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Erotici Racconti

Contrazioni muscolari impulsive

By 24 Agosto 2018Febbraio 11th, 2023No Comments

In quella mattinata m’alzai indolentemente dal letto dove sino a poco tempo prima, tra grinze sfasciate di membra e di lenzuola, avevo coltivato facendo dondolare immagini di vagheggi scoloriti, d’impronte fioche e di marchi tenui, in verità qualcosa che m’aveva deliziato molto, ciò nonostante di cui non rammentavo ormai pressoché niente, poiché venature confuse, sensazioni generiche e vissuti sfocati, così come le macchie del trucco lasciate durante il mio sonnellino smanioso e turbato sul capezzale con lentezza sfumavano del tutto.

Lui si era già alzato e lo vedevo, così allontanai i tendaggi inondando la camera d’un demotivato e tedioso bagliore mattutino. Sdrucciolando sul tassellato m’avvicinai alla porta del bagno, fischiettando sotto la cappa brumosa dello spruzzo bollente dell’acqua, mentre il mio gingillo cercava di disincagliarsi della spossatezza per quella notte passata sveglia. A ben vedere, il suo corpo, in modo ingannevole appariva a tratti indefinibile e opalescente, conseguenza anch’essa d’un miraggio del quale non mi ero ancora pienamente risvegliata. Aprendo il rubinetto dello spruzzatore della doccia scostai le spalline della blusa da notte che scivolò per terra, così inconsistente e carezzevole come il sorriso che gl’illuminò la faccia, mentre guardandomi entrare si scostò di lato per farmi posto. Un bacio mi colse sulle labbra socchiuse, mescolando gli odori del gusto con la briosa fragranza del sapone liquido, che scivolò oltre il suo naso pizzicandomi lo spuntone della lingua stesa in cerca della sua. Io appoggiai la guancia nel suo palmo grondante, nel mentre lui mi domandò: 

‘Lara, hai dormito almeno un poco?’ – m’interrogò fissandomi negli occhi in modo riflessivo.

Io mi sgranchii gustando la carezza fasciante dell’acqua lungo il mio corpo scottante e bagnato di sudore:

‘Ti dirò che ho fatto un sogno’ – attirandomelo verso me stessa penetrando con la punta della lingua fa le sue labbra bagnate, scorrendo con le unghie il suo corpo in cerca dei capezzoli intumiditi dai tremolii.

‘Quale tipo di sogno?’ – mi sollecitò lui. 

La sua mano scivolò lungo i miei fianchi fermandosi suppergiù all’attaccatura delle natiche che iniziò ad accarezzare con un dito. Dopo afferrandomi il polso guidò la mia mano verso l’abituale erezione mattutina, sgusciando oltre accarezzai lo scroto con la punta delle unghie, fintanto che uscendo dal piatto della doccia lo guidai spoglio e gocciolante verso il letto, poi cambiai idea, giacché scelsi per la sedia collocata nell’angolo della finestra: 

‘Siediti là’ – gli ordinai in modo perentorio, ignorando il suo sguardo curioso, dubbio e sospeso, intanto che raccattai i collant dal pavimento.

‘Dovrò legarti, appoggia le mani bene dietro la schiena’ – nello stesso tempo adocchiai un nitido scompiglio e un evidente turbamento nel suo sguardo.

Da un punto di vista percepivo che era questo che desiderava, in quanto lo aveva sovente bramato, abbaglio totale e delirio completo d’un adolescente senz’età oramai troppo adulto per svagarsi sensatamente, dall’altro lato, all’opposto, coglievo e identificavo la sua apprensione, il suo sgomento, la sua totale inquietudine della circostanza, dell’inaspettato, dell’incognita e dell’impensabile cognizione che al presente stava trasferendo nel mondo reale, qualcosa che aveva sempre soltanto centellinato in solitudine, tra le plissettature impulsive e profonde dei suoi pervertimenti ideali, peraltro giammai vissuti. L’impiccio delle preferenze, l’incaglio di scelte, dalle quali non si torna indietro, il terrore di me, della mia potenziale vera indole, della scoperta d’una carnalità inusuale e condannevole, che avrebbe facilmente potuto annientare tra rimorsi e rimpianti d’un futuro incerto, un sentimento immaturo, intempestivo e lieve come il battito d’una farfalla appena uscita dalla crisalide.

