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Erotici Racconti

Averti accanto

By 21 Maggio 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

 

Il musicista incoraggiava e sospingeva la sua melodia in modo disadorno e piuttosto fiacco, quasi come se quell’armonia personale fosse il canto avvilito, inquieto e malinconico del suo animo e del suo stesso spirito. Il cielo era grigio, eppure quell’eccezionale e inconsueta canicola del mese di settembre, reprimeva soffocando la città chiusa come all’interno d’una smisurata serra, intanto che noi filiformi e semplici virgulti acquistavamo vigore raccogliendo pigmenti e vivacità multiformi. Prima d’uscire io mi ero coperta con un pastrano, in quanto ero convinta che un nubifragio m’avrebbe alla fine colto sul fatto, tant’&egrave vero che appena smisi di pensare all’evento il temporale iniziò a inzupparmi. Quel personaggio io dovevo affrontarlo nel dopopranzo, all’interno di quella taverna ammobiliata con un arredamento d’altri tempi, perché lui m’avrebbe riferito come di solito – sai mi dispiace e mi ferisce tanto – in seguito m’avrebbe agguantato con dovizia la mano stringendomela, ne avrebbe baciato il dorso, dopo m’avrebbe sorriso falsamente e toccato educatamente la capigliatura per avvisarmi di soppiatto:

‘Andiamo a scopare, così ce la spassiamo un po’ – io avrei approvato acconsentendo, rimanendo però angustiata, soggiogata e per di più al momento incollerita.

Io avrei fatto l’amore fingendo e recitando un improbabile e un inverosimile trasporto, alla fine lui si sarebbe alzato, avrebbe fatto la doccia, in quanto il giorno dopo lo scenario si sarebbe ripresentato tutto come in principio simile a una rodata e abile sceneggiatura: le bugie, i deliri incomprensibili, l’antagonismo e le gelosie diffuse da mercato, il voltafaccia, la disonestà e i tradimenti, poi quelle scuse assurde e inverosimili, siccome io ero stata fin troppo indulgente e tollerante. Una seria sanzione, questo sì, ci sarebbe voluto per davvero, di quelle che non avrebbe in nessun caso scordato, per il fatto che avrebbe donato un bell’indizio sia nell’anima, una traccia nella psiche e nondimeno nell’epidermide, poi magari me la sarei svignata allontanandomi nel momento migliore, più che garantito. Sarei mai potuta riuscirci? Io ripetei fermamente in segno di negazione quella richiesta verso me stessa, al momento lo squadravo cautamente in maniera pacifica, giacché ero talmente avezza ai suoi atteggiamenti e alle sue recite bugiarde e infide, alle sue parole illusorie e altrettanto vane.

‘Lo degusti oppure che cosa fai’ – rivendicai acutamente io, gesticolando in direzione della scodella con un segno della testa.

Lui rizzò con flemma il dorso e scrutò all’esterno orientando l’occhiata verso l’esecutore e rise a fior di labbra. Io lo biasimavo, disapprovavo dal momento che sghignazzava, prima di tutto laddove lui se la spassava ben contento scansando di sbandierare la sua aleatoria e titubante sicurezza.

‘Gradirei conoscere per quale motivo tu ridi a fior di labbra?’ – gli sollecitai io in modalità distesa e tranquilla.

Lui si sollevò ancora una volta e ansimò, agguantò la chicchera e sorseggiò adagio, dopo con la sua significativa flemma acutamente annunciò:

‘Riflettevo, sai ragionavo un poco’. Io soffiai alquanto importunata e di rimando immediatamente sbottai sfogandomi:

‘Dimmi una cosa? Mi hai fatto giungere intenzionalmente in questo luogo, per conversare o per stare ferma ad ammirarti?’.

A quel punto lui mi puntò gli occhi addosso fissandomi, in quanto io abbandonai e tralasciai qualsiasi difesa, poi lui in modo impertinente e spudorato mi disse:

‘Fissarmi o conversare in tua compagnia, che razza di discordanza c’&egrave? Che tipo di divario realmente c’&egrave? Comunque sia, per te &egrave sufficiente essere nei miei paraggi per essere esultante e per stare bene’.

