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Famiglie Perverse – Cap. 2

By 1 Novembre 2025No Comments

Mentre l’auto si avviava lungo la strada verso la vacanza, ognuno sembrava assorto nei propri pensieri. Gianni parlava di traffico e autostrade, Marianna guardava il panorama con un sorriso che non rivelava nulla, e Sofia, con le cosce nude incrociate, si accarezzava distrattamente il ginocchio, sentendo ancora il corpo bruciare sotto i vestiti.
Ma Marianna, lanciando un’occhiata dallo specchietto retrovisore, la colse: quello sguardo basso, quelle labbra socchiuse. E fu sicura di una cosa. Quella figlia non era più solo la ragazzina da proteggere. Era già entrata, senza ritorno, nel loro stesso gioco sporco.
Gianni abbassò il volume della radio, tirò su tutti i finestrini e accese l’aria condizionata. Un soffio fresco cominciò a riempire l’abitacolo, mentre lui discuteva con Marianna delle solite cose: il mare, le calette, la spesa da fare al residence. Parlava con tono calmo, ma ogni tanto, nello specchietto, lanciava occhiate fugaci al sedile posteriore.
Sofia era seduta al centro, le gambe leggermente divaricate. La bocchetta dell’aria puntata proprio verso di lei le sparava addosso un filo d’aria gelida che si infilava sotto la minigonna leggera, sollevandola appena, facendo fremere la pelle nuda delle cosce. Sorrise tra sé: sapeva bene che Gianni la spiava ogni tanto, fingendo di aggiustare lo specchietto o di dare un’occhiata alla strada dietro.
Marianna continuava a parlare: “Quest’anno potremmo provare quella caletta più a sud, ricordi? Quella con le rocce piatte. Lì non c’è mai nessuno.”
“Mh, sì,” rispose Gianni distrattamente, con lo sguardo che ancora una volta si posava su Sofia.
Lei fingeva di guardare fuori dal finestrino, distratta dal paesaggio, ma dentro rideva. Sentiva di avere addosso gli occhi del padre, e la cosa la faceva bruciare. Allargò appena di più le ginocchia, lasciando che la corrente d’aria fresca le accarezzasse l’interno coscia, scivolando fino al perizoma sottile. Serrò le labbra, trattenendo un sospiro che non c’entrava nulla col caldo.
Dopo un po’, inclinò la testa e sbadigliò platealmente. “Ho un po’ sonno… ci siamo svegliati troppo presto stamattina.”
Gianni lanciò un’occhiata dallo specchietto. “Se vuoi, sdraiati. Il viaggio è lungo.”
“Eh, sì, dormi un po’,” aggiunse Marianna, girandosi verso di lei con un sorriso. “Ci vorrà ancora un bel po’. Riposati, tesoro.”
“Va bene…” mormorò Sofia con voce lenta, lasciando che il suono sembrasse un po’ languido. Poi si stese di lato, piegando le gambe verso il petto, il fianco contro lo schienale. Si sistemò meglio, facendo scivolare la minigonna che già le saliva su da sola, scoprendo ancora più pelle.
“Stai comoda?” chiese Gianni, senza voltarsi, con un tono che voleva sembrare neutro ma tradiva un leggero abbassamento della voce.
“Mh, sì…” rispose lei a occhi chiusi, stringendo le ginocchia al petto. “Così sto bene.”
Marianna sorrise verso il marito. “Vedrai che si addormenta subito… Come una bambina…”
Sofia sorrise tra sé, fingendo di essere già mezza assopita, ma sapeva che la gonna si era arricciata sul fianco e lasciava scoperte quasi tutte le cosce. Il bordo del perizoma nero si intuiva appena, un segreto da intravedere solo se qualcuno guardava con attenzione.
Si mosse appena, come a cercare una posizione più comoda, e il tessuto salì ancora. Restò ferma, con il respiro regolare, la pelle liscia illuminata dalla luce che entrava dal finestrino.
Gianni tossì piano, sistemò lo specchietto retrovisore e rimase in silenzio.
Il rumore dell’auto che correva sull’asfalto e il soffio dell’aria condizionata riempivano l’abitacolo. Sofia teneva gli occhi chiusi, il corpo rannicchiato di lato sul sedile posteriore, le gambe piegate, la minigonna arricciata che scopriva gran parte delle cosce. Respirava piano, fingendo di essersi assopita, ma ogni parola, ogni sussurro dei genitori davanti la raggiungeva chiarissima.
