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Erotici Racconti

Geniali competenze

By 18 Novembre 2018Febbraio 12th, 2023No Comments

‘Qualora dovessi transitare qua nei paraggi, vieni pure a trovarmi, il posto lo conosci già’ – questo breve concetto mi ribadì lei, nella più recente occasione che la visitai. 

Tra noi due, invero, era sbocciata un’aggraziata intimità, una delicata confidenza, Daria aveva sciolto il matrimonio da svariati anni, malgrado ciò era abbastanza attraente e ampiamente desiderabile benché avesse superato i cinquantacinque anni d’età. Io, essendo di tredici anni più giovane, dinamico e idealista di lei, mi trovavo al presente affaccendato sul margine della divisione dalla mia attuale convivente, con il tenace proponimento di non farmi più implicare né trascinare in cronache e in gesta sfrenatamente ostiche e spinose, riguardanti tutti gli aspetti sentimentali. Da quel giorno in realtà trascorsero quattro mesi, prima che le mie attività mi convogliassero un’altra volta in quel centro abitato. Entrambi ci eravamo però concretamente sentiti qualche volta al telefono in occasione delle festività comandate per scambiarci gli auguri, poiché dentro me era rimasta veemente e vigorosa la nostalgia di rivederla, sicché riacciuffai il suo numero di telefono dal prontuario dell’agenda e la chiamai:

‘Molto bene, se non altro non è spento. Chissà, forse non è in casa, mentre gli squilli si moltiplicavano a lungo’ – rimuginai a lungo dentro me stesso, attendendo che lei rispondesse. 

‘Sì, chi parla, pronto. C’è sempre qualcuno che si diverte a importunarmi a quest’ora’ – replicò lei piuttosto contrariata e infastidita. 

‘Buongiorno dolcezza, ben ridestata. E’ quasi mezzodì, il pranzo è quasi pronto’ – aggiunsi io in maniera giocosa e burlesca punzecchiandola dal torpore. 

‘Scusami tanto Alberto, abbi pazienza, ma ho trascorso una nottata spiacevole, ho dormito male, sicché non mi sono accorta che fosse già così tardi. Dove ti trovi? – finalmente la riconoscevo, dalla sua indole sempre comunicativa, cortese ed espansiva. 

‘Daria, ascolta, se hai modo d’affacciarti alla persiana, sarò ben lieto di regalarti il buongiorno di persona’.

Rapidamente da dietro la persiana sbucò con la sua abbondante e rossiccia chioma. Ci volle qualche istante affinché gli occhi s’avvezzassero alla luce del sole, dopo la sua faccia s’illuminò con il suo giubilante e appagato sorriso, cominciando ad agitare la mano nel segno d’un gaio ed elettrizzato saluto.

‘Dai, sali di sopra, che ti preparo un caffè’ – vociò lei da lassù, ignorando che eravamo al telefono e che potevo sentirla perfettamente. 

Subito dopo scomparve dalla mia visuale, dopo un breve istante la serratura elettrica del cancello di ferro battuto scattò. Io entrai, percorsi le tre rampe di scale in pietra che conducevano al giardino della casa. Si trattava di un’abitazione signorile dei primi del novecento, una volta di proprietà d’una discendenza altolocata, tuttavia nel periodo postbellico era stata lottizzata in quattro abitazioni tutte concesse peraltro in locazione. Daria alloggiava là da oltre venticinque anni, benché l’abitazione fosse sproporzionatamente più grande delle sue necessità, dopo lo scioglimento del matrimonio non aveva voluto abbandonarla, probabilmente perché dentro di essa c’erano coinvolti e racchiusi numerosi ricordi dai quali non voleva slegarsi.

Io feci il giro della dimora fino ad arrivare sotto al poggiolo da dove m’aveva salutato poco prima. Nel tempo in cui salivo gradini che mi separavano ancora dall’entrata, la persiana s’aprì completamente e comparve lei ancora con la camicia da notte indosso. Osservai che non portava il reggipetto, ma le sue stupende tette non mostravano alcun segno di cedimento nonostante l’età. Daria in seguito mi gettò le braccia al collo baciandomi con un bel sonoro schiocco sulla guancia:

‘C’è n’è voluta, era ora. Era tempo che ti facessi vivo, mascalzone che non sei altro’ – affermò lieta ed euforica, dopo che io ebbi ricambiato il bacio.

