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Erotici Racconti

Coraggio, abbrancami in quel modo

By 4 Settembre 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Come al solito, quella sera lei era rientrata a casa dopo un’insopportabile e pesante giornata trascorsa in ufficio, poiché avrebbe più che volentieri eliminato il suo titolare, per tutte quelle credulità e per quelle ingenuità di cui avevano drasticamente ed energicamente discusso durante quella riunione, poiché ancora sentiva lucidamente dentro le sue orecchie tutte le lamentele e le rimostranze per un progetto che non era riuscita a far avviare, dovute per causa di alcuni rallentamenti e per dei ritardi interni nella comunicazione del suo reparto.

In quell’occasione, così come d’abitudine, la gatta di colore bianco affettuosamente le venne incontro appena lei aprì la porta di casa, dal momento che era davvero deliziosa quella creatura con quella matassa di peli che immancabilmente le carezzava le caviglie tutte le sere al suo rientro, esultante e felice di rivederla dopo quattordici ore di solitudine. Ercolina avvertiva ancora quel senso d’infiacchimento e di spossatezza che s’annidava dentro da alcuni giorni, sarà a causa della stagione che non si decide ad arrivare – disse fra sé e sé, già abbattuta e stanca prima d’iniziare la consueta e quotidiana avventura domestica. Giusto il tempo di mettersi comoda, di convincere il figlio a entrare nella doccia, ed eccola occupata nel preparare le cena per la sua famiglia. Di fretta come sempre, come se il tempo fosse la sua preziosa e unica preoccupazione.

Con rapidità, incautamente con il televisore acceso, lei consumava quella cena cercando un piccolo angolo dentro di sé che le parlasse, che le facesse sentire il calore, l’entusiasmo e il trasporto carezzevole d’una mano sulle spalle, che la confortasse incoraggiandola e spronandola per andare avanti. Non era però così, dato che non sapeva neanche che cosa poter animare e confortare di sé stessa, giacché non sapeva preferire né scegliere tra i suoi diversi desideri. Terminata la cena, il marito e il figlio ognuno per proprio conto, concentrati peraltro nei propri giochi, ecco Ercolina che riordinava con dovizia la cucina. Poche cose in fondo, visto che erano soltanto in tre. Finalmente un momento di pace, un momento che posso dedicare a me stessa pensò dentro di sé. Uscì sul balcone, intanto che l’aria si era raffreddata, cosicché niente e nessuno poteva ostacolarla di gustarsi quella sigaretta fumata in piena libertà, ammirando e apprezzando lo splendore unico di quel cielo serale, cercando di catturare i colori, i rumori, i suoni, le voci e le piccole tracce che appartenevano agli altri.

Il palazzo di fronte distava una decina di metri dal suo e le finestre che s’affacciavano appartenevano alle stanze da bagno e alle cucine, finestre quindi poco frequentate. S’accomodò sulla poltroncina di giunco dove si sedeva generalmente per gustarsi in santa pace i suoi amati libri, lasciandosi andare completamente al suo abbraccio, aspirò una boccata piena di quella sigaretta alquanto desiderata, chiuse gli occhi un istante e li riaprì per vedere le spire di fumo volteggiarle intorno, quando s’accorse che la luce del bagno di fronte si era accesa e la finestra era rimasta leggermente aperta.

‘Per fortuna, non ho acceso la luce esterna, altrimenti penseranno che stia spiando’ – pensò.

Lei non si rese subito conto di quel che vedeva, sennonché lentamente mise a fuoco la scena: l’uomo era in bagno e si stava spogliando, vide la sua schiena e immaginò che si stesse guardando allo specchio, perché quando ogni indumento veniva rimosso, lui si spostava un attimo per tornare alla posizione iniziale in piena visuale. Lei si vergognò, accorgendosi di spiare l’intimità di quell’uomo, che incrociava peraltro salutandolo per educazione quando lei s’affacciava dal balcone. Era un bell’uomo, dalla bellezza e dalla gradevolezza semplice con due occhi impertinenti, poiché sentiva di derubarlo di qualcosa pensò lei tra sé, dato che le sarebbe piaciuto vederlo mentre faceva scorrere l’acqua sul suo corpo, i suoi gesti sulla pelle, il suo desiderio ingrossarsi leggermente per il piacere dell’acqua calda sul corpo, così facendo un palpito le attraversò il dorso.

