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Erotici Racconti

Il nostro periodo è terminato

By 22 Gennaio 2017Febbraio 1st, 2023No Comments

Eccomi qui in questa stanza buia, in un silenzio doloroso, infelice e malinconico, dove l’unico segno è quella spia di vita affidata al gocciolare costante del rubinetto: la sensazione del rumore incessante e inflessibile della goccia che s’allunga espandendosi dentro il mio cervello: sempre uguale, allo stesso tempo ritmico. E’ passata solamente qualche ora da quando tu hai chiuso la porta dietro al tuo presente, lasciando il freddo delle lenzuola per coprire il mio corpo esausto, scarico e pressoché vuoto. Hai portato via il tuo odore sorreggendo però la mia anima, accompagnato e affiancato da un freddo crescente e intenso, partito sennonché dalle tue ultime parole:

‘Non ti amo più’.

Quattro infelici, misere e secche definizioni dette in un mormorio che scuotono e che turbano, così impressionanti e perciò sconvolgenti. La mia supplica ottimista e speranzosa d’un eventuale ripensamento era lì in un’impaziente apprensione, perché tante volte me l’avevi detto e tante volte sei ritornata, però non avevi lo sguardo accanito, crudele e malvagio dentro quegli occhi: in quell’istante ho sentito la vita sfuggirmi di netto mentre mi guardavi, perché questa volta non ritornerai indietro:

‘Non ho provato niente stasera, credimi veramente, perché mi sono sentita come una bambola di pezza, è finita, te lo dico seriosamente’. 

Io guardo i tuoi occhi affievoliti e distrutti, direi spenti, la luce è sparita, il desiderio stava già naufragando prima di quest’ultimo incontro. La goccia non mi dà pace, entra dentro i miei pensieri deturpandomi, mi disturba, m’infastidisce e scompiglia tutti i miei ricordi frantumandoli. Io ho sperato amandoti stanotte di rubarti il cuore, di scomporlo, di trafugarlo e di ripulirlo dal virus che t’ha infettato intossicandoti, a dire il vero mi sento diffusamente sommerso da quest’oscurità intollerabile e opprimente, la goccia diventa pioggia, bagna impregnando il muro di cera che ho costruito, esce defluendo dall’iride e scivola sulle guance. Io sto piangendo, osservo lo specchio incredulo, non credevo d’esserne ancora capace, eppure nel frattempo guardo il mio corpo riflesso, chissà se esiste un altro mondo dall’altra parte del vetro, chissà, se in un doppio mondo io posso ripararlo, risanando correttamente i miei errori.

‘Non mi lasciare’ – avrei dovuto dirtelo irreparabilmente stanotte, annunciartelo, esprimertelo mille volte nei momenti focosi e non dell’amore.

Avrei dovuto dirti quanto sei consistente, importante e notevole, comunicarti ed esporti in conclusione che tu m’hai trasformato dentro, riferirti che m’hai scalfito intaccandomi il cuore, hai spalancato una crepa, rotto una diga, divulgarti pienamente che hai portato la linfa in una pianta ormai diventata arida. L’orgoglio, la spocchia, la superbia, ecco cosa m’ha sempre abbindolato raggirandomi, il potere del comando, la mia posizione sociale, il non volere accettare né riconoscere servilmente d’essere un umano. Io scruto lo specchio, però non trovo difetti né imperfezioni visibili: esternamente sembra tutto in ordine, eppure all’interno il virus ha cominciato irreparabilmente la sua indolente e torpida distruzione. Anche stanotte ho spinto dentro la tua carne il dolore d’un uomo avvilito, disanimato e frustrato, io ho abusato e violentato usando male il tuo corpo, per dimostrare e per indicare a me stesso che io sono il più forte, il più prestante, nel disperato e sconsolato tentativo di lenire e in ultimo di placare le mie angosce e le assidue paure d’un uomo fragile e insicuro.

‘Ti amo’ – avrei dovuto dirtelo, ripetertelo e urlartelo in modo assiduo e durevole.

Al presente io m’osservo attentamente attraverso lo specchio, ricordo amabilmente i nostri incontri, la nostra impetuosa passione, la fusione dei nostri corpi, il piacere urlato e mai una volta che abbia avuto il coraggio di pronunciarla quella piccola espressione, composta solamente da cinque lettere, perché come una saetta mortale io l’ho tenuta maledettamente insabbiata e tremendamente nascosta nell’abisso del mio ‘io’, per angoscia, per oppressione e per spavento d’avvelenarmi manifestamente dei tuoi franchi e limpidi sentimenti.

Quante volte sei venuta sotto il mio desiderio, quante volte sono venuto sotto i tuoi movimenti, quante volte insieme, incalcolabili adesso che ci penso: lacrime cadute diffidenti, dubbiose e guardinghe in questa stanza disperata e persa di quest’amara, dolorosa e triste zona di periferia.

Al momento le amarezze, le delusioni, i dispiaceri e le lacrime si rincorrono tallonandosi, vengono avvertite e rivelate nel momento sbagliato siccome il nostro tempo è finito, perché in realtà solamente quella dannata e insopportabile goccia continua a vivere. 

{Idraulico anno 1999}  

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