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Erotici Racconti

Appuntamento involontario

By 20 Marzo 2017Febbraio 1st, 2023No Comments

Ho conosciuto Giacomo per un vero caso, o meglio, per mezzo d’una fortuita e imprevista collisione. Io ero ferma all’incrocio in attesa che scattasse il verde del semaforo per poter ripartire, giacché ero concentrata nei miei soliti pensieri, dal momento che ero appena uscita da un matrimonio che era stato un completo fallimento e mi sentivo la testa e la mente pesante. Non riuscivo a pensare, non riuscivo a reagire, eppure nello stesso tempo mi sentivo così carica, delicata e perfino leggera, dato che non mi sembrava per niente vero che finalmente avevo ottenuto e raggiunto la mia sospirata libertà. 

Immersa radicalmente nei miei pensieri, totalmente coinvolta nelle riflessioni, aspettavo il verde con il piede premuto sul freno e appena la luce scattò lo tolsi pigiando normalmente il piede sull’acceleratore dopo aver inserito la marcia. Stavo per rilasciare la frizione, quando sentii d’improvviso un gran botto da dietro, dal momento che la macchina sobbalzò facendomi ondeggiare con il busto in avanti e indietro. Mi resi conto in un attimo d’essere stata tamponata, mi preparai per scendere furibonda come un animale, decisa a dirne quattro a chi mi si sarebbe presentato davanti, cosicché cacciai fuori gli artigli e scesi infuriata. Davanti ai miei occhi però, si presentò una situazione moderatamente comica e perfino giocosa: per terra, dietro alla mia macchina, in concreto, disastrosamente contorto in quello che era un motorino o forse una vespa, c’era un bellissimo ragazzo bruno con i capelli lunghi dalla carnagione olivastra che borbottava come un pazzo scatenato frasi arcane e indecifrabili. La circostanza che mi fece più sorridere e sorvolare sul danno fatto, era che lui aveva preventivamente riferito allo zio che i freni non funzionavano e che avrebbe dovuto peraltro ripararli. Io lo guardavo frastornata, palesemente sbalordita dal fatto che non si curasse proprio che io ero lì, per il fatto che lo guardassi in attesa per lo meno delle scuse, eppure non successe niente, perché s’accorse di me quando ero quasi piegata con le mani a pugno sui fianchi in attesa delle famose scuse mi sentii dire:

‘Mi dispiace’ – e quasi svenni.

In quell’impavida e rocambolesca congiuntura non mi balenò null’altro per la testa sennonché mi venne da riferire un abbattuto e fragile prego, tenuto conto che lui possedeva una voce tra l’altro armonica e rilassante nonostante la situazione così animosa che si era creata, di questo andare, poiché nessuno si preoccupava della mia macchina io m’affacciai per vedere il danno e quando vidi il paraurti rientrato notevolmente mi misi le mani nei capelli per il dispiacere. Nel contempo intorno a noi si era velocemente radunata una piccola folla, che si preoccupava giustamente e lecitamente più per la salute del ragazzo che della mia macchina, di consueto la mia mente in quel momento viaggiò altrove, dato che io iniziai a pensare che ero in una città sconosciuta e non conoscevo assolutamente nessun essere umano in quel posto. A chi mi sarei rivolta? Come avrei potuto fidarmi di chicchessia, per risolvere il problema senza il timore d’essere abbindolata e fregata? Come avrei potuto pagare i danni? Insomma, con questi pensieri oscuri che mi mulinavano e che m’appannavano la mente io ero già arrivata dal carrozziere, soffiavo girando nervosamente intorno alla macchina, mi grattavo in testa, quando una voce mi distrasse da tutto il mio futuro rovinato da un tamponamento, mi sentii inaspettatamente esclamare: 

‘Signorina, salve, io sono lo zio di Giacomo, mi spiace per l’incidente, si tranquillizzi, perché ripareremo ben presto in modo adeguato il danno’.