‘Caspita, stai per caso esplodendo e vaneggiando?’ – si domandò incredula Ercolina verso sé stessa, quasi esasperata e infuriata per essersi lasciata trasportare a quelle intime intenzioni che non potevano in nessun modo appartenerle.

Lei era una moglie, era una madre, una sposa, perché spiare uno sconosciuto nella sua totale intimità? Non le bastava quello che aveva? La risposta le arrivò come una frecciata diretta, disonesta, fredda e impersonale. Lei voleva qualcosa di diverso, di nuovo, qualcosa che la facesse consumare e divorare di desiderio, qualcosa che le sbranasse le carni, che la smembrasse facendola sbraitare dentro, che la facesse esplodere al di fuori di sé stessa, perché lo sbirciare e lo spiare nella confidenza altrui era in quel momento una vicenda intima che aveva auspicato già da molto tempo. Non s’alzò, però rimase lì, pietrificata nella sua comprovata e giustificata seppur irrazionale risposta, guardando la notte davanti a sé, ispezionando la finestra di fronte e osservando la schiena perfetta di quell’uomo appena uscito dalla doccia che si stava asciugando, perché lei avrebbe voluto sfilargli l’accappatoio, avrebbe potuto incidergli piccole lingue di fuoco sulla pelle, avrebbe desiderato tante cose in quel momento, ormai lei era già persa in quel folle pensiero.

Lei osservò senza quasi accorgersene che l’uomo si era liberato dell’accappatoio, vide la sua pelle e immaginò i getti d’acqua profumata sparsi con il palmo delle mani, vide l’uomo girarsi di lato come quasi tutti gli uomini fanno davanti allo specchio per ammirarsi i muscoli. Fu in quel momento che lui iniziò ad accarezzarsi lentamente il cazzo, fu in quel preciso istante che Ercolina sentì il suo cuore diventare rabbioso, dato che avrebbe voluto essere lì, però era dall’altra parte. Lei avrebbe voluto dargli un segno della sua presenza, invece rimase una muta spettatrice, attonita testimone di quel gesto così intimo, così adeguatamente e pienamente altruista nei suoi confronti. Lei sentiva che era così, dal momento che lui le stava regalando in modo inconsapevole e silenzioso qualcosa di splendido. Il movimento della mano dell’uomo aumentò d’intensità e le contrazioni nel ventre di Ercolina erano morsi tangibili che l’assillavano ossessionandola: mentre esplodeva, lui si girò per un attimo e la vide, allora Ercolina s’alzò di scatto, rientrò in casa, chiuse la finestra e rimase lì intontita dal suo stesso calore, affannata e senza respiro, in seguito si fece una doccia e dopo a letto si rigirò continuamente come se avesse commesso il peccato originale.

I giorni seguenti Ercolina rimase a casa dal lavoro, in tal modo avrebbe potuto concedersi un po’ di tempo per sé stessa, poiché in casa non c’era nessuno. Da ultimo, anche il sole sembrava farcela intrufolandosi tra quelle grosse nuvole così piene d’acqua in una primavera così insistentemente in ritardo. In conclusione, una giornata che la faceva sentire e stare bene con sé stessa, realmente in pace con il mondo intero. Era l’ora per un buon caffè, prima però c’era bisogno d’una doccia per rimettere in moto i suoi sensi ancora assopiti, sicché il getto dell’acqua l’avvolse completamente e proprio l’acqua la riportò indietro alla scena della sera precedente. Fu quell’appetito improvviso a trascinarla in un erotico e strapieno desiderio di lasciarsi liberamente andare, le braccia e il viso erano poggiati sul vetro della doccia, le gambe allargate in un silenzioso invito, i glutei generosi in quel silenzio, mentre l’acqua l’inondava addosso con la sua dolcezza.

Lei non si rese conto del tempo trascorso e con fatica riprese il senso della realtà, ascoltando quell’impalpabile e tenue sussulto interno. Dentro l’accappatoio si sentì al sicuro, quasi come se temesse le reazioni di quel corpo nudo che avrebbe voluto offrirsi alle sue depravazioni e alle sue dissolutezze così intime. Uscì dalla stanza da bagno con i capelli corti ancora bagnati e desiderò una sigaretta, ne accese una mentre guardava il ridotto panorama del condominio attraverso il vetro della cucina, al momento le finestre di fronte erano chiuse, eppure fu la fine del suo sogno, perché il campanello della porta suonò all’improvviso.