Io lo squadrai in principio ammaliata, decisamente corrucciata e per di più stomacata per quella risposta ricevuta. In quel preciso istante disertai e tradii i miei pensieri, bandii totalmente i piani che avevo appena stabilito precedentemente poco prima d’uscire di casa: senza dubbio alcuno io me la sarei svignata in sua compagnia andando in ogni parte, sennonché in quest’occasione fui proprio io di getto a bisbigliarglielo:

‘Adesso ho una tremenda e smisurata smania di fare l’amore’.

Io non lo scongiurai per nulla, viceversa, lo feci talmente cointeressato della mia lussuria infuocata e fervida del mio sentimento. Lui si scolò alla svelta quella tazzina del t&egrave in un assaggio, lasciò il conto sul piattino e quando m’alzai mi cinse la schiena con le braccia. Lui era terribilmente austero e rigoroso, probabilmente era davvero mutato come m’aveva accennato, poiché aveva lasciato in disparte quell’espressione ironica e stancante che negli ultimi anni aveva assunto. A dire il vero era il suo contegno, un lato del suo piglio, un’espressione tipica dell’uomo che non ti considera né ti valuta più come il suo tesoro personale, perché magari sta raccogliendo dei virgulti un po’ dovunque, avido, egoista e in aggiunta a ciò indiscutibilmente insaziabile. Come le avrebbe adoperate quelle cose preziose? Una magnifica ghirlanda, ma certo, una piacente cornice per elevare e per idealizzare al massimo il suo essere mai saturo né sazio d’imprese audaci e rischiose, la sua autentica disposizione assente, individualista e sventata. Io viceversa, che modello d’approccio avrei mostrato? Sarei stata unicamente l’intelaiatura, giacché lui ci avrebbe edificato addosso consumandomi e sfruttandomi, eppure io, sebbene fossi incostante e volubile e parecchio più avara di lui mi sarei lasciata interamente bonificare e ripulire.

Attualmente una nuova espressione della faccia però, gli regalava un’inesplorata e sconosciuta grazia e un’insolita temperanza, unitamente a una distesa e imperturbabile forza di volontà: io rimasi realmente sbalordita. Lui con un cenno fermò un taxi che si era accostato al margine della strada, consegnò il suo recapito e varcammo la carreggiata arroventata in completo mutismo. Io non badavo a niente, pure lui pareva non riflettere, dato che non mi sentivo in diritto di chiedere, di parlare, perché volevo solamente fare subito l’amore. Lui non ebbe il tempo d’infilare la chiave nella serratura, che già io gli ero addosso: lo volevo tutto per me, ardevo e bramavo per il suo corpo e per la sua pelle come se fosse una terra senza identità, inesplorata e giammai valicata.

‘No, ti prego’ – sussurrò lui.

Io lo guardai in maniera inquisitoria e con lo sguardo gli chiesi che cosa avesse in mente di compiere. Interrompere adesso? No, non l’avrei fatto, perché mi sarei spinta totalmente a fondo. Oppure più o meno il suo comportamento era un modo per dichiararsi debellato, sbaragliato e sconfitto? Io continuai a premere le dita sulla sua camicia sudata, le labbra contro le labbra, per il fatto che si liberò da me, in quell’occasione mi sbalordii alquanto e lo esaminai allarmata e preoccupata:

‘Sono proprio curiosa e discreta, dimmi che cosa t’affligge e t’infastidisce?’ – gli chiesi io con angustia e con un lieve timore.

‘Entra dai, ti prego’.

Il tono della sua voce era dolce, malinconico, imbarazzata io entrai. Sulla parete attrezzata dirimpetto all’ingresso scintillava la nostra foto fatta durante un viaggio a Norimberga, quando per un intero fine settimana giocammo a inserirci in improbabili ruoli che stuzzicavano le nostre fantasie. Mi lasciò in piedi sulla soglia, si tolse la cravatta intanto che varcava l’androne e poi s’addentrò in cucina. Io restai a origliare in silenzio, non mi spostai da quella postura, non sfilai neanche il paltò, non scagliai sulla sedia neanche la borsetta, in quell’attimo respiravo a stento. Lui era eccentrico e bizzarro sì, ma non fino a questo punto, tant’&egrave che m’intimò con lo sguardo e con i gesti a rimanere lì dov’ero, perché voleva sminuirmi, svalutarmi e umiliarmi per sempre, ecco che cosa voleva.

