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Racconti di DominazioneRacconti Erotici

La lunga notte – cap. 10

By 14 Settembre 202110 Comments

cap. 10

Con l’auto rientriamo lentamente verso la città, Francesco accende la radio e nel viaggio la sua mano resta adagiata tra le mie cosce.
Non parliamo. Arrivati alla periferia mi lascia ad una stazione di taxi.
“Ti chiamo domattina – mi dice ridendo mentre esco dall’auto – non fare tardi stasera, domani hai da fare”
“Vaffanculo” la mia risposta risuona mentre la portiera dell’auto sbatte con violenza.
Mi fiondo sul primo taxi libero, seguita dagli sguardi dei ragazzi seduti ad un bar “Via Amendola, per favore”
“Certo signora.” Il taxi parte
Mi chiudo nei miei pensieri, vedo l’autista che aggiusta lo specchietto.
Certo si vuol godere lo spettacolo della gonna corta che stenta a nascondere il bordo delle autoreggenti.
Ma ho ben altri problemi, cerco di fare il punto di una situazione che mi è sfuggita di mano.
Devo tornare a casa e riposare un po’ e poi c’è Dasho che mi aspetta per la serata.
Non andare… Potrei, ma è forse l’unica cosa che voglio in questo casino. Mi rendo conto che è una follia, come la dipendenza da una droga che non mi piace ma di cui non posso fare a meno.
E poi quel bastardo di Francesco. Devo trovare il modo per neutralizzarlo, ma non ho idea di come fare, per ora mi ha in pugno. Ho bisogno di riposo.
Arrivo a casa, l’acqua che scorre sul mio corpo nella doccia mi rilassa, l’asciugamano tiepido mi abbraccia mentre mi stendo sul letto.
Metto la sveglia, ho bisogno di dormire un poco.

Il trillo elettronico mi fa sobbalzare un attimo dopo.
Con la mente annebbiata guardo la sveglia. È già passata un’ora.
Mi alzo, getto l’accappatoio sulla poltrona e mi vesto.
Un taxi mi porta in periferia, scendo davanti al portone che ormai conosco bene. Mi avvicino e suono al citofono, la porta si apre e scivolo nel silenzio dell’oscurità di quell’androne fatiscente.
Salgo le scale, la luce al terzo piano indica che qualcuno mi ha aperto la porta.
Redian mi saluta con un sorriso mentre entro nel lungo corridoio. Dal salone arrivano voci di uomini, riconosco Quella bassa, calma di Dasho e quella di Ditmir.
Entro nella camera che condivido con Liveta per cambiarmi.
Dall’armadio tiro fuori una maglietta bianca senza maniche di una taglia inferiore alla mia, una microgonna elasticizzata e un paio di autoreggenti.
Mi spoglio completamente appendendo i miei abiti, poi indosso senza intimo quei due fazzoletti di tessuto e mi sdraio sul letto.
Chiudo gli occhi in attesa che vengano a chiamarmi.
Pochi minuti e Liveta entra nella stanza. Il viso è livido, gli occhi gonfi e arrossati. Ha pianto e tanto.
Mi alzo e mi avvicino “Liv che succede?”
“Niente, lascia perdere” La voce le trema mentre cerca nervosamente nell’armadio.
“Liv! Sembri disperata, che ti è successo? Ti hanno picchiata? Se posso aiutarti… dimmelo.”
“Non puoi fare nulla, lasciami in pace” dice stizzita, mentre è chiaro che la ricerca tra gli abiti è solo una scusa per non guardarmi.
Mi volto per sdraiarmi nuovamente, quando la sento esplodere in un susseguirsi di singhiozzi.
Mi avvicino, l’abbraccio e questa volta non oppone resistenza.
La faccio sedere sul letto, la stringo forte per darle un senso di protezione, mentre riprendere a piangere disperatamente.
Non chiedo più nulla, la tengo tra le mie braccia e a poco a poco comincia a calmarsi.
“Liv, allora? Che succede, me lo vuoi dire?”
“ieri il dottore non mi ha dato la pillola. Dovevo ricominciare il ciclo e non me l’ha data.”
Resto interdetta. Il dottore è un medico ormai in pensione che si occupa delle ragazze, procura le pillole contraccettive, le visita, le medica e prescrive farmaci se ne hanno bisogno.
Un maiale, secondo i racconti delle ragazze, un ciccione debordante che presta la sua opera una volta alla settimana in cambio di potersi scopare le ragazze gratis.
Ma che non gli abbia dato la pillola non ha senso.
“Ma perché?”
“Perché Dasho ha avuto un’ordinazione”
Non comprendo cosa intenda,
Riprende a piangere singhiozzando, le chiedo di spiegarsi.
Ci mette qualche minuto, poi si calma un poco.“Una coppia gli ha chiesto un bambino. Una coppia mista, lui è di colore.”
Rabbrividisco, finalmente capisco la sua disperazione. “Dasho mi affida ai senegalesi fino a quando non resto incinta, mi metteranno in uno scantinato puzzolente per farmi scopare con i loro connazionali. Non voglio avere un bambino che non vedrò, non voglio” ripete singhiozzando.
“Vuoi che provi a parlarci io?”
“E cosa vuoi dirgli? No è inutile, sono troppi soldi e poi ha deciso e non sarai certo tu a fargli cambiare idea.”
“Già…” Mormoro cercando di pensare. Tutto questo è raccapricciante, ma Liveta ha ragione, Dasho non cambierà idea per una donna, una di noi.
“Quando ti vengono a prendere?”
“Fra tre giorni” risponde
“Ok, non ti preoccupare, ho un’idea. Ci servono solo un paio d’ore, domani pomeriggio cosa devi fare? Puoi uscire?”
“Si, credo di si, perché?”
“Bene, prendi la Metro verso il centro, ti aspetto alle tre all’uscita di via Lambruschini, sai arrivarci?”
“Si, va bene, dice a bassa voce ma cosa…”
“Fidati di me, cosa succederebbe se tu non rimanessi incinta?” dico guardandola negli occhi.
Liveta non dice nulla, mi abbraccia riprendendo a piangere. “Grazie – mormora al mio orecchio- grazie”.
Le faccio lavare il viso, gli occhi sono ancora arrossati.