‘Ecco, sarà Letizia la mia vicina di casa’ – avrà dimenticato nuovamente qualcosa pensò, auspicando di risistemarsi al meglio l’accappatoio. In realtà le dava fastidio farsi trovare in disordine dalle sue amiche, sempre pronte a cogliere qualcosa che non coincidesse né corrispondesse al loro principio d’impeccabilità e di perfezione.

‘Si fottano pure loro’ – ripeté tra sé e sé brontolando vivacemente.

Aprì la porta già pronta per quella frase di rito – cara, buongiorno, ci facciamo un buon caffè? Quella frase però rimase stampigliata sulle sue labbra: lui era lì, di fronte a lei, perché in modo silenzioso la spinse delicatamente oltre la porta, infine la chiuse senza allontanare lo sguardo dai suoi occhi. Ercolina era al momento allibita, incredula e pietrificata, il cuore era su di giri per le vorticose palpitazioni, quegli occhi impertinenti e sfrontati adesso erano lì, visto che più che mai le afferravano l’anima, più che mai erano troppo vicini. Sentì le mani dell’uomo forti e decise, eppure erano pervase da un tremore diffuso, perché circondarle la schiena, attirarla a sé, posare le labbra sulle sue, forzarle dolcemente nel bacio, era come se fosse un gesto bramato e ricercato da tempo. Così, uniti in quel bacio arrivarono nel soggiorno, Ercolina era fuori dalla realtà, ogni senso era rivolto verso quella bellezza improvvisa e senza preparazione di cui si sentiva invasa. Si trovò sul divano mentre lui le apriva con flemma l’accappatoio, lasciando adesso ai suoi occhi il piacere di percorrerle lentamente il corpo.

‘Adesso accarezzati per me. Per me tu sei uno spettacolo unico, dai regalami quest’emozione, la stessa che io ti ho offerto ieri sera’ – le disse lui animato e invasato più che mai.

Ercolina avrebbe voluto affondare dentro sé stessa, inabissarsi, malgrado ciò il desiderio era più forte. Il suo ardore era pieno di riconoscenza per quell’uomo che aveva aperto una porta a lei sconosciuta, ma che sapeva d’esistere dentro sé stessa, perché bastava soltanto risvegliarlo. Il suo fiore aveva aperto i suoi petali, quell’ornamento che Ercolina auspicava e ricercava, che quell’uomo la baciasse, tuttavia lui rimase lì di fronte a lei, attento, concentrato e trasognato a ogni movimento e a ogni carezza.

‘Continua, non fermarti, sei un incanto’ – le ordinò lui ammaliato ed entusiasta.

Lei, disciplinata, ligia e rispettosa proseguì in quest’inatteso e insperato gioco erotico di sudditanza totale donandogli questo piacere, pienamente grata e riconoscente delle scosse e dei sussulti che aveva avvertito la sera precedente. Un’onda gigantesca stava per investirla, poiché non c’erano appigli, ma solamente una sorgente quando lui la fermò. Ercolina sconsiderata e stordita lo guardò, così come quando un animale osserva il padrone mentre gli toglie la gioia e il piacere del cibo:

‘Non è ancora il momento, non adesso’ – pronunciò lui in modo categorico.

Lui la fece girare, le percorse le spalle, i fianchi, il dolce pendio dei glutei con le sue mani. Attraverso il tatto l’uomo trovava dolcezze morbide e un piacere eccitante che riceveva da quel gesto.

‘Ecco, adesso puoi riprendere il tuo piacere’ – gli ordinò lui.

La mano di Ercolina cercava la sua fica ormai inondata del piacere che quel gesto di sottomissione le procurava. Muta e travolgente al tempo stesso un’altra onda stava per arrivare, e mentre questo accadeva l’uomo baciò l’altro fiore di Ercolina in un unico amplesso che le tolse l’anima, le arroventò le mani e le fece sussurrare:

‘Prendimi, sì, in questo modo, come io ho preso te senza riserve, senza limiti, in piena disciplina e obbedienza a quelli che sono i nostri desideri e le nostre esigenze più nascoste’.

Lui non le disse addio: lui adesso aveva aperto un ingresso, aveva spalancato un varco, aveva avviato e instaurato un nuovo principio, visto che Ercolina non avrebbe chiuso mai più, perché niente in alcun modo sarebbe stato più come al solito.

{Idraulico anno 1999} 

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