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Racconti sull'Autoerotismo

La poetessa

By 6 Marzo 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Sono qui che cerco parole che scrivo, per sentire che dentro c’è un anima viva, per illudermi ora che non serve nient’altro, alle gambe civette che si muovono sole. Sono fatta di cuore il resto non conta, mi convinco davvero che basta un racconto, un filo di sensi appesi che sgrano, che ripeto ossessiva per lievitarmi dal fondo, l’emozione che ingrossa il cuore e il silenzio.

La bocca, la fica? Sono solo un dettaglio, che lascio a chiunque si voglia saziare, di labbra che spalmo per sentirmi più bella, che gonfio al bisogno di uomini soli, che avidi mangiano parole più unte, come luna mignotta che accoglie nel ventre, gli uccelli notturni che volano sparsi, e s’aggrumano neri sui rami pendenti.

Ma poi ci ritorno tra pause e punti, in un vicolo cieco di sessi stipati, rifaccio la strada per sentire il fetore, di maschi svuotati e tette a buon prezzo, come i miei seni quando vuota m’ostino, a cucire parole che non saziano niente. Lascio che il vento mi spinga e mi porti, in quei bordi di melma di uomini a frotte, che spargono seme per godere di gusto, d’avermi sporcata nell’anima dentro, nel posto distante dalla voglia che sento, dove mai una donna diventa una madre, e un uomo che fotte non la guarda negli occhi.

Sarà che cammino a passi felpati, lungo i sentieri di onde e di suoni , tra i tasti che bagno di liquido denso, per sentirmi più bella come vergine intatta, alla prima parola oscena e più porca, che sento che scrivo per provarne il disgusto, e ripeto e mi piace sentirmela dire. Che scema che sono che m’illudo e ci credo, d’esser poeta che scrive col cuore, d’essere un fiore al primo ritardo, con l’ansia e la colpa al mattino segreta, che scruta una macchia rossastra nel letto.

Ma di notte ritorno e passeggio precaria, e struscio i miei tacchi sulle righe più nere, come bella di notte al primo cliente, tremula porto una foglia di fico, che mi sbatte e mi copre gli anni che conto, come cerchi perfetti nei cuori dei tronchi, nascondo agli sguardi i miei petali rosa, di pelle arricciata che slarga nel mezzo, quel nero che a vista dà senso e misura, di quanti negli anni ne sono passati. Chi passa stanotte non avrebbe alcun dubbio, che quello che cerco è solo un sesso più grande, per stiparmi la voglia e tapparla del tutto, fino ad essere certa che neanche una bolla, d’aria e d’umore fuoriesca da dentro.

Chi passa stanotte! Ma chi vuoi che a quest’ora, abbia un sesso più adatto, a comprendermi tutta e capirmi che in fondo, passeggio nei vicoli di brividi caldi, perché cerco poesia che mi scaldi nel letto, che mi faccia sentire bucata nel mezzo, altrimenti a che serve colare parole, se niente stasera le raccoglie e si sazia, s’imbratta la bocca di gusto di more?

Mi dicono poetessa perché scrivo d’amore, ma non sanno che quello che esce, è frutto di sesso bagnato d’umore, un rivolo lento che bollente s’addensa, a rami si spacca s’ingiallisce e si posa, tra le gambe scomposte che nessuno assapora. Che notte stanotte se rimangono intatte, riempite di vuoto e di parole infeconde, inconsistenti e leziose che non servono a niente. Non sanno davvero che scrivo poesia, per riempire la notte che altrimenti scolora, per sentirmi più bella intrigante e signora, tra mandrie d’amanti che s’accalcano a ressa, e mi fischiano dietro perché mostro le tette, e fanno la folla tra le gambe che apro, che nere di seta s’increspano al tatto, perché abbia un senso almeno quello che scrivo.

Che scema che sono a pensare davvero, che sono fatta di cuore ed il resto non conta, che la bocca la fica è solo un dettaglio, e la voglia di carne si sazia e si sfama, di parole che scrivo e mi leccano in fondo, m’addomesticano docile per sentirne il sapore, per sentirla che freme remissiva al bisogno, che niente stanotte sarebbe lo stesso, nemmeno quel maschio che tengo gelosa, avvolto di seta nel primo cassetto.

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