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Erotici Racconti

Adattarsi alla collettività

By 11 Ottobre 2019Febbraio 13th, 2023No Comments

Dovevo essere brillante, capace, efficiente, produttiva e valida ragazza, sì, veramente di quella natura dovevo apparire: castigo, dovere, impronta e tormento di mio padre, di mia madre e di tutti. Certa e convinta d’essere nata con un corredo genetico da madonnina infilzata, visto che mi sono sempre tenuta alla larga dai maschietti. A un certo punto della mia vita iniziai persino a detestarli e a disapprovarli, come fa la volpe con l’uva quando non riesce a raggiungerla definendola e qualificandola acerba. Io ero però più giudiziosa e saggia, altrimenti ero autolesionista, perché le colpe e in ultimo gli sbagli ciononostante gli attribuii interamente a me stessa. 

Con il tempo che avanzava mi persuasi accettando e convincendomi in definitiva perfino d’essere lesbica, dal momento che lo avevo scritto inserendolo anche sulla grammatica greca negli appunti vicino alle coniugazioni dei verbi. Le donne mi facevano perdere la ragione, giacché quando sfogliavo il settimanale femminile “Gioia” e delle modelle guardavo solamente le tette, eppure erano troppo piccole per i miei gusti, poiché io le volevo giganti e sode, erette sotto la gola con i capezzoli di generosa e di riconoscente pienezza. M’infilavo costantemente delle mele di dimensioni equivoche sotto le maglie, mi guardavo allo specchio e mi sentivo super figa, anche quando uno dei due frutti cascava e sembrava in paragone con quello rimasto nell’originaria posizione del “prima” e del “dopo” l’intervento. 

La mia amichetta al quarto anno delle scuole elementari portava già la terza misura di reggiseno, visto che oggi sfoggia una quinta misura polposa e prosperosa, mentre l’ammiravo invidiandola enormemente. Io sembravo piallata, poiché neanche a regola d’arte m’avrebbero potuto creare e modellare così bene, fra i due seni avevo un ossicino che spuntava fuori, in quanto era un accavallamento dello sterno. Insomma, di massa aggiuntiva avevo solamente qualcosa di sbagliato, però pur sempre di distintivo e di particolare. Alle scuole superiori le tette mi erano cresciute, erano diventate sode e tonde di dimensioni medie, per il fatto che mi ritenevo fortunata, sì certo, però sentivo che non mi sarebbero servite a nulla. Le mie amiche si facevano sverginare sui motorini, nei boschetti della provincia, tra i divani delle discoteche, mentre io rimanevo a casa ripetendo i concetti e gli schemi di greco. I miei genitori erano felici, raggianti e soddisfatti, perfino entusiasti ed estasiati nell’aver messo al mondo un’efficiente, funzionale e solerte macchina a comando. 

A scuola i professori s’inchinavano durante i colloqui con i genitori celebrando e in conclusione lodando e decantando interamente le mie capacità. Poi c’era il disegno, certo sì, una dote naturale che m’ha flagellato e vessato indubbiamente l’esistenza, perché persino i parenti mi commissionavano degli schizzi, per il fatto che una vecchia prozia un giorno mi disse: 

“Questo ritratto lo conserverò io, sia mai che tu diventi nel frattempo famosa e io ricca”. 

Se fossi stata in lei non l’avrei in nessun caso messo sottochiave, perché era la prova e la testimonianza ultima di quanto fosse disarmonica, sgraziata e stonata. Fiorendo e prosperando capii assimilando ben presto che le donne mi eccitavano in special modo, perché le ritenevo valutandole come la rappresentazione ideale del bello, il ritratto dell’aggraziato, ma avvampavo infiammandomi in ultimo al passaggio degli uomini e forse in fondo tanto lesbica non ero. Ho dato il mio primo bacio senza lingua, giacché me la facevo sotto ad amoreggiare, figuriamoci a praticare del sesso, poi ho deciso, dato che per me ci voleva un ragazzo, un vero fidanzato. Uno di quelli che t’infila la fedina in oro bianco all’anulare sinistro, che ti fanno conoscere la mamma, il papà, la nonna e tutta la squadra al completo. Quelli che decantano magnificando le tue doti culinarie, dove confortano e rassicurano i parenti, che in caso di matrimonio non avrebbero corso l’azzardo, l’incognita e il rischio di morire di fame.In conclusione l’ho trovato, uno di quei ragazzi paesani grezzi, sgarbati e villani senza titolo di studio con la barba incolta e l’odore metallico del lavoro. Lui faceva il fabbro e vantava una parentela di delinquenti, mafiosi e spacciatori da entrambe le discendenze, un curriculum e un percorso di vita di tutto rispetto per i miei genitori, non c’è che dire. Da ultimo, gradualmente le brave ragazze crescono e maturano assieme ai fanatismi, alle isterie, alle nevrosi, alle notti insonni e ai pianti. Quest’impiccio ho involontariamente procurato e perfino meccanicamente provocato, perché la brava ed efficiente ragazza ha fatto a pezzetti l’aureola e l’ha scaricata in seguito nel cesso, giacché lo sciacquone ha ingoiato di tutto in questa casa. 