Io mi girai per guardarlo e m’apparve davanti un uomo molto accattivante e coinvolgente, forse sui quarant’anni d’età con la carnagione olivastra, gli occhi bellissimi, il mento graziosamente pronunciato con una pelle luminosa. Io articolai qualcosa senza chiarezza né linearità alcuna, affascinata nell’osservare la pelle liscia evidentemente rasata di fresco, il naso irregolare e quegli occhi così espressivi e profondi, un po’ stempiato e con gli occhiali, con un bel fisico rivestito da un elegante abito grigio, nel tempo in cui io incespicavo la seguente espressione:

‘Non s’impensierisca né si crucci oltremodo, non c’è necessità, me la sbrigo per conto mio’.

In quella circostanza io m’accorsi distintamente che già mi prudevano le pupille in maniera detestabile, perché sentivo che stavo per mettermi a piangere e non volevo, eppure tutto ciò accadde, giacché non potei farci nulla, perché continuando a balbettare le lacrime dovute al nervoso accumulato e alla paura di non farcela iniziarono a scendere abbondanti, fu in quell’istante che mi sentii affettuosamente comunicare:

‘Signorina la capisco, non si disperi, vedrà che appianeremo e sistemeremo la faccenda nel migliore dei modi, non si allarmi né si turbi più di tanto’ – in quell’attimo mi venne distintamente la tentazione di mandarlo coscienziosamente al diavolo. 

Nel frattempo Giacomo si era avvicinato, iniziò a chiedere scusa anche lui che peggiorò nondimeno le cose, giacché io mi lasciai andare in un lamentoso e rovinoso pianto che mi fece vergognare non poco. La questione fu risolta molto in fretta e l’affascinante zio di Giacomo si preoccupò di tutte le faccende, macchina compresa, senza lasciarmi dire né fare nulla. S’occupò altrettanto della riparazione presso un suo carrozziere di fiducia e addirittura s’offrirono di prestarmi un mezzo di cortesia, giacché li avevo informati che non avevo altri mezzi e che ero da poco arrivata in quella città per un nuovo lavoro. Le cose si susseguirono così velocemente che neanche me ne accorsi, dato che feci amicizia con entrambi, Giacomo in particolare me lo trovavo fuori dall’ufficio pronto per offrirmi dei passaggi verso casa, anche se non abitavo molto lontano. Lui mi chiamava la domenica per sapere se volessi uscire, io avevo ostinatamente rifiutato, finché una domenica sera mentre passeggiavo sul lungomare me lo trovai davanti con altri quattro ragazzi. Mi salutò allegramente chiedendomi che cosa facessi tutta sola, mi propose se volessi unirmi a loro. Io dissi di no, dato che stavo per rientrare e lui colse al volo l’occasione dicendomi che m’avrebbe accompagnato.

