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Racconti Cuckold

Come diventai cornuto. Molto cornuto

By 6 Ottobre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

 

Essere il capo ha i suoi vantaggi. Uno di questi è che faccio gli orari che voglio, nei limiti del possibile. A volte mi capita di tornare prima. E quando a casa sono solo, chatto. Chatto con altri mariti e parliamo delle nostre mogli. Spesso queste chat finiscono con delle gran seghe. Lascio che dicano su di lei quello che vogliono. Li incoraggio. Più la trattano da troia più mi eccito. Alcune volte mando delle sue foto. Vestita e senza volto, ovviamente. Con alcuni mariti posso dire di aver sviluppato una specie di rapporto di amicizia, anche se amicizia è una parola grossa. Tra questi anche un single di Torino (noi abitiamo in provincia). Uno che si diverte a scopare le mogli degli altri. Quando chattiamo mi racconta delle sue conquiste, e poi finiamo sempre a parlare di cosa farebbe alla mia. E la cosa mi eccita da impazzire. Resta una fantasia molto intrigante, perché so che lei, Sara, da quest’orecchio non ci sente. Lasciarsi andare, con me, si lascia andare. Ma spingerla oltre non se ne parla neppure. Tutte le volte che ho provato non dico a proporle qualcosa di trasgressivo, ma di accennare alla lontana qualcosa si è finito col litigare. E allora concentro le mie fantasie così, in chat.

 

Una notte, mentre lei dorme e io mi sono fermato a finire un paio di cose di lavoro, la chat col singolo di Torino prende una piega diversa: dopo essermi segato leggendo le sconcezze che lui diceva su di lei, parliamo della mia sicurezza sul fatto che lei non acconsentirebbe mai a scopare con un altro uomo. Ribadisco questa mia certezza raccontandogli che lei fa la cassiera in un iper mercato, e che a volte torna a casa, incavolata nera, perché qualcuno ha fatto un po’ il pappagallo con lei. Figurarsi aprire le gambe per un altro. Conviene con me che non ci sono margini per combinare qualcosa. E mi dice anche che gli piacerebbe vederla dal vivo: mi lancia una sfida, praticamente. Io, sicuro del fatto mio, gli dico dove lavora, e anche il turno che fa il mercoledì successivo, cioè il giorno che lui, single impenitente, potrebbe avere libero per fare la spesa. Ci salutiamo. Prima di andare a dormire vado in bagno, e mi sego ancora.

 

Passo i giorni che mi separano da mercoledì senza troppi patemi. E poi quel giorno arriva. Lo vivo con una sorta di eccitazione che non mi abbandona. Quando torno a casa le chiedo come è andata al lavoro, come faccio sempre. Lei dice che un pensionato ha cercare di attaccare bottone alla cassa, e che lei gli ha fatto capire, anche in modo brusco, che era meglio che si levasse di torno, che c’era gente. «Hai capito – penso io – Lo scopatore torinese non solo ha fatto buca, ma era pure un vecchio», e mi rendo conto che, in tutte quelle sere, mi ha raccontato un sacco di palle sulle sue avventure.

 

Qualche ora dopo lo becco in chat. Mi racconta subito che l’ha vista, le ha parlato. Mi descrive le scarpe che aveva e quei pochi dettagli dell’abbigliamento che si potevano distinguere da sotto la divisa che tutte devono portare. Poi però mi dice una cosa che mi lascia senza fiato: «Forse ti sei sbagliato… forse le tue fantasie si possono realizzare.. pensa, mi ha lasciato il suo numero – e me lo dice: cazzo, è proprio il suo – e si è fatta lasciare il mio. Io non la forzo, se mi chiama lei vediamo cosa si può fare, altrimenti pazienza, vuol dire che avevi ragione tu». Gli lascio una mia mail secondaria, segreta, che uso per cose non ufficiali, chiedendogli di farmi sapere non appena c’è qualche novità. Chiudo la chat e vado in bagno: non so se essere più incazzato o più eccitato. Mi sego e vengo subito. E mi infilo a letto mentre lei già dorme.

 

Il giorno successivo controllo quella mail almeno duecento volte: non c’è mai nulla. Proprio mentre la guardo un’ultima volta prima di tornare a casa vedo un messaggio da un indirizzo che non conosco. Con il cuore che mi pompa a mille lo apro. E’ lui. «La tua bella mi ha chiamato poco fa. Sabato mi viene a trovare a Torino per bere una cosa insieme. Mi ha detto che userà come scusa una visita a una sua amica di Torino con cui si vede ogni tanto. Per cui cerca di non metterle i bastoni tra le ruote, altrimenti va tutto a puttane». Esco dall’ufficio e mi fermo a bere qualcosa di forte nel bar poco lontano. Poi vado a casa. E’ tutto normale. Se non che, mentre è in cucina a preparare la cena, e io sul divano guardo la tv, mi dice: «Ah, oggi mi ha chiamato Sandra. Se sabato lavori, visto che io sono a casa, andrei a trovarla».

«Sì, lavoro… vai pure», rispondo. E mi chiudo in bagno.   

 

 

Usciamo da casa assieme. Lei per andare dalla sua “amica”, io per l’ufficio.