La tenni stretta per qualche istante in più del necessario, perché mi piaceva quel contatto, dopo il calore con cui mi aveva accolto, evocava in me un senso di piacevole nostalgia, quando anche mia moglie una volta era così felice quando rincasavo. Probabilmente anche lei percepì qualcosa del genere, perché anche il suo abbraccio tardò un poco a sciogliersi.

‘Vieni, dai, accomodati e sistemati come meglio ti pare. Non badare alla disorganizzazione e allo scompiglio, in verità non aspettavo visite, in tal modo mi sono lasciata indietro tutto il lavoro della brava massaia’ – sottolineando quel termine in modo marcato.

In seguito dell’annullamento del matrimonio, Daria aveva provato di riprendere la sua professione di consulente assicurativo, mestiere che aveva mollato da giovanissima quand’era nato suo figlio, ma a cinquantacinque anni compiuti è arduo e problematico per chiunque, trovare qualcuno che ti conceda una possibilità, anche se le abilità e le competenze non ti manchino. Istituire un ufficio da professionista per conto proprio, equivaleva per lei a un canone mensile che non poteva permettersi, così saltuariamente collaborava con uno studio legale nella città limitrofa che le affidava esigui pretesti, dissapori e controversie negl’incidenti e scempiaggini del genere, che le consentiva sennonché di trascinare dignitosamente la sue esistenza, ma niente più. Dal poggiolo s’accedeva direttamente in una bella saletta arredata in maniera semplice, ma con un giudizioso gusto. Un tavolo rotondo, delle sedie impagliate, un canapè a quatto posti, un bel mobile con la vetrina, qualche litografia alle pareti, mentre io restavo estasiato ammirando di stucco un’enorme fotografia che la ritraeva in piedi con le tette esposte, con le braccia sollevate che si sollevava la folta capigliatura rossiccia.

‘Però, che pezzo di femmina. Sei una favola’ – enfatizzai io squadrando quell’immagina bene in vista, lasciandomi andare per lo stupore.

‘Quella foto me l’ha scattata mia figlia Irene due anni orsono, qua dietro casa. Tu pensa, là in fondo è talmente ben accomodato e protetto, che di frequente mi metto ad acchiappare il sole nuda’. Irene è per l’esattezza la figlia ormai più che ventiquattrenne, che non vive più con la madre. 

‘Daria, che meraviglia, ma sei realmente in gran forma, come sempre del resto. Non è facile osservare in giro donne della tua età con un fisico simile. Decisamente posso riferirti che di gran lunga non hai nulla da invidiare a donne ben più giovani di te’ – dissi io adulandola con tanta meraviglia. 

‘Alberto, tu sei assai amabile e garbato, ti ringrazio come sempre, tuttavia una femmina cinquantacinquenne come sono io, non fa più ghiottoneria né leccornia a nessuno. Parlo d’uomini giovani, è ovvio. Di veterani bavosi e affamati che mi porterebbero a letto ne trovo finché voglio, ma occorre una dose smisurata di Viagra per farglielo venire duro, assieme a un’infinità di pazienza e di sopportazione. Credimi, non fa per me’ – rotolandoci appresso con sonore risate per la spiritosaggine. 

‘Non dire frivolezze ti dirò che guardando una foto così, lo faresti rizzare persino a un estinto’ – rincarai io intenzionalmente la dose lusingandola.

‘Forse hai ragione, potrei fargli in tal modo un pompino funebre’ – replicò Daria, assistendo nel mentre a un’altra fragorosa e gustosa risata.

‘Sei davvero licenziosa e scurrile, Sei proprio spudorata Daria’ – la biasimai io ridendo, ammonendola e dandole una pacca sulle chiappe, intanto che voltandosi si dirigeva in cucina dove il caffè nel frattempo era uscito dalla caffettiera. 

‘Tu dici bene Alberto, tanti pettegolezzi, moltissimi vaniloqui e grandi dicerie, ma in concreto scadenti episodi e per di più scarsi fatti, ahimè, qui non si vede davvero un cazzo, nell’attendibile e veritiero senso del termine’ – seguitò Daria quel concetto in maniera affranta, desolata e tangibilmente prostrata.

Si vedeva, invece, eccome. Infatti, nella cristalliera dell’androne che stavamo attraversando, faceva bella mostra di sé un vibratore di dimensioni considerevoli, racchiuso in una scatola cilindrica di plastica trasparente:

‘Ascolta, quello che intravedo non è un cazzo, pure se artificiale?’ – enunciai io indicando l’aggeggio in questione puntualizzando quell’inedita veduta. 