Io ero troppo presa dai miei problemi, per notare che sostanzialmente mi stava facendo una corte spietata cosicché accettai tranquillamente. Faceva freddo e camminando a fianco a fianco mi sentii infilare il suo braccio sotto al mio con una tale naturalezza che non mi diede per nulla fastidio, anzi, mi scaldò il cuore. Io avevo giurato a me stessa mai più uomini, però in fondo Giacomo non era un uomo, perché io non lo vedevo sotto quell’aspetto, visto che era più piccolo di me di dieci anni e lo guardavo più come fratello che come altro. Lui aveva sempre qualcosa da dire e presa da quell’allegro parlottio accettai di farmi accompagnare a casa. Era quasi ora di cena e quando arrivammo sotto casa gli proposi di salire, lui sorrise e mi disse d’aspettare soltanto un attimo, perché doveva avvisare che non sarebbe rientrato a casa per cena. Io m’accorsi solamente allora, che forse non era il caso, poiché me ne sarei potuta pentire, per il fatto che avvertivo una fondamentale e una sostanziale diversità tra di noi, perché io, infatti, non mi sarei mai sognata d’avvisare né d’informare i miei genitori che non sarei rientrata, in quanto loro non erano abituati a simili situazioni. Ormai però era fatta, al momento mi sembrava scortese e sgarbato dirgli che avevo cambiato idea, cosicché a quel punto lo feci salire. Lui era così allegro e gioviale, discorreva molto e coinvolgeva in una maniera sensazionale. Io organizzai sennonché un veloce spuntino e tirai fuori unna bottiglia di Prosecco da bere come aperitivo, nel tempo in cui il convito riscaldava sul fuoco ci adagiammo sul canapè ad assaporare il Prosecco, mentre lui mi narrò tutto d’un fiato le personali vicende di tutta la sua famiglia: cugini grandi e piccoli, madre, padre, sorelle e fratelli, zii e zie, mi parlò di Serafino, lo zio che m’aveva aiutato per la questione della macchina, una persona davvero speciale a suo dire e indubbiamente lo era per tutto quello che aveva compiuto per me, anche se non io non lo avevo più rivisto. Continuammo a bere, scendendo sempre più nell’allegria con i suoi racconti e sugli episodi della famiglia, poi ci trovammo a ridere uno di fronte all’altra, con le facce talmente vicine che finimmo con le bocche unite in un emozionante bacio. 

Lui era molto affettuoso, aveva un modo di baciare insolito da ragazzo che non aveva nulla a che fare con un bacio d’un uomo cresciuto, si coglieva il sapore acerbo e prematuro di ragazzo, l’indecisione e l’insicurezza, tenuto conto che avevamo dieci anni di differenza, visto che io con il sesso non è che avessi molta esperienza, avendo avuto unicamente un solo matrimonio per giunta sfociato peraltro malamente. Lui iniziò ad accarezzarmi le cosce, passando nervosamente alle spalle e sul collo, in quell’istante mi vennero dei brividi forti e scoprii per la prima volta che avevo un gran desiderio di fare sesso con un uomo dopo tanto tempo, per il fatto che fosse più piccolo di me, per la sua insicurezza o forse per il Prosecco che entrava già in circolo, tutte queste circostanze mi fecero sennonché abbandonare tralasciando tutte le difese. Io afferrai la sua mano decisa, la poggiai sui miei prosperosi seni e sussultai nel sentire il calore, lo stesso accadde a lui, prima che iniziasse a palparmi in modo inesperto e nettamente maldestro. A dispetto di ciò non mi scese l’adrenalina, viceversa, m’eccitò ancora di più sentirlo sotto di me così incapace e malaccorto, a quel punto mi lasciai andare totalmente infischiandomene. Scivolai leggermente sul canapè aprendo le gambe e portandogli l’altra mano all’interno dei pantaloni sotto il perizoma, lui restò per un attimo ad accarezzare la mia foltissima e nerissima peluria sul monte di Venere, dopo un po’ scese all’interno della mia intimità, sobbalzando nel sentirmi così eccitata, perché il clitoride era gonfio e le labbra inumidite dai fluidi del mio fremente desiderio.