‘Non frignare, ubbidisci, sì così, bravo, ubbidisci’ – gli sussurrai io all’orecchio, già sapendo che si sarebbe arreso infine cedendo, mentre fissandogli i polsi alla sedia sorrisi, leccando il padiglione scesi verso il lobo che morsicai più volte con maggiore intensità, deliziata dall’inattesa ribellione che era scaturita all’apparire dell’insignificante dolore.

‘Adesso basta Lara, smettila’ – sbottò lui al presente infastidito e palesemente indisposto.

Io m’allontanai per osservarlo nell’insieme, per il fatto che adesso completamente discinto e legato non assomigliava per niente all’uomo che ambiva apparire agli occhi del mondo. Commedianti e involucri per anime inesistenti, fraudolenti imballi, scandali d’inerzia, guerre ad armi dispari, maschere irreali, travestimenti fittizi e suggestivi, che cercavano di confondere istinti e sentimenti come in un inconsueto, indiavolato e variopinto carnevale, dove chicchessia può apparire, ma dove in pochi sono realmente ciò che vestono, in effetti un gioco dei ruoli, tanta mondanità e tradizione, ma tanta ambiguità, doppiezza e insincerità. Posandogli un dito sulle labbra lo feci tacere, intanto che gli sibilavo:

‘Sta’ calmo, non ti farò del male. Ti piacerà, vedrai. Non è forse questo quello che vuoi? Che veramente ti piace mettere in pratica da tempo?’. 

Lui mi fissò con i suoi occhi traboccanti di parapiglia e di disagio, così come un bambino che ritratta compiendo le birichinate alla mamma. Ricambiando lo sguardo sospirai nel mentre soddisfatta e lasciandolo da solo entrai in bagno. Quando riapparvi con l’occorrente per raderlo mi fissò in modo sconcertato:

‘Che intenzione hai di combinarmi’ – mi reclamò, mentre accovacciavo con le gambe aperte sui suoi arti inferiori irrequieti. 

‘Naturalmente divertirmi, ma non solo’ – gli risposi, cominciando a insaponargli il torace, finché allo spuntare del rasoio s’irrigidì bruscamente.

‘Non hai nulla da temere, in quest’arte sono esperta ad adoperarlo, ferrata e rodata, fidati di me’.

Sfuggendo verso il basso la lama ripulì la sua pelle dalle numerose arricciature che lo ricoprivano, lasciando il sottostante liscio e vellutato. Digradai in seguito insaponandogli il cazzo, trascurando le sue lagnanze passai la lama anche sotto lo scroto costringendolo, sotto l’intimidazione del depilatore, ad allargare le cosce per protendersi in avanti in maniera tale da consentirmi di rasargli pure l’ano. Lui, al presente, nudo, attaccabile e incustodito espresse un lamento di liberazione frammisto al piacere, quando cominciai a passare la lingua sui segni del rasoio, in cerca del suo sapore segreto, intanto che m’implorava di non smettere.

Io avevo udito una supplica, in tal modo appallottolando le mie mutandine usate gli afferrai la mascella costringendolo ad aprire la bocca:

‘Adesso tira fuori la lingua’ – gli ordinai con fermezza. Con lentezza strascicai il tessuto intriso dei miei fluidi sulla ruvida superficie della sua lingua, dopo introdussi le mutandine in profondità, impedendogli in tal modo di disturbarmi ulteriormente:

‘In questo modo starai zitto, questa invece per evitare che ti spaventi’ – allungando una mano verso il cuscino scuoiandolo della federa e calandogliela sulla faccia, annodandola in ultimo intimamente sulla nuca.

In quel frangente avvertii un lieve mugolio di protesta, mentre io proclamavo:

‘Non è niente di grave, su rilassati’ – agguantai il rasoio e utilizzando il dorso accarezzai la lunghezza del collo, scendendo sul petto e proseguendo verso i fianchi slanciati e tracciati.