Marianna parlava con voce bassa, quasi confidenziale. “Sai che pensavo… se torniamo in quella caletta che ci piace tanto… magari quest’anno non mi limiterò al topless.”
Gianni sollevò un sopracciglio, un sorriso appena accennato sulle labbra. “Ah no? E cosa avresti in mente?”
Marianna fece scivolare lo sguardo verso lo specchietto, come a sincerarsi che Sofia dormisse davvero. Poi tornò su di lui, gli occhi lucidi di malizia. “Beh… basterebbe mandarla un po’ più lontano a nuotare… e noi potremmo goderci la spiaggia a modo nostro.”
Il sorriso di Gianni si allargò. “Mi stai tentando.” Con una calma finta, spostò la mano sinistra dal volante e la posò sulla gamba di lei, proprio sopra il ginocchio. “Sai che solo l’idea mi fa impazzire?”
Marianna trattenne un brivido e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. “Lo so bene.”
La mano di Gianni salì lenta, con naturalezza studiata, facendo arricciare la gonna leggera di Marianna centimetro dopo centimetro, fino a raggiungere la morbidezza delle cosce interne. Lei socchiuse le labbra, lasciandosi andare a un sospiro.
“Sei sempre bellissima,” mormorò lui, senza distogliere lo sguardo dalla strada. “E quando ti vedo così… mi ricordi perché non mi stanco mai di te.”
Marianna si mosse appena sul sedile, allargando un poco le gambe come per agevolarlo. La gonna salì ancora, scoprendo sempre più pelle. Poi, con un gesto istintivo, portò la mano libera al petto, accarezzandosi i seni attraverso la maglia leggera, pizzicando il capezzolo già duro.
Sofia, dietro, osservava a fessura dagli occhi socchiusi. Il cuore le batteva forte. Vedeva quella mano grande, maschile, insinuarsi tra le cosce della madre, e la sentiva sospirare piano, con la stessa voce che la notte prima l’aveva fatta gemere come una femmina in calore.
Marianna tremò, mordendosi il labbro. Poi, con un gesto deciso, infilò la mano sotto la gonna, si tolse lentamente le mutandine nere e gliele porse. Gianni le prese senza una parola, se le portò al volto e le annusò a fondo. “Perfette,” mormorò, e tornò a infilarle la mano tra le cosce nude.
Marianna allargò bene le gambe sul sedile, il fiato che le usciva lento e irregolare. Si lasciò aprire, con gli occhi socchiusi e un sorriso che la tradiva, mentre la mano di lui la accarezzava in profondità.
Sofia, nel suo finto sonno, si distese di più, abbandonando le gambe lungo il sedile. Le aprì appena, abbastanza perché la gonna scivolasse su, mostrando il davanti del perizoma nero. Era sottile, lucido, e con la luce diretta del sole diventava quasi trasparente. Si vedeva l’ombra chiara della fessura liscia, la stoffa tesa e già umida.
Gianni, con la coda dell’occhio, non perse nulla. Ogni tanto lo specchietto gli rimandava l’immagine di quel triangolo nero e della pelle giovane e liscia che lo incorniciava. Tra una carezza e l’altra a Marianna, il suo sguardo tornava lì, rapito.
Marianna godeva, non accorgendosi di nulla. Si lasciava andare, la bocca socchiusa, la mano che ancora stringeva la maglia sul petto, mentre il marito le faceva scorrere le dita tra le cosce bagnate. Un sospiro le sfuggì, un filo di voce spezzata. “Sei tremendo…”
“E tu una gran porca,” rispose lui piano, senza smettere di muoversi.
Dietro, Sofia sentiva il calore montarle tra le cosce. L’aria fresca dell’aria condizionata non bastava a raffreddarla. Si accorse dei capezzoli tesi contro la stoffa sottile della canottiera, tanto sensibili da farle male. Serrò appena le cosce, come a trattenere quel calore, ma poi le riaprì lentamente, lasciando che la luce e lo specchietto facessero il resto.
Arrivarono a destinazione nel tardo pomeriggio. Il residence era un palazzo basso, bianco, con balconi colorati da tende e asciugamani stesi. Una ventina di appartamenti in tutto, ed il loro era al terzo e ultimo piano. L’auto si fermò davanti all’ingresso, il motore si spense, e per un momento restò solo il rumore delle cicale e l’odore salmastro del mare, poco distante.
