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Racconti Erotici

Ginevra

By 10 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Ginevra sognava orizzonti lontani, prati verdi e sconfinati, poesie d’amore dolci carezze, un principe azzurro che la portasse via sul suo cavallo bianco, via da una vita buia e noiosa, persa nella monotonia di una quotidianità che la faceva sentire vecchia.

Ginevra aveva 23 anni, un corpo slanciato, un viso pulito e due occhioni azzurri, e una cascata di biondi capelli; la sua vita si svolgeva pressappoco sempre uguale da due anni a questa parte. Non aveva voluto continuare gli studi dopo la maturità, ma per la sua indole libera e indipendente aveva cercato subito un lavoro, e bella com’era non aveva faticato molto aiutata pure dal fatto che abitava in una grande città. Ginevra da dua anni faceva la commessa in un negozio di abbigliamento della catena Benetton, gli piaceva, anche perché lei si trovava bene tra la gente, gli piaceva comunicare, essendo una ragazza sempre allegra. L’amore non andava ne male ne bene, aveva avuto un paio di fidanzati ‘ seri ‘ tralasciando i filarini dell’adolescenza, ma si erano rivelati tutti un fallimento, forse per colpa sua?, lei si poneva sempre questa domanda essendo una ragazza seria, con dei principi sani principi morali, spesso si confidava con me. Mi diceva: ‘ Io forse sono un po’ troppo tradizionalista per quanto riguardo il sesso, ma i ragazzi che conosco già al secondo giorno pretendono tutto’.vorrei essere come te Vivy..libera’dentro intendo’..piccola Ginevra’le rispondevo che lei era la migliore di tutte, e non doveva cambiare perché prima o poi il suo principe l’avrebbe trovato, come nelle favole. Ma nelle favole oltre i buoni, purtroppo, ci sono anche i cattivi; una sera mi chiese se potevo aspettarla alla chiusura del negozio per aiutarla a fare delle commissioni’purtroppo dovetti dirle di no perché proprio quella sera dovevo lavorare fino a tardi, e che ci saremo risentite l’indomani. Ginevra abitava un poco in periferia, una zona pulita ma di sera molto isolata, e siccome lei non guidava ne auto ne scooter, prendeva l’autobus che la lasciava a due isolati da casa sua, e da l’ doveva percorrere circa trecento metri a piedi, un poco bui di sera, ma sempre tranquilli’almeno fino ad allora. Ginevra viveva con la madre, il padre era scomparso quando lei aveva 12 anni, un incidente sul lavoro, figlia unica, la madre faceva l’infermiera in ospedale, e quella sera era di turno di notte. Ginevra finito il lavoro, aspettò l’autobus e come ogni sera arrivò nei pressi del viale che l’avrebbe condotta a casa..scese dal mezzo e si incamminò’lenta e tranquilla. Arrivata a metà strada, sulla sua destra c’era un piccolo dirupo dove c’era un piccolo rudere abbandonato’l’ accellerò un poco il passo perché quel posto gli metteva un po’ d’ansia..era diciamo macabro. Ginevra si sentì afferrare alla vita, e una mano ruvida e grossa gli serrò la bocca..venne trascinata nel piccolo casolare diroccato, sempre con la mano sulla sua bocca venne buttata a terra, i suoi occhi terrorizzati videro un uomo grosso’ma era buio, nell’altra mano ora libera era comparso un coltello, e con una voce che gli sembrava provenisse dall’oltretomba gli sussurrò quasi:’ se gridi ti ammazzo, quindi ti conviene stare buona buona ‘. Ginevra anche volendo non avrebbe potuto gridare, era come paralizzata dal terrore, l’uomo le tolse la mano dalla bocca, le cominciò a togliere i jeans..poi gli slip’poi si denudò lui. Più che il dolore fisico, in quell’ora da incubo, Ginevra sentiva dentro se un vuoto immenso, lui la scuoteva..le diceva parole per lei incomprensibili, la schiaffeggiava..ma lei era lì’immobile. Finito l’amplesso l’uomo si dileguò, non prima di averle raccomandato di non dire niente perché in tal caso avrebbe subito le conseguenze anche la madre, tanto lui sapeva dove abitavano. Ginevra tornò a casa’.mi telefonò, piangendo, a stento riuscì a dirmi alcune cose, poi dall’altro capo del filo la sentì scoppiare in un pianto dirotto..infinito. Le urlai che sarei subito corsa da lei..infatti corsi giù in macchina e iniziai una folle corsa verso casa sua, da dove abitavo io in auto ci voleva circa un’ora, intanto gli continuavo a fare squilli col cellulare, ma risultava sempre occupato, infransi tutti i codici della strada quella sera. Arrivai sotto casa di Ginevra e vidi un piccolo trambusto’gente che correva, e le luci di una macchina della polizia..corsi’corsi col cuore in gola, e quando arrivai nei pressi mi sembrò di sprofondare nel più profondo della terra’.lei era lì, sul selciato ed intorno tanto sangue’non riuscivo a ragionare più’urlavo in preda a un indescrivibile dolore’rabbia. Alcune persone cercarono di bloccarmi’anche un agente..ma ero come impazzita’mi inginocchiai accanto a lei’.abbracciandola sporcando il mio viso col suo sangue’col mio sangue perché la prima cosa che mi balenò in testa fu ‘ perché io non c’ero?”Ginevra si era buttata dal terzo piano del suo appartamento. Dopo il funerale..andai dalla mamma..gli raccontai..gli dissi della mia colpa, lei mi strinse a se come una figlia..e alzandosi prese da un cassetto una lettera, l’aveva scritta Ginevra prima di fare il suo gesto estremo: ‘ vedi Vivy’ mi disse con le lacrime agli occhi ‘ questa lettara io non l’ho fatta leggere a nessuno, &egrave l’ultima cosa che mi resta di mia figlia..e parla anche di te’..Ginevra chiedeva scusa’.ma non avrebbe sopportato di vivere portando un simile peso’chiedeva perdono alla mamma’e una frase mi fece spezzare il cuore a meta’diceva: ‘ scusami Vivy se non ti aspetto’ci rivedremo un giorno..lassù ‘..piccola Ginevra, io ogni anno nell’anniversario della sua scomparsa vado a trovarla portandole una rosa gialla..le sue preferite’.lei dalla foto sembra sorridermi..ma dentro di me porterò sempre un rimorso che mi porterò dentro fino alla fine dei miei giorni’maledetto il mio lavoro’.maledetti tutti quei bastardi che colpiscono nel buio’.a volte mi domando se Dio vede veramente tutto’ma forse quella sera era distratto”.già’.proprio quella sera.

Dedicato alla mia amica Ginevra’nell’anniversario della sua scomparsa

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