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Erotici Racconti

Gustiamoci questi attimi

By 15 Novembre 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Adesso siamo qui, precisamente io e te, così come senz’interruzione facciamo da molto tempo. Ricordo la prima volta che entrammo da quella porta del piacere per il fatto che la paura era la mia, eppure anche tu eri moderatamente inquieto, preoccupato e visibilmente teso, perché l’iniziale bizzarria, la curiosità e il desiderio d’infrangere e di violare parecchie cose ci ha reso terribilmente complici.

Forse non ci bastava l’amore scambiato ormai solamente per dovere e per incombenza coniugale, per copulare togliendoci in ultimo la voglia di sesso. Probabilmente era dovuto anche per le nostre reciproche tensioni e per quegl’inquietanti e allarmanti amori che ci rendevano diffidenti e guardinghi l’uno dell’altro, temendo per i nostri mai interamente scoperti né ammessi né riconosciuti né in conclusione risaputi tradimenti, dal momento che siamo arrivati persino a evitare di guardarci negli occhi per il timore di leggere le inconfessabili, le ignobili e le vergognose infedeltà. Il sospetto e il timore che l’altro avesse avuto esperienze più soddisfacenti delle proprie e poter scoprire di riversare di colpo quel sentimento d’avversione e di rancore, ritenendolo il completo colpevole e il netto responsabile del proprio fallimento.

Tutto questo ci addolorava e ci feriva profondamente nell’animo, infine abbiamo continuato a farlo fino a quando non abbiamo scoperto l’aspetto dell’amore dissoluto, licenzioso e sregolato in fondo da entrambi rincorso e vagheggiato per lungo tempo in quelle avventate e scapestrate avventure. Dovevamo, quindi, entrambi essere coscienti dei nostri tradimenti e sbatterceli in faccia come giammai avevamo fatto prima, perché soltanto così avremmo potuto perdonarci scusandoci scambievolmente e finalmente vivere in pace con le nostre coscienze, cointeressati puri dei nostri scambi carnali e delle nostre interiorità.

Quella lontana sera avevo paura, l’angoscia m’aggrediva ebbene sì, giacché tu fingevi recitando un’insolita sicurezza, mentre io m’appendevo incerto e tremante al tuo braccio captando il tuo cuore battere a perdifiato nel torace. Anche tu temevi, anzi, eri sconvolto e terrorizzato, però lo nascondevi con la tua abituale e comune spavalderia. Tu sei bravo a ingannare e a raggirare, però io non ti sono da meno dal momento che tu non mi cedevi il passo, in quanto neanch’io te lo cedevo, in tal modo imperterriti, irremovibili e ostinati continuammo oltrepassando il varco. Tu volevi un appoggio, un’esca, una guida che attirasse altre donne, altre femmine da sacrificare sull’altare della tua libidine, ebbene sì, anch’io pur non sentendone la sollecitazione né l’urgenza volevo giocare per vendicarmi della tua arrogante, insolente e sfrontata limitatezza, che m’aveva peraltro condotto consenziente ma titubante in quel posto. Tu eri il cane, io la cagna, tu eri ruffiano, io la baldracca, tu eri il verme, io ero il serpente, tu eri il guardone, io ero la fattrice, tu eri lo stallone, io ero la giumenta fra le altre.

C’è sempre una coppia più competente ed esperta che s’avvicina agli indecisi e titubanti agnellini, ci venne incontro allora come ormai noi siamo abituati a fare con i novellini, giacché navighiamo sicuri incontro alle acerbe speranze di quei timorosi inizi. Conosciamo la scaltra psicologia del veterano, perché ci fu insegnato quella sera e nella lunga frequentazione di quelle case di tolleranza in cui nessuno si prostituisce, però tutti perdono la loro virtù concedendosi come prostitute e prostituti, pagando profumatamente l’ingresso. L’ultima frontiera era stata infranta da qualche tempo e così al presente ci avviamo sempre più verso la ricerca dell’impossibile, dell’inattuabile.

Quella sera, infatti, ricordo ancora oggi, come degli sposi novelli ci ritrovarono a baciare i sessi dei nostri improvvisati commensali, bevemmo alla loro tavola e brindammo con le loro intime secrezioni, infine concedemmo le nostre insaziabili voglie condivise dai nostri affamati e cortesi sensi, giacché fu tutta una festa, un mancamento, un sorseggiare e uno strappare di morsi su seni oltraggiati, di carezze e di languori, di lunghe attese, che mi penetrasse l’estraneo ingrossamento o che tu concedessi il saldo bastone. Io sapevo con esattezza come tu porcamente amavi, poiché tu conoscevi con accuratezza come io abbaiavo, ma quella sera non m’avevi a tua soddisfazione, perché potevi soltanto ascoltare come sapevo succhiare, come mi dimenavo sotto l’ossesso di quel granitico cannone che mi entrava e mi usciva nell’intimo, perché non eri certo tu a godere della mia propensione.