‘Sì, certo, quell’arnese che vedi me lo hanno regalato le ragazze dello studio il giorno del mio compleanno per farmi volutamente un estroso scherzo’ – ripeté Daria sminuendo e ridimensionando frattanto la conversazione.

‘Con la magra ristrettezza e con la scarsità di maschi che ti ritrovi, dei quali affermi di stare attraversando, chissà quanto lo avrai messo sotto facendolo affaticare il povero aggeggio’.

‘Non ripetere insulsaggini, né dire frivolezze, non crederai e supporrai che io m’accontenti d’un inerte surrogato gommoso di plastica come quello là esposto in vetrina’.

‘Comunque sia, in ogni caso non ti sarà comodo né facilmente accessibile, scovare in giro qualcuno che ce l’abbia grosso, a parte il sottoscritto naturalmente’ – la punzecchiai io di rimando schernendola in modo intenzionale.

‘Un mio prediletto amico siciliano di Palermo un giorno mi riferì: vedi Daria, lui è piccirillo, ma è un grande faticatore, poi in modo schietto altresì aggiunse: ‘U sticchiu è duci e cu’unnavi jetta vuci’. (La vagina è dolce e chi ne è privo si lamenta). ‘U sticchiu è bellu e a minchia fa burdellu’ (La vagina è bella e il cazzo fa rumore). ‘U micceri bannìa chiddu chi avi’ (Il mercante pubblicizza la sua merce) – ribatte lei, seguita da un’altra fragorosa e robusta risata, con una fervida, entusiastica e velata occhiata indirizzata nei miei confronti. 

Entrambi eravamo soliti baloccarci in modo pesante, a parole s’intende, a volte le mandavo delle e-mail con delle barzellette erotiche, calendari con uomini nudi e cazzi smisurati d’ogni sorta, ma lei mi rispondeva a tono, il tutto però senza secondi fini, così unicamente per gioco, in seguito ci accomodammo in cucina uno di fronte all’altra. Adesso sorseggiavamo il caffè, quello che ci voleva. 

‘Dimmi una cosa, che cosa ci fai in questo luogo proprio di domenica?’.

‘Ti dirò, insperatamente ho fissato un appuntamento di lavoro domani mattina presto, così non volevo mettermi presto in piedi, in tal modo ho considerato di trarne vantaggio avviandomi, spostandomi così il giorno prima’.

‘Senti, hai già prenotato, oppure non hai ancora deciso dove alloggerai?’.

‘No, Daria, ancora non saprei, ma in questo periodo credo che non avrò difficoltà a trovare una stanza libera giù alla Rosa dei Venti’.

‘Se non hai particolari pretese, la stanza di Irene è libera. Come già saprai lei non dimora più da me, vedi tu’.

Io ci speravo, eppure non avevo l’audacia di chiederglielo, di conseguenza acconsentii con entusiasmo.

‘Molto bene, scendo di sotto per acciuffare la tracolla che ho lasciato dentro l’automobile, arrivo fra un istante’.

‘Il bagno è disponibile, accomodati pure, immagino vorrai darti una rinfrescata dopo l’itinerario che ti sei sorbito’. 

‘Hai ragione, in effetti è proprio quello di cui ho bisogno, ti ringrazio Daria’.

La stanza da bagno era ampia, disinfettata e assestata come m’aspettavo, Daria era sempre stata una donna molto diligente e precisa, tutto faceva presumere che lo fosse pure fra le pareti domestiche. Io mi denudai ed entrai nella grande doccia situata nell’angolo opposto alla porta d’ingresso che avevo lasciato socchiusa. Aprii subito l’acqua e quel getto energico mi scudisciò gradevolmente il corpo, faceva talmente caldo che non dovetti perdere troppo tempo nel regolare la temperatura dell’acqua. Frattanto che m’insaponavo udii la porta scorrevole del box della doccia aprirsi, mi voltai di scatto e Daria era là in piedi nuda con la mano ancora sull’anta socchiusa: 

‘Sento anch’io la necessità di farmi una doccia calda, ho il permesso?’ – enuncio lei, e senz’attendere risposta entrò e richiuse dietro di sé il box.