Io mi sono fatta deflorare, sì, non posso di certo dire d’aver fatto l’amore in macchina una sera nel parcheggio d’un ristorante nel mese di febbraio, in effetti lui non m’ha fatto del male, non ho perso sangue, in quanto non mi sono accorta di nulla. Ero contenta d’essermi a tal punto livellata e uniformata in maniera consona e rispondente alla massa, perché questo era il basilare, l’essenziale, l’importante aspetto, ovverosia non più la brava ragazza che si conserva illibata e integra fino al matrimonio, che sogna abiti bianchi e vaporosi, che non s’accoppia con gl’irregolari. Non ero felice, no, questo mi faceva stare bene anche il giorno dopo, quando al risveglio mi sembrava d’essermi fatta la pipì addosso. Lui ha fatto parte della mia vita per tre anni, il sesso credevo non m’attraesse, pensavo che non facesse per me, perché mi veniva la febbre al solo pensiero di srotolarmi gli slip lungo le cosce. Non mi depilavo neppure l’inguine, siccome ero gretta, rozza, rustica e priva di femminilità, però a lui piacevo da dare i numeri. 

In quello sconclusionato e strampalato periodo della mia vita m’avevano alienato ed estraniato sia i genitori che il fidanzato, la colpa e la mancanza era solamente mia, poiché avevo concesso accondiscendendo e autorizzando inconsapevolmente a tutti di decidere e di stabilire per me. Poi all’improvviso la novità, la svolta decisiva, mia madre se n’è andata, mio padre ha perso la ragione, il mio fidanzato l’ho mollato. Il paese proclama già la sentenza, perché se i curiosi e gl’impiccioni non ci mettono il naso si sentono espropriati e spodestati dell’unico potere in loro possesso, per il fatto che l’ho fatto penare e soffrire. Beh, se è così mi dispiace parecchio, so però che lui si sposerà fra sei mesi e sono felice per lui, intanto che io faccio i conti con la mia caparbia e insistente solitudine, che diciamola tutta mi fa anche una grande e sacrosanta compagnia. 

Al momento vi presento la brava, efficiente ed esperta ragazza che m’hanno costretto e fatto in definitiva diventare. Io mi sono radicalmente trasformata nella femmina del baco da seta, la farfalla dalle grandi ali che produce un feromone percepibile dal maschio a dieci chilometri di distanza. Attualmente mi vesto in maniera provocante e mai volgare, non devo manifestare né svelare le mie voglie, perlomeno non da subito. Mi piantono soffermandomi nei locali più giusti e più in voga, per realizzare e per occuparmi di nuove conquiste. Ho studiato movenze seducenti e sguardi ammiccanti per attirare l’attenzione e i trionfi arrivano a grandi quantità. Mi è capitato di tutto fra le cosce e sono tornati, sempre. 

Anche oggi, facendo scoppiare il mio telefono e la mia casella di posta elettronica di fesserie e di stronzate. “Ex brava ragazza, studiosa, volenterosa, fidanzata, dolce, arrendevole e accomodante cercasi”. Ormai comunico e diffondo unicamente con il corpo e sempre meno con le parole, perché le definizioni “Scopami”, “Leccami”, “Fammi godere”, “Dammelo”, “Infilamelo”, sono imperativi lanciati al vento in un impeto di densa cupidigia e di grassa ingordigia. Non divulgo nessun concetto, niente pareri, non parlo, soffro e provo male nel compierlo. 

Le mie amiche, che consumavano la loro prima volta sui motorini, oggi mi vedono come un fenomeno, un prodigio, io aggiungo desolatamente e mestamente da baracconi. Mi lanciano di continuo raffronti, prove e sfide attinenti uomini che ritengono inarrivabili e irraggiungibili. Io vinco sempre, perché il “pene” è una terra conquistabile ed espugnabile con una facilità e con un’immediatezza disarmante. In una notte però ho incontrato inaspettatamente l’amore, sennonché il suo cuore è imprendibile, inattaccabile e solidissimo. 

Lui è nondimeno come me: per una carezza barattiamo e traffichiamo il corpo. 

“P.S.:”. Ti ringrazio sin da ora Idraulico, per avermi concesso e permesso d’esporre riportando la mia addolorata e tormentata storia vissuta tempo addietro, che include una fetta della mia vita che si rispecchia riproducendosi attraverso i tuoi numerosi, appassionanti e interessanti racconti. 

(Firmato da Gertrude). 

{Idraulico anno 1999} 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         

 

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