Lui continuò ad affondare la mano sempre di più, mentre io respiravo a tratti tra gemiti e sospiri, perché sembrava una vita che non facevo sesso, mi sentivo così infervorata e in totale delirio dei sensi, che non capii più nulla lasciandomi andare all’orgasmo e urlando in modo poderoso la mia appassionata lussuria. Rimasi un attimo con gli occhi chiusi ancora sul canapè con le gambe aperte e la sua mano ancora dentro che continuava ad accarezzarmi, visto che la sua testa era poggiata sulla mia. Io mi girai e lo baciai adagio sulla bocca, gli sfilai la mano da dentro i pantaloni e iniziai decisa ad accarezzarlo sui pantaloni. Scivolai giù dal canapè e m’inginocchiai davanti a lui, gli sbottonai i pantaloni e glieli sfilai giù fino alle ginocchia insieme agli slip, m’avvicinai affamata al suo giovane cazzo che svettava dritto verso l’alto, la pigliai in bocca con forza e gustai i primi sapori del sesso dopo lunghissimi mesi d’astinenza. Mi sentivo esplodere e cominciai a masturbarlo con forza, leccando e toccando dappertutto, giacché mi entrava dentro e fuori come se mi stesse penetrando, sentivo il sangue scorrergli dentro. Lui m’afferrò per la testa e l’alzò dicendomi che stava per eiaculare, io gli dissi di lasciarsi serenamente andare e di non ostacolare in nessuna maniera la sborrata, ma di abbandonarsi. A quel punto gli ripresi il cazzo in bocca e continuai voracemente a succhiare, accorgendomi che lui stava per erompere irruentemente, finché non sentii nella mia bocca l’impeto di quel denso e bianco intimo sfogo, però dal gradevole sapore. Lui mi sborrò in bocca in maniera abbondante urlando e gettando la testa all’indietro ansimando forte, io raccolsi tutto il suo prezioso succo e l’ingoiai leccando sommessamente tutto il resto, asciugandolo e baciandolo. Mi rialzai e lo baciai sulle labbra adagio, visto che lui era rimasto senza parole, evidentemente era la sua prima volta in quel senso. Naturalmente la fine della serata fu un po’ imbarazzate, per il fatto che senza neanche finire di cenare se ne andò con la scusa che fosse tardi. 

Nei giorni successivi mi sentii uno schifo, provavo ribrezzo, avvertivo una bizzarra ripugnanza, non avevo il coraggio di guardarmi allo specchio e non mi sentivo a posto con me stessa, perché sentivo d’aver fatto qualcosa di sbagliato, di smisuratamente scorretto e sconveniente. Giacomo non lo rividi per qualche giorno e questo mi fece andare ancor più in avvilimento, in sconforto, perché sentivo che questa sua assenza era stata per l’appunto una dimostrazione e un segnale che ciò che avevamo compiuto non era stato giusto né onesto. Io motivavo il tutto con la scusa dell’alcool che avevamo ingerito entrambi dell’euforia della novità, finché un giorno bussarono alla porta. Io ero in bagno che mi lavavo e sentii bussare forte, evidentemente avevano prima suonato per bussare ora in quel modo così energico, uscii di corsa dalla doccia con i capelli bagnati, infilai l’accappatoio al volo e corsi in cucina strofinando i capelli per far assorbire l’acqua. Quando aprii la porta rimasi a bocca aperta con il buongiorno che mi morì in gola, perché davanti a me affascinante più che mai c’era Serafino lo zio di Giacomo. Io lo squadrai dalla testa ai piedi con un insolito entusiasmo e un’impertinenza che non mi era abituale. Portava un completo grigio molto raffinato con una con camicia e cravatta, giocava con svogliatezza con le chiavi della macchina e mi guardava dall’alto in basso forse un po’ frastornato dal mio abbigliamento poco adatto al ricevimento d’una persona. Mi resi conto soltanto alla vista del suo sguardo critico che avevo allacciato alla meglio l’accappatoio, senza curarmi più di tanto se gli incroci erano al posto giusto. Abbassai lo sguardo e vidi che si era aperto lasciando intravedere la piega del seno prosperoso, io m’affrettai per richiudere stretti i lembi dell’accappatoio, bisbigliando finalmente il buongiorno e facendomi da parte lo invitai a entrare.

