre morti ti ci vogliono? Io l’ho capito dopo che i miei mi hanno recuperato, in Iraq. Non ne vale la pena, Vicky.-, dissi.
-Però lo fai! Per lei!-, ringhiò la mia ex moglie.
-Lo faccio per lei, non per me. La differenza tra noi due è questa soltanto.-, dissi.
-Allora per te sono un mostro?-, chiese Vicky. Passò un istante, due, tre.
-No.-, dissi, -Non lo sei.-. Il viso di Victoria si deformò dallo stupore.
-E allora cosa sono? Cosa sono, se mi conosci così bene?!-, chiese.
-Una donna. Solo una donna. Che ha visto crollare tutte le sue certezze. Che ha imboccato la via più facile, quella che tutti prenderemmo nella sua situazione.-, sussurrò Louise.
-Tu non sai un cazzo di me.-, sibilò Vicky.
-Falso. Credo che dopo questa notte, tutti sappiamo tutto di tutti noi, Vicky.-, replicò la nera.
Per un istante, temetti che Victoria le avrebbe sparato. Invece non lo fece.
-Io… non posso… proprio non posso…-, sussurrò, singhiozzando.
-Bene.-, dissi io, -Perché anche io ne ho piene le tasche. E penso sia così per tutti.-.
-Ma cos’altro mi resta? Ho perso tutto…-, mormorò. Il silenzio ci avviluppò.
-Ti rimarrà questa casa, e i due terzi del patrimonio di Jhon. Io e lui ce ne andremo.-, rispose Louise. Era vero: non intendevo restare in quella casa, né nei fottuti Stati Uniti d’America.
Non con la Notte dello Sfogo, quantomeno. E neanche senza, a ben pensarci.
Per quella nazione avevo combattuto, avevo toccato cime abissali, avevo fatto cose orribili.
Ora volevo solo dimenticare. Trovare pace. E lo stesso voleva Lou.
-Io… Io…-, Vicky stava cercando di radunare le parole, ma non le trovava. Alla fine sospirò.
Fu in quel momento che accadde. Una sirena echeggiò. Alla chiara luce dell’alba, la Notte dello Sfogo finì, mentre gli annunci automatici dichiaravano il ripristino dei servizi di emergenza.
Ci guardammo tutti e tre, e lentamente, abbassammo tutti le armi.
-Andiamo Lou. Qui abbiamo finito. -, dissi, -Aspettami fuori.-.
Osservai Vicky, ma notai che non stava facendo nulla. Era crollata a sedere su una poltrona tutto sommato indenne.
Mi avvicinai appena. Fissava il vuoto, persa. Svuotata.
-Per certi versi è giusto così.-, mormorò, -Alla fine devo accettarlo…-.
-Ci riesci?-, chiesi. Lei non rispose.
Uscii dalla casa. Louise mi abbracciò. Poi lo sentimmo. Un singolo colpo di pistola. Da dentro la casa. Strinsi la giovane con tutte le mie forze, finché non fui sicuro che non fosse ferita, che stesse bene. Capii.
Non volevo rientrare a vedere. Mi bastava immaginare. Annuii appena.
-Andiamocene.-, sussurrai.
Emigrammo. Prima in Canada, poi in Europa. Lo Sfogo continuò per anni, poi, alle elezioni del 2039, Charlene Roan fu eletta Presidente degli U.S.A. e mise fuorilegge lo Sfogo.
Per allora però, io e Louise c’eravamo stabiliti felicemente in Inghilterra, e non avevamo intenzione di tornare oltreoceano. I nostri figli sarebbero cresciuti in Europa, liberi dalla follia dello Sfogo.



Ottima conclusione di un eccellente storia.