Skip to main content
Racconti di Dominazione

Mountain bike

By 22 Novembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Pedalavano allegramente in sella alle loro mountain bike fiammanti.
Acciai speciali e leghe a base di alluminio, tutta la tecnologia moderna immessa in quei due oggetti, moderni e sofisticati, permetteva loro di affrontare qualsiasi tipo di terreno.
Grazia e Gisella pedalavano felici nel parco, in sella alle loro bici fiammanti.
Diciassette anni, un fisico snello e ben proporzionato, le due amiche scorrazzavo felici, in sella ai loro destrieri tecnologici, per le stradine sterrate del parco, in quella mattinata soleggiata di >i>quasi estate.
il parco non era una villa cittadina, ma un parco naturale, un grande appezzamento di campagna verde, in mezzo alla periferia cittadina.
All’improvviso, i palazzoni si interrompevano di colpo, ed iniziava il parco.
All’inizio era giardino curato, con panchine, cestini per le cartacce e persino un paio di fontanelle.
Era la parte frequentata da persone anziane e giovani mamme con il passeggino. Poi ci si inoltrava nella parte più naturale, frequentata da proprietari di cani in vena di passeggiate, podisti, corridori e sportivi vari.
Ma solo con una buona bicicletta, in grado di affrontare ogni terreno, si poteva esplorare la parte più lontana dall’ingresso.
Il parco era solcato da alcune strade sterrate, tutto sommato comode e percorribili anche con un bicicletta normale, ma se volevi affrontare i difficili sentieri sterrati, che solcavano le ripide colline, dovevi procurarti una mountain bike e saperla usare.
Le due amiche erano partite presto, perché in quella stagione non era consigliabile pedalare nelle ore calde ed ora stavano percorrendo una strada che passava in alto, costeggiando un ripido strapiombo, dove una volta c’era una cava.
Caschetto, guanti e protezioni per gomiti e ginocchia, per evitare scorticature, in caso di caduta, visto che indossavano solo una maglietta e del calzoncini corti.
‘Dai, andiamo a sfottere il vecchio sciancato?’
Gisella, delle due, era la più intraprendente e sfrontata e Grazia, la seguiva sempre, magari controvoglia.
‘Va bene, però, forse, non dovremmo, poveraccio.’
Il vecchio viveva i una casa colonica semi diroccata, con qualche pecora, un po’ di galline ed un paio di grossi cani.
Si arrivava da lui percorrendo un sentiero in discesa, pieno di buche e di sassi, che partiva proprio dalla strada che stavano percorrendo.
Sul bivio, ai lati del sentiero, il vecchio aveva piantato due cartelli. Su uno c’era scritto: VIETATO ENTRARE ‘ PROPIETA PRIVATA. Sull’alto, disegnata con mano incerta, una sagoma che voleva essere un teschio con due tibie incrociata.
Il guardaparco le aveva detto una volta, che il vecchio era solo un occupante abusivo, e quei cartelli non avevano alcun valore, comunque, non aveva mai fatto male a nessuno.
‘Dai, andiamo.’
‘Va bene.’
Gisella si lanciò per la discesa con i lunghi capelli castani al vento e Grazia la seguì a pochi metri.
Superarono la casa diroccata, suonando furiosamente i campanelli.
Ora il vecchio sarebbe uscito, imprecando ed agitando il bastone che portava sempre con se, mentre i cani si sarebbero messi ad abbaiare, ma loro sarebbero state lontane, alla fine del sentiero che si riallacciava alla strada bassa, che costeggiava il piccolo fiume.
Gisella gridò e frenò bruscamente, facendo sbandare la bici, che deviò verso sinistra.
Mentre anche lei, istintivamente tirava i freni, Grazia vide la sua amica volare in aria, poi, capì cosa stava succedendo.
A terra, semi nascosto dall’erba alta che cominciava ad ingiallire, c’era del filo spinato.
Diversi fili, disposti ad arte, in senso trasversale e fissati con cura al terreno, prendevano tutto lo spazio utile per passare, rendendo impossibile evitarli.
