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Famiglie Perverse – Cap. 6

By 30 Novembre 2025No Comments

Marianna varcò la soglia del residence con la pelle ancora calda, il sudore che imperlava la pelle, il ricordo della figlia e del marito a scaldarle la fica anche sotto quel tessuto leggero. L’atrio era deserto, il ronzio del ventilatore l’unico rumore a tagliare il silenzio. Stava per salire le scale quando uno spostamento d’aria dietro il bancone della reception la fece fermare.
Lì, nascosta quasi dietro lo schermo del computer, Annika era seduta, i capelli neri come una cascata lucida che le copriva metà volto. Non si accorse subito di Marianna, troppo assorta in quel movimento lento, quasi impercettibile, delle cosce che si sfioravano sotto la gonna, il corpo che si dondolava appena sulla sedia, come se cercasse un attrito segreto. Marianna si avvicinò senza fretta,osservandola senza farsi notare. Quando le fu praticamente davanti finalmente poté vedere cosa stava facendo. La ragazza con le gambe strette leggeva un fumetto, uno di quei fumetti giapponesi erotici dove le immagini erano inequivocabili: corpi legati, seni strizzati da corde, cazzi enormi infilati nelle gole fino a soffocare, demoni che pisciavano in bocche aperte.
Marianna sorrise, un sorriso lento, perverso. Si schiarì la voce, un suono secco che risuonò nell’atrio vuoto.
Annika sobbalzò, il corpo che si irrigidiva all’istante, le dita che si chiudevano di scatto sul fumetto, come se potesse nasconderlo. Quando alzò lo sguardo, il viso era una maschera di imbarazzo, le guance rosse, le labbra serrate. «Signora De Carli! Buon… buongiorno», balbettò, la voce che tremava appena, le mani che si agitavano sul banco, come se non sapessero dove posarsi.
Marianna non si mosse. «E se il direttore sapesse che la sua receptionist si distrae con… queste fantasie?» Fece una pausa, lasciando che le parole affondassero. «Cosa pensi che direbbe, Annika? Pensi che ti lascerebbe ancora lavorare qui, con le famiglie che passano, i bambini che potrebbero vedere… cosa fai quando credi che nessuno ti guardi?»
La ragazza scosse la testa, il rossore che le saliva fino alle radici dei capelli. «No, signora… Ma la prego non dica nulla… non lo faccia. Non voglio perdere il lavoro», supplicò, le mani che si stringevano sul bordo del banco, le nocche bianche.
Marianna si raddrizzò, lo sguardo che scivolava su di lei, freddo e valutativo già pregustando come girare a proprio favore la situazione. scosse la testa, un gesto lento, quasi materno e si avvicinò, abbastanza da farle sentire il proprio profumo, misto a sudore e desiderio. «Il punto cara è che questa… Questa è una questione di… educazione. Non voglio che tu perda il lavoro… ma mi sento in obbligo di aiutrarti ad essere educata, disciplinata. Forse quello che ti serve è proprio questo. Della sana educazione… privata di vecchio stampo.» Le sue dita sfiorarono il polso di Annika, un tocco leggero, ma che bruciava.
Annika sollevò gli occhi, lo sguardo colmo di paura e qualcosa di più oscuro, di più intimo. «Signora, io… non so…», mormorò, ma le parole sembravano vuote, come se il suo corpo stesse già decidendo per lei.
Marianna sorrise, un sorriso che non arrivava agli occhi, ma che prometteva tutto e niente. «Oh, ma io si, Annika. Io lo so. E a meno che tu non voglia che il direttore sappia tutto…» Si voltò verso le scale, lasciandola lì, con il respiro affannoso e le cosce che tremavano. «Dobbiamo sicuramente parlarne da sole… devi capire.»
Annika esitò, le labbra che si aprivano e si chiudevano senza emettere suono, gli occhi che cercavano una via d’uscita. Poi un lampo malizioso le attraversò lo sguardo. «Tra mezz’ora ho la pausa. Se lei può… e vuole aiutarmi, potrei salire da lei. Vedo che è sola. Senza figlia… e senza marito.»
La donna la guardò con occhi di fuoco ed un sorriso perfido sulle labbra. «Perfetto. Appartamento 302. Non farmi aspettare.»