La voce di Redian chiama dal corridoio, è ora di andare.
Usciamo dal portone che comincia a far scuro, Liveta non viene con noi.
L’auto corre veloce, una delle ragazze viene scaricata nella zona industriale, poi io, Jasemin e Marina veniamo portate al solito viale. Dal cellulare mando un messaggio al mio ginecologo, per avere l’appuntamento per le tre e mezza del giorno successivo.
La serata trascorre tranquilla, tra un passaggio e l’altro.
Alle tre di notte sono su un taxi che mi sta riportando verso casa.
La bocca impastata dello sperma di quelli che hanno voluto un pompino senza preservativo.
Di Dasho ho sentito solo la voce, dall’altra parte dell’appartamento.
Sono arrabbiata con me stessa, con Francesco, con il mondo.
Tutto questo non ha senso se Dasho resta così distante, se non viene a prendersi quello che è suo.

Al mattino è la suoneria del cellulare a risvegliarmi dal mio torpore.
“Buongiorno, come stai?” è Francesco
“Che cazzo vuoi? Stavo dormendo”
“Lo so, a volte si fa tardi la sera – dice ridendo – ma ti voglio bene, puoi continuare a dormire. Ti aspetto per le tre qui in ufficio.”
“Non posso oggi, mi dispiace”
“Non puoi? Non credo proprio, per l’esattezza non puoi non venire. Ti aspetto.”
La linea muta mi fa capire che ha riattaccato.
“Vaffanculo, stronzo.”
No, non posso dare buca a Liveta, è troppo importante, Francesco se ne farà una ragione. Spero.
Verso mezzogiorno mi preparo, mangio un boccone e prendo la metro.
Alle tre e mezza, puntuale la vedo uscire dalla sotterranea.
La prendo sottobraccio e ci avviamo, cinque minuti a piedi e siamo al portone dello studio del mio ginecologo.
“Lascia parlare me, va bene?” lei annuisce.
All’infermiera spiego che ho avuto l’appuntamento direttamente dal dottore il giorno prima. “Certo, signora, si accomodi in sala d’aspetto” risponde sorridendo.
Dopo venti minuti veniamo fatte accomodare nello studio del medico che alzandosi mi tende la mano, mentre guarda con interesse Liveta, dietro a me. “Come sta signora? Si accomodi”
“Bene, la ringrazio per avermi dato questo appuntamento senza preavviso – rispondo sorridendo – come le ho detto si tratta di una questione urgente per questa mia amica.”
“D’accordo, vediamo qual’è il problema, mi dica.” La gentilezza professionale del dottore non riesce a nascondere curiosità per la mia accompagnatrice.
“La mia amica è straniera, per motivi che è inutile le stia a spiegare ha necessità di un sistema anticoncezionale che non sia la pillola, o qualcosa che si possa vedere all’esterno, come il cerotto. Io immaginavo la spirale, ma naturalmente l’esperto è lei e mi fido del suo giudizio.”
“Certo, adesso vediamo quale può essere la soluzione migliore”
chiede a Liveta un po’ di informazioni, età, peso, malattie pregresse, al numero di rapporti mensili Liveta non risponde e mi guarda. “Molti” dico fissando negli occhi il dottore, per fargli capire che non è il caso di approfondire oltre l’argomento.
Dopo un attimo di imbarazzo l’uomo abbassa lo sguardo sul suo blocco di appunti mormorando “Certo.”
Poi si rivolge a Liveta “La sua posizione in Italia è regolare, signorina?”
Liveta resta muta, guarda il dottore, poi me.
“Dottore, questa è una situazione di emergenza, la prego di aiutare questa ragazza, le garantisco che ne ha necessità”
“Si, lo capisco – mi risponde con una vibrazione impercettibilmente indurita nella voce – è che… signora, se la ragazza non ha il permesso di soggiorno lei deve capire la mia posizione… non sono il servizio sanitario nazionale, sono un professionista. E in questo studio la clientela è, come lei sa bene, di un certo livello.”
Liveta abbassa gli occhi e fa per alzarsi. La trattengo per un braccio.
“Lo so, è per questo che vengo da lei da molti anni – dico calcando il tono sulle parole – ma qui parliamo di un’opera di bene. Lei è un uomo e un medico, sicuramente si metterà una mano sulla coscienza. Per il pagamento del suo disturbo non si preoccupi, provvedo io al necessario.”