Gianni scese e aprì il bagagliaio, iniziando a tirare fuori le valigie. Marianna si stiracchiò e sospirò soddisfatta, mentre Sofia si aggiustava la minigonna, con l’aria da ragazzina distratta. In realtà aveva già deciso: quell’estate non si sarebbe accontentata di guardare. Dentro di sé lo sapeva, lo sentiva pulsare come un tarlo sporco: voglio che papà mi scopi.
Si avviò per prima verso l’appartamento, le chiavi in mano, e appena entrata in camera fece la sua prima mossa. Chiuse la porta, si tolse le mutandine e le infilò nel cassetto. Guardò un attimo il suo riflesso nello specchio dell’armadio: minigonna leggera, niente sotto, le cosce nude pronte. Si morse il labbro e sussurrò a sé stessa: “Sì… questa volta sarà diverso.”
Uscì dalla stanza come se niente fosse e corse giù ad aiutare Gianni. Lo trovò chino nel bagagliaio, con le braccia tese a sollevare una valigia pesante. “Aspetta, ti aiuto io,” disse, ma nel farlo si avvicinò troppo, piegandosi davanti a lui con il culo rivolto verso di lui. La minigonna salì quel tanto che bastava a scoprire l’assenza di biancheria.
Gianni, che cercava di concentrarsi sul peso, ebbe un lampo negli occhi. Dal basso vide chiaro, nitido, il sesso liscio della figlia, e il culetto leggermente unto, offerti così, senza alcun pudore.
Intanto Marianna, già infuocata dalla masturbazione ricevuta in auto, non riusciva a togliersi di dosso la voglia. Ogni volta che Gianni le passava accanto lo sfiorava apposta, un braccio, una mano sul fianco, un’occhiata complice. Quando Sofia non c’era, si avvicinava di più, gli sfiorava il pacco con le dita, mormorandogli frasi sporche all’orecchio.
Gianni si limitava a stringere la mascella, il cazzo duro che pulsava sotto i pantaloni. Tra la figlia che giocava a provocare e la moglie che lo stuzzicava, sentiva la testa esplodere.
Scaricarono tutto, e finalmente si ritrovarono dentro l’appartamento. Prima di sistemare le valigie, Marianna decise di mettersi più comoda.
Scomparve in camera e riemerse poco dopo completamente cambiata. Indossava un abito da casa corto, un copricostume allacciato sul davanti come un kimono, di stoffa sottile che arrivava appena sopra le ginocchia e gli stessi sandali col tacco che aveva quando erano partiti. Sotto, nulla. I capezzoli si intuivano chiaramente, spingendo contro la stoffa, e ogni movimento faceva intravedere la curva delle cosce nude.
“Così sì che respiro,” disse ridendo, passando una mano tra i capelli. Ma lo sguardo che lanciò a Gianni era tutto fuorché innocente.
Gianni sentì un brivido salire dalla schiena al basso ventre. Il cazzo duro gli spingeva già contro la zip dei pantaloni, e non poteva più nascondere quanto fosse stuzzicato. Sofia, dal canto suo, osservava la scena mordicchiandosi il labbro: il padre incollato alle forme della madre, la madre che si muoveva con quella sicurezza da femmina che sa come farsi desiderare. E dentro di sé, il pensiero fisso: voglio che guardi me così, non solo lei.
Mentre sistemavano le cose, Marianna si accorse di un dettaglio. “Aspetta un attimo…” disse, andando verso l’interruttore e cliccandolo più volte. Nulla. “Non c’è la corrente.”
Gianni si passò una mano tra i capelli. “Magari devono attivarla. Vado io tra poco in reception.”
“Ma no, tranquillo” rispose lei decisa. “Finisci di sistemare queste cose. Vado io a chiedere, ci metto un attimo.”
Prese una borsetta leggera e scese. Gianni restò in soggiorno, intento a ordinare, mentre Sofia approfittò dell’assenza. Si avvicinò al tavolo, piegandosi di nuovo per prendere un sacchetto caduto a terra. La minigonna si sollevò senza pudore, il culo nudo in bella vista. Si voltò appena verso di lui, con aria ingenua: “Papà, devo buttare queste cose? O servono?”
Gianni serrò la mascella, la guardò un attimo e poi tornò al suo lavoro. “Lasciale lì, poi ci penso.”
Sofia rise piano, fingendo di nulla, ma dentro ribolliva.
