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Erotici Racconti

Benedire la sorte

By 5 Luglio 2018Febbraio 10th, 2023No Comments

In quell’occasione introdussi la chiave nel buco della serratura girandola ripetutamente, essa scattò in maniera ovattata e in un istante mi ritrovai all’interno del mio alloggio prediletto. Rincasare invero verso quell’ora era a tratti inammissibile, per il fatto che cagionare fracasso avrebbe preannunciato di certo svegliare in maniera indubbia la mia vicina di stanza Veronica, dal momento che non avevo nessun’intenzione d’infastidirla, perché sapevo che l’indomani lei avrebbe dovuto sostenere un esame, giacché non sarebbe stato per nulla cortese da parte mia interrompere né troncarle il sonno, in tal modo, senz’accendere la luce, mi sfilai le calzature e diedi una rapida sbirciata sullo schermo del telefonino che in quel momento segnava le quattro di mattina.

A ben vedere, adesso che ci ripenso, non mi sentivo infiacchita né svigorita, perché tutto l’alcool che avevo ancora in circolo in misura eccessiva rispetto ai canoni abituali, mi teneva inspiegabilmente sveglia contrariamente nello stimolarmi naturalmente il sonno. Agguantai in quella circostanza le mie adorate calzature da sera per i tacchi e m’avviai lievemente malferma verso la cucina, al buio cercai a alla cieca l’impugnatura del frigorifero e la tirai: quel flebile barlume m’inondò e nonostante la sua debolezza m’indusse a sbarrare leggermente gli occhi. Afferrai la bottiglia di latte bevendone un sorso: in realtà la mia era stata una serata deludente e una festa pessima, tanto più che il ragazzo che m’interessava non m’aveva considerato di striscio malgrado la mia gonna cortissima. Chissà, probabilmente le femmine audaci, battagliere e veementi lo spaventavano allontanandolo. 

In quell’attimo ricollocai la bottiglia nel suo spazio e chiusi l’anta ritrovandomi di nuovo nel buio più completo. Usando le mani per trovare la via giusta m’incamminai a piedi nudi verso la mia camera da letto, mi trovavo nel salottino quando bruscamente avvertii un brontolio equivoco provenire dalla camera di Veronica: ma che bizzarra situazione, eppure non m’aveva avvertito che avrebbe atteso visite, tenuto conto con l’esame in vista di domani. In quella circostanza mi bloccai ritrovandomi lo stomaco attorcigliato: e se fosse stato un ladro o un malintenzionato? O peggio, uno che si era intrufolato in casa nostra per farci del male?

In quell’insolita situazione rimossi dalla presa la spina della piccola lampada in metallo collocata sulla mensola del salotto, la tenni stretta con la mano che mi tremava dirigendomi verso la porta della mia amica e la scoprii socchiusa. Mi chinai e senza fare rumore misi dentro il naso per sbirciare. Al momento mi ero già abituata all’oscurità, le luci della città rendevano la stanza lievemente rischiarata, così non ci misi molto a comprendere realmente quello che stava accadendo al suo interno. Rimasi impressionata, sbigottita e senza parole, perché Veronica, la mia deliziosa vicina, stava cavalcando appassionatamente un ragazzo nella posizione della smorza candela con le spalle rivolte all’indietro. 

Le forme del suo corpo campeggiavano di profilo contro le persiane semichiuse esaltandone la sagoma, delineandone abilmente i contorni, accarezzate dai colori alterati prodotti dall’insegna luminosa della luce del neon della locanda di fronte. Analizzai quelle tette esemplari sobbalzare su e giù, i capelli lunghi e liberi dai lacci sfiorarle la linea impeccabile della schiena, le sue mani graffiare il petto del fortunato sotto di lei per portarsi nuovamente sui capezzoli irti e irrispettosi, che stuzzicavano le leggi della gravità e dell’arte duellando in loco. Io percepivo soltanto dei gemiti repressi, dei piagnucolii strozzati, intuivo la sua lingua che bagnava le labbra polpose e disciplinate, la vedevo offrirsi radicalmente a quelle di quell’individuo canaglia e farabutto che bramava la pelle delle sue tette. Ebbene sì, quel birbante bastardo, discolo purosangue, quello che godeva di lei in quel momento, mentre io accucciata sul ciglio della porta con una lampada nelle mani, non potevo fare altro che osservare, contemplare e anelare eccitandomi con un pizzico d’acredine e di rivalità ulteriormente a mia volta. 

Imprimendomi una sorta d’inevitabile angheria, di forzato sopruso, senza fare rumore, eseguii un passo indietro per andarmene, ma qualcosa andò storto e inciampai nel filo della prolunga della lampada, che era rimasto per terra aggrovigliandosi attorno al mio piede. Bell’affare avrei compiuto, se quel disonesto e sleale individuo fosse stato un profittatore, invece era unicamente quello che si scopava di gusto la mia amica Veronica. Arginando e reprimendo di proposito lo strillo, caddi goffamente sul sedere con le gambe per aria e dentro la stanza percepii movimenti rapidi e avventati, mentre una fioca luce s’accendeva, una porta s’apriva e in seguito gli sguardi dapprima atterriti e sgomenti, successivamente incuriositi e stuzzicati della mia vicina e del suo spasimante che mi esaminavano. 