Lo guardo negli occhi, pochi secondi e si volta verso la ragazza. “Va bene. Vediamo quello che si può fare.”
dopo mezz’ora pago la visita e usciamo dallo studio, Liveta mi abbraccia stringendomi fino a soffocarmi, poi si dirige verso le scale del metrò.
Riprendo la macchina, guido lentamente mentre vado verso casa.
Penso a Liveta e rabbrividisco. È l’altra faccia di Dasho, quella spietata, quella rivolta solo ai soldi facili, che non guarda in faccia a nulla e a nessuno.
Sento montare la rabbia e la paura dentro me, è tempo che questa storia finisca, non posso continuare.
Arrivo a casa, mi abbandono al caldo abbraccio della doccia.
Nella mia mente si alternano le immagini di Dasho, di Liveta, di Matteo e Francesco.
Ma non posso sparire così, Dasho sa dove abito, mi farebbe cercare, mi verrebbe a prendere, devo parlargli, almeno dirgli che il gioco per me finisce qui.
Mi rivesto, prendo la borsa ed esco. Non voglio pensare, voglio solo uscire da tutto questo.
Salgo in macchina, la città scorre veloce. Parcheggio quasi davanti al portone, mi catapulto nel buio.
Salgo le scale, lunghi secondi in cui sento uno sguardo dall’interno su di me.
Lo scatto della serratura, è Nandi ad aprirmi la porta.
“Ciao, sei in anticipo oggi.”
“Devo parlare con Dasho.” gli dico entrando, avanzo nel corridoio, sento la sua voce di là, nel salone.
Nandi non reagisce a tempo, entro nella grande stanza chiamando “Dasho, ho bisogno…”
Dodici occhi mi guardano, quelli di Dasho sono una lama di ghiaccio.
E’ seduto in poltrona, vicino a lui Ditmir, mentre sul divano ci sono quattro uomini che non conosco.
Resto impietrita, capisco di aver commesso un errore mentre Nandi mi riprende per un braccio e mi trascina via, facendomi entrare in malo modo nella camera di Liveta.
Resto tre quarti d’ora chiusa nella stanza, seduta sul letto, mille pensieri attraversano la mia mente.
Il cellulare silenziato vibra, sono le chiamate di Francesco, probabilmente è furioso per non avermi visto e perché non gli rispondo. Lo spengo, ho altri problemi ora.
Improvvisamente la porta si apre, entra Dasho.
“Scusa per prima, non volevo…” un ceffone non mi fa terminare la frase.
“Tu devi imparare che puoi parlare solo se ti si chiede qualcosa.- la voce calma è seguita da un altro manrovescio che mi piega sul letto – altrimenti la tua bocca serve ad una cosa sola.”
Una mano mi prende per i capelli, l’altra libera la cintura dei pantaloni.
Il mio viso è a pochi centimetri dalla lampo che scende, poi la sua mano mi offre il cazzo.
Alzo gli occhi, vorrei dirgli che è finita, che sono venuta solo per dirgli che me ne vado, ma non sono in condizione di spiegare.
I suoi occhi sono fissi nei miei mentre appoggia il suo sesso alle mie labbra, che ubbidienti si schiudono per accoglierlo.
Sto piangendo, mentre la mia lingua lo accarezza ad ogni affondo nella mia bocca, ne assapora la durezza, ogni ruga della pelle, la superficie liscia del glande.
Riapro gli occhi, lassù due zaffiri sono puntati su di me, la mia bocca riempie di saliva quell’asta che scivola tra le mie labbra, sempre più padrona, sempre più presente.
Il mio sesso si sta bagnando mentre il fiato si accorcia, poi la sua mano sulla nuca mi trattiene sul cazzo pulsante, rigido.
Lo sento scaricarsi nella mia gola, accolgo come un dono tutto il suo sperma ingoiandolo avida, poi riprendo a pompare dolcemente con le labbra sul sesso che piano piano si rilassa nella mia bocca.
Lo pulisco con attenzione con la lingua, poi alzo ancora gli occhi nei suoi.
Non ricordo quello che volevo dire, non ricordo dove volevo scappare.
“Ci sono i miei amici di la, voglio che si divertano. Provvedi.”
Le parole mi arrivano al cervello come tradotte da un interprete, mi sembrano parole d’amore.
È il suo volere, sarà esaudito. “Certo, mi cambio e arrivo”.