Marianna si allontanò sotto lo sguardo di Annika, le labbra della ragazza ancora socchiuse, il respiro che si spezzava in attesa. Non si voltò, non diede segni di cedimento. Salì in ascensore, le dita che sfioravano i pulsanti con una calma che non sentiva. Appena varcata la soglia dell’appartamento, si liberò dei vestiti in un gesto solo, lasciandoli cadere a terra come una pelle che non le serviva più. L’odore di mare e sudore le aderiva ancora addosso, ma non era quello a farle accelerare il sangue. Si guardò allo specchio del bagno, le mani che si posavano sui fianchi, le labbra umide che si mordevano per trattenere un gemito. Sentiva la vescica piena, la pressione che le pulsava tra le gambe, ma decise di ignorarla. Si sciacquò sotto la doccia, senza perdere altro tempo.
Tornata in camera, indossò la vestaglia nera, leggera, trasparente appena quel tanto da lasciar intravedere il corpo maturo, le curve pesanti, le labbra della fica già gonfie. Ai piedi, infilò tacchi alti e sottili, quelli che le allungavano le gambe e le facevano oscillare i fianchi come un invito o una minaccia. Si osservò nello specchio, compiaciuta, poi aprì la valigia. Tra i vestiti, nascosta, c’era la borsetta dei giochi. La aprì, e un sorrisetto le piegò le labbra: plug di misure diverse, il vibratore, e quel dildo di silicone, grosso, con la base a ventosa. Lo prese in mano, lo pesò, immaginando già la bocca di Annika che lo leccava come un cazzo vero, la lingua che scivolava sulla punta, le labbra che si allargavano per accoglierlo. Lo portò in salotto, insieme al vibratore, e li nascose sotto un cuscino del divano. Sul mobiletto, invece, posizionò la boccetta dell’olio, elegante, apparentemente innocua come un profumo, niente di più.
Guardò l’orologio. Mancavano pochi minuti.
Si sedette sul divano, le gambe accavallate, la vestaglia che si apriva appena, rivelando la coscia nuda. L’attesa le faceva pulsare la fica, il cuore che batteva forte, le labbra che si gonfiavano, umide. Ogni secondo era un tocco invisibile, una carezza che le scivolava tra le gambe.
Poi, il bussare alla porta. Timido. Quasi impercettibile.
Marianna si alzò, lenta, come se il tempo fosse suo e solo suo. Guardò dallo spioncino, poi aprì.
Annika era lì, sulla soglia, le spalle leggermente curve, le mani che si torcevano davanti al corpo. Il rossore le macchiava le guance, le labbra scure serrate in una linea sottile, gli occhi bassi, come se non osasse alzare lo sguardo. «Signora…» mormorò, la voce appena un filo, «sono… sono qui.»
Marianna non sorrise. Non fece nulla per rassicurarla. Rimase immobile, lo sguardo fisso su di lei, freddo, inesorabile. Un cenno del capo, secco. «Entra.»
Annika obbedì, avanzando di pochi passi, i tacchi bassi che scricchiolavano appena sul parquet. Si fermò al centro del salotto, le mani giunte davanti, le dita che si stringevano sudate. «Dove… dove vuole che mi metta, signora?» chiese, la voce che tremava, gli occhi che sfuggivano, come se cercasse una via di fuga che non esisteva.
Marianna non rispose subito. La osservò, lenta, lasciando che il silenzio si allungasse, che si facesse pesante, soffocante. «Fermati lì, al centro della stanza.» Disse prima di sedersi sul divano, accavallando le gambe, la vestaglia che si apriva appena, rivelando la coscia nuda, la pelle che luccicava. «Sai perché sei qui, Annika?»
La ragazza sollevò lo sguardo, appena, le ciglia che battevano rapide. «Sì, signora… Per essere… educata.» Le parole le uscirono a fatica, come se ogni sillaba le costasse uno sforzo immenso.
«Esatto.» Marianna annuì, il tono basso, tagliente. «Ti ho vista. Seduta alla reception, con quei fumetti in mano, le cosce che si sfregavano, la bocca aperta ansimante come una troietta in calore. Non è un comportamento professionale, Annika. Avrei potuto segnalarlo. Invece, ti sto dando un’opportunità.»
Annika si morse il labbro, le cosce che si strinsero impercettibilmente, come se volessero chiudersi su se stesse. «G-grazie, signora…»
Marianna sorrise, ma era un sorriso che non arrivava agli occhi. «Fai bene a ringraziarmi… Ma ancora non sai cosa significa essere educata da me.» Si spostò appena sul divano, la vestaglia che si apriva un po’ di più, rivelando l’ombra scura tra le cosce. «Iniziamo dal vedere cosa nascondi sotto questi vestiti. Spogliati.»