Entrambe le gomme si squarciarono e la bici di Grazia piegò verso destra, lei cercò disperatamente di recuperare l’assetto, ma una grossa pietra, colpita in pieno dalla ruota anteriore fece il resto e lei si trovò in volo prima ancora di rendersene conto.
Atterrò violentemente in un cespuglio di cardi che le punsero le gambe nude, ma tutto sommato le era andata bene.
Si rialzò subito e vide che anche Gisella era in piedi. Le loro biciclette, ormai inutilizzabili, giacevano qualche metro più su.
Il vecchio era uscito dalla casa e procedeva lentamente verso di loro, trascinando la gamba destra completamente rigide, mentre i suoi cani risalivano dal basso tagliandole la strada di una possibile ritirata.
Una trappola, il vecchio aveva teso loro una trappola ed ora erano accerchiate.
Impossibile fuggire a piedi, con i cani che le avrebbero raggiunte subito, impossibile usare le bici, con le gomme squarciate.
‘Prendete le biciclette e venite dentro.’
Aveva una voce aspra e dura, con un forte accento sardo e, vedendolo più da vicino, appariva meno vecchio di quello che loro avevano sempre creduto.
I cani erano a pochi metri da loro e continuavano a risalire la collina ringhiando, non avevano scelta e tirarono su le biciclette e seguirono il vecchio spingendo le loro ormai inutili cavalcature.
Fece cenno alle due ragazze di lasciare le biciclette di lato, a fianco ad un muretto, poi aprì la porta e le ragazze, contrite e spaventate, entrarono, seguite prontamente da lui e dai due cani.
Il rumore secco del catenaccio fece venire a Grazia dei brutti pensieri.
Nell’unico grande stanzone in cui il vecchio viveva, c’era un enorme tavolo di legno rettangolare. Il vecchio, spingendole con il bastone, le fece mettere una di fronte all’altra sui lati corti del tavolo.
Gisella accennò a parlare. ‘Mi scusi, signore, non lo faremo più …’
Un colpo del bastone, vibrato con violenza in mezzo al tavolo, la convinse che era meglio stare zitta.
‘Oh, dopo quello che vi farò, ne sono sicuro. Ora, giù i pantaloni.’
‘No per favore …’
un altro colpo, ancora più forte, ed i cani iniziarono a ringhiare.
Il vecchio toccò Gisella con la punta sulla pancia scoperta, abbassando poi il bastone, fino ad incontrare il bottone di metallo che chiudeva i suoi pantaloncini.
La ragazza, timidamente, abbassò i pantaloncini mostrando un piccolo slip color pesca.
‘Giù!’ Gridò il vecchio piazzando il bastone in mezzo alla lampo semi aperta e Gisella li abbassò fino alle ginocchia.
‘Anche queste’, disse infilando il bastone sotto il bordo delle mutandine della ragazza, ‘voglio vedere i vostri sederi nudi.’
Gisella con le lacrime agli occhi, non poté far altro che abbassare anche lo slip, poi il vecchio volse lo sguardo a Grazia, che era rimasta come pietrificata.
‘E tu che aspetti? Lo devono fare i cani, a morsi?’
Grazia si sbrigò ad eseguire il suo ordine, poi il vecchio si mise in mezzo al tavolo, stese le braccia e prese con le sue manone la nuca delle due ragazze, tirandole forte per i lunghi capelli castani, costringendole così a piegare il busto sul tavolo.
Erano troppo spaventate per reagire e l’uomo le fece stendere con le braccia in avanti lungo il tavolo. Ora le punte delle dita delle loro mani arrivavano a toccarsi, mentre lui rapidamente legava prima i loro polsi e poi le braccia dell’una all’altra.
Erano completamente bloccate, impossibilitate a muoversi, mentre il vecchio agitava minaccioso il bastone.
Grazia pensò a suo padre e a quando era bambina.
Suo padre aveva cominciato a picchiarla a sei anni.
Suo padre beveva e poi, dopo averle fatto tirare giù le mutandine, la colpiva con la cinghia dei pantaloni.