Mi spoglio rapida mentre esce dalla stanza e il suo sapore resta con me, cerco tra le cose di Liveta.
Infilo un paio di autoreggenti e un reggiseno a balconcino che lascia scoperti i capezzoli, poi le scarpe dal tacco alto che uso alla sera sul marciapiede.
Mi guardo allo specchio, poi apro la porta e percorro il corridoio.
Nel salone i quattro stanno bevendo champagne, chissà di quali affari si occupano.
Per Dasho evidentemente sono importanti.
“Buongiorno ragazzi” dico sorridendo e avvicinandomi.
“Vieni qui bella figa.” Il più vicino mi prende per il polso e mi tira verso di lui.
Perdo l’equilibrio sui tacchi e gli siedo in braccio aprendo le cosce per non cadere.
La sua mano si impossessa della mia fica, massaggiandola ruvidamente mentre il vicino si avventa sui miei seni.
Gli altri due intanto si slacciano i pantaloni. Quello sotto di me mi riempie la fica di saliva con la mano, poi mi penetra con due dita. La mano scende ancora, insalivando prima il mio culo, poi il suo cazzo.
So già cosa sta per succedere. Chiudo gli occhi mentre quello alle mie spalle guida i miei fianchi penetrando lentamente il mio sfintere.
Quando è completamente dentro di me mi afferra con una mano al collo e mi rovescia su di lui, mentre il secondo abbandona i miei seni per togliersi i pantaloni.
La mia mente si colora di azzurro mentre un terzo mi apre le cosce e si appropria della mia fica.
Colpi lenti, per sincronizzarsi con quello sotto di me. La mia mente è lontana, penso a Dasho, spero mi stia guardando mentre anche la mia bocca viene riempita da un cazzo robusto.
È così che mi vuole ed io voglio essere come lui desidera. Una cosa? Si, ma una cosa sua.
Cerco di assecondare il movimento di quello che mi sta scopando, mentre il quarto reclama la mia bocca.
Sento il fiato corto dell’uomo sopra di me, sento il busto abbassarsi, i colpi farsi più profondi e rapidi fino a quando non si ferma alcuni secondi dentro di me, il cazzo pulsante che scarica lo sperma nella mia fica, poi riprende ancora per svuotarsi completamente.
Si abbandona sul mio corpo, poi si scosta per le proteste di quello sotto di noi.
Aspetto che esca, mentre continuo a muovere il bacino massaggiando il palo che ho nel culo e a succhiare l’uomo nella mia bocca.
La mia fica resta libera pochi secondi, un altro uomo, un altro cazzo dentro di me.
Improvvisamente la mia bocca si riempie di getti di sperma.
Apro gli occhi, lo guardo con odio mentre grugnisce venendomi in gola, il suo gusto prende il posto di quello di Dasho.
L’uomo sotto di me mi fa alzare e girare, ora lo vedo in faccia mentre lo accomodo dentro di me.
Mi tira giù abbracciandomi, esponendo il mio culo per il terzo che non ha bisogno di inviti e mi penetra secco con un membro ragguardevole.
Pochi minuti e anche lui si svuota nel mio corpo mentre l’altro si gode il movimento del mio bacino inchiodato sul cazzo.
Accelero il movimento, profondo, sento il suo pube seguirmi ogni volta che mi sollevo, anche lui è vicino alla fine.
Alle prime contrazioni mi abbandono su di lui rallentando il ritmo, fino a quando non sguscia fuori di me. É tutto finito.
Mi sollevo, li saluto sorridendo e rientro in camera infilandomi sotto la doccia.