Annika trasalì, gli occhi che si spalancavano, le mani che si aggrappavano alla stoffa della camicetta. «Q-qui? Subito?»
«Subito.» Marianna non alzò la voce. Non ne aveva bisogno. Il suo tono era una lama, affilata e precisa.
La ragazza esitò, le dita che tremavano sui bottoni. Poi, lentamente, cominciò a sbottonare la camicetta, rivelando la pelle chiara, i seni piccoli, tesi, i due anellini d’acciaio che brillavano sui capezzoli duri. La gonna scivolò giù, scoprendo il ventre piatto, i tatuaggi neri che si attorcigliavano sulle cosce, lo slip che si abbassava, rivelando la fica liscia, rasata, già umida, le labbra che luccicavano. «Adesso…?» chiese, la voce appena un sussurro, le braccia che si incrociavano istintivamente sul petto, come se volesse coprirsi.
Marianna non rispose. Si limitò a osservarla, gli occhi che scendevano lungo il corpo di Annika, fermandosi proprio lì, tra le gambe, dove il desiderio era impossibile da nascondere. «Brava» disse infine, la voce che si faceva più profonda, più intima. «Ora vediamo quanto sei davvero disposta a imparare.»
Marianna si alzò dal divano, i tacchi che affondavano nel tappeto mentre le girava intorno, lo sguardo fisso su Annika. Le passò dietro, così vicina che la ragazza poteva sentire il calore del suo corpo, il respiro che le sfiorava la schiena. Un dito le tracciò la spina dorsale, scendendo fino al buchino caldo e stretto, dove si fermò, premendo appena.
«A terra.»
La voce di Marianna era bassa, ma non lasciava spazio a repliche.
«Carponi. Sul tappeto. Adesso.»
Annika obbedì, le ginocchia che toccarono il pavimento con un tonfo sordo, i palmi che si appiattirono davanti a lei. La schiena si inarcò da sola, il culo piccolo e compatto esposto, le labbra della fica già lucide, aperte. «Signora, io…» cominciò, la voce che le tremava, ma non ebbe il coraggio di finire la frase.
«Zitta.»
Marianna si chinò, la mano che si posò sul culo di Annika, accarezzandolo con un tocco che sembrava volerla marchiare. Poi, senza preavviso, lo schiaffo. Secco. Forte. La carne rimbalzò sotto il colpo, i piercing ai capezzoli tintinnarono, Annika sobbalzò, un gemito strozzato che le uscì dalle labbra. «Ah! Signora, per favore…» supplicò, ma le parole si persero in un altro colpo, sull’altra natica, ancora più forte.
«Silenzio!» Marianna ordinò, le dita che scivolavano sulle natiche ormai rosse, calde.
I colpi ricominciarono, uno dopo l’altro, ogni schiaffo che lasciava un’impronta sulla pelle, ogni sculacciata che strappava ad Annika un lamento, un singhiozzo, un gemito che si perdeva nell’aria. «Signora, per favore… è troppo…» piagnucolò, ma le cosce si aprivano sempre di più, la fica che si bagnava, che si apriva, che brillava alla luce del pomeriggio.
«Troppo cosa?» Marianna chiese, la mano che si fermò solo per un istante, le dita che si insinuavano tra le gambe di Annika, sfiorando le labbra umide. «Troppo forte? Troppo piacevole?»
«Io… Non lo so… non lo so!» Annika scosse la testa, il respiro che le usciva a scatti, il culo che si offriva ancora di più, come se volesse essere punito, come se volesse essere usato.
Marianna si fermò, la guardò dall’alto, gli occhi che brillavano. «Brava.» Poi si raddrizzò, si allontanò, i tacchi che battevano sul parquet mentre si dirigeva verso il divano. Prese il grosso dildo di silicone, lo posizionò al centro del salotto, la ventosa che lo fissava al pavimento, eretto, pronto. «Vieni qui» ordinò, la voce che non ammetteva discussioni. «E salici sopra. Fammi vedere quanto sei brava a prenderlo.»
Annika strisciò verso il cazzo finto, le ginocchia che lasciavano una scia sul tappeto, il culo ancora rosso, bollente. Si fermò davanti, le cosce che tremavano, la fica già gonfia, bagnata. «Signora, è troppo grosso… non ce la faccio…»
«Non mi importa.» Marianna si avvicinò, nuda, i tacchi che la facevano sembrare ancora più alta, più imponente. «Lo prenderai lo stesso. E lo prenderai tutto.»