Io ti vedevo di nascosto mentre palpeggiavi i grossi seni della tua convivente, mi guardavi e come porgevi la staffa al mio cavaliere, dal momento che non potevi staccare lo sguardo dalla mia pelosissima fica che s’apriva e sussultando ingoiava nella profonda apertura tutto il suo inquilino, tutta intera, lentamente l’armatura del possente guerriero, intanto che la lama mi entrava nella carne, giacché tu la sentivi violandoti la mente, anche perché tra ansimi e spasimi, fra drammi e piaceri consumammo tutto quanto in poco più di due ore.

Ci trovammo alla fine fra di noi che facevamo all’amore così come una coppia di sposi novelli, anzi, come una consumata e valente coppia di esperti amanti, sempre più infuocati dalla nostra trasgressione e finalmente felici d’esserci riconciliati dopo le ingiustizie, i tormenti e le vessazioni dei reciproci tradimenti. Da allora, infatti, quando sentiamo che stiamo per cedere e tradirci, noi ci rechiamo a quell’incontro, a quell’ultima spiaggia che di nuovo ci protegge salvandoci. Quante volte un bell’uomo, sia pure pelato sia pure canuto sia pure con i rotoli di grasso intorno alla vita, ha risparmiato e salvato il nostro matrimonio? Quante donne evolute, con i capezzoli ardenti con un po’ d’evidente cellulite, con quelle deliziose e quelle piacevoli labbra carnose di bocca e di sesso hanno assunto e fatto uso del tuo cazzo? Quanti brividi, emozioni e pulsioni, quante indecenti e indecorose sensazioni hanno devastato e sfigurato le nostre aperte cavità sempre pronte a concedere i loro favori da ogni verso in ogni senso? Ci stringevamo e ci sfregavamo contro i momentanei sostegni del nostro piacere, perché non occorreva scambiare le impressioni di quanto avevamo finito, perché sapevamo entrambi che erano lì, proprio sotto gli occhi dell’altro.

Tu sapevi, io sapevo allo stesso modo, io sentivo e tu coglievi, io godevo e tu facevi altrettanto. Io non ce la facevo e arrivavo lasciando quella piccola bava filata tu scoppiavi dov’eri, nel profondo, nel cavo più aperto fra le cosce e sulle mammelle, poi a notte inoltrata rincasati, per il fatto che stanchi e spossati ci addormentavamo mano nella mano come due innamorati. L’indomani sera ci donavamo il piacere rapito nelle esperienze maturate e ciascuno sapeva ogni mossa più ardita, perché l’altro prendesse tutto il bene del mondo nel giusto verso e si sentisse completo nello spasimo acuto dell’amore ritrovato. Io sostengo e rinforzo l’idea che non si condanna né si punisce né si rimprovera l’amore neanche quando ha il sapore della depravazione, della dissolutezza e del vizio.

Adesso però stiamo aspettando che venga l’infermiera per il normale prelievo semestrale, perché entrambi ci angosciamo, soffriamo e temiamo il responso finale, riferendoci l’esito della malattia più infernale, malvagia e spaventosa che esista. La paura ci abbranca, ci attanaglia consumandoci fino a quando conosceremo precisamente il sospirato risultato, che ci comunicherà soltanto che sei mesi fa fummo alquanto assennati, prudenti e saggi, ma non ci dà la certezza né la sicurezza che dopo null’altro sarà accaduto, malgrado ciò a noi basta quello, per continuare a sacrificarci sull’altare della carnalità e della lussuria.

Voi non ci crederete, eppure non possiamo più frenare le nostre menti, i nostri corpi abituati a fremere nel piacere, perché non è facile avere tutte le accortezze prescritte, dal momento esatto che la smania ti prende non vedi più niente, poiché accarezzi il suo corpo e lo senti tuo, gli prendi il cazzo ed è esattamente come se tu lo schiodassi dal suo complesso per prenderlo in te e per consumarlo nel tuo. Non sai neanche più di chi sia: giovane, grasso, magro, vecchio, bianco, giallo o nero. Non ha età, non ha colore, perché io lo sento soltanto, lo avverto e lo accolgo quando mi riempie in conclusione la bocca e la gola, penetra negli anfratti più intimi, nelle dilatate ansimanti aperture fra le cosce, nel mio ventre e nel mio anale pertugio. Infine lo sento che mi fruga ispezionandomi in ogni dove e vorrei alla fine fermarlo, ma anche che proceda più in fretta. Io vorrei schiodarlo da me stessa e insieme infilarlo più profondamente giungendo all’inferno, fino a farmi male, fino a farmi piangere, fino a non sentire altro che piacere. Ti agiti sprofondando con cautela nello sfintere divaricato, mentre lei sussulta provocandole acuti e intensi sobbalzi, sì, perché questa è la tempesta d’amore che ci trascina travolgendoci e spingendoci a correre il rischio. 

In quei momenti di splendido e sublime rapimento dei sensi non c’importa il pericolo corso, anzi, la paura del domani c’indurrà spingendoci nel trovare nell’oggi il piacere che ci prende e che ci danna.

Quanto amena, gioiosa e incantevole è la giovinezza, approfitta oggi, perché domani non vi è certezza, però con prudenza e accortezza aggiungo infine io. 

{Idraulico anno 1999}  

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