Nel frattempo, Marianna scendeva le scale del residence con il passo leggero, la borsa che le batteva contro il fianco. Dentro, pensava ancora a Gianni che la toccava in macchina, al calore delle sue dita, al cazzo duro che aveva sentito crescere sotto i pantaloni. Non vedeva l’ora di tornare e farsi scopare davvero, senza interruzioni.
Sapeva che sua figlia era lì, sempre più donna, sempre più maliziosa. Lo vedeva dagli sguardi, dai piccoli gesti. Ma invece di spaventarla, quell’idea la eccitava. Siamo una famiglia fatta per godere, pensò, sorridendo tra sé. Non possiamo rinnegare la nostra natura.
Arrivata in reception, Marianna si guardò intorno: il bancone era deserto, nessuno dietro a rispondere. Restò in attesa qualche minuto, tamburellando le dita sul legno, già infastidita dal caldo e dall’idea di dover perdere tempo proprio ora che avrebbe voluto spogliarsi e farsi prendere sul letto del residence da suo marito.
Finalmente comparve una ragazza giovane, mora, con l’aria spaesata. “Buongiorno,” disse timidamente. “Mi scusi se ha aspettato. Di cosa ha bisogno?”
Marianna la squadrò con un mezzo sorriso che bastava a metterla a disagio. “Nell’appartamento non c’è corrente. Abbiamo appena messo piede dentro e le luci non si accendono.”
“Oh, capisco…” La ragazza si rabbuiò e iniziò a fare le domande di rito, la voce incerta come chi recita una parte imparata a memoria. “Ha provato ad azionare tutti gli interruttori? Il contatore? Il quadro elettrico?”
Marianna sospirò, ormai stanca. “Sì, cara, ho provato tutto. Non funziona. Non c’è luce. Capito?”
La ragazza abbassò lo sguardo e annuì, imbarazzata. Afferrò la cornetta del telefono e compose il numero della manutenzione. Restò lì a fissare il vuoto, una mano a torcersi i capelli neri, mentre dall’altro lato nessuno rispondeva. Ogni tanto lanciava occhiate a Marianna, come se temesse un rimprovero.
Marianna la osservava con un mezzo sorriso, divertita dal suo imbarazzo. Si sentiva padrona della situazione, femmina adulta che guardava dall’alto una ragazzina timida. Le venne da pensare, oscena, che se Gianni fosse stato lì, avrebbe guardato quella ventenne come guardava lei e Sofia, e la cosa le diede un brivido in più.
“Mi scusi, signora…” mormorò infine la ragazza, quasi impaurita. “Non risponde nessuno. Forse sono… occupati. Non so che fare.”
Marianna serrò le labbra, ormai spazientita. Occupati… magari a fare l’amore in qualche stanzino, proprio come vorrei fare io ora, pensò. La vacanza era appena iniziata, e già sentiva la frustrazione montarle addosso. Non solo voleva che la corrente tornasse, voleva anche che tutto fosse perfetto per potersi abbandonare.
“Dov’è l’ufficio della manutenzione?” chiese, decisa.
La ragazza esitò un attimo, poi abbassò lo sguardo. “Nel seminterrato… deve scendere le scale dietro, sulla sinistra.”
Marianna annuì, fissandola negli occhi con uno sguardo che la fece arrossire ancora di più. “Perfetto. Grazie, cara.”
Si voltò, lasciando dietro di sé il profumo intenso del suo corpo caldo sotto il vestito a kimono. La ragazza la seguì un istante con lo sguardo, ipnotizzata da quelle cosce nude che si intravedevano a ogni passo.
Marianna prese le scale con passo deciso, sentendo la stoffa leggera del copricostume che si apriva appena sui fianchi. Ogni gradino era un invito alla voglia che cresceva. Il seminterrato… chissà chi troverò lì sotto. Spero solo che si muovano a farmi attaccare la corrente. Voglio iniziare a godermi questa vacanza. In tutti i sensi.
Il seminterrato era un dedalo di corridoi stretti, male illuminati da neon tremolanti. Marianna avanzava piano, il rumore dei suoi sandali che rimbombava sulle piastrelle, un odore di polvere e umidità che si mescolava al caldo soffocante. Aveva già deciso di tornare indietro quando un rumore metallico, un colpo secco, le fece voltare la testa.
“C’è qualcuno?” chiamò, la voce che rimbalzava tra le pareti nude.