Incurvandosi sulla sedia dal vigore dei brividi, lui sussultò frignando di sofferenza quando lo forai intenzionalmente a un capezzolo. In quel momento, assaporando l’esclusiva essenza del suo sangue, che si legava scivolando sulla mia lingua in rigagnoli mescolati ad aromi di paura e di sudore, accarezzai la sua erezione compatta e vibrante, mentre con la mano libera abbrancai il fallo di lattice abbandonato ai piedi del letto la sera prima. Inumidendo con dei rapidi colpi di lingua il suo punto proibito, proseguii ad accarezzare con la mano insalivata proseguendo l’alienato corsa dall’ano al frenulo, in un continuo crescendo di disappunto, di malvagità e d’accantonato desiderio inespresso. Accogliendo fra le mie labbra il glande rigonfio, spinsi la punta del fallo in profondità, apatica e disinteressata delle proteste e dei suoi piedi incontrollati, sennonché lui iniziò a scalciare, frattanto io mi scostai e in maniera adirata gli contestai:

‘Ascoltami attentamente, cerchiamo d’accordarci e d’intenderci. Mi lasci concludere quello che voglio io, altrimenti ti do un morso che te lo stacco, scegli tu’.

‘Basta Lara, slegami, ora smettila’.

Lui voleva essere liberato, lui maniaco e ossesso, fanatico, invasato e pietoso essere regolare che anelando sesso e agognando fantasie, precipitato nell’abisso di se stesso e delle proprie recondite voglie perverse, traviate e viziose, attualmente si dibatteva nel disperato tentativo di mantenere il controllo della propria vita, direi della propria identità, meglio ancora dell’amor proprio e dell’illusione d’essere lui il prescelto per natura al comando. Alle decisioni importanti, alla scelta del piacere. Mio e suo.

‘Scordatelo, non ci penso nemmeno a liberarti. Per me, per quanto mi riguarda e per quello che me ne frega, puoi creparci lì legato a quella sedia’ – pizzicandogli di proposito un capezzolo con la punta delle unghie.

Ben presto notai che non mi ero necessariamente sbagliata, perché l’erezione stava aumentando.

‘Ubbidisci, eseguirai il tutto?’. Dopo un attimo di riflessione lui annuì.

‘Molto bene, bravo, ti sei assicurato una ricompensa, però guai a te se eiaculi prima che abbia finito. Hai capito bene vero?’.

Lui annuì rassegnato in modo docile e inoffensivo, scivolando sul suo cazzo mi mossi a rilento gustando lo stimolo appassionato e vivissimo dell’estensione venosa e irregolare, che s’inseriva con dei colpi sempre più rapidi e decisi negli anfratti umidi del mio corpo, mentre godendo a ripetizione stretta contro il suo corpo sconvolto gli seviziavo i capezzoli con le unghie. Voltandomi cambiai assetto godendo in maniera incontrollata e urlante del mio orgasmo più raro e pregiato, del mio orgasmo preferito mai bramato finora. Traballante e rattrappito, ormai prossimo ad un apice inarrestabile e autonomo me lo sfilai dal corpo, inginocchiandomi fra le sue gambe ormai concilianti e disciplinate e disposte a tutto, inserii senza fretta il vibratore fino in fondo, godendo delle contrazioni incontrollate della mia fica gocciolante mentre lo osservavo, inarcato e mugolante tollerare il dolore. Accogliendolo in bocca cominciai a possederlo in maniera indolente, dopo accelerai al ritmo dei suoi gemiti trattenuti e imbavagliati dal tessuto che aveva in bocca, perché fu la fine.

La sua abbondante sborrata era stata consistente, impetuosa e lattea, che io assaporai peraltro in maniera golosa leccandomi le labbra da quei deliziosi rigagnoli nondimeno insubordinati e schivi, mentre ogni cosa sia dentro quanto fuori, ritrovava la propria collocazione nel vagheggiato spazio terreno della propria proporzione e della propria natura. 

Voltandomi verso la finestra lo guardai, perché attualmente mi scrutava. Io gli avevo dispensato pensieri e desideri carnali insoliti, forti e penetranti, che lui da tanto tempo aveva espressamente manifestato, stavolta avevo deciso e mi ero sbizzarrita divertendomi a modo mio in maniera radicale.

Era stata in verità una contesa diseguale, un duello squilibrato, impari, effettivamente ad armi dispari, questo però lo sapevamo entrambi. Trascurandolo e squadrandolo in maniera silenziosa tirai le tende e poi sorrisi.

{Idraulico anno 1999} 

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