Skip to main content
Erotici Racconti

(Senza titolo)

By 9 Luglio 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

d

La vedevano passare tutte le mattine quando usciva per andare al lavoro e tutte le sera quando rientrava.

All’inizio erano solo commenti pesanti, come capita di solito, ma non si sa cosa scattò quel giorno; non c’era nessuno in strada e le luci erano quasi tutte spente a causa dei lavori.

Fu tutto troppo facile.

Sbucarle davanti all’improvviso, metterle una mano sulla bocca per non farla urlare, bloccarla e trasportarla di peso al capanno.

Erano in cinque, ne sarebbe bastato uno solo. Le legarono qualcosa alla bocca, le strapparono i vestiti e la stuprarono a turno; già dopo il primo non c’era stato più bisogno di mantenerla. Lei non era più lì.

Fu come un incubo, non stava accadendo a lei almeno non nella realtà. Non esistono queste cose. Queste cose non possono capitarle. Non ha fatto niente. Non esiste tanta cattiveria. Non &egrave vero che stanno portandola via, non sono vere le risate e le parole che sente, non &egrave reale il dolore, non c’&egrave la puzza.

Anche se le risate e le parole continuano, in realtà non esistono. Non sente davvero freddo, non &egrave ferita né legata ed imbavagliata in un luogo buio e freddo. Non &egrave reale. Non &egrave possibile, &egrave un sogno e sta dormendo

Si svegliò.

Si vide legata in un capannone di lamiera, non poteva muoversi né parlare.
La porta si aprì.
Ne vide entrare due e subito dopo un altro che richiuse la porta alle sue spalle; e fu ancora dolore. Ma questa volta lo sentiva.

Era reale la puzza, sentiva davvero le parole e le risate. Non era stato un sogno, era un incubo, ma stava avvenendo. Era come risvegliarsi per poi scoprire di essere ancora prigionieri di un altro sogno. Non riusciva neanche a piangere sentiva solo delle calde e grosse lacrime che le bagnavano la faccia.

Sarebbe voluta morire. Avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto capire. Ma ciò che voleva non contava.
Non era nulla più che un pezzo di carne, un giocattolo per chiunque la volesse.
Non contava cosa provava il suo cuore, non esistevano la dolcezza e la poesia; l’amore non era che un lontano e sbiadito fantasma.

C’era il buio, l’orrore e la cruda realtà della cattiveria.

Tremava di notte per il freddo e di giorno per il dolore ed il disgusto che provava nell’anima.
E sempre per il terrore.

Il terrore di sentire la porta aprirsi.
Il terrore del dolore.
Il terrore dello stesso terrore.

Era sul fondo di un pozzo e l’acqua era fredda.
Sentiva il gelo fin nel profondo della sua anima e non riusciva a vedere la luce. Per quanto si sforzasse, per quanto alzasse lo sguardo al cielo, c’era solo buio e freddo.
Persa. Nel fondo oscuro del più profondo pozzo scavato da mano umana. Ma non può definirsi umana una mano capace di compiere tale opera.

Possibile che non avessero una moglie, una figlia, una madre? Era troppo assurdo per essere vero. Neanche il diavolo incarnato poteva compiere un simile atto.

Ma la porta tornò ad aprirsi.

A volte erano in gruppo, a volte anche uno solo. E puzzavano di alcool e di sudore.

E si aprì ancora ed ancora.

A volte era svenuta quando accadeva, a volte anche al di là dell’incoscienza.
Perse il senso del tempo, i suoi occhi persero la luce, e tutto ciò che poteva percepire erano solo ombre nere e confuse.

Ombre nere, ancora più scure del fondo nero del pozzo nel quale ormai continuava ad esistere. Ma sentiva ancora il dolore ed il freddo.

Il freddo del suo corpo e dalla sua anima, ed il gelo che portavano dentro quegli spettri oscuri.

Era stata una ragazza normale, con il suo mondo infinito nel cuore. Aveva riso, aveva amato; ma ora non conosceva più nulla se non il terrore, il freddo dell’anima ed i rumori che precedevano il dolore.

Mai il dolore si attenuò. Mai il gelo smise di attanagliarle le viscere.E mai, mai, il terrore le lasciò andare l’anima.

E forse per il freddo, forse di inedia, di paura o di dolore, morì.

E lì non sarebbero più riusciti a prenderla.

Il libro di Morfeo:
Sogni

Il Blog:
Flow Morphia Slow

Collana Imuse:
Il Blog

Leave a Reply