Lui anelava che io lo seguissi come una cagna avvilita e scoraggiata ai suoi piedi, chiedergli in lacrime di fare l’amore, perché ne avevo bisogno quando improvvisamente sentii un sussurro. Quello sparlare proveniva dalla cucina, stetti un attimo in silenzio, smisi persino di respirare per ascoltare meglio, dato che avvertivo un riso soffocato d’una donna. Feci risuonare i miei tacchi lungo il corridoio, poiché camminavo lentamente ma con un’ansia snervante, m’affacciai dalla porta e li guardai, lui le circondava i fianchi e le sfiorava il collo, lei sorrideva soddisfatta con gli occhi semichiusi, alla fine scaraventai la borsa sul pavimento, avanzai minacciosa verso di loro e urlai:

‘Chi cazzo &egrave questa qui? Si può per lo meno sapere che cazzo accade?’. Lui sorrise beffardamente e sbottò:

‘Lei &egrave Veronica. Veronica, lei invece &egrave Nannò’.

Lui dopo svariati anni mi chiamava con questo fessacchiotto e grullo soprannome, tenuto conto che nella lingua greca antica significa ‘pupattola’. Lui ebbe il coraggio, la sfacciataggine e la strafottenza di chiamarmi in tal modo anche in quella circostanza, proprio un autentico bastardo, anzi, un esplicito mascalzone e pure verme. La sua Nannò, in quanto poteva giocarci e buttarmi via, quando più gli avrebbe fatto comodo. Io piansi disperatamente, lo riempii di pugni sulla schiena e lei rideva: non riuscivo a percepire più la realtà, la mia mente era annebbiata, sconvolta e turbata. Esibirmi e propormi come la sua concubina, realmente nella solennità in cui aveva deliberato di sopperire ai suoi sbagli: per quale motivo? Quale concetto e che significato poteva annoverare e includere tutto ciò?

Io me ne andai con le lacrime agli occhi in direzione del salone, m’adagiai sul canap&egrave riversa e piansi enormemente. Non m’impicciai né ebbi più premura di lui, che scopasse in ugual modo con Veronica o come cazzo si faceva chiamare. Lui era cattivo, infame e spietato, adesso il ventre si contorceva, perché avvertivo la mia anima trivellata e trapassata da un’ossessione che s’impiantava e si spingeva dentro perpendicolare. Mi misi a sedere, asciugai le lacrime e m’osservai da ogni parte. Una sfumatura armoniosa affagottava la stanza, un colombo era rannicchiato sulla balaustra del ballatoio e i miei singhiozzi erano l’unico suono che si poteva origliare dentro la casa. Io m’alzai e rientrai nella cucina, loro erano al momento lì e conversavano, lui era diventato serio, lei s’aggiustava i capelli e premeva le labbra con un dito, in quanto era piuttosto raccolta e con l’atteggiamento severo. Con le pupille tumefatte e con la capigliatura in disordine io gli domandai per quale motivo m’aveva causato tutto questo scompiglio. Lui non azzardò né ribadì nulla, o probabilmente io non gli concessi l’opportunità di compierlo, m’abbassai fra le sue cosce, estrassi il suo membro non ancora eccitato e cominciai a leccarlo. La mia lingua e le mie lacrime lo bagnavano, tuttavia forse lo stimolavano maggiormente le mie lacrime, in quell’istante io mi girai e squadrai lei mortificandola e raggelandola, non parlai, eppure era chiaro che le stessi dicendo:

‘Osserva bene e renditi conto, fin dove si spinge il mio sposo insieme a me’.

In effetti il suo membro non tardò nel riprendersi, ottenendo nel frattempo una ragguardevole durezza, per il fatto che le nervature dei vasi sanguigni della sua virilità si riaffacciarono. Io mi sollevai e lo baciai in bocca con le labbra ancora impregnate del suo odore, lui mi guardò stupito, dato che i suoi occhi erano smarriti nei miei in cerca di risposte. Lei guardava austera e responsabile, indubbiamente indispettita e innervosita dal mio atteggiamento. Mi voltai di schiena e m’avviai verso la stanza da letto immersa anch’essa nella penombra. Il letto era sfatto e a questa visuale sentii un altro tuffo al cuore: pensai al corpo di Veronica che subiva i suoi colpi stringendolo fra le cosce, in quanto la vidi godere e vidi pure lui pago e soddisfatto della sua ultima preda. In quel momento, io immaginai loro due lì, entrambi sopra quel letto, artefici, esecutori e promotori indisturbati di loro stessi, affaccendati e impigliati a scoparsi a vicenda in tutte le posture effettuabili, saggiando multipli orgasmi ogni volta differenti.