Arrossendo e contenendo la meraviglia del momento, mostrai la piccola lampada che avevo rimediato per spiegare l’equivoco, quando vidi Veronica che m’allungava la mano. Era un invito ad alzarmi o era qualcos’altro? Lei m’adocchiò a lungo, poi si girò verso il mascalzone che le fece un impercettibile cenno d’assenso, m’attirò verso di sé facendo cadere l’improponibile espediente anti malvivente che avevo frettolosamente raccattato in salotto, e subito dopo iniziò a spogliarmi con indolenza e con curata dedizione. Nel mentre cascò la gonna cortissima, rotolarono la camicetta e la cravatta, cadde il reggipetto, sentii in modo fulmineo un bollore acuto, deciso e sopraffacente ascendere dal monte di Venere sino al petto, perché m’accorsi che Veronica aveva cominciato a stuzzicarmi i capezzoli piccoli. In verità avevo sempre osservato le sue mani curate, le unghie lucenti, in quanto le avevo immaginate scivolare sul mio corpo e al presente eccole là, da ultimo le percepivo e ne godevo. Ne presi una e la portai alla mia bocca assaporandone il gusto, aveva la fragranza di lei e di lui, ma quest’aspetto non m’importava, cosicché la baciai sulle labbra, fu un braccio immenso, con le lingue che s’intessevano svagandosi fra di loro come se si fossero perennemente possedute.

In quell’istante adocchiai il suo conoscente sul letto e vidi che si stava palpando, dal momento che la nostra visuale lo eccitava a dismisura, perché si capiva benissimo, eppure io non ero come l’amorevole, servibile e pronta Veronica, perché io lo avrei fatto penare, lo avrei fatto angustiare facendolo patire prima di conquistarci entrambe. Con un dito iniziai a esplorare lentamente la fica di lei: era impregnata e ospitale come l’avevo sovente vagheggiata, così accedetti con finezza per allontanarmi subito dopo accarezzandole il clitoride e sentendo i suoi gustosi gemiti di piacere.

Lei, invitante, alzò una gamba e me l’attorcigliò attorno alla vita sporgendosi all’indietro con le spalle, io m’appoggiai a lei con tutto il corpo e ci ritrovammo in piedi sullo stipite della porta: iniziai a spingere una, due, poi tre dita dentro di lei, e più spingevo più sentivo la sua fica che si gonfiava d’eccitazione e di desiderio. Più spingevo, più sentivo il suo respiro diventare sospeso, vedevo le sue labbra dischiuse che bramavano le mie in un’attesa affannosa del mio sapore. Avvertivo i miei slip bagnati dei miei fluidi e non sapevo che cosa desideravo di più, se la lingua di Veronica o il cazzo duro e lucido di quel farabutto, che ci guardava stralunato semi sdraiato sul letto con la bava alla bocca.

All’istante la sentii venire, le carni divennero frementi, i capezzoli formosi e irti verso di me, gli occhi chiusi e i gemiti liberatori dei suoi frenetici sussulti. In quel momento ero io la vincitrice, aveva scelto me per godere, non lui. L’abbracciai e con delicatezza la portai verso il letto, perché mi bastò uno sguardo e un gesto silenzioso per ordinare al suo amico d’accarezzarla e di baciarla dappertutto, mentre lui obbedì eseguendo come un comprensivo e diligente bambino. Mi sdraiai accanto a lei e l’ascoltai sussurrando che adesso spettava a me, lanciai un’occhiata al cazzo eretto di lui e con un movimento deciso m’avvicinai agguantandolo in bocca, bagnandolo della mia saliva. Veronica mi sfilò gli slip, attenta, cauta e zelante qual era, perché mi fece rannicchiare sopra al suo spasimante sostenendomi dal davanti: sentii il cazzo che s’introduceva dentro di me trapassandomi le viscere, mentre esaminavo la mia amabile vicina negli occhi e toccavo, leccavo i suoi seni meravigliosi, intanto che aumentava la frequenza e la profondità dei colpi che ricevevo.

In breve tempo venni, quell’orgasmo fu qualcosa d’inenarrabile, d’inimmaginabile e d’inaspettato. Il piacere sembrava non cessare mai, mentre guardavo la lingua di lui frugare nella fica di Veronica e percepivo il suo cazzo dentro di me. Dovevo realmente ammetterlo, era stato abile, accorto e valente.

Il mattino ci colse abbracciati tutti e tre l’uno all’altro, io svegliai la mia vicina per ricordarle che doveva sostenere l’esame, ma lei mi fece cenno di no con la testa: lo avevano spostato, ecco perché non si addolorò né si crucciò più di tanto andando a dormire in quella notte appena trascorsa.

Io ringraziai il destino, se esisteva, che aveva fatto in modo di rendere tutto così lineare, ineguagliabile e raro: l’invalidazione della prova, la sua idea di chiamare un amico per scopare, il mio ritorno a casa, il mio accurato orecchio, era stato un lampante e irrefutabile segnale.

La mia delusione e il mio sconforto della sera precedente alla festa, mi pareva ormai una cosa insensata, lontana e ottusa, perché se avessi rimorchiato quell’ebete non sarei di certo tornata verso casa, per fortuna gli uomini a volte dicono perfino di no.

{Idraulico anno 1999} 

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