All’inizio lui rimase un po’ sulle sue manifestando un po’ di freddezza, perché mi disse che era venuto per parlarmi di Giacomo, che da qualche giorno aveva un atteggiamento che non era dei suoi abituali. Io mi sentivo in dovere di dichiarare la verità, vista tutta la sua gentilezza e la disponibilità che m’aveva offerto, allora l’invitai a sedersi e gli offrii qualcosa da bere che gentilmente declinò, quindi spiegai ciò che era successo con Giacomo, senza scendere nei particolari. Lui rimase in silenzio ad ascoltare fissando le punte delle sue scarpe, mi fece finire il discorso, dopo di che si girò a fissarmi in silenzio. Io rimasi meravigliata, perché credevo di risolvere raccontando ciò che era successo, ma nell’istante esatto in cui mi guardò capii d’aver sbagliato tutto. Era evidente che la faccenda gli dava enormemente fastidio, perché iniziò con un modo di fare placido a spiegarmi come vedeva lui la questione, ovvero che io gli avevo manifestamente violentato il nipote poco più che ventenne fuorviandolo. Non comprendevo il suo atteggiamento, in tal modo iniziai a montare su tutte le furie respingendo con ferma irruenza ogni suo insulto, perché tali erano diventati ai miei occhi. Nella discussione non mi resi conto di ciò che portavo addosso e iniziai a gesticolare, per cercare di fargli capire che la circostanza era stata tenacemente voluta da entrambi e che non avevamo fatto nulla di male, perché in effetti non si era trattato in conclusione d’un abuso né d’un maltrattamento imposto.

Io ero talmente presa dalla foga, che mi resi conto troppo tardi del suo sguardo che stranamente non fissava più i miei occhi, ma più in basso nella zona inguinale squadrandomi la foltissima e nerissima peluria della fica, allora rimasi con le mani a mezz’aria e osservai la mia posizione. Io mi ero seduta al suo fianco sul canapè in una posizione confidenziale, leggermente di lato con un braccio appoggiato sul divano, con l’altro braccio impegnato a volteggiare per amplificare sottolineando il senso di ciò che dicevo, mi sentivo però manifestamente arrossata in viso per la foga e per l’accanita veemenza della discussione. All’improvviso sentii anche un leggero fresco sul collo, al che abbassai lo sguardo e m’accorsi troppo tardi che l’accappatoio si era indecentemente aperto sui seni, lasciando intravedere una piccola parte dei capezzoli. Lui mi fissava, io non riuscii a muovere più un singolo muscolo, con prudenza alzò la mano destra e la posò sulla piccola vena che mi pulsava sulla tempia cagionata per quell’accesa discussione, dopo scese gradualmente lungo il collo finendo al centro del petto e la faccenda mi fece enormemente eccitare. Cercai rapidamente di riprendermi, ripetendomi che quell’uomo era venuto intenzionalmente per insultarmi, però non riuscii a scostarmi, perché io desideravo vigorosamente che lui mi toccasse, bramavo sentirlo e stavolta non per i fumi dell’alcool, ma per il desiderio puro e schietto.

In quell’occasione rimasi in silenzio, quasi terrorizzata che ciò che stesse facendo fosse solamente una riprova che ciò che aveva appena detto, eppure mi sbagliavo di grosso. Passò però soltanto un attimo, perché abbassando lo sguardo al di là del suo braccio e fissandolo tra le gambe notai un evidente gonfiore sotto la patta dei pantaloni, mi feci in tal modo forza e desiderosa di sentirlo contro il mio corpo inarcai decisamente la schiena lasciando uscire ancora di più i seni, la sua mano si chiuse a modo di coppa su uno dei seni, iniziando a tormentare il capezzolo che si era fatto piccolo e duro e m’agitai sul canapè. Volevo strapparmi l’accappatoio di dosso e salirgli sopra cavalcioni, lui s’avvicinò al mio collo e iniziò a leccare adagio facendomi provare un mare di brividi. Intanto con la mano continuava a molestarmi il capezzolo, io non avevo il coraggio d’allungare la mano, temendo che potessi spezzare quell’attimo che mi pareva infinito. Finalmente lui prese totalmente l’iniziativa girandosi verso di me e allungando l’altra mano, dato che m’accarezzava entrambi i seni in maniera favolosa, poiché li sentivo come dei macigni dovuta a quell’insistente eccitazione. All’improvviso tolse una mano e aprì la patta dei pantaloni tirando fuori un cazzo non enorme, però ben fatto, iniziò a tastarsi e questa libidinosa situazione mi fece tremendamente eccitare, perché osservare come lui si stava masturbando e contemporaneamente immaginarmi d’essere palpeggiata mi fece perdere tutta l’omogeneità. Io ero drasticamente senza forze, mi sentivo in balia delle mie depravate e lascive sensazioni, non riuscivo a oppormi né a reagire, se non lasciandolo fare e abbandonandomi a indescrivibili e a interminabili sospiri.

