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Racconti sull'Autoerotismo

Non riesco a vederci l’amore

By 7 Marzo 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Sotto questa notte m’immergo, tra i salici stretti d’una Roma puttana, lungo questo fiume che l’inumidisce e la penetra, come se la preparasse ogni volta senza farle provare dolore. Le ammolla le sponde per allargare il suo letto, per farla capiente ed addolcirle il piacere. Una nebbiolina sospesa nasconde l’orgasmo, ma la sento che gode, che freme, che accoglie acqua e detriti senza mai essere colma, femmina mai paga che chiede ed inghiotte, che ingurgita sesso e si lascia scopare, nelle pieghe a ventosa troppo distanti, dall’anima femmina che ha bisogno d’amore.
E’ notte e m’immergo in un brivido stretto, che corre veloce lungo la schiena, ci sono foglie che buco, escrementi di cani che evito appena. Tra le mie gambe una polvere lenta, s’alza e mi vela le calze, come nebbia m’annuvola il cuore, m’attutisce e rallenta il flusso del sangue. Ma sarò io questa Roma che dico puttana? Che irriverente la giudico femmina persa? Ma sarò io che sto guardando me stessa, come se davanti, al posto del fiume, ci fosse uno specchio? Lascio che il vento mi scopra la gonna, scopra il mio sesso impudico e sfatto, perché davvero qui ci sono passati uomini a frotte, uno scorrere lento di semi infecondi, che neanche per caso son diventati dei padri, lasciandomi un vuoto che a stento riempio.
E’ un uragano che nasce da dentro, più in fondo di quanto mi sia mai scavata. Dalla mia carne esce ruggine e diluvio, rabbia di dovermi accettare. E’ un impeto folle che spazza ragioni, come se di colpo tuonassero parole che sanno d’ingiuria. Non ho più fili a questo mondo, chissà se avrò pace? Sono fatta di pelle e non di cuore, sono fica, tette, il resto non conta.
Questo fiume che scorre crea una voragine d’anni, che m’hanno avvizzita, sbattuta di colpo. Sono fatta d’aria e d’acqua, qui dentro non si formano parole, non esiste amore per pretendere rispetto, sono seno da ciucciare, sono culo da fischiare, da farci dei sogni malsani quando cammino e a mia insaputa, mi scopano senza guardarmi la faccia.
Dicono che i vecchi non provano dolore, allora io mi sento vecchia, perché dentro me non c’è dolore, ma schifo, sputo denso che cola e ti ritorna in bocca. Non voglio comprensione, voglio che qualcuno m’abusi senza conoscere quello che provo, quale sventura possano mai fottersi, stanotte, domani, di quale rabbia s’insozzano senza rendersene conto.
Ho bisogno d’amore, d’essere catturata senza permesso, apprezzata per le labbra che offro, che consumo, che sbordo per un sesso qualunque che le riduca ad alcova, per una coda che mormora come se aspettassero il turno. Non sono nulla, solo pelle, solo pieghe di sesso che il primo riempie, che l’ultimo inganna, convinto che l’anima sia poco distante, che la parte che offro sia ancora inviolata.
Cammino sotto questi salici stretti, in cerca di qualcuno che apprezzi l’incedere lento dei miei tacchi insicuri, dell’acqua impetuosa, come se ogni volta nascesse una vita in faccia al mondo, in faccia alla morte che mi vuole da sola, a piangere lacrime secche senza costrutto, senza un futuro che davvero non vedo. Non c’è un filo che mi porta lontano, c’è una voglia d’amore che confondo col sesso. Prendimi chiunque tu sia, uomo donna o forma di sesso, ho bisogno di saliva, di fiati e vapore come se fosse nebbia ed io cammino girandomi attorno. A mano per mano mentre lo bacio, mi bacia, mentre supina l’accolgo, perché davvero mi sento bocca e culo, un buco qualunque in attesa d’amore che mi riempia in questo vuoto che urla, questo silenzio d’angosce e paure che nessuna parola può più interrompere.
Cammino sotto questi salici stretti per essere anch’io una parte di Roma, per sfidarla ed essere più bella, scoprendo il mio seno come se fossero colli. Se potessi punterei i tacchi tra le due sponde e come un ponte lascerei che l’acqua scorresse veloce, sotto le gambe fino a sfiorarmi la fica, a saziarmi le parti del ventre dove non arrivano sessi.
Qualcuno si ferma per ammirare il fiume che scorre, questa Roma romantica che s’adagia leziosa, vorrei dirgli che se solo volessi, sarei brava altrettanto, a farmi slabbrare le sponde senza chiedere in cambio che niente, perché per fare la troia basta allargare le cosce, senza pretendere al dunque l’amore, come ora davanti a questo incedere lento, d’acqua che scorre verso la foce, di sangue che nutre il mio seno disfatto, non riesco a vederci l’amore, ma soltanto il trasporto d’escrementi e rifiuti.

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