Seguì il suono, attraversando un paio di corridoi più bui, finché si trovò davanti a una porta socchiusa da cui filtrava una luce calda. Spinse piano ed entrò.
La stanza era quella dei contatori: scaffali pieni di quadri elettrici, fili e strumenti sparsi. In mezzo, piegato su un quadro aperto, c’era un ragazzo a torso nudo. La pelle scura brillava di sudore, i muscoli tesi delle spalle e della schiena si muovevano sotto la luce gialla. Portava solo un paio di jeans bassi, sbottonati sul davanti, da cui spuntava l’elastico dei boxer.
Marianna si bloccò un istante, sorpresa. “Oh… buongiorno. Scusi se disturbo…”
Lui si voltò, sorridendo. Occhi scuri e lucidi, un sorriso aperto che metteva in mostra denti bianchi perfetti. “Bonjour, madame. Non disturba, io… come dite… lavoro qui.” La voce era profonda, con un accento francese che dava un ritmo lento e sensuale alle parole.
Marianna si bagnò le labbra con la lingua. “Ehm… sono nell’appartamento al terzo piano. Non abbiamo corrente. Ho chiesto in reception e mi hanno detto di venire qui…”
Il ragazzo annuì, asciugandosi la fronte con l’avambraccio, lasciando una scia lucida di sudore. Non smetteva di guardarla: gli occhi scivolavano sulle sue cosce nude, salivano al seno che si muoveva leggero sotto il kimono, si fermavano sulle labbra. “Capito. Forse è un problema generale.”
Marianna cercò di mantenere la calma, ma sentiva già il cuore accelerare. Il caldo era opprimente, la stoffa sottile le si appiccicava addosso, e ogni volta che si muoveva il kimono si apriva un po’ di più.
Lei abbassò lo sguardo e si accorse che, muovendosi, la stoffa si era aperta sul fianco lasciando scoperta quasi tutta la coscia. Lo richiuse in fretta, imbarazzata, ma il ragazzo rise ancora. “Non si preoccupi, madame… io vedo cose belle, non mi lamento.”
Marianna sentì il ventre stringersi, un calore più profondo che nulla aveva a che fare con l’aria pesante. Cercò di riportare la conversazione al problema. “Allora… pensa di poter sistemare la corrente?”
“Sì, madame. Ma forse serve tempo.” Poi fece una pausa, avvicinandosi di un passo, il petto largo che brillava sotto il sudore. “Lei aspetta qui? O preferisce… tornare più tardi?”
Marianna fece un passo indietro, cercando di riprendersi un po’ di lucidità. “Forse… meglio se torno dopo, quando ha finito…”
Non fece in tempo a girarsi che lui, con un gesto lento ma deciso, le prese il braccio e la spostò di lato. La schiena di lei sbatté piano contro il muro freddo, il contrasto con il caldo del corpo che la fece rabbrividire. Lui la guardava fisso, gli occhi neri che brillavano di desiderio.
Marianna sentì il cuore martellarle in gola. Avrebbe dovuto reagire, dirgli di smetterla, eppure restò ferma, con il respiro corto. Lui alzò le mani e, senza fretta, prese le due estremità della cintura del kimono. Tirò piano, lasciando che la stoffa si allentasse.
“No… non dovrebbe…” mormorò Marianna, ma la voce era roca, spezzata.
Lui sorrise e scosse la testa. “Shhh…”
Con un gesto lento, aprì il kimono. La stoffa si aprì come un sipario, rivelando la sua nudità. I seni morbidi, con i capezzoli già duri e gonfi. La pancia che tremava, il pube liscio e bagnato.
“Mon dieu… madame… nuda… una vera putain.”
La volgarità di quella parola la colpì come uno schiaffo e le accese ancora di più il sangue. Marianna sussultò quando lui allungò la mano e le afferrò un seno, stringendolo con forza. Il pollice e l’indice pizzicarono il capezzolo, facendola gemere.
“Oh…”
Lui sorrise, abbassando l’altra mano lungo la pancia, fino alle cosce. Senza esitazione le aprì e infilò due dita tra le labbra gonfie, affondando subito dentro.
“Ah! Dio…” gemette Marianna, piegando la testa contro il muro. Le dita la riempivano, la scivolavano dentro senza fatica, bagnate dal suo stesso piacere. Si mosse contro la sua mano, cercando di sentirle più a fondo.