Lo faceva solo quando beveva, ma purtroppo beveva spesso.
Una sera, aveva nove anni, era andato all’osteria e poi non l’aveva più picchiata.
Sua padre era morto, schiacciato da un tram, e caso strano del destino, il tranviere era risultato ubriaco, mentre suo padre era perfettamente sobrio, visto che l’incidente era avvenuto prima che lui raggiungesse l’osteria.
Ora questo vecchio l’avrebbe picchiata come faceva suo padre, usando il bastone invece della cinghia.
Avrebbe fatto più male?
La cinghia bruciava forte e lasciava dei segni violacei, che impiegavano giorni a sparire.
Il bastone forse le avrebbe lasciato dei lividi blu.
Il vecchio, ora era alle spalle di Gisella e Grazia, improvvisamente, capì che non le avrebbe colpite con il bastone.
Si era aperto e calato i pantaloni, la sua amica non poteva sapere che stava per accadere, ma se ne sarebbe accorta presto.
L’uomo si sputò due volte su una mano e poi cominciò a toccare il sedere della ragazza.
Gisella gridò. ‘Grazia, aiutami …’
il vecchio lasciò cadere il bastone in terra e si spinse addosso alla ragazza.
Grazia lo vedeva muoversi, spingendo forte con i fianchi mentre la sua amica gridava e piangeva.
‘Per favore, no, questo no … signore, mi lasci andare.’
Si fermò solo un attimo, poi spinse più forte e la ragazza lanciò un urlo altissimo per poi scoppiare in un pianto dirotto.
Ora il vecchio le aveva piazzato le manone sulle chiappe e si muoveva ritmicamente, scuotendo la ragazza ed il tavolo.
Grazia pensò che la sua amica, che aveva un ragazzo parecchio più grande di lei, una volta le aveva detto: ‘io mi faccio inculare sempre, è bellissimo e poi non si rischia di rimanere incinte.’
La sua amica si divertiva spesso a stupire tutti, usando un linguaggio sboccato, ma lei sapeva che spesso inventava un po’.
Ora, osservandola, era sicura che con il suo ragazzo non avesse fatto mai nulla di tutto ciò.
Il vecchio aumentò il ritmo, poi si fermò.
Quando si allontanò da Gisella, Grazie si accorse con orrore che il suo pene era striato di sangue, il sangue della sua amica.
L’uomo prese uno straccio sudicio e si pulì, poi lo passò pure addosso alla ragazza, che ora singhiozzava sommessamente. Venne verso Grazia, camminando lento, con la gamba rigida a rimorchio, ed il suo pene, che stava tornado eretto, in mezzo ai pantaloni aperti.
Grazia non gridò e non pianse.
Emise solo un gemito di dolore, quando riuscì a violare il suo ano, che non aveva mai concesso a nessuno.
Maledetto vecchio bastardo, andrò dritta in commissariato e ti denuncerò, non uscirai più di galera. Stai violentando due minorenni.
Si stava eccitando sempre più, tra un po’ il suo sperma sarebbe uscito fuori.
Aveva un minimo di pratica, di quando, soli a casa, lei ed il suo ragazzo, facevano un po’ di sesso.
Niente di particolare, si toccavano, si eccitavano a vicenda, lei glie lo prendeva in mano e lui cominciava a sditalinarla.
Sapeva quando un cazzo sta per sparare il suo colpo. Il vecchio tra poco, avrebbe sparato proprio nel suo culo.
Ora spingeva più forte, era tutta indolenzita e sperò che finisse presto così sarebbe tornata a casa.
Il vecchio venne, dentro di lei, nel suo culo appena inaugurato, inondandola, poi si tolse subito.
Lo sentì passarle lo traccio sporco e bagnato in mezzo alle sue gambe, poi avvertì che le corde si allentavano.
Le aveva liberate, la loro punizione era terminata.
Indolenzite, turbate ed umiliate, le due ragazze si rivestirono, sotto gli occhi soddisfatti del vecchio.
Accostò due sedie al tavolo e le invitò a sedersi.
Un piatto per ognuna di loro, con una fetta di pane con sopra spalmata della ricotta.
Il pane era duro ma la ricotta fresca e saporita.
Ci ha trattato come due bambine, prima la punizione e poi la merenda. C’era voluto un po’ di tempo per riparare i guasti di quella brutta avventura capitata a Grazia e Gisella.
Le loro biciclette erano tornate a posto facilmente, era stata sufficiente una capatina al negozio dove le avevano comprate, per sostituire copertoni e camere d’aria.
Le ammaccature e le escoriazioni causate dalla caduta, erano sparite in pochi giorni.
Le mutandine ed i pantaloncini, macchiati del loro sangue e dello sperma del vecchio, erano stati lavati a mano, di nascosto delle loro madri, e non mostravano alcuna traccia di quanto era accaduto.
Entrambe avevano avuto piccole perdite di sangue, che si erano esaurite nel giro di qualche giorno, insieme al dolore, all’inizio molto fastidioso.
Naturalmente, quella strana e terribile esperienza aveva lasciato dentro di loro dei segni molti più importanti di quelli esteriori.
Non avevano fatto nessuna denuncia.
Quando avevano ripreso la via di casa, spingendo le loro cavalcature azzoppate, le due ragazze, malconce, doloranti ed umiliate, non avevano alcuna voglia di raccontare ad un poliziotto di essere state brutalmente sodomizzate da un vecchio sciancato.
Specialmente Gisella, che aveva perso la sua solita baldanza, aveva fatto tutta la strada in silenzio, piangendo.
In seguito, non avevano mai parlato tra di loro di quella storia, e, meno che mai, ne avevano fatto parola con altri.
Gisella aveva conservato il suo carattere esuberante e le sue uscite ad effetto, volutamente sboccate, avevano continuato a far parte del suo repertorio, ma evitava con cura di fare accenni a questioni di tipo sessuale.
Sembrava, insomma, non aver digerito la brutta avventura con il vecchio.
Grazia, invece, era più serena. Tutto sommato pareva aver dimenticato la violenza subita.
Passate le fitte al posteriore, avevano ripreso le scorribande in bici nel parco, ma si tenevano alla larga dalla casa del vecchio e Gisella sembrava più prudente, nel lanciarsi nelle discese ripide e sconnesse.
Erano passati due mesi e, in quel caldo pomeriggio di fine estate, Grazia, senza dir nulla alla sua amica, era uscita in bicicletta.
Aveva strane idee per la testa, che non comprendeva fino in fondo.
Aveva pedalato in lungo ed in largo per il parco, andando piano, perché il sole, a quell’ora, picchiava forte.
Era passata due o tre volte davanti al bivio del sentiero che portava a quella casa ma aveva sempre tirato dritto.
Però si ritrovava sempre a passare di lì.
Perché?
La quarta volta imboccò la discesa.
Piano, senza correre, guardando bene a terra, tante volte il vecchio avesse sistemato qualche altra trappola.
Raggiunse in silenzio la casa. I due cani sonnecchiavano all’ombra e non sembravano minimamente interessati all’intrusa.
Poggiò la bicicletta nel punto in cui l’aveva lasciata l’altra volta e bussò leggermente alla porta.
L’uscio era solo accostato e, il colpetto che lei diede, lo fece aprire per metà.
Grazia, sei ancora in tempo. Sali subito in sella e scappa via, il più lontano possibile.
Invece fece un passo avanti.
Il vecchio era seduto davanti al grande tavolo e, quando sentì la porta cigolare, alzò lo sguardo.
‘E tu che ci fai?’
Era sorpreso, ma anche lei era stupita di essere tornata in quel posto.
‘La tua amica non è venuta?
Eh, già, sembrava averne avuto abbastanza.
Tu invece sei tornata dal vecchio Efisio. Perché?
Sei una bella ragazza, sei giovane. Hai veramente bisogno di un pastore vecchio e zoppo, per farti inculare?’
L’ultima parola l’aveva colpita come una sferzata.
Che poteva dire a quest’uomo, che suo padre ‘ un padre che non c’era più e che la picchiava con la cinghia dei pantaloni e lei ‘ sì, e lei lo voleva sostituire con uno sconosciuto ‘ che invece le aveva sfondato il culo con il suo cazzo, come avrebbe detto la sua amica Gisella, per stupire gli eventuali ascoltatori, la sua amica Gisella, quella di prima però ‘
Era completamente confusa, i suoi pensieri si accavallavano ma doveva comunque dare una risposta all’uomo.
Entrò e spinse la porta dietro di se, poi andò verso il tavolo e prese posizione nello stesso punto in cui il vecchio l’aveva fatta mettere due mesi prima.
Non avrebbe parlato, ma i suoi gesti avrebbero detto più delle parole.
Si tolse i pantaloncini e li poggiò sul tavolo, piegati.
Si tolse anche le mutandine nere, facendo attenzione a non sporcarle con le suole delle scarpe e le sistemò sopra i pantaloncini.
Non aveva alcuna voglia di lavare di nuovo, di nascosto, nel lavandino, la sua biancheria.
Prese dalla tasca dei pantaloncini un pacchetto di salviettine bagnate e profumate e lo poggiò sul tavolo, a portata di mano.
Infine si piegò in avanti, stendendo il busto sul tavolo e tenendosi saldamente con le mani al bordo esterno.
Il vecchio non disse nulla, si alzò e venne verso di lei, trascinando la gamba zoppa.
Camminava piano e intanto si stava sbottonando i pantaloni.
Le passò a fianco tenendosi il pene con una mano, cercando di fargli prendere l’erezione rapidamente.
‘Beh, ragazza, contenta tu …’
Si sentiva presa da una strana eccitazione.
Se era qui, se era tornata, era perché le piaceva.
Lo avrebbe detto a Gisella? Sarebbe stata lei, una volta tanto, a stupire la sua amica?
Il vecchio si sputò due volte sulla mano. Chissà, forse era una specie di rituale.
Le passò rudemente il palmo della mano bagnata in mezzo alle natiche come l’altra volta, ma questa volta le sembrò quasi che la carezzasse amorevolmente, mentre nell’altra occasione lei ci aveva sentito tutta la la violenza e la prevaricazione del maschio che si prende la femmina.
Le piaceva essere presa con la forza?
Provava realmente piacere a subire violenza?
Il vecchio le allargò le chiappe con le mani, interrompendo i suoi pensieri.
‘Come ti chiami?’
‘Grazia, e tu?’
‘Efisio.’ Già, glie lo aveva detto poco prima.
Lo spinse forte dentro e lei si dovette aggrappare ancora più saldamente al tavolo.
Spinse ancora e Grazie emise un gemito soffocato.
‘Ti fa male?’
Si preoccupa di me, mio padre non mi ha mai chiesto se mi facevano male le cinghiate.
‘Solo un po’, però …’
‘Però ti piace.’
Aveva ragione lui? Le piaceva essere inculata? Meglio delle cinghiate? Stava forse impazzendo.
Il vecchio lo spinse ancora fino in fondo, poi cominciò a muoversi e Grazia non pensò più a nulla.
Le piaceva, le piaceva e, forse, sarebbe tornata in seguito in questa casa, per provare ancora le stesse sensazioni.
Le piaceva quel cazzo, grande e duro, che si faceva strada dentro di lei, una cosa viva che la penetrava, la invadeva progressivamente.
Certo, se avesse pensato anche all’aspetto di quell’uomo, vecchio, sciancato e pure un po’ sudicio, non le sarebbe dovuto piacere.
Ma lei non lo vedeva, perché era alle sue spalle.
Ne poteva sentire le mani che l’avevano abbrancata sui fianchi, forse per paura che lei pensasse di scappare.
Avvertiva le pressione del suo ventre e delle sue cosce, che spingevano su di lei, nel tentativo di penetrarla ancora più profondamente.
Udiva nettamente il suo respiro profondo e ansimante.
Grazia cominciò a muoversi al suo ritmo. I suoi fianchi e le sue natiche ondeggiavano mentre il vecchio, al colmo dell’eccitazione, ansimava sempre più forte e, alla fine le sparò dentro il suo sperma caldo.
Era eccitata, avrebbe voluto toccarsi, ma forse non era il caso farlo davanti a lui. Lo avrebbe fatto dopo, a casa, nella sua stanza.
Il vecchio rimase incollato a lei e Grazia, lentamente si rialzò.
Sentiva lo sperma che le colava lungo le gambe magre e abbronzate. Aveva fatto bene a spogliarsi, altrimenti si sarebbe sporcata tutta.
‘Peccato per la tua amica. Non sa quello che si perde.’
Le disse mentre sfilava dal suo culo il pene ormai tornato alle dimensioni usuali.
Grazia prese un fazzolettino e si ripulì.
Questa volta non c’erano tracce di sangue, meglio così.
Ne offrì uno anche al vecchio, ma lui preferì lo straccio sudicio che già aveva usato la prima volta.
Grazia prese in mano le mutandine ma il vecchio la fermò con un gesto.
‘Aspetta. Non andare ancora.
Sei molto carina. Fatti vedere.
Hai due belle gambe ed un culetto che sembra fatto apposta ‘
quanti anni hai, Grazia?’
‘Venti’, mentì lei, mentre il vecchio le carezzava le chiappe, e guardava fisso in mezzo alle sue cosce abbronzate il triangolino bianco di pelle lasciato dallo slip del bikini, che aveva portato per tutta l’estate.
Fissava quel pezzo di pelle, il taglio rosso del suo sesso semi aperto, come una bocca che sorrideva, ed il ciuffetto di peli scuri sovrastante.
Ora mi scopa. No!
Oddio no! Sono vergine, non prendo nulla e in questi giorni poi …
Non posso rimanere incinta a diciassette anni, con un vecchio pastore sciancato.
Efisio la prese con le mani dietro alle cosce e la issò sul tavolo.
Era meno vecchio di quello che le era sembrato fino ad ora e sembrava molto forte.
Grazia si trovò sdraiata sul tavolo, con le gambe piegate ed allargate, con il viso di Efisio ficcato in mezzo.
Sapeva cosa fare, molto meglio del suo ragazzo.
Sapeva usare bene le dita e la lingua.
Lei all’inizio era tesa, rigida, ma le sue mani ruvide, che scorrevano sulla sua pelle liscia, riuscirono subito a calmarla.
Poi sentì la sua lingua ed ebbe un sussulto.
Esplorò ogni angolo del suo sesso, con la massima cura, finché Grazia non cominciò a gemere.
Ora era eccitata come non le era mai capitato e se lui glie lo avesse ficcato dentro non avrebbe protestato, non avrebbe pensato alla sua verginità o al rischio di restare incinta.
Efisio si fermò e le allargò leggermente le labbra con le mani.
Lo sentì biascicare qualcosa sul fatto che ora fosse pronta.
Quando riavvicinò il viso, la sua lingua andò dritta sul clitoride di Grazia, che ebbe un sussulto accompagnato da un grido, ma il vecchio non se ne curò minimamente e continuò.
A volte la lingua si fermava un attimo e allora lo stringeva con le labbra, strizzandolo e tirandolo.
A Grazia sembrava di avere un lago in mezzo alle gambe mentre il piacere cresceva.
Il vecchio si fermò solo quando la ragazza raggiunse l’orgasmo, solo allora sollevò il viso dal suo ventre.
Era completamente fradicio perché Grazia, mentre veniva, lo aveva spruzzato abbondantemente con i suoi umori.
Lei si mise a sedere sul tavolo e si asciugò con un’altra delle sue salviettine.
Questa volta Efisio non usò lo straccio sudicio ed accettò volentieri la salviettina che la ragazza gli offrì.
Sembrava contento ed annusava con piacere il leggero profumo di lavanda che emanava quel pezzo di carta bagnato.
La fica alla lavanda, avrebbe commentato la sua amica Gisella, se fosse stata presente.
‘Ora va meglio vero?’
Disse sorridendo il vecchio.
Sì, aveva ragione.
Lei si rivestì in fretta ed uscì.
Sulla soglia Efisio le diede una busta con dentro una ricotta incartata nella plastica e sei uova avvolte nella carta da giornale.
A casa diede a sua madre le uova e la ricotta, naturalmente senza dirle come se le fosse procurate. Erano trascorsi dodici anni da quell’estate in cui Grazia e Gisella, diciassettenni, avevano fatto quella che si sarebbe potuto definire, la loro prima esperienza anale.
Erano rimaste amiche ma si erano un po’ perse di vista.
Gisella aveva interrotto l’università perché era rimasta incinta e si era sposata con il suo ragazzo di qualche anno più grande.
Ora viveva in un paese a cinquanta chilometri, aveva una bambina di otto anni e si sentiva ogni tanto che la sua amica.
Grazia si era laureata, aveva un buon impiego in una ditta farmaceutica e conviveva felicemente, anche se, per ora, non aveva intenzione di sposarsi o di fare figli, ma il suo rapporto era solido e stabile.
Di quegli anni trascorsi con la sua amica, aveva conservato la passione per la bicicletta.
La mountain bike era stata venduta ed ora si serviva di una bici da donna con il cambio, molto comoda, per girare in città, ma utilizzabile anche nel parco.
Aveva fatto sostituire i copertoni originali con quelli più larghi ed artigliati e riusciva ad andare in giro facilmente sullo sterrato, naturalmente senza pretendere di affrontare le difficoltà che solo una vera mountain bike era in grado di superare.
In quel caldo pomeriggio d’estate si era presa una piccola pausa e così, come faceva spesso, era andata a pedalare nel parco.
Una signora giovane ed elegante, che faceva la sua bella passeggiata salutare, in mezzo a prati ed alberi.
Aveva indossato per l’occasione una gonna a pieghe larga e comoda, utilizzabile senza problemi su quella bici che aveva il telaio da donna.
Nel cestino anteriore aveva un pacco di vecchie riviste che avrebbe dovuto consegnare.
Percorse la strada sterrata che passava in alto, sopra la vecchia cava abbandonata e si fermò davanti al viottolo che ben conosceva, poi svoltò e cominciò a scendere lentamente, con cautela, cercando di evitare le pietre più grandi.
Era rimasto tutto uguale in quegli anni. Nessuno aveva riparato i muri scorticati della casa. Al massimo cercando di far riaffiorare nella sua mente i ricordi di quando aveva diciassette anni, poteva affermare che la tinta delle pareti si era ulteriormente sbiadita, ma nulla di più.
Bussò leggermente e spinse la porta senza aspettare una risposta di chi era dentro.
Quante volte era stata lì in quegli anni?
Non era assolutamente in grado di contarle.
Efisio era invecchiato.
Non aveva mai saputo realmente quanti anni avesse, d’altra parte neanche lei gli aveva mai confessato che lei e la sua amica, quando le aveva prese con la forza, quella prima volta, erano minorenni.
Beh, veramente, minorenne lo era stata per decine di altre volte, perché lei era tornata spesso da Efisio, prima di fare diciotto anni, e poi tante volto dopo.
Sua madre apprezzava molto la ricotta che lei portava, ed anche le uova, freschissime.
Il vecchio si era fatto curvo e camminava con maggiore fatica, ma lo aveva sempre dritto e duro e quella era l’unica cosa che contava, lo sapeva bene.
Sapeva molte cose di Efisio, perché dopo parlavano.
Come tutti i vecchi, amava parlare della sua vita, raccontare le sue avventure, belle e brutte.
Una vita dura e difficile.
Prima nelle miniere del Sulcis, poi, quando queste avevano cominciato a chiudere, era andato a fare lo stesso lavoro in Belgio.
Una grave malattia polmonare aveva messo fine alla carriera di minatore di Efisio e così era tornato in Italia.
Un sardo povero e semi analfabeta può fare solo due mestieri: il minatore o il pastore.
Così Efisio divenne pastore, prima in Sardegna, poi in Maremma, finché un giorno cadde da un dirupo, mentre cercava una pecora sperduta.
La gamba era rimasta rigida e storta e, un pastore che non può seguire il suo gregge, non è un buon pastore.
Così era finita la carriera di Efisio pastore, ora condannato a sopravvivere con la piccola pensione che gli arrivava dal Belgio e quello che ricavava dalle cinque pecore e dalle poche galline che teneva in un recinto dietro la casa.
‘Ti ho portato qualcosa da leggere.’ Disse Grazia posando sul tavolo le riviste.
‘Quanti anni sono che vieni qui?’
‘Più di dodici, perché?’ Rispose lei.
‘Efisio sta diventando vecchio, anche se una cosa ancora gli funziona bene.
Tu invece, con il passare dei giorni, sei sempre meglio.’
‘La prima volta, quando entrasti qui con quella tua amica, sembravi una ragazzina.
Con quel culetto piccolo e rotondo e quelle gambe magre, non ti avrei dato più di sedici anni.
Ora invece …’
il vecchio era dietro di lei e le sollevò la gonna a pieghe.
‘Ora invece ‘ sei una bella signora con un gran culo e due gambe ‘ giuste.’
Grazia, quando andava a trovare Efisio, aveva preso l’abitudine di mettere una gonna senza niente sotto. La eccitava poggiare sulla sella della bicicletta il suo sedere nudo, con la larga gonna a riparare le sue parti intime da sguardi indiscreti.
Pedalava prima per strada, poi nei vialetti sterrati del parco e quando incrociava qualcuno, le veniva quasi da ridere. Se avessero saputo ‘
Si chinò in avanti e si poggiò al tavolo, come aveva fatto ormai centinaia di volte, mentre Efisio le sollevava completamente la gonna.
Aveva preso diversi chili in quegli anni. Aveva fatto un sedere bello grande, le gambe si erano irrobustite, ma le lunghe pedalate, a cui non aveva mai voluto rinunciare, le avevano mantenute toniche e sode.
Insomma era una bella signora trentenne, con le curve al punto giusto, perfetta per ‘
Efisio si sputò due volte sulle mani.
In tanti anni non era riuscito a levarsi quel vizio, che a Grazia aveva sempre fatto un po’ schifo, ma non puoi far cambiare le abitudini ad un vecchio, e poi, tutto il resto andava bene.
Il vecchio lo appoggiò in mezzo alle sue natiche, le allargò leggermente con le mani e lo spinse dentro.
Sì, nonostante gli anni, Efisio lo aveva ancora bello duro.
Impiegava solo un po’ più di tempo a venire e, ogni tanto, doveva fermarsi a prendere fiato, ma questo non era un problema per Grazia, anzi.
Ormai si conoscevano benissimo, il loro affiatamento era perfetto.
Grazia cominciò a muoversi appresso a lui, che aumentò il ritmo.
Non devo esagerare, la sua salute non è più quella di una volta, mi dispiacerebbe se dovesse prendergli un accidente proprio in mezzo ‘ a un inculata.
Efisio prese a spingere con più forza e lei si preparò.
Le venne dentro, come aveva fatto tante altre volte, poi rimase qualche secondo, ansante, appoggiato a lei.
Si pulirono entrambi con i tovagliolini alla lavanda. Qualche volta anche ai vecchi si riesce a far cambiare abitudine.
Grazia si issò sul tavolo da sola, perché ormai Efisio non era più in grado di sollevarla.
Lui diceva perché era ingrassata, ma lei sapeva bene che dodici anni prima sarebbe stato in grado di sollevare anche la Grazia di oggi.
Era già molto eccitata, non avrebbe dovuto faticare molto con la lingua, per farle raggiungere il piacere.
Sarebbe tornata con la ricotta e le uova nel cestino anteriore della sua bicicletta, che tanto piacevano a Marco, al suo compagno.
Beh, in fin dei conti era come se fosse andata a trovare un vecchio padre.
O no?

Leave a Reply