Ho un bel po’ di cose da fare, ma non riesco a concludere nulla. Passo dalla rabbia all’eccitazione alla gelosia. Sempre con il cuore a mille e il cazzo duro. Ad un certo punto non resisto più: vado in bagno e mi sego. Ma appena torno a sedermi l’eccitazione mi salta di nuovo addosso. Mi sembra sia passata un’eternità, e invece non è trascorsa neppure un’ora. Conoscendola non sarà neppure arrivata a Torino. Guardo la mail segreta di continuo, e ovviamente non ci trovo nulla.

Far passare quel pomeriggio è una tortura. Il mio pensiero corre sempre a Sara, a cosa starà facendo in quel momento. Non so cosa sperare: a volte mi auguro che abbia aperto le gambe per quel suo amico, e che lui mi mandi una mail dettagliata di tutto quello che le ha fatto. Subito dopo mi auguro che non succeda nulla. E poi mi convinco che tanto quello che può succedere o non succedere non dipende da me.

Poi riesco a non pensare a nulla, a buttarmi sul lavoro. E il tempo lentamente passa.

Poco dopo le 18 mi chiama: «Ciao, sto partendo adesso per tornare a casa. Che ne dici, andiamo a cena fuori?». Accetto. Cerco di capire da quelle poche parole come sta, il suo stato d’animo. Ma non riesco ad interpretare nulla. Però mi attacco alla mail. Guardo di continuo. E finalmente arriva posta: è lui. «Caro amico – mi scrive – Mi sa proprio che sulla mogliettina hai preso un po’ una cantonata… Vorrei raccontarti cosa è successo ma ora non posso. Tra poco esco e mi devo ancora fare la doccia. Ti scrivo domattina. Ma sono sicuro che quest’attesa ti eccita, vero?». Cazzo, non so come fare ad arrivare al mattino dopo in quello stato. Rispondo subito dicendogli: «Raccontami ora», ma da parte sua nessuna risposta. Aspetto. Non arriva nulla. Torno a casa, mi infilo sotto la doccia e mi sego di nuovo.

Sara torna. E’ sorridente, ma questa non è una novità. Lo è spesso. Le chiedo di Sandra mentre andiamo al ristorante. Mi racconta un po’ di pettegolezzi su di lei e altre loro amiche. Non so se sono cose vere o le ha inventate. Non ho modo di saperlo né di scoprirlo. Mangiamo, parlando del più e del meno. E’ sempre più sorridente. In genere non beve più di mezzo bicchiere di vino a cena: ora è già al terzo. E non sembra intenzionata a smettere. Quando saliamo in macchina per tornare è decisamente sbronza. Siamo quasi a casa quando mi dice: «Sai…. Ho voglia», e mi mette una mano tra le gambe. Accelero. Apro la porta e la spingo contro il muro. Le afferro le tette e sento già i capezzoli duri come il marmo. Le sbottono i jeans, e riesco a infilarle la mano dei pantaloni: è bagnata. Anzi, allagata. Arriviamo sul letto. In un attimo la spoglio. Le infilo la lingua tra le cosce e inizio a bere dalla sua fica. Salgo sopra di lei e glielo metto dentro. «Puttana…» le sussurrò. Lei chiude gli occhi: «Dimmelo ancora…». Non me lo faccio ripetere: «Puttana… puttana… troia». E’ inutile: sono troppo eccitato. Pochi minuti e le vengo dentro. E se ne viene anche lei. Poi si infila in doccia e appena esce si mette a letto. Nel giro di 5 minuti si addormenta. 

La domenica mattina è di turno. Io sono a casa. Faccio colazione, vado a prendere il giornale. Poi mi metto al pc. Apro la mail: nulla. Gli scrivo se può entrare in chat in mattinata. Mi risponde dopo una mezz’ora. Entra in chat. E, finalmente mi racconta. Me ne sto al pc con il cazzo di fuori, mentre leggo e me lo tocco.

Prima mi descrive come Sara era vestita, e tutto corrisponde. Poi le fa mille complimenti. E anche in questo corrisponde. Mi racconta con una lentezza esasperante del caffè che hanno preso. Di cosa hanno parlato. Delle cose che le diceva e del piacere che queste cose le davano. Poi la invita a casa. Lei prima rifiuta, ma poi accetta. Si mette davanti a una finestra a guardare il Po. Lui la abbraccia da dietro. Le afferra le tette. Gioca con i suoi capezzoli. Poi infila le mani sotto la maglia, e ricomincia con le tette. La bacia sul collo: lei piega la testa di lato per agevolarlo. E mentre racconta me la immagino, la troia.

Le sue mani scendono. Prima le stringe forte le chiappe: lei chiude gli occhi e respira forte. Le sue mani le sbottonano i pantaloni, come ho fatto io qualche ora dopo. Le dita passano sotto gli slip, le accarezzano il pelo. Sentono quanto è bagnata. Sara lo tocca. E quando lo tocca ha un fremito. Poi si gira, gli dice: «Non ora», e gli mette la lingua in bocca.

«Mica male davvero la mogliettina…. Giovedì vengo lì e la porto a cena a fuori, tanto tu lavori fino a tardi no?»

«Si… lavoro fino a tardi..»

 

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