Daria mi brandì la saponetta dalle mani e iniziò a passarsela attorno al collo, poi tra i seni, in seguito sull’addome, per finire fra le gambe avanti e indietro, facendo formare sui peli scuri un ampio batuffolo di schiuma bianca. Io restai statico, manifestamente senza parole, dopo Daria iniziò a insaponarmi il torace con dei languidi movimenti circolari, digradando fino ad arrivare al cazzo che iniziava a gonfiarsi. Dopo lasciò cadere la saponetta, si chinò per raccoglierla voltandomi la schiena in modo calcolato, strofinandosi con il solco delle natiche proprio sul cazzo, ormai quasi completamente eretto. Successivamente si rialzò, s’insaponò per bene le mani, infine ripose la saponetta e agguantato il cazzo all’altezza del glande s’inginocchiò sul tappetino, abbozzando una straordinaria e indolente sega a due mani, da farmi sragionare. Che massaggio, però, Daria trattava quel cazzo come se fosse il suo, con decisione, non come quelle ragazzine incompetenti e principianti che te lo sfiorano appena temendo quasi che si rovini, o come quelle che quasi te lo staccano per lo smisurato impeto di menartelo.

La masturbazione è un’arte, un talento, che ogni individuo, uomo o donna che sia, decodifica, esprime e interpreta a modo proprio, infatti è perciò pregiato e sporadico, rintracciare una persona, che per istinto sappia cogliere, intuire e presentire sia i tempi quanto i modi per acquietare e soddisfare al massimo il moroso o la compagna di turno, a seconda dei casi. Daria questa dote istintiva evidentemente la possedeva da sempre, così manipolò a lungo con abilità il mio cazzo, in un primo momento come ho esposto, con una flemma quasi logorante, in seguito con lievi e solleciti movimenti, intervallati da gagliarde contorsioni del pugno chiuso attorno alla cappella, poi ancora su e giù per svariate volte. Le gambe quasi mi cedettero quando sborrai, perché era come se lo sperma mi fosse stato asportato dall’intelletto, perché lo sentivo scorrere attraverso il corpo alla ricerca della via d’uscita. Una schizzo eccezionale la colpì nel centro in piena faccia, rapidamente sciacquato via dal getto della doccia, un altro finì nella sua chioma rossiccia che s’incagliò là dentro, infine un terzo, l’ultimo, s’introdusse dentro la sua bocca spalancata. Daria richiuse le labbra lasciando fuoriuscire la sborrata mista con l’acqua che le colò giù lungo il mento, tra il solco dei seni fino ad amalgamarsi tra i foltissimi peli della sua fica. Se lo infilò in bocca così com’era, ormai diventato mezzo flaccido, succhiando così forte che pensai volesse cavarmi anche il midollo dalle ossa, ma la cura risultò efficace, tanto che in breve tempo il cazzo sapientemente stimolato riprese tutto il suo vigore. 

Io la feci rialzare, la voltai e l’infilai da dietro, perché con un’unica spinta fui completamente dentro di lei. Chiavavo come un indiavolato, il cazzo era quasi insensibile dopo il trattamento che lei m’aveva riservato poco prima. Daria frignava sotto ogni colpo come se la stessi prendendo a bastonate, in un crescendo di piacere, strillò in un modo tale quando raggiunse l’apice dell’orgasmo, che temetti che i vicini sarebbero intervenuti per rendersi conto del suo stato di salute. Non era ancora finita, perché avevo ancora qualche energia da spendere prima di sborrare, così indietreggiai gradualmente dalla fica e poggiai la cappella sul pertugio dell’entrata posteriore: 

‘Fermo, no Alberto, aspetta, là non ho mai provato, neppure mio marito ha avuto questa gloria, ti scongiuro’ – proclamò Daria lamentandosi, implorandomi poco persuasa.

Io feci finta di non averla sentita. In tal modo pigiai delicatamente sul buco per aderire al meglio, poi spinsi in modo deciso fino a far scomparire completamente la cappella nelle viscere. Attimo di pausa, mani ai lati delle natiche e nuova pressione decisa, altri centimetri guadagnati:

‘In questo modo mi provochi dolore, sei proprio uno sleale, un vero porco bastardo’ – gemette Daria, nonostante ciò il tono della sua voce non conteneva note di biasimo né di rimprovero, anzi, era lievemente arrochito dal piacere sperimentato.

Un altro affondo, definitivo, e un altro gemito, ma stavolta fermamente diverso di piacere. Via alla galoppata finale dunque, il canale era indiscutibilmente aderente, in quanto m’avvolgeva come un guanto, inimmaginabile ed eccezionale era la sensazione di contatto fisico, inconcepibile lo sfregamento avanti e indietro, contro le congestionate pareti dell’intestino in quel preciso punto. Daria si stava risolutamente godendo la sua prima inculata, gemeva e mugolava sempre di più ogni volta che toccavo il fondo, per poi risalire con maggior energia. Si fece scivolare una mano sotto la pancia fino ad arrivare a massaggiarmi le palle, ogni volta che arrivavano a tiro risalendo talvolta sulla fica e torturandosela freneticamente.

