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Sono tre anni che lavoro a questo marmo, ed ora che manca la levigatura finale mi rendo conto della sua bellezza, sono 4,86 metri di marmo di Carrara, dovrebbe celebrare l’intelligenza contro la forza bruta, l’altezza della religione contro le barbarie del paganesimo, ed in qualche modo lo fa, cominciai a lavorarci che ardevo d’amore e desiderio, ogni colpo di scalpello ed ogni levigata di marmo era guidata da quel sentimento, sentimento che inevitabilmente traspariva dalle sue forme, il mio amore era custodito dentro il mio cuore, ma il desiderio che risiedeva più in basso era ben visibile, strusciava contro il marmo come un secondo scalpello, come a voler controllare con la sua sensibilità che le forme del giovane marmoreo oltre ad appagare la vista appagassero anche le carni, ero inebriato del mio lavoro, eccitato stavo levigando l’aggraziato collo del giovane e mi soffermai ad ammirare le suoi forti braccia, le venose e possenti mani e la grazia che comunque conservavano, persi ogni inibizione, liberai lo scalpello di carne dalla sua prigione di tela e lo lasciai cadere sui pettorali marmorei, ero in estasi, il respiro era affannoso, se fosse entrato qualcuno? Se mi avessero visto cosi? Avrei sicuramente perso la commessa, avrei visto il mio nome infangato, e forse, avrei perso anche la vita, ma per amore bisogna rischiare, ed il rischio mi eccitava ancor più, un desiderio folle mi avvelenò la mente ed il corpo, scesi di un piano, e mi trovai con il viso all’altezza del suo inguine, il suo pene era piccolo ed aggraziato, cominciai a leccarlo, con le mani stringevo le sue natiche marmoree e con la lingua accarezzavo il suo sesso, mugolavo di desiderio represso, il suo pene duro ma non eretto mi faceva miagolare come una gatta in calore, immaginavo che si indurisse sotto le mie attenzioni, mi dannavo per non aver creato un adone con una verga eretta ed equina, cominciai a masturbarmi, mentre lo facevo immaginavo la folla il giorno della presentazione, il papa indignato dalla possente verga, le suore arrossite, le signore del volgo da prima in preda alle risa poi trovare l’occasione per indurire l’altrui pendaglio, immaginavo la cortigiana affacciata alla veranda venir spinta da dietro dal suo signorotto, immaginavo la città in orgia, lasciai il suo pene inerte e puntai il mio alla bocca del mio scultoreo amante, che peccato averla fatta serrata, cominciai a colpirlo in viso con la rigida carne, ad ogni colpo l’eccitazione cresceva, arrivavo sempre più vicino all’apice, non è questa la vera arte? l’artista che scopa con l’opera? Continuavo a percuoterne il volto finché la bocca non mi parve animarsi, “venite maestro”, “datemi la vita con il vostro seme”, la diga che reggeva i miei fluidi cedette di schianto, gli zampilli del mio piacere inondarono il volto del mio granitico discepolo, discepolo dal volto simile al mio, ora l’opera è completa, era esattamente come doveva essere, era la copia di me stesso, coperta dai frutti dell’eccitazione da lui provocatami, lui che io stesso avevo creato, pensieri blasfemi di trinità inondavano la mia mente, in questo momento sfioriamo la divinità, ma questo stato di perfezione non potrà mai essere ammirato da nessuno, l’istante è passato, e lui domani finirà in Piazza della Signoria.

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