A quel punto slacciai la cintura del pastrano, rimasi vestita con i sandali ai piedi e con i lacci che s’intrecciavano sulle caviglie, mi sdraiai su quel letto in cui potevo ancora annusare l’odore del sesso, o forse fu solamente la mia suggestione, sollevai l’abito, aprii le cosce e allungai le braccia sopra la testa. Una posizione alquanto bizzarra la mia, come se volessi attendere qualcosa o qualcuno e offrirmi totalmente arresa e capitolare. Io mi contorcevo senza toccarmi, forse in balia del dispiacere e della sofferenza o in altre parole di quel diletto ossessionato e sconvolto che si stava impossessando interamente di me. Io avevo guardato Veronica, però non mi ero ancora resa conto se fosse bella oppure no, giacché nella mia mente non distinguevo né il colore dei suoi capelli né dei suoi occhi. Non desideravo e non cercavo più niente, sennonché chiusi gli occhi in quella posizione, dato che forse svenni e quando riaprii le palpebre mi sentii ancora più pesante di prima, perché pareva come se avessi dormito da un’eternità. Gli occhi di Daniele erano inchiodati sopra le mie gambe, Veronica accanto a lui gli comprimeva il cazzo fra le mani, fu in quel preciso istante che io gemetti di dolore, un lungo rantolo di cane ferito accompagnava sfiduciata la mia disperazione.

Il cuore fu colpito da un’infinità di spilli, fu come se fosse stato pressato da una morsa, lui fece un gesto con la mano e Veronica s’abbassò su di me, dato che mi penetrò con due dita e m’inarcai accidentalmente. Con una sbirciata aspettai lui, ma era oramai piegato sotto di lei dove potevo scorgere la sua lingua che accarezzava il suo sesso rossiccio. Veronica aveva i capelli rossi e ricci, lunghi un po’ sopra le spalle, gli occhi color nocciola e grandi con lunghe ciglia, poiché evitavano con cura di guardarmi. Lei indossava un abito dipinto con degli ornamenti floreali, di quelli che io ho detestato di continuo e su cui anche lui aveva espresso senza sottintesi più volte il suo disinteresse, infatti, in quell’occasione io mi ritrovai a sussurrare:

‘Puttana, lui aborrisce i tuoi vestiti’. Lei mi sorrise e replicò con la voce brusca e tagliente:

‘Ah sì? Bene, allora &egrave il caso di sfilarmelo’.

Le sue dita premevano ancora sul mio sesso, io non potevo più controllare la mia eccitazione perché urlavo, però non soltanto di piacere. Lui si spostò, lei sfilò via il vestito e mi mostrò il suo corpo nudo e abbronzato su cui spiccavano due seni sodi e sferici. L’agguantò per i fianchi e la penetrò senza pensarci davanti ai miei occhi, con una spinta ben assestata e il suo cazzo era già all’interno di lei.

‘No, così non potete ‘ – urlavo io, mentre le lacrime erano impietose, giacché scorrevano senza fermarsi.

Io raccolsi come potei le forze e m’alzai sulle ginocchia in corrispondenza dei suoi seni spogliandomi, afferrai il suo capezzolo stringendolo fra le dita e lo succhiai energicamente, dal momento che sul suo viso s’impresse un ghigno d’evidente sofferenza, o forse persino di spregio. Portai le dita sul suo sesso, laddove inizialmente lei aveva collocato le sue e schiacciai verso il suo vulcano, lei emise un piagnucolio, sennonché pure lui. In seguito lasciai slittare la mano persino più in basso, il suo sesso si muoveva in modo cadenzato febbrilmente, riuscii ad afferrarlo, lei si ritrovò svuotata di lui, mentre io adesso lo avevo in pugno, allora lo trascinai sul letto tirandolo per il cazzo eccitato, lui non fece opposizione acconsentendo, si distese sulla schiena con le braccia sparse come se si fossero già ampiamente arrese, mi chinai su di lui e gli sussurrai all’orecchio:

‘Di chi sei? Dimmelo, lo voglio sentire adesso’.