Annika annuì, le labbra che tremavano, gli occhi che si chiudevano mentre si abbassava lentamente, la punta del silicone che le sfiorava le labbra, che cominciava a penetrarla. «Aah… signora…»
«Zitta. E prendilo.»
Annika scese, centimetro dopo centimetro, il respiro che si faceva sempre più affannoso, le mani che si aggrappavano alle proprie cosce, come se volessero aiutarla a reggere il dolore, il piacere, quella sensazione di essere riempita, forzata, usata. «È troppo… mi sta facendo male…»
«Lo so.» Marianna si chinò, le labbra vicine all’orecchio di Annika. «Eppure non ti fermi. Perché sai che è questo che vuoi. Sei una troia, Annika. Una cagna che ha bisogno di essere riempita, usata, addestrata. Vero?»
Annika alzò lo sguardo, gli occhi lucidi, le labbra tremanti. «Sì, signora…» ansimò, la voce rotta, spezzata. «Sono la sua cagna… la sua troia…»
Marianna sorrise, le dita che si insinuavano tra i capelli di Annika, tirandole indietro la testa. «E ora muoviti. Fammi vedere come sai cavalcare.»
Un gemito gutturale salì dalla gola di Annika mentre si muoveva, il corpo che si alzava e si abbassava sul dildo, il respiro sempre più affannato, le mani aggrappate alle cosce per aiutarsi a reggere quel misto di dolore e piacere, la sensazione di essere riempita, forzata, posseduta. Marianna rimase in piedi a osservarla, il corpo nudo che si stagliava contro la luce, i tacchi che la facevano sembrare ancora più alta, più imponente. La vestaglia scivolò a terra con un fruscio, lasciandola completamente esposta.
«Guarda che spettacolo» disse, la voce roca, mentre si avvicinava, piantandosi davanti al viso di Annika. La fica rasata, lucida di eccitazione, era a pochi centimetri dalle labbra della ragazza. Si piegò appena, afferrandola per i capelli, tirandola su quel tanto da averla esattamente dove voleva.
«Apri la bocca. Fammi vedere quella lingua» ordinò. «Mmm… sono sicura che quella la sai usare bene… E di sicuro non la usi solo sui cazzi… vero troietta?»
Annika sorrise facendo intendere la propria sessualità fluida e obbedì all’istante, spalancando le labbra, tirando fuori la lingua, il piercing metallico che brillava sotto la luce. Un filo di saliva le colò sul mento mentre continuava a muoversi su e giù sul dildo, le cosce che tremavano, la fica che lo inghiottiva e lo schioccava a ogni spinta.
La lingua cominciò a scivolare tra le grandi labbra di Marianna, raccogliendo gli umori densi, bevendoli come se fossero l’unica cosa che potesse dissetarla. Il piercing sfiorava il clitoride a ogni passata, strappando a Marianna gemiti sempre più alti, le dita che si stringevano nei capelli di Annika, tenendola ferma, costringendola a dare di più.
Intanto Annika non smetteva di cavalcare il dildo, il culo segnato che si muoveva su e giù, la fica che lo stringeva, lo risucchiava, come se volesse fondersi con quel silicone. Ogni affondo la faceva muovere più forsennatamente con la lingua, come se la penetrazione la costringesse a leccare più a fondo, a cercare ogni goccia, ogni brivido.
Marianna ansimava, la testa rovesciata all’indietro, i capezzoli duri che fremevano. «Cazzo sì… così… con quella pallina… mi fai impazzire…» La vibrazione metallica sul clitoride la portava sull’orlo. Bastarono pochi secondi ancora, la lingua che lavorava precisa, insistente, ed esplose. Un orgasmo violento, urlato, le fece piegare le gambe, spruzzando umori caldi contro la bocca di Annika, che non si fermò un istante. Bevve tutto, la lingua che cercava ancora, le labbra che succhiavano avidamente, come se non volesse perdere nulla.
Quando Marianna provò ad allontanarla, Annika gemette, la voce rotta dal desiderio. «Ancora… la prego, signora… ne voglio ancora.»
Quell’implorare, quell’espressione di piacere senza freni, fecero scattare qualcosa in Marianna. La afferrò per i capelli, tirandola indietro quel tanto da separarla dal proprio sesso. Il respiro era corto, ma la voce piena di cattiveria. «Hai sete, troietta? Bene. Allora ti darò da bere.»