“Così… madame… bagnata…” mormorò lui, il respiro caldo vicino al suo orecchio. “Vuole che continui? Vuole che le scopi la fica?”
Marianna annuì, incapace di parlare. Si muoveva contro di lui, la bocca aperta, gli occhi socchiusi. “Sì… si, cazzo…”
Il ragazzo rise piano, un suono basso e sporco, e aumentò i colpi con le dita. Marianna gemeva più forte, ogni spinta un brivido che le attraversava le gambe. Non resse oltre: le mani, quasi da sole, scesero alla cintura dei suoi jeans. Tremando, glieli slacciò, sentendo l’elastico dei boxer che tirava sotto le dita.
“Lei è proprio impaziente, madame,” la provocò lui, lasciandole ancora due dita affondate dentro.
Marianna abbassò lo sguardo, le labbra socchiuse, e sussurrò: “Fammi vedere che cazzo hai lì dentro.”
Il ragazzo la teneva già stretta contro il muro, e Marianna, senza più alcun freno, spalancò le cosce, offrendo la fica che gocciolava. Lui abbassò appena i boxer e tirò fuori il cazzo: duro, caldo, scuro e imponente. Senza esitazione lo puntò contro la fessura già aperta e con un colpo secco la impalò.
Marianna gemette forte, la testa all’indietro, i capelli che le cadevano sulle spalle. “Ohhh… sì!” Il cazzo l’aveva riempita di colpo, profondo, facendole tremare le gambe.
Lui non le lasciò respiro: le infilò le mani sotto al culo e la sollevò, facendole avvolgere le gambe intorno ai suoi fianchi. Ogni affondo era violento, il suono delle cosce che sbattevano contro le sue natiche rimbombava nella stanza dei contatori.
“Madame… la fotto bene, eh? La fotto come una vera putain!”
Marianna ansimava, le unghie gli graffiavano le spalle sudate. “Sì! Cristo sì… scopami… fammi godere… come una putain”
Lui la teneva stretta, pompando sempre più forte, e Marianna gemeva senza ritegno, la fica zuppa che lo inghiottiva a ogni colpo. Sentiva il muro freddo sulla schiena e quel cazzo bollente dentro, un contrasto che la mandava fuori di testa. Il piacere crebbe rapido, il ventre che si contraeva, le gambe che lo stringevano più forte.
“Sto… sto venendo!” gridò, e si lasciò andare. L’orgasmo la investì con onde violente, il corpo scosso da tremiti, le cosce serrate intorno a lui mentre gemeva scomposta.
Ma il ragazzo non si fermò. Continuava a spingerle dentro, più forte, più profondo, come se volesse farle perdere i sensi. Marianna gemeva, ormai senza fiato.
Quando sentì che lui rallentava, il respiro più pesante e il cazzo pulsante dentro, si riscosse. Non voleva che le venisse dentro. Con uno scatto lo spinse via, scivolò a terra con le gambe molli, e gli afferrò il cazzo duro e gonfio.
“Vieni… vieni…,” sussurrò ansimando, e cominciò a segarlo con forza, la mano che scivolava sporca dei suoi umori. Lui buttò la testa all’indietro, grugnendo.
“Oh, madame… sì, così… Continua… ”
Marianna non si fermò finché lui, con un gemito gutturale, esplose. Getti caldi e abbondanti colpirono il muro, sporcandolo di bianco. Alcune gocce le finirono sul braccio, ma lei non si fermò finché l’ultimo spasmo non gli tremò tra le dita.
Rimasero entrambi ansimanti, il respiro pesante che riempiva la stanza. Lei si ricompose piano, tirò su il kimono che le scivolava dalle spalle e lo annodò stretto, le gambe ancora molli.
Lo guardò, sorridendo maliziosa. “Grazie…”
Lui rise piano, tirandosi su i jeans. “Se ha bisogno ancora… mi chiami. Mi chiamo Samir. Per la corrente… la sistemo subito.”
Marianna gli lanciò un ultimo sguardo, un misto di complicità e vergogna sporca, poi si voltò. Camminava piano lungo il corridoio buio, le gambe ancora tremanti, il sesso che pulsava. Salì le scale, raggiunse la reception con un’espressione appena composta, come se nulla fosse accaduto.
Dentro, però, sapeva che quella vacanza era appena cominciata nel modo più perverso possibile.