Ancora pochi violenti colpi al martoriato pertugio e sborrai di gusto, con un’inedita intensità di rado giammai sperimentata prima, riversandole i residui di sperma che mi erano rimasti. Un altro rantolo profondo e anche lei raggiunse la vetta, perché restai dentro mentre il cazzo perdeva la sua rigidità. Lei si rialzò stringendomelo ancor di più tra le chiappe, intanto che il getto della doccia continuava a investire piacevolmente i nostri corpi esausti, dandoci così sollievo e nuove energie da spendere, speravo, in seguito. Io l’abbracciai baciandola sul collo, Daria si voltò verso di me offrendomi la bocca che io baciai appassionatamente:

‘Alberto, sei stato proprio un autentico mascalzone, un vero furfante, mi hai fregata. In venticinque anni quel cialtrone e pezzente di Paolo, non era mai riuscito a farmelo, mentre tu in mezz’ora me l’hai infilato nel culo’ – bisbigliò lusingata e piacevolmente soddisfatta Daria, con un filo di voce appena che si ripigliò non sembrando dispiaciuta più del dovuto.

‘In tutta sincerità Daria, l’accorgimento mi è venuto in corso d’opera, tu me lo hai offerto su d’un eccellente portavivande, io non ho potuto frenarmi’ – le risposi, discolpandomi celermente e sorridendole.

‘Conciata così, dovrò assumere il cibo stando in piedi per una settimana, aspettando che mi passi il bruciore’ – aggiunse lei canzonandomi per il lieve indolenzimento.

‘Sei davvero spropositata, ti farai degl’impacchi con l’acqua fredda e passerà tutto’ – sdrammatizzai agevolmente io. 

In maniera alquanto inattesa e sorprendente, Daria ormai gasata ed euforica, ma al tempo stesso in modo serioso e composto incorporò:

‘L’atipica e peculiare vicenda che mi fa arrabbiare di più, è che adesso a cinquantacinque anni d’età compiuti, scopro in maniera bizzarra e insperata che pigliarlo nel culo mi piace. Non lo avrei mai supposto, porca troia, è tutta la vita che qualcuno cerca di farmelo, ma io niente, giù dura, granitica e perseverante, seriosamente convinta dei miei principi. Da questo momento si cambia, adesso basta con i tabù, stop ai divieti e alle futili interdizioni, mi scoperò tutto quello che si muoverà’ – spanciandoci e scatenandoci in un’assordante e sensazionale risata.

In conclusione chiudemmo l’acqua e uscimmo dalla doccia, Daria m’offrì un ampio canovaccio dei setosa spugna, mentre lei s’avvolse nel suo accappatoio multicolore. Una rapida asciugatura e via pronti per il seguito. Mi condusse nella sua camera con il letto ancora disfatto, si distese di schiena e divaricò le gambe invitandomi:

‘Eccoci qua mio bel guerriero, è giunta l’ora di sguainare la spada, Alberto fatti avanti, perché è giunta ora di darle da mangiare, la mia fica già reclama’ – m’invitò così, allargandosi le labbra della sua pelosissima e rossiccia odorosa fica, mostrandomela in tutta la sua avvenenza. 

Io mi gettai su quella foltissima fenditura leccandogliela in ogni recesso più nascosto, facendola sobbalzare sul letto a ogni passata di lingua sul quel clitoride diventato sodo. Credo che Daria non scopasse da parecchio tempo, tenuto conto del fervore e della frenesia che aveva adoperato. In verità mi piacciono le donne che prendono l’iniziativa, perché ti tolgono agevolmente dall’imbarazzo e dall’intoppo di chiedere, evitandoti in conclusione la delusione del rifiuto: 

‘Alberto, voglio succhiartelo nuovamente’ – mi proferì boccheggiando, mentre io le leccavo placidamente la fica.