Ci fissavamo negli occhi come due animali e non smettevamo di respirare, lui m’aprì l’accappatoio definitivamente lasciando scoperto tutto il corpo, iniziò a frugare dappertutto quasi alla ricerca d’un tesoro, io mi sentivo bruciare e sciogliermi allo stesso tempo, mentre tra le gambe avvertivo il liquido dell’eccitazione che ormai era in ogni parte. Lui s’alzò e in un attimo s’inginocchiò davanti a me, mi fece scivolare leggermente sul canapè aprendomi le gambe, iniziò a leccare tra le labbra il clitoride. Lui aveva una lingua eccezionale, che si muoveva davvero abilmente in ogni angolo della mia intimità con considerevole maestria, io iniziai sennonché a mugolare rantolando e aprendo le braccia completamente. In un attimo si denudò totalmente, donandomi una scena formidabile e lasciandomi affascinata e incantata, sennonché ritornò sul canapè e lì si sedette. 

Lui sembrava che m’avesse letto nel pensiero, giacché m’afferrò per una mano e mi fece adagiare su di lui. I capelli erano ancora bagnati in quanto mi ricadevano sul viso, io mi piegai su di lui e gli agguantai il cazzo per mano, insieme ci dirigemmo nel mio fiore sfiorandoci le dita leggermente, mentre sentivamo entrambi che quella carne perforava e trafiggeva le membra d’entrambi. Eravamo l’uno preso eccezionalmente dalle sensazioni dell’altro, accompagnandoci per mano alla vetta del piacere, perché in quell’istante mi sembrava indiscutibilmente di volare. Io m’aggrappai al canapè con le mani e iniziai a cavalcare quel fantastico stallone che mi reggeva per i fianchi e mi guidava in una danza carnale, ispirata e senza fine. Eravamo entrambi tesi a sentirci svisceratamente l’uno dentro l’altro, in perfetta sintonia, perché in nessun caso mi era successo d’avere un simile trasporto verso una persona nel fare l’amore. I movimenti erano lenti e ugualmente studiati, leggeri e altrettanto forti, perché ascoltavamo ogni pulsazione, ogni soffio, poi successe tutto così affrettatamente. Io non ressi più a quel soave patimento e comodamente aumentai il ritmo guidata comunque da lui. Iniziai a cavalcare sempre più forte, sentendo il cazzo che m’infilzava con violenza, che scorreva libero dentro le pareti della fica abbondantemente lubrificata dai fluidi dell’eccitazione. Lui m’allargava le natiche con forza sempre più intensa, s’aggrappava allo spasimo, finché non esplodemmo in un attimo eterno, urlando di piacere e gettandoci liberi a braccia aperte l’uno nell’altra senza confini. 

Fu davvero bellissimo, stupendo, realmente incantevole e seducente anche nei momenti successivi, dato che non c’era disagio né imbarazzo né incomodità di nessun genere. Lui rimase insieme con me intanto che facevamo la doccia, insaponandoci e lasciandoci andare ancora infinite volte per i giorni successivi. Per tutta la vita.

{Idraulico anno 1999} 

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