Marianna arrivò in reception con ancora il respiro irregolare. Cercava di tenere la testa alta, il passo sicuro, ma il corpo urlava ancora quello che aveva appena fatto nel seminterrato. La vestaglia-kimono le aderiva addosso, umida di sudore, e l’odore acre del cazzo e della sborra di Samir le aleggiava addosso come un profumo indelebile.
Dietro il bancone c’era finalmente la ragazza, una morettina sui vent’anni, viso angelico e occhi da furbetta. I capelli lisci lunghi le arrivavano fin sotto il sedere. Appena la vide, le sorrise con dolcezza. “Ha risolto, signora?”
“Sì… sì, tutto a posto.” Marianna tossicchiò, cercando di sembrare naturale. “C’era… un tecnico giù in sala contatori.”
La ragazza la squadrò. Gli occhi le scesero sulle cosce nude intraviste dallo spacco del kimono, poi risalirono lente fino al viso. Il sorriso non era più innocente, ma lento, carico di malizia.
Poi alzò un sopracciglio e disse: “Ah… comunque, credo che abbia qualcosa li.” Allungò il dito sottile, indicando l’avambraccio di Marianna.
Lei abbassò lo sguardo. Gelò per un attimo: una striscia biancastra, lucida, colata proprio lì. Era sperma, il seme caldo che Samir le aveva schizzato addosso. Marianna subito balbettò: “Oh… ma… è solo… crema. Non mi ero accorta.” Cercò di sfregarlo via in fretta con il dorso della mano.
La ragazza rise piano, senza togliere gli occhi da lei. “Certamente.” La parola uscì lenta, carica di sottintesi. Lo sguardo che le rivolse era quello di chi aveva capito benissimo.
Marianna arrossì, imbarazzata ma allo stesso tempo eccitata da quella malizia condivisa. Stava già facendo un passo indietro per congedarsi quando la giovane la richiamò con tono mellifluo. “Signora?”
Si voltò di nuovo. La ragazza che rispondeva al nome di Annika, o così c’era scritto sulla targhetta, aveva preso un foglietto, lo stava piegando piano con le dita sottili, mentre la fissava. “Se le servisse ancora… manutenzione.” Spinse il biglietto verso di lei, piano, come fosse un invito segreto.
Marianna lo prese, con le mani che le tremavano leggermente. Lo aprì e lesse: Samir e sotto un numero di telefono scritto in fretta.
Alzò gli occhi, sorpresa e accaldata, e trovò lo sguardo di Annika. Questa volta non c’era più finzione: le labbra socchiuse, il sorriso sporco. “Così può chiamarlo direttamente. È molto… disponibile.”
Marianna ebbe un brivido che le scosse la pancia. Quel “disponibile” era una confessione in piena regola. La ragazza non solo sapeva, ma probabilmente nei momenti di noia aveva già fatto lo stesso. L’idea che quella faccina angelica andasse anche lei a farsi riempire la fica nel seminterrato la fece inumidire ancora.
Marianna abbassò la voce, con un filo di provocazione che le uscì spontaneo: “Immagino che… lei lo conosca bene.”
La receptionist rise, passandosi la lingua sulle labbra. “Diciamo di si… è volenteroso, sempre pieno di energia… lavora con noi da un po’ e lo usiamo quando ce n’è bisogno…” Fece una pausa, la fissò negli occhi, poi aggiunse: “E non solo per l’impianto elettrico.”
Marianna sentì il cuore martellarle forte. Era osceno, ma eccitante. Due donne che si scambiavano il segreto di un cazzo nero e giovane che sistemava più di una cosa in quel residence.
“Grazie…” mormorò Marianna con un sorriso tirato, quasi complice. Tenendo stretto il bigliettino nella mano sudata si avviò verso l’ascensore, lo strinse come un segreto bruciante e tornò su, al terzo piano.

– Fine capitolo –

Ciao a tutti! Vi è piaciuto? I miei racconti sono tutte esperienze di vita vissuta in prima persona e non, ovviamente romanzati o alterati così come nomi e simili. Se questo vi è piaciuto fatemelo sapere, così saprò se continuare. Se non vi è piaciuto, fatemelo sapere lo stesso! ;) Suggerimenti e idee mi piacciono sempre e scusate se su alcuni aspetti psicologici dei personaggi mi dilungo ma mi piace sia il corpo che la mente e odio i personaggi piatti.
Se volete vedere anche il mio lato artistico, faccio parte del Kollettivo Zookunft!
Cercate online e mi troverete.
A presto, Cherise!

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