Mi distesi sul letto e Daria si collocò quasi sedendosi sulla mia faccia, piegandosi poi sul cazzo nel più classico della postura del sessantanove.  Pensavo che non sarei riuscito a ottenere di nuovo l’erezione, ma la sua abile, esperta e sapiente opera di suzione, accompagnata da un superbo lavoro di lingua, riuscirono nel prodigio facendo resuscitare il mio cazzo spossato. La sua bocca sembrava non avere fine, lei riusciva infatti a farlo scomparire completamente in gola, arrivando a lambirmi i peli con le labbra, senza il minimo accenno di fastidio, e non è poco perché non sono propriamente un ipodotato.

Io godetti da farneticare, ma senza sborrare, osservando quello straordinario pompino, mentre le leccavo golosamente la pelosissima e rossiccia fica grondante di fluidi, accompagnando l’azione della lingua con l’introduzione d’un dito nel culo poco prima violato. Daria raggiunse un nuovo orgasmo, ormai ne avevo perso il conto, scivolò sul mio corpo come una lumaca, lasciando una lucida scia di secrezioni sul mio torace, fino a strofinarsi con la fica contro il cazzo teso verso l’alto in maniera spasmodica. Dopo s’impalò dando vita a una danza frenetica fatta di movimenti ondulatori del bacino, simile alla danza del ventre per intenderci, sempre voltandomi la schiena. Stavolta mi godetti in modo passivo la scopata, lasciai che fosse lei a calibrare il suo ritmo per ottenere il massimo del piacere.

Daria, invero, era effettivamente una belva da letto, confesso e riconosco che non me lo sarei giammai aspettato. Dosò lesinando dottamente tutti i tempi per arrivare alle massime vette di piacere, ormai era difficile discernere e ravvisare le sue sensazioni, perché era praticamente in preda ad un orgasmo continuo senza soluzione di continuità. Si sollevò in piedi sul letto, si girò e si riaccovacciò su di me, questa volta però afferrando il cazzo e puntandoselo al buco del culo, nel quale scomparve rapidamente sotto l’effetto d’una poderosa spinta del bacino verso il basso. La danza riprese vigorosa, mentre con le mani cercava, se mai era possibile, di dispensarsi maggior piacere, massaggiandosi un capezzolo con una e il clitoride con l’altra.

L’ennesimo orgasmo quasi la fece svenire, con un urlo che ben poco aveva di naturale, facendola accasciare su di me rimanendo impalata nel culo sul mio cazzo ancora eretto. Daria restò così esanime per qualche minuto, poi si rialzò sconvolta e si buttò sul letto, io l’afferrai e la girai a pancia in giù, perché dovevo concludere, in quanto non potevo rimanermene lì con il cazzo duro. Mi sdraiai su di lei tendo il busto sollevato sulle braccia per non schiacciarla col mio peso, le allargai le gambe con un ginocchio, quindi feci aderire il mio corpo al suo, strofinandole avanti e indietro il cazzo lungo il solco delle natiche, fino a trovare il varco vagheggiato, di conseguenza affondai dentro la sua lussuriosa fica. Le richiusi le gambe tra le mie ginocchia, permettendo così un maggiore contatto tra i sessi, e, acciuffata stabilmente per i fianchi, iniziai a scoparla con vigore. Lei protese all’indietro il bacino per favorire maggiormente la penetrazione, imprimendo un movimento rotatorio con le anche, accordando il suo ritmo al mio, senza trascurare di stimolarsi lascivamente il clitoride, cosa le procurò un ultimo devastante orgasmo.

Dopo uscii da lei nell’imminenza della sborrata finale, Daria si voltò mettendosi a sedere, riuscendo ad infilarsi il cazzo in bocca un attimo prima che sopraggiungesse il primo fiotto. Impugnandomi forte il cazzo e tenendomi stretta tra le labbra la cappella, lo massaggiò freneticamente avanti e indietro, determinata nello spremerlo fino all’ultima stilla di sperma. Quando fu paga del risultato, si staccò dalla sorgente del piacere e mi mostrò soddisfatta il frutto del suo lavoro adagiato sulla lingua, poi socchiuse gli occhi soddisfatta e deglutì il tutto:

‘Adesso occorrerebbero una dozzina d’uova sbattute per riprendermi, non credi?’ – esagerai io sfinito, lasciandomi ricadere sul letto al suo fianco.

‘Sta’ tranquillo, io so far ancora divertire un uomo, ma so anche come farlo riprendere, vedrai Alberto, fidati’ – facendomi in modo astuto e scaltro l’occhiolino.

Fu una giornata memorabile, Daria aveva indubbiamente in custodia presentemente numerosi espedienti, stratagemmi e risorse tali, che io nemmeno congetturavo né fiutavo.

{Idraulico anno 1999} 

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