Sento voci di là, poi più vicine nel corridoio, stanno uscendo.
Esco infilandomi un accappatoio. Dalla porta si affaccia Ditmir.
“Preparati, che ti porto al lavoro.”
“Veramente volevo parlare con Dasho.” .
“Non credo sia una buona idea” risponde
Esco con l’accappatoio, mi guardo in giro.
Ditmir sospira e mi fa cenno di seguirlo. Mi precede nel salone, Dasho è seduto su una poltrona, legge dei fogli, lì dove poco prima quattro uomini mi hanno scopata.
Alza lo sguardo verso di me con aria interrogativa. “Che c’è?”
“Io… io… devo parlarti.”
“Domani” risponde lapidario tornando a leggere le sue carte.
Ditmir mi trascina via per un braccio “Te l’avevo detto” Sibila infilandomi in camera.
Lentamente mi cambio come un automa.
Camicetta abbondantemente aperta, autoreggenti e microgonna, tacco. Sono pronta.
Sul marciapiede non c’è Liveta, ma ritrovo Marina e Valjet, mi salutano contente di rivedermi.
Comincio a lavorare, un paio di passaggi intervallati dalle chiacchere con le ragazze.
Sto parlando con Valjet, schiena alla strada mentre si ferma una macchina.
Mi volto e il sangue mi si gela nelle vene. È l’Audi di Francesco, accanto a lui Andrea, un amico di Matteo.
“Allora, cosa ti avevo detto? Non è identica?”
“Si – replica Andrea – è incredibile!”
“Si chiama Michela.” dice ridendo, poi si sporge verso il finestrino “Michela, ti ho portato un amico. Chissà, potrebbe diventare un cliente affezionato.” Mi guarda fisso negli occhi il bastardo, vuole vendicarsi perché non gli ho risposto durante la giornata.
Valjet assiste con aria interrogativa, vede il mio viso contratto. “Ragazzi, volete che venga io?” prova a dire sorridendo.
Le appoggio una mano sulla spalla e mormoro “no, è me che vogliono. Tranquilla.” Apro la porta e salgo dietro. La macchina parte mentre lo sguardo di Valjet mi segue.

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