Lui non rispose, per il fatto che fu percorso da una scarica elettrica provocata dalle mie unghie che torturavano i suoi testicoli. Io lo baciavo con ardore e lo succhiavo, perché volevo togliergli irrimediabilmente l’anima e totalmente il fiato. Mi girai nella direzione di lei e con un cenno della testa le feci comprendere d’abbassarsi fra le mie natiche e di leccarmi immediatamente. La schiena di Veronica era poggiata contro un’anta dell’armadio, lei sudava e palpitava, io dai suoi occhi comprendevo molto bene che non era pronta per perdere, così glielo feci capire con le parole:

‘Leccami, però adesso’.

Lei venne nella mia direzione e mi graffiò la schiena con le unghie, le avvicinò nei pressi del mio pertugio e precisamente lì collocò la sua unghia. Io provai dolore, però non smisi di baciare, perché sembravo un animale a quattro zampe nel succhiare la bocca d’un uomo da un lato e a subire la violenza da parte d’una donna dall’altro. Mi voltai con tutto il corpo: adesso lui era sotto di me, in quanto poteva ammirare la mia schiena e le mie natiche che premevano contro il suo ventre, cosicché chiusi le cosce e afferrai come in una morsa il suo sesso compresso fra le labbra come disteso su d’un piano: il suo sesso era una specie d’appendice del mio e cominciai a masturbarlo. Agguantai una coscia, giacché non si divincolò molto: la mia lingua fu presto fra le sue labbra e la mia bocca schiusa a bere la sua eccitazione. Il suo cazzo era in ebollizione, perché fra poco sarebbe esploso sborrando la sua densa linfa, lei era completamente sconvolta, io invece sudata, però per niente sazia, ma sicura d’una vittoria inclemente e inesorabile:

‘Sdraiati’ – le ordinai.

Si lasciò andare sul letto, mentre ciò avveniva io avevo strappato il suo vestito, dato che con un lembo avevo assicurato i suoi polsi alla testiera del letto. Io feci allo stesso modo con lei, solamente che le sue braccia furono divaricate, poiché adesso potevo essere penetrata, in tal modo mi sarei rallegrata esultando del mio inatteso trionfo. Mi disposi nella posizione della smorza candela con la schiena rivolta verso la parete e nel momento esatto in cui lo feci entrambi urlammo un orgasmo assassino e feroce, carnale e violento, travolgente e quasi animale, perché lei si stava masturbando, dal momento che pensai che fosse stato necessario il colpo di grazia. In quel momento mi collocai sulla sua faccia con il mio sesso ricolmo dei miei fluidi e del bianco liquido seminale di Daniele, lei leccò interamente quel nettare, appena terminò io agguantai il mio abito nero e glielo gettai addosso dicendo:

‘Quando esci da qui indossa questo, in quanto nessuno ha desiderio di vederti nuda’. Lei a quel punto non fiatò. Lui era ancora legato al letto, distrutto, frantumato e scopato a dovere.

Io indossai nuovamente il pastrano sulla pelle nuda e sudata, allacciai la cintura alla vita e mentre lo facevo alzai una coscia verso di lui, puntando il tacco dritto alla sua gola:

‘Se ne avessi ancora l’energia, la grinta e la tentazione, adesso scopati pure Veronica’.

Con la voce occlusa, quasi strozzata lei mi disse puttana. Io lo baciai ancora e uscii dalla sua casa e del tutto dalla sua vita. Fuori aveva cominciato a piovere forte e quando un tuono d’improvviso rintronò stordendomi potentemente nelle orecchie mi ridestai con un sussulto. Daniele era di là accanto a me senza vestiti, allungato e tranquillo nel sonno che sorrideva, io lo osservai con la fronte bagnata di sudore e risi debolmente, poi mormorai:

‘Che canaglia, che carogna e che sciagurato individuo che sei però, mi fai scuotere e sobbalzare persino nei sogni, borbottai’ – e in ultimo nascosi le labbra con una mano.

{Idraulico anno 1999}

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