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Il rintocco dei passi lungo la scala di pietra riecheggiava a lungo nell’aria viziata, accarezzando flemmaticamente le antiche colonne di quell’antico sotterraneo. Lucia si strinse a me con un esplicito fremito, nel tempo in cui le nostre ombre tremanti si riconobbero identificandosi sulla parete in fondo di quel lungo cunicolo dalla volta ad archi. Era schiettamente una follia, un’imprudenza, perché lo sapevamo entrambi, eppure qualcosa ci attirava in quel luogo oscuro affascinandoci, ultimo posto d’estremità e di confine prima dell’oscuro e dell’ignoto. Entrambi, rincorrevamo infatti un sogno inquieto e a tratti smanioso, un’immagine fiabesca e inesistente, che aveva catturato i nostri pensieri e che al presente torturava assillando il nostro ventre, riempiendolo d’un vuoto impensabile e irreale, terra di conquista, ovvero di raggiungimento per la parte più oscura delle emozioni e delle suggestioni: 

‘Molto meglio un forestiero, un novello sconosciuto’ – c’eravamo detti, fortificando in tal modo le nostre ferree convinzioni. 

Eppure, adesso, quella decisione, quella dichiarata ed espressa disposizione pareva un’anomala e insolita assurdità; perché mai avrei dovuto regalare la mia donna al desiderio d’un altro individuo?

‘Siamo sempre in tempo, possiamo ancora ritornare indietro, non credi?’ – sospirò lei in maniera ansimante e scalmanata, ma al tempo stesso entusiasta e sfrenata per la sorte di quell’evento sgranando i suoi grandi occhi chiari.

Un istante di lucidità comparve collocandosi tra noi due e la realtà che stavamo affrontando, poi la voglia di chiudere per sempre quel desiderio scellerato, perverso e vizioso ci costrinse a continuare, intanto che la sfavillante luce rossa di due antichi candelabri ci indicò la corretta via da seguire. Ambiente fatato e magico, un po’ buio e oscuro forse, ma quel sogno comune aveva senza dubbio alcuno bisogno della sua individuale scenografia per essere vissuto sino in fondo, per poi essere relegato per sempre nella memoria. Il grande tavolo di mogano, faceva mostra di sé nel mezzo della stanza, le sue mani scivolarono lentamente lungo i bordi lisci, regalandole una sensazione ammassata, confusa e torbida. In quell’occasione lasciò cadere il mantello nero lungo la schiena, poi si sostenne con decisione e sollevò le gambe sino ad appoggiare i tacchi sopra il piano lucidato con la cera. Un movimento felino ed era già in posizione piegata in avanti con la testa chinata, con le ginocchia che s’allontanarono una dall’altra, lasciando che la schiena inarcata portasse i glutei carnosi a essere la parte più alta del corpo.

Io mi collocai chiaramente davanti a lei, con il mento appoggiato sullo schienale della sedia ricoperta di velluto rosso, i miei occhi nei suoi e intorno il silenzio. Passò via così, come un soffio di vento, quel breve minuto in cui ancora eravamo da soli, poi altri passi e altri echi scesero lungo gli stessi gradini spaccando e sbriciolando una dopo l’altra tutte le nostre angosce, i nostri batticuori e le nostre preoccupazioni. Lui era un uomo come tanti, con il viso coperto da una maschera di porcellana rosa, i lineamenti perfetti d’un imbarazzante e scomoda bellezza. Girò attorno al tavolo stringendo tra le mani una candela rossastra, il suo respiro era lievemente agitato, il suo profumo troppo intenso pressappoco a voler coprire la sua natura d’uomo che raffigurava un Dio. Lucia in quel frangente socchiuse gli occhi nell’attimo stesso, in cui la sua mano afferrò il ricamo degli slip, poi il rumore secco dello strappo risuonò in modo distinto come un lampo nella nostra mente, stuzzicandola e accendendola d’enormi e d’immensi desideri:

‘Adesso, sì, ecco, sento la voglia pulsare tantissimo nella testa’ – sussurrò invasata Lucia rispettando comunque il nostro accordo, dove sarebbe stata lei a raccontarmi ogni sensazione sperimentata:

‘E’ come se un incendio di proporzioni smisurate avesse raggiunto il suo apice attorno al mio sesso. Lo sento divorare lentamente ogni palmo della mia pelle e avanza piano piano, trasformandola in una distesa di brace ardente’.

Io sollevai lo sguardo per vedere la vibrazione della fiamma che s’alzava sopra la sua schiena, poi lo seguii nel suo scorrere lieve lungo la spina dorsale, in un percorso ideato numerosissime volte, quel gambo di cera rossa che scivolava lungo la pelle arricciata dall’abbandono e dell’assenza dei sensi. Arrivava sino alla nuca e poi ritornava a salire vero i glutei, fermandosi ogni volta qualche millimetro più avanti in un amabile e piacevole viaggio che sembrava guidato da un inavvertibile e invisibile binario. Quando scomparve per la prima volta in quel solco carnoso, le labbra di Lucia ricominciarono a balbettare qualcosa:

‘Sì, lo sento giocare appena sopra il mio sesso, piccoli tocchi che mi sfiorano appena, che premono e poi ruotano, cercando la fessura che gli conceda una via dentro di me’.

Io capto spiccatamente una smorfia disegnata appena sul suo volto stravolto dall’attesa, i suoi muscoli sono tesi quasi volesse aprirsi lei stessa al passaggio della candela rossiccia, accompagnato da un sospiro e poi ancora la sua voce che enuncia riferendomi:

‘La sento dentro di me, avverto che ruota, avanza e subito si ferma, affinché sia io a fare adagio il sacrificio, nel contempo qualcosa m’attira attorno ad essa, qualche cosa che viene da dentro’.

Il primo sospiro di piacere sgorgò dalla sua bocca un attimo prima che l’alito caldo del suo carnefice spegnesse la fiamma con un soffio deciso, al presente la strada era aperta e poteva inghiottire la cera sino al picciolo fumante, stringendola in una contrazione istintiva. Subito dopo un lamento aspirato irrompe istantaneamente nell’aria:

‘Adesso me ne accorgo, ecco, le sue dita’ – esclamò con decisione, stringendomi con prontezza entrambe le mani:

‘Le sue dita mi frugano dentro e seguono quella debole membrana che la separa dal mio sesso, percepisco gli abbondanti fluidi che sgorgano dal profondo e adesso ho una voglia immensa d’essere presa, sì, adesso’.

Lui la sentì, questo era più che certo, sennonché si trascinò sopra di lei in un baleno con il cazzo teso passandolo più volte tra quelle secrezioni mielose prima d’infilarla con foga. Lucia là al passaggio s’aprì come il burro fuso, tanto era grande e smisurato il desiderio di godere e di spassarsela:

‘Sì, parlami, così, fammi partecipe, spiegami ciò che provi e che vorresti che ti facessi’ – la pregai io in maniera fremente e smaniosa.

Lei mi squadrò dritto negli occhi, mentre il suo volto si stava trasformando in una maschera di puro e incontrastato piacere, perché esplorandomi con i suoi deliziosi occhi in modo famelico debuttò:

‘Lascia che io possa prendere il tuo cazzo tra le labbra. Forse ti stupirai, però onestamente &egrave l’atipico, eccezionale e unico metodo che conosco, per illustrartelo e per spiegartelo per davvero’ – sospirò Lucia con un sommesso filo di voce, mandandomi in visibilio e scompigliandomi in maniera soave la giornata.

{Idraulico anno 1999} 

Autore Pubblicato il: 26 Agosto 2017Categorie: Erotici Racconti0 Commenti

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