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Diario di una Mistress – Giorno 1

By 21 Ottobre 2025Ottobre 22nd, 2025No Comments

Ustioni di dominio

Ho iniziato a scrivere il mio diario.. non per un esercizio privato, ma come strumento di potere. Ogni parola che scriverò servirà a ricordarmi ciò che lui deve sapere, ciò che non può dimenticare: io comando, io creo le regole, io decido i suoi limiti. 

Lui non deve far altro che piegarsi di fronte a me. 

Quando è arrivato a casa mia questa sera, l’ho osservato dalla poltrona, senza dire nulla, fumando la mia sigaretta a gambe incrociate. 

È entrato timidamente, come sempre, chinando leggermente il capo. Non c’è stato bisogno di ordinarlo, è il corpo che parla prima della mente, riconoscendo la gerarchia. 

Ho aspettato che chiudesse la porta.

Non gli ho concesso nemmeno un saluto. 

Non lo merita finché non dimostra subito chi è davanti a me. 

L’ho lasciato in piedi, confuso, per alcuni lunghi secondi. Poi ho allungato la mano e indicato il tappeto sotto i miei piedi… lui si è inginocchiato senza esitazione, e in quell’istante ho avvertito un brivido di controllo che amo più di ogni altra cosa. 

Non ho avuto bisogno di parlare.. è bastato un gesto, secco e definitivo. 

“Stai zitto” 

Ho detto. La mia voce è stata calma ma tagliente. Un ordine sussurrato con autorità vale più di un urlo disperato.

Lui ha annuito e abbassato lo sguardo… ho visto le sue mani fremere sopra le sue cosce e il respiro farsi corto. Ha paura… ma sa di essere nel posto giusto, sotto di me. 

Ho preso un bicchiere di vino rosso, l’ho sorseggiato lentamente. Ogni movimento era un atto di dominio.

Bere senza fretta, mentre lui aspettava, in silenzio. 

Volevo gli arrivasse che la mia calma è il suo tormento, che il tempo appartiene a me e che lui deve consumarsi nell’attesa. 

Il silenzio si è fatto pesante ed io potevo sentirlo respirare più forte, trattenendo la voglia di chiedermi qualcosa… ma non lo fa. 

Bene, sta imparando.

L’ho afferrato per la nuca, costringendolo a guardarmi. Il respiro gli si fa rapido e sussultante, il corpo teso..

Senza dargli tempo di reagire, ho legato le sue mani con una corda stringendola sempre di più dietro la sua schiena. Ogni fibra di corda preme come un promemoria: qui comando io e tu obbedisci. 

L’ho tenuto inginocchiato tutto il tempo, al centro della stanza, sul pavimento duro, con le mani legate. 

Camminavo intorno a lui, calpestando il pavimento con passi lenti e deliberati, e ogni tanto sfioravo la sua spalla o la sua nuca con la punta delle unghie, sufficiente per farlo sobbalzare. 

Non sono carezze, ma segnali fisici che confermano la mia presenza e il mio controllo. 

Poi gli ho legato una benda sugli occhi. Il buio lo ha costretto a fidarsi dei miei gesti, a sentire il mio corpo più vicino di quanto percepisca il rumore dei tacchi. Muovo le mani lungo la sua schiena, le scapole, i fianchi… ogni minimo tocco leggero viene seguito da un tocco deciso, una pressione che sale. 

Senza interrompere gli ho ordinato di contare lentamente a voce alta, mentre io passavo accanto a lui, osservando ogni muscolo tremante. 

Poi ha sbagliato numero, così ho deciso che era arrivato il momento di punirlo. 

L’ho spogliato, completamente, tagliandogli i vestiti. 

Ho preso dei cubetti di ghiaccio e un tubo di dentifricio, così ho versato del liquido alla menta sulle spalle, sul petto, sulla punta del suo cazzo. 

Ho sentito il suo respiro strozzarsi, ignaro del dolore che stava per provare.

Sulle stesse parti del corpo ho tenuto fermi i cubetti di ghiaccio con lo scotch, stretto, per evitare che il cubetto scivolasse via prima di sentirlo pregare di smettere.

La reazione fisica è stata immediata: ha iniziato a muoversi, cercando di togliere ciò che lo stava ustionando.

Non era solo il dolore a piegarlo, ma la certezza che non poteva liberarsi, perché solo la mia volontà decideva il ritmo e l intensità di ogni sensazione. 

Ho sfiorato il bordo del ghiaccio che teneva sulla cappella, con la punta delle dita, aumentando la pressione senza lasciargli tregua. I suoi occhi, ciechi sotto la benda, cercavano punti di riferimento, cercavano un appiglio, ma io gli negavo tutto. La frustrazione cresceva in lui e io sentivo la sua tensione diffondersi come un’energia tangibile nella stanza. 

“Non muoverti!”

Ho urlato, tirandogli uno schiaffo dritto sulla mascella. Ogni sobbalzo era un mio trionfo, ogni gemito trattenuto una conferma della mia autorità. Ho premuto il dito contro quei cubetti, aumentando l’intensità del dolore. Poi li ho tolti, la pelle arrossata dai contrasti di freddo e bruciore, e le ho tolto via il dentifricio rimanente, strusciando una garza ruvida sulle parti ormai ustionate. 

Mi sono posizionata dietro di lui e ho poggiato il piede con indosso un tacco 12 sulla spalla, spostandolo lentamente verso il centro della sua schiena… l’ho spinto, rendendolo inerme sul pavimento. 

Sembrava un verme strisciante ai miei piedi, proprio ciò che volevo. Ma lo volevo sentir dire da lui, l’essere inutile che era. 

“Sono un verme che striscia ai suoi piedi, dea” la voce tremante, i gemiti di dolore dovuti al suo naso schiacciato sul pavimento e le ustioni ancora vive sulla sua pelle viscida. 

“Grazie Miss” 

Bravo. Sa bene che ricevere questo da me è un privilegio che non tutti possono permettersi. Essere sottomessi da me. Essere addolorati a causa mia. 

Ho tagliato la corda che gli legava le mani, sono tornata sulla poltrona e ho lasciato che lentamente si alzasse e si riprendesse da solo dalle torture appena ricevute.. ci ha messo il tempo di una sigaretta, così ho preso la palla al balzo e gli ho spento la sigaretta sul sedere, prima che aprisse la porta per scappare dal mio inferno.

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Volete scrivermi?

gaia@mymilu.net

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