Senza aggiungere altro, aprì di più le gambe, tenendo la fica a pochi centimetri dal viso di Annika. Un brivido le scosse la schiena mentre lasciava andare. Un getto caldo cominciò a scorrere, prima incerto, poi costante, colpendo le labbra della ragazza.
Annika trasalì, gli occhi sgranati per un istante. Poi sorrise. La bocca si spalancò di nuovo, accogliendo il liquido, ingoiando mentre il piscio le riempiva la gola. Parte colava fuori, bagnandole il mento, scivolando sui seni, mescolandosi agli schizzi della sua fica che continuava a muoversi sul dildo.
Marianna godeva a guardarla così: inginocchiata, ubriaca del suo piscio, la fica piena. Ogni sorso la eccitava di più, e Annika, ormai fuori controllo, cominciò ad accelerare le spinte, le cosce che battevano contro il pavimento, il cazzo di silicone che la dilatava con colpi sempre più violenti.
«Bevi, puttana, bevi tutto… «Non ne perdere una goccia, altrimenti ti faccio leccare anche il pavimento.» gridò Marianna, tenendole la testa ferma mentre la inondava.
Annika tremava, singhiozzava di piacere, beveva e leccava allo stesso tempo, con schizzi che le colavano addosso, fino a quando un urlo le esplose dalla gola. Il corpo si irrigidì, la fica si contrasse intorno al dildo, l’orgasmo la travolse, forte, devastante, le gambe che si tendevano, i talloni che battevano sul tappeto.
Eppure non si fermò. Continuò a ingoiare, a leccare, fino a quando il getto si esaurì e il suo corpo smise di tremare. Rimase immobile, ancora impalata, il petto e la pancia lucidi, il respiro affannoso.
Marianna la guardò dall’alto, i tacchi che la facevano sembrare una presenza inarrestabile. «Brava cagnolina…» sussurrò, piegandosi a sfiorarle la guancia. «Adesso puliscimi.»
Annika non esitò. La lingua tornò a lavorare, lenta, metodica, raccogliendo ogni traccia, leccando le cosce, le labbra, il clitoride gonfio, come se non esistesse altro al mondo. Marianna gemette di nuovo, le dita che si stringevano nei capelli della ragazza. Non c’era dubbio: quella troia sapeva come farla godere.
Marianna si allontanò da Annika con un passo lento, lasciandola impalata sul dildo, il corpo ancora scosso dai tremiti. Si avvicinò al mobiletto, prese la boccetta d’olio e la aprì, il liquido dorato che brillava sotto la luce. L’odore speziato si mescolò all’aria già pesante di sudore e desiderio, mentre si avvicinava al culo di Annika, le natiche ancora segnate dalle sculacciate.
«Guarda un po’ qui…» mormorò, versando l’olio sulle mani, le dita che si riscaldavano sfregandosi tra loro. «Che bel culetto stretto, così bianco, così innocente…» Le spalancò le chiappe con un gesto brusco, l’olio che colava lungo la fessura fino al buchino, piccolo e contratto. «Ma so che non lo è, vero, troietta? So che lo usi. So che ti piace sentirti riempire anche da dietro…puttana.»
Annika ansimò, il bacino che si muoveva appena contro quel tocco, la voce che tremava. «Sì, signora… lo uso… mi piace… mi piace farmi scopare il culo…»
«Lo so che ti piace» Marianna rise, un suono basso, gutturale, mentre infilava un dito dentro senza preavviso. «Ti piace sentirti usare, vero? Ti piace che ti facciano male.» Il dito affondò, lento ma deciso, sentendo la resistenza del muscolo che poi cedette, accogliendola. Annika gemette, un suono strozzato, a metà tra dolore e godimento.
«Così… piano piano…» Marianna aumentò la pressione, il dito che scivolava sempre più in profondità, oleoso, caldo. «Ma so che puoi prendere di più, cagna.» Senza aspettare, aggiunse un secondo dito, allargando l’apertura con un movimento circolare, insistente.
Il culo di Annika si tese, le cosce che tremavano, la voce che si spezzava in un «Oddio…» soffocato.
«Oddio cosa?»* Marianna le diede uno schiaffo violento sulla natica, l’impronta rossa che si stampava sull’olio lucido. «Non piagnucolare. Lo vuoi. Lo vuoi così tanto che ti bagni solo a pensarci. Un culetto così non può rimanere vuoto.» Le dita si muovevano dentro e fuori, sempre più decise, finché il buchino cominciò ad aprirsi, ad accoglierle con schiocchi umidi, la carne che si arrossava sotto la pressione.
Annika gemeva a bocca aperta, gli occhi lucidi, il trucco che le colava lungo le guance. «Sì… così…», sussurrava, «più forte… mi piace… mi piace quando fa male…»
Marianna sorrise, crudele, le labbra curve in un’espressione che non prometteva pietà. «Lo so che ti piace… l’ho capito appena ti ho vista.» Le dita si fermarono, poi le sfilò di colpo, lasciandola vuota, tremante. «Ma adesso vediamo quanto reggi.» Le diede una sculacciata così violenta che Annika sobbalzò, l’olio che schioccava sulla pelle. Poi si spostò, sedendosi sul divano, nuda tranne che per i tacchi, le gambe aperte, la fica lucida e gonfia in vista.
«Mostrami quanto vali» disse, la voce che non ammetteva repliche. «Sfila quel cazzo che hai in fica e sieditici sopra. Voglio vederti aprire quel buchino per me. Voglio vederti piangere mentre ti spacca.»
Annika obbedì, si rialzò sulle gambe tremanti, il respiro spezzato, la bocca semiaperta. Si abbassò sul dildo, questa volta mirando all’apertura dietro. La punta toccò il buchino, spinse, e un urlo strozzato le uscì dalla gola, un misto di dolore e piacere.
«Dai, cagna, siediti» Marianna incrociò le braccia dietro la testa, le gambe sempre più aperte, lo sguardo fisso su di lei. «Non ti fermare. Voglio sentirti urlare.»
Annika abbassò il bacino, lenta, la punta che entrava, scivolosa per l’olio. «È… troppo grosso… Non ce la faccio…», sussurrò, la voce che si spezzava, le lacrime che le scendevano lungo il viso.
«Non mi importa» Marianna rise, fredda. «Continua. Aprilo bene quel buco. Devi sentirlo. Devi sentirti spaccare. Le troie come te non meritano altro.»
Annika gemette più forte, lasciandosi scivolare ancora, finché metà del dildo era sparito dentro di lei. I tatuaggi sulle cosce si tendevano, la pelle pallida era rossa e lucida, ma non si fermava. Allungo la mano ed iniziò a sfregare le dita sul clitoride con forza. Piangeva e godeva allo stesso tempo, il corpo che si contraeva intorno al silicone, il respiro che le usciva in singhiozzi.
«Brava, cagna» Marianna si sporse in avanti, afferrandole i capelli, tirandole indietro la testa con forza. «Adesso muoviti. Fammi vedere quanto ti piace.»
Marianna afferrò il vibratore da sotto il cuscino, lo accese e se lo premette contro il clitoride, già gonfio e pulsante. Un brivido elettrico le attraversò la fica all’istante, strappandole un gemito rauco. «Porca puttana…» ansimò, gli occhi incollati su Annika, il corpo della ragazza ancora inchiodato sul dildo, il culo spalancato, le natiche rosse e lucide d’olio. «Guardati. Sei una visione che fa venire voglia di farti male solo per sentire come gemi.»
Annika si muoveva su e giù con movimenti lenti, profondi, le dita conficcate nelle cosce, le unghie che affondavano nella pelle lasciando segni rossi. Ogni spinta le strappava un gemito strozzato, ogni affondo faceva contorcere Marianna sul divano, il vibratore che le massaggiava il clitoride con una vibrazione insistente.
Il respiro di Marianna si spezzava in singhiozzi, ogni lamento di Annika una frustata sul suo piacere. Non riuscì a trattenersi oltre. L’orgasmo le esplose dentro, violento, le cosce che tremavano, le dita che si stringevano convulse sul vibratore mentre un urlo le usciva dalla gola. «Cazzo…» Lo allontanò di scatto, il contatto sul clitoride ormai troppo intenso, insopportabile.
Annika la guardava con gli occhi lucidi, le labbra dischiuse, il corpo che continuava a muoversi sul dildo nonostante l’orgasmo di Marianna. Quando la vide venire così forte, qualcosa dentro di lei si spezzò. Spinse il cazzo di silicone fino in fondo, impalandosi completamente, un gemito che le esplose dalla gola, un urlo spezzato, animalesco. «Signora… sto per—» Il corpo le si contrasse, la fica che colava sul pavimento, il culo ancora inchiodato al dildo, le dita che si aggrappavano alle cosce come se volessero strapparle via.
Marianna la fissava, il respiro affannoso, il desiderio che le bruciava ancora dentro. Vederla godere così non le dava pace. Afferrò la boccetta d’olio e se lo versò tra le cosce, sul buchino dietro, ancora stretto ma pronto. Le dita si insinuarono subito, spalmandolo, preparando l’apertura con movimenti circolari, insistenti. «Guardami, puttana…» ordinò, la voce tagliente. «Guarda… Guarda la tua padrona.»
Spinse il vibratore dentro di sé, sentendolo scivolare nel culo, dentro e fuori, seguendo il ritmo di Annika che, nonostante l’orgasmo, non si placava, continuava a cavalcare il dildo, le labbra che si mordevano per non urlare.
Annika, in ginocchio, ansimava ancora, il corpo piegato in avanti, la voce rotta. «Signora…» sussurrò, «ancora… ne voglio ancora. Voglio essere distrutta.»
Marianna, a quelle parole, non riuscì a resistere. Spinse il vibratore ancora più a fondo piegandolo dentro per colpire un punto che sapeva essere magico per lei. Appena lo fece, sentì l’orgasmo che la travolgeva di nuovo, l’urlo che le usciva dalla gola, selvaggio, liberatorio. «Cazzo, sì…» Si lasciò cadere sul divano, il vibratore ancora dentro, il corpo scosso dai tremiti, la pelle madida di sudore.
Annika, guardandola come ipnotizzata mentre veniva, si alzò quasi a liberarsi dal dildo, per poi ricadere di colpo su di esso. Lo fece due volte, gli occhi che si spalancavano come impazziti. «Signora… non riesco a fermarmi… io… io…» L’urlo le esplose tutto d’un tratto, un suono che sembrò squarciare il silenzio mentre le gambe cedevano.
Marianna, anche lei esausta dopo tre orgasmi, si lasciò cadere sul divano. Con un ultimo sforzo spense la vibrazione del giocattolo, ancora dentro di lei, pulsante.
Era stato troppo. Troppo violento. Troppo perverso. Troppo bello.
Passarono secondi o forse minuti—Marianna non avrebbe saputo dirlo. Il corpo le tremava ancora per gli orgasmi, la pelle calda e appiccicosa, le cosce che si attaccavano al divano. Ma lo spettacolo davanti a lei era più forte della stanchezza: Annika non si era mossa.
Era ancora lì, inchiodata sul dildo, il culo spalancato e impalato, immobile come una statua di carne. Il trucco le colava sul viso, rigandole le guance di mascara sciolto, gli occhi cerchiati di nero. I seni piccoli, sporchi di piscio e saliva rappresa, tremavano al ritmo del respiro spezzato. Le cosce, segnate dalle unghie, brillavano ancora di olio e sudore. Un’immagine che univa degrado e desiderio, squallore ed erotismo puro.
Marianna, esausta ma non sazia, sfilò il vibratore dal proprio culo con un gemito strozzato. Lo lasciò cadere sul tappeto e si alzò, togliendosi i tacchi. Scalza, con i capelli arruffati e il corpo segnato, si avvicinò alla ragazza. Rimase un attimo a guardarla: quella puttanella giovane, ridotta a un groviglio di tremori, incapace di muoversi, era il risultato perfetto del suo lavoro.
Poi, in un gesto che sembrava quasi una carezza, le tese la mano.
«Vieni.»
Annika sollevò lo sguardo, gli occhi lucidi e vuoti, e si aggrappò a quella mano con uno sforzo che le fece tremare le braccia. Si tirò su, le gambe ancora deboli, barcollando. Marianna la sostenne, quasi abbracciandola, e la guidò fino al bagno. Aprì l’acqua della doccia, regolò il getto caldo e la trascinò dentro con sé.
Fu un momento diverso, intimo. Marianna le insaponò il corpo, lavando via lo sporco dalle cosce, il piscio dai seni, la saliva incrostata sul collo. Le dita seguivano i tatuaggi, cancellavano le tracce del gioco, e in quel gesto c’era qualcosa che oscillava tra la padrona e la madre. Annika rimase zitta, gli occhi chiusi, docile come una bambina.
Quando furono pulite, Marianna prese un asciugamano e la asciugò piano, tamponando la pelle ancora arrossata e presa la crema lenitiva le medicò il buchino dietro ancora aperto e martoriato. Poi la portò in salotto e la guardò rivestirsi: camicetta, gonna nera, le dita che tremavano sui bottoni. Non camminava bene, le gambe le cedevano, ma ogni movimento era carico di una gratitudine silenziosa, di una sottomissione che non aveva bisogno di parole.
Finalmente Annika parlò, la voce roca, quasi un sussurro:
«Grazie.»
Marianna la fissò, sorpresa da quel tono sincero. Poi sorrise appena e la attirò a sé per un bacio. Fu un bacio breve, un sigillo.
Annika uscì senza voltarsi, raggiunse l’ascensore e sparì dietro le porte di metallo.
Marianna rimase sola, lo sguardo che scorreva sul salotto: il pavimento macchiato, i giocattoli abbandonati, l’odore pesante di sesso e umori che aleggiava ancora nell’aria. In un istante, si trasformò nella donna di casa. Raccolse i giochi, prese uno straccio e si mise a pulire, cancellando ogni traccia. Aprì le finestre, lasciò entrare l’aria fresca, lavò tutto nel bagno finché non rimase nulla.
Quando il salotto tornò a sembrare normale, guardò l’orologio: erano quasi le tre. Con calma si rivestì, indossò il costume, si legò il pareo sui fianchi e infilò qualche cosa nella borsa. L’aria della spiaggia la richiamava di nuovo.
Scendendo, Marianna vide subito Annika.
Alla reception, Annika era seduta composta, la camicetta bianca impeccabile, ma il volto tradiva un imbarazzo che non sfuggì a Marianna. Davanti a lei, un uomo sulla cinquantina – completo estivo, aria da superiore – la stava rimproverando sottovoce, il tono secco.
«Non è accettabile, Annika. Arrivare in ritardo dalla pausa, lasciare la reception vuota… Questo non deve più succedere.»
Marianna sorrise dentro di sé. Sapeva benissimo dove fosse stata Annika invece che alla reception. Si avvicinò con passo elegante e, fingendo un tono distratto, si inserì nella conversazione:
«Mi scusi se interrompo… ma credo che il ritardo della ragazza sia colpa mia.»
L’uomo si voltò, sorpreso. Marianna continuò senza esitazione, la voce calda e ferma:
«Avevo un problema con il Wi-Fi nel mio appartamento. Non trovavo il tecnico e, non sapendo a chi rivolgermi, ho chiesto gentilmente a questa ragazza se potesse aiutarmi. È stata così disponibile da darmi una mano persino durante la propria pausa…» Fece una pausa, lo sguardo fisso su Annika. «E devo dire che è stata bravissima: adesso funziona tutto alla perfezione. Mi ha risolto un gran fastidio.»
Ogni parola era un complimento, ma dentro c’era un doppio senso che solo loro due potevano cogliere. «Bravissima… così disponibile…»
L’uomo si schiarì la voce, colpito dall’intervento. Guardò Marianna, poi tornò a fissare Annika. Alla fine sospirò e annuì.
«Capisco. Bene, allora scusa accettata. Ma la prossima volta, Annika, avvisa almeno. È una questione di organizzazione, chiaro?»
Annika chinò il capo.
«Sì, certo. Non si ripeterà.»
L’uomo salutò rapidamente Marianna, quasi imbarazzato, e si allontanò nel corridoio.
Per qualche secondo rimase solo il ronzio del ventilatore. Poi Annika sollevò lo sguardo e lo puntò su Marianna. Uno sguardo scuro, ancora più acceso di prima.
Marianna contraccambiò con un’espressione lenta, maliziosa. Un lampo nei suoi occhi diceva tutto: non solo ti ho protetta… ma ti ho anche marchiata. Da oggi sei mia.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Marianna si sistemò il pareo con calma e si voltò verso l’uscita.

– Fine capitolo –

Ciao a tutti! Vi è piaciuto? I miei racconti sono tutte esperienze di vita vissuta in prima persona e non, ovviamente romanzati o alterati così come nomi e simili. Se questo vi è piaciuto fatemelo sapere, così saprò se continuare. Se non vi è piaciuto, fatemelo sapere lo stesso! ;) Suggerimenti e idee mi piacciono sempre e scusate se su alcuni aspetti psicologici dei personaggi mi dilungo ma mi piace sia il corpo che la mente e odio i personaggi piatti.
Se volete vedere anche il mio lato artistico, faccio parte del Kollettivo Zookunft!
Cercate online e mi troverete